Georgia. Dal sogno all’incubo

Si chiama «Sogno georgiano» ed è il principale partito della Georgia, piccolo stato del Caucaso meridionale con una sponda sul Mar Nero. Il nome del partito è sicuramente azzeccato ma, studiando con più attenzione la situazione dell’ex paese dell’Unione Sovietica, si cambia facilmente idea. Sogno georgiano è, infatti, proprietà di Bidzina Ivanishvili, oligarca che ha fatto fortuna in Russia e che la rivista Forbes colloca al posto 644 nella classifica 2024 dei miliardari del mondo.

Nonostante settimane di proteste di piazza, lo scorso 14 maggio il parlamento di Tbilisi ha approvato la legge che, per limitare l’influenza degli «agenti stranieri» sulla società civile georgiana, obbliga qualsiasi organizzazione – in primis, quelle non governative e i media – a registrarsi in un database pubblico e a rendere note le sue fonti di finanziamento. Qualora donazioni e fondi provenienti dall’estero superino il 20% del totale, l’associazione è equiparabile a un agente straniero. Insomma, si spaccia per ricerca della trasparenza una norma che metterà sotto il controllo del potere qualsiasi ente.

La presidente georgiana Salomé Zurabishvili, europeista, ha subito posto il veto sulla «legge russa». Tuttavia, Sogno georgiano, il partito dell’oligarca Bidzina Ivanishvili, potrà cancellarlo e proseguire sulla strada che conduce nelle braccia di Mosca.

La presidente georgiana Salomé Zurabishvili – da sempre contraria alla norma – ha subito posto il veto bloccando la promulgazione della legge. Il partito di governo ha però una maggioranza tale da poter annullare il veto presidenziale. La norma è stata ribattezzata «legge russa» perché formulata sul modello di quella con la quale Mosca ha, di fatto, azzerato il dissenso interno. In generale, lo schema politico pare quello a cui gli osservatori esterni sono ormai abituati: da una parte un paese ex sovietico che vorrebbe avvicinarsi all’Occidente, dall’altra la Russia che si oppone con ogni mezzo.

La Georgia è indipendente dal 1991. Le sue relazioni con il potente vicino sono segnate soprattutto dalla guerra del 2008, quando Mosca decise di aiutare le regioni dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud – dagli anni Novanta in lotta con il governo di Tbilisi – a separarsi dal resto del paese. Quella guerra mostrò alla comunità internazionale l’obiettivo perseguito dal Cremlino: espandere la propria sfera d’influenza a qualsiasi costo. Come, infatti, ha dimostrato la storia successiva: dall’annessione della Crimea (nel 2014) all’aggressione dell’Ucraina (nel 2022).

A dicembre 2023 il Consiglio europeo ha concesso alla Georgia lo status di candidato per entrare nell’Unione europea. Il processo è però molto lungo e tutt’altro che scontato. La Russia, infatti, oltre a mantenere migliaia di soldati nei suoi protettorati dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud, pochi mesi fa ha concordato con il presidente de facto dell’Abcasia, Aslan Bzhania, di aprire una base navale nel porto di Ochamchire, sul Mar Nero.

La Chiesa ortodossa georgiana, seguita dalla maggior parte dei cittadini, è considerata un possibile intermediario nella crisi del Paese. Tuttavia, fino a questo momento il suo apporto è stato negativo. Il patriarca Ilia II, eletto nel 1977, ha scelto la stessa strada del patriarca russo Kirill: a fianco del potere.

Paolo Moiola




Russia. Kirill non prega per Navalny


Dmitry Safronov è un prete della Chiesa ortodossa russa. Padre Safronov ha pregato più volte sulla tomba di Alexei Navalny, il principale oppositore di Vladimir Putin, morto (probabilmente assassinato) lo scorso 16 febbraio nella colonia penale artica in cui era stato rinchiuso. Il 26 marzo il sacerdote ha celebrato anche un servizio funebre in onore del defunto. La diocesi di Mosca non ha però gradito il comportamento di padre Safronov e lo ha, pertanto, punito con la sospensione dalle funzioni clericali e tre anni di penitenza.

Da tempo, e ancora di più dal febbraio 2022, data dell’aggressione della Russia all’Ucraina, la posizione della Chiesa ortodossa russa – dal 2009 guidata dal patriarca Kirill – è stata di totale allineamento con la politica di Putin, presidente di nome, ma dittatore di fatto. Ultimamente, essa è stata ribadita nero su bianco nel documento conclusivo («Presente e futuro del mondo russo») del XXV Consiglio mondiale del popolo russo (World russian people’s council), organizzazione presieduta dal patriarca di Mosca e di tutte le Russie.

Il primo punto del documento datato 27 marzo è dedicato proprio alla cosiddetta «Operazione militare speciale» in Ucraina e non lascia spazio a dubbi. «L’Operazione militare speciale – vi si legge – è una nuova fase della lotta di liberazione nazionale del popolo russo contro il regime criminale di Kiev e l’intero Occidente che lo sostiene, condotta nelle terre della Rus’ Sud occidentale dal 2014. Durante l’Operazione militare speciale, il popolo russo con le armi in mano difende la propria vita, libertà, statualità, identità civile, religiosa, nazionale e culturale, nonché il diritto di vivere sulla propria terra entro i confini dello Stato russo unito. Da un punto di vista spirituale e morale, l’operazione militare speciale è una guerra santa (“suyashennaya voyna”, nella traslitterazione dal russo, ndr)».

Il punto prosegue chiamando la Russia e il suo popolo a proteggersi dall’assalto del globalismo e dalla vittoria dell’Occidente caduto nel satanismo. La guerra santa – si afferma – finirà quando tutto il territorio della moderna Ucraina sarà entrato nella zona di influenza esclusiva della Russia. Il tono rimane identico anche nel resto del documento, vero concentrato di affermazioni ultra conservatrici e ultra nazionaliste, che incolpano l’Occidente di ogni male. Una citazione a mo’ di esempio: «I programmi educativi nazionali […] dovrebbero essere purificati da concetti e atteggiamenti ideologici distruttivi, principalmente occidentali, estranei al popolo russo e distruttivi per la società russa».

A inizio aprile, il Consiglio ecumenico delle Chiese (World Council of Churches), di cui la Chiesa ortodossa russa è parte, ha respinto il documento proprio a causa delle considerazioni sulla presunta «guerra santa». Difficile capire quanto la Chiesa russa sia compatta attorno alla posizione dettata dal patriarca. Quello che è certo è che essa utilizza gli stessi metodi del Cremlino: la repressione di chiunque non sia d’accordo.

Padre Alexey Uminsky, una delle tante vittime del patriarca Kirill. (Foto Meduza)

L’ultima vittima è stata padre Dmitry Safronov. Ma sono decine i sacerdoti ortodossi puniti per aver sfidato la linea della Chiesa sulla guerra. Lo scorso gennaio era stato destituito dal suo ministero sacerdotale padre Alexey Uminsky, mentre un anno prima era toccato a padre Yoann Koval. Kirill è un sodale e un patriarca fedele a Putin ai limiti dell’idolatria: nel febbraio del 2012, non esitò a definire i suoi primi dodici anni al Cremlino come un «miracolo di Dio». Una vicinanza ideologica che non può essere messa in discussione. Chiunque osi farlo è immediatamente invitato – per usare un eufemismo – a fare le valige.

Paolo Moiola