Cinghiali (e lupi) alle porte di casa
In Italia, si stima la presenza di 2,3 milioni di cinghiali. I danni che producono sono enormi, ma la caccia libera non è la soluzione. Nel frattempo, anche sui lupi (pur presenti in poche migliaia ) si è aperta la discussione.
È un fatto che i centri abitati siano diventati molto attraenti per la fauna selvatica. Sempre più spesso, infatti, le nostre città si trovano a ospitare svariate specie di animali selvatici, diventati – per ragioni opportunistiche – tolleranti alla presenza umana. I motivi di questo fenomeno sono molteplici. Ad esempio, l’abbondanza di cibo scartato e di rifiuti organici dentro e fuori i cassonetti; la presenza di prede di piccola taglia, come topi o ratti, presenti in gran numero in strade e discariche, a loro volta presidiate dai gabbiani. Ci sono poi le condizioni climatiche cittadine più favorevoli rispetto a quelle che si trovano fuori dai centri abitati: in questi, solitamente, ci sono 1-2 gradi in più e, inoltre, ci sono meno vento e umidità. Anche l’acqua è più disponibile. Infine, qui si trovano tanti siti utilizzabili per la riproduzione. La tendenza all’inurbamento è tipica delle specie opportuniste o onnivore, che sono quelle più facilmente adattabili.
Tutto ciò può creare seri problemi di convivenza tra animali e umani, nonché il rischio di zoonosi, cioè di patologie causate da agenti patogeni trasmessi da animali, come nel caso della rabbia silvestre, trasmessa soprattutto dalle volpi (ma non solo da esse) e quello della peste suina, trasmessa dai cinghiali. Ecco, quindi, la necessità di controllare la presenza delle specie selvatiche vicino alle nostre abitazioni.
L’invasione dei cinghiali
Negli ultimi trent’anni, in Europa si è verificato un notevole incremento – sia numerico, che per distribuzione geografica – dei cinghiali. Originatosi in Eurasia e Nord Africa, si sta diffondendo in tutto il mondo. In Italia, sono ormai presenti ovunque, comprese le isole. Dal 1500 questa specie aveva subito una vera e propria persecuzione da parte umana, tanto per le trasformazioni ambientali, che per l’avvento delle armi da fuoco. Ne era derivata una sua progressiva diminuzione tanto che, all’inizio del XX secolo, i cinghiali erano presenti solo in nuclei isolati nelle regioni tirreniche del Centro e del Sud Italia, sul Gargano e in Sardegna. Nel 1919, la specie è però tornata sull’arco alpino, con la comparsa di alcuni esemplari giunti dalla Francia in Liguria e in Piemonte. Negli anni Cinquanta si sono verificate numerose immissioni di cinghiali provenienti dalla Slovenia in Friuli, a scopo venatorio e, sempre per lo stesso motivo della caccia, negli anni successivi tali immissioni sono proseguite con animali provenienti da allevamenti nazionali. Non è possibile conoscere il numero dei cinghiali attualmente presenti in Italia, a causa delle difficoltà e dei costi che comporterebbe un conteggio dei singoli capi. Tuttavia, secondo i dati più recenti dell’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), nel 2020 i cinghiali sarebbero stati circa un milione, raddoppiati rispetto al 2010, mentre, secondo Coldiretti, il sindacato dei piccoli imprenditori agricoli, nel 2022 il totale stimato sarebbe di 2,3 milioni.
I motivi di una così grande espansione del cinghiale in Italia sono dovuti sia alle immissioni a scopo venatