Messe senza gioia
Carissimi Missionari e lettori della rivista,
il recente viaggio in Africa di papa Francesco ha risvegliato in me ricordi bellissimi. Ho avuto la fortuna, quasi vent’anni fa, di condividere due mesi della mia vita con padre Aldo Vettori (1931-2008), nella sua missione di Morijo, in Kenya. Le immagini trasmesse in tv mostravano un popolo in festa: i canti e i balli coinvolgevano tutti, la gente comune, ma anche i preti e le suore! Lo stesso spirito di gioia e di partecipazione che mi coinvolgeva durante le messe di padre Aldo. È da qui che nasce la mia provocazione: perché da noi, in Italia invece, a parte rari casi, la messa è pervasa da un clima mesto e austero? Sono solo io (e la mia misera fede) a percepire questo clima che di giornioso ha veramente poco? Come pensa la Chiesa di attirare i fedeli o di convertie di nuovi? Poi ci stupiamo e ci rammarichiamo se i giovani la domenica non vanno a messa ma preferiscono l’aperitivo con gli amici, il cinema, lo stadio, o programmi televisivi che di edificante hanno poco o niente. Scusate se le mie parole sono state un po’ forti. Vorrei tanto una vostra opinione, e se lo ritenete, anche quella dei lettori. A voi tutta la mia sincera stima.
Paolo Moreschi,
Torino, 18/12/2015
Una delle tristezze più grandi che ho provato tornando in Italia, ormai ben sei anni fa, è stata quella di sentirmi dire, prima di una messa domenicale: «Sii corto. Qui mezz’ora di messa è già lunga». Venendo da un paese africano dove una messa domenicale di un’ora era considerata troppo corta, una richiesta così mi aveva lasciato senza parole. Il vangelo delle nozze di Cana, ascoltato la seconda domenica del tempo ordinario a metà gennaio, racconta di una festa di nozze senza gioia perché era venuto a mancare il vino, e il responsabile della festa manco se n’era accorto. È la parabola di una religione che ha perso la sua freschezza, che ha dimenticato la vivacità del primo amore e si è fossilizzata in ritualismi formali dell’obbligo: «Fare il precetto, prendere / non perdere / ascoltare la messa». Una religione che un tempo arrivava a discutere su quale fosse il momento dal quale fosse «valida» la messa: dall’inizio? dal Vangelo? da dopo la predica? Mentalità del passato, si dirà, ma dura a morire, nonostante il grande sforzo della riforma liturgica promossa dal Concilio Vaticano II.
«Come pensa la Chiesa di attirare i fedeli o di convertie di nuovi?», chiede Paolo. Non basta certo l’entusiasmo del solo sacerdote per rendere viva una messa, e non è neppure il ritorno al barocchismo della liturgia tridentina che può restituire la gioia alle celebrazioni delle nostre comunità destinate a essere sempre più senza eucarestia domenicale a causa della mancanza di preti. La questione di fondo è: cosa intendiamo per Chiesa? Se s’intendono i preti, allora davvero caschiamo male. Nel giro di dieci anni quasi tutte le diocesi italiane (eccetto forse quelle del Sud) avranno perso circa la metà del loro clero, e i sacerdoti, sempre più anziani, gireranno come trottole per garantire almeno una messa domenicale alle molte parrocchie che serviranno.
È urgente convertirsi e pensare «chiesa» in un modo diverso: io, tu, noi, insieme, corresponsabili, tutti attori, tutti membri vivi e attivi della stessa famiglia, tutti «concelebranti», superando il binomio attore – spettatori. Solo allora la messa diventerà quello che è di natura sua, un banchetto nunziale.
Questo è il mio commento ai pensieri di Paolo, voi che ne dite?
Sri lanka
Sono contento che abbiate dedicato un reportage allo Sri Lanka (MC n.12/15), sarei stato ancora più contento se qualche parola fosse stata dedicata ai Vedda, minoranza etnica a serissimo rischio di estinzione. Da secoli contro i Vedda viene combattuta una guerra silenziosa, subdola, una guerra fatta con le armi convenzionali, ma ancora di più con le motoseghe, con i bulldozer, con la trasformazione di splendide foreste in piantagioni di tè, di riso, di palma e di altre monocolture che sono la gioia delle multinazionali.
Speriamo che la lettura dell’Enciclica Laudato si’ stimoli almeno i cristiani dello Sri Lanka ad impegnarsi di più per salvare, insieme agli ambienti naturali, anche il piccolo popolo dei Vedda. Speriamo che chi ha rappresentato lo Sri Lanka all’ultimo summit sul clima, abbia usato la sua autorevolezza per proteggere gli ultimi aborigeni, e il loro non trascurabile patrimonio culturale, da ulteriori abusi. A guadagnarci sarà il mondo intero.
Domenico Di Roberto
16/12/2015
Ucraina
Egregio direttore,
mi scuso se vi scrivo ma vorrei rispondere ad alcune inesattezze che il sig. Elia scrive nell’articolo «Kiev non parla russo» (MC 12/2015 p. 51). Mi permetto di farlo in quanto mia moglie è russa, e io, dai primissimi anni Novanta, ho vissuto e frequento quei luoghi. Anzi ero proprio là quando l’Ucraina e altre ex repubbliche sovietiche presero l’autonomia, come pure durante tutto il periodo della guerra cecena. L’articolo, dopo aver detto giustamente a inizio di pag. 52, «La rada, il parlamento, rimase per più di due decenni (20 anni…) prigioniera di una classe politica corrotta fino al midollo controllata da un pugno di oligarchi (ancora oggi metà del Pil è nelle mani dei 50 uomini più ricchi del paese)», prosegue usando la solita propaganda anti russa, omettendo che i pravy sektor sono fanatici ucraini, molti dei quali girano col «Mein kampf» di Hitler in tasca, e che furono gli ucraini a bombardare scuole, ospedali e case nel Donbass. Migliaia di famiglie russe sono fuggite perdendo tutto. Il bel governo ucraino non ammetteva neanche l’uso della lingua russa in nessun organo di stato né nelle scuole a super maggioranza russa, etc. I bei democratici americani, l’Occidente, pagano, corrompono e ricattano da anni i politici di Kiev. Gli Usa possono bombardare inermi feste familiari, appoggiare dittatori feroci come quelli che uccisero il grande mons. Romero, spiare gli alleati europei, etc. e va tutto bene, Putin invece è cattivo, non è democratico e non è simpatico come l’attore Obama, che vende armi all’Arabia Saudita per circa 10 miliardi di dollari all’anno… Prima di affrontare eventi complessi come quelli dell’ex Unione Sovietica, bisognerebbe aver vissuto là, ed essere persone libere di mente e di cuore. Come leggiamo spesso nella bella rivista MC. Tanti saluti
Alfio Tassinari
04/12/2015
Grazie dell’intervento. In realtà avevamo pubblicato con una certa riluttanza l’articolo in questione, che purtroppo riflette l’effettiva difficoltà di scrivere con obiettività su una realtà così complessa come quella dell’Ucraina.
Quando troppo è troppo
Gentili signori,
da tempo ricevo la vostra rivista. Da tempo, precisamente dopo l’articolo da voi pubblicato sul Venezuela di Chávez, non la apro neanche. Sono nata in Venezuela e sentire che Chávez è paragonato a Gesù è un po’ troppo. Oggi, invece, l’ho sfogliata (forse per lo spirito natalizio) e ho trovato un articolo firmato da Minà dove chiama «grande vecchio» quel mostro di Castro. Un giorno troveremo scritto che Mugabe è san Pietro. Allora io la vostra rivista non la voglio. Le suore della mia scuola a Caracas erano povere religiose cacciate dal regime dei Castro e conosco tante persone che hanno dovuto lasciare Cuba per sempre. Oggi un milione di venezuelani hanno lasciato il Venezuela caduto in mano ai narcoincompetenti. Vi prego di cancellarmi dalla vostra lista di spedizione. Grazie,
Patricia Schiavoni
03/12/2015
Dossier Concilio
Carissimo Gigi,
auguroni per il meraviglioso «A cinquant’anni dalla fine del Concilio Vaticano II» dei nostri missionari Antonio, Gaetano e Diamantino. In modo speciale quello di Antonio. E per il tuo editoriale: «Ho solo queste braccia e il bene che ti voglio». Auguri a te e a tutti i collaboratori della Rivista.
Pietro Parcelli
14/12/2015
Ricordando padre Franco
Pensavo che scrivere un pensiero su p. Franco, fosse facilissimo, eppure quando mi sono seduto e ho preso la penna in mano, mi sono trovato in difficoltà. Sono nato e cresciuto con Franco: da piccoli andavamo a giocare in località Stropei insieme a don Mario Sartori. Ci divertivamo con giochi semplici come semplice è sempre stata la vita di Franco, vita donata agli ultimi (certamente era sulla stessa linea di Papa Francesco). Sì, Franco viveva per gli ultimi, per coloro che vivono senza speranza: lui era sempre lì attento alle necessità di tutti quelli che incontrava sulla sua strada.
Ricordo l’ultima volta che è venuto a Spoleto nel giugno 2014. Fu invitato a parlare a un gruppo parrocchiale: anche se già malato, con un filo di voce, volle incontrare i ragazzi e motivarli a collaborare con entusiasmo per la missione di Wamba. Andammo a cena in una trattoria nei dintorni di Spoleto: i proprietari del locale rimasero colpiti dalla testimonianza molto toccante di p. Franco. Quanto bene hai fatto! Grazie Franco, ci manchi… Grazie per tutto quello che hai realizzato e per come sei vissuto… sono certo che oggi ci sei più presente di prima.
Quanto ci manchi! La tua «assenza fisica» pesa tantissimo, anzitutto per i tuoi parenti, ma anche per tutti gli amici che ti hanno conosciuto, apprezzato e amato; pesa per tutte le persone che hai saputo consolare con «il balsamo della consolazione che viene dall’Alto»; sì, tu sapevi trovare le parole giuste per ognuno, sapevi «piangere con chi piange e giornire con chi è nella gioia».
Quante lacrime hai asciugato, quanto conforto hai saputo offrire, quanto amore concreto hai donato ai moltissimi bisognosi (bisogno di pane, medicine, cure mediche, acqua, ecc.). Sapevi farti «tutto a tutti» come dice s. Paolo. Sei stato veramente pane spezzato per sfamare qualsiasi persona attanagliata dalla povertà. Sei stato il «vero samaritano» per i tanti feriti dalla vita e costretti a portare il peso dell’ingiustizia e dell’indifferenza. Chi colmerà il vuoto della tua assenza?
Anna e Tiziano Basso
Spoleto, 28/12/2015
Ricordando Padre Vito Dominici
L’11 dicembre scorso a Nairobi, Kenya, ha terminato la sua vita terrena padre Vito Dominici, missionario della Consolata. La sua lunga vita è stata veramente un esempio di bontà ed altruismo. Era nato a Romallo (Tn) il 30.11.1927 e a 14 anni entrò nella Casa della Consolata della Madonna del Monte a Rovereto. Fu ordinato sacerdote dal Cardinal Fossati a Torino il 20 giugno 1954 e celebrò la sua prima Messa a Romallo il 4 luglio 1954. Dopo vari incarichi in Italia e un periodo trascorso in Inghilterra a imparare l’inglese, fu inviato in Kenya nel 1959, 56 anni trascorsi in Kenya non sono pochi! La sua ultima Missione è stata a Mujwa distretto di Meru.
Intervistato da Vita Trentina sei anni fa così rispondeva. «Il mio primo impatto non è stato facile. All’inizio avevo quasi voglia di andarmene ma poi, con il passare del tempo, mi sono abituato e ho trovato la mia collocazione nella loro società. I momenti più belli li ho vissuti nel vedere tanti africani seguire le lezioni di catechismo ed accostarsi ai sacramenti. Ora mi sento uno di loro!». Ogni quattro anni tornava in Italia e veniva a trovare i suoi famigliari, i suoi tanti benefattori e amici, ai quali lo legava una fitta e costante corrispondenza, per esempio il gruppo missionario di Romallo, sempre sollecito ad aiutarlo finanziariamente nelle sue opere di bene e costruzioni di varie chiese.
Quest’anno era ritornato in Italia a causa della salute malferma. I suoi superiori avevano prenotato solo il viaggio di rientro in Italia. P. Vito di ciò era preoccupato, la sua patria era l’Africa e si sentiva un vero africano. Nel novembre scorso, accompagnato da sua nipote, era venuto a Castelfondo e Romallo, proveniente dalla Casa Madre della Consolata di Torino. A Romallo aveva celebrato la S. Messa seguita da un incontro significativo con il gruppo missionario. Nel corso dell’incontro p. Vito ha ribadito più volte il suo desiderio di tornare «a casa sua, tra la sua gente». Il 19 novembre scorso, con l’autorizzazione dei suoi superiori, era partito da solo, a 88 anni, dall’aeroporto di Torino, con scalo Istanbul ed arrivo a Nairobi. Aveva successivamente inviato un messaggio «sono arrivato a casa mia, sto bene», ma ai primi di dicembre la sua tempra, seppure forte, ha ceduto per un edema polmonare nell’ospedale di Nairobi.
Iddio aveva esaudito il suo desiderio «morire fra la sua gente». A Romallo domenica 18 dicembre è stato ricordato con una Santa Messa concelebrata dal parroco don Mario e don Enzo Lucchi, suo intimo amico da una vita.
Nei suoi ultimi scritti affermava: «Una cosa è certa, che non vi dimenticherò mai nelle mie preghiere e anche il bene che mi avete fatto e voluto, rimarrà sempre fisso nella mia mente fino all’ultimo respiro e oltre».
Chi ha conosciuto p. Vito ne serberà certamente un gran ricordo, era mite ma coraggioso e caparbio nell’intraprendere e portare a termine i suoi programmi, sempre a favore dei più bisognosi in terra di missione.
Clauser Renato
Romallo, 26/12/2015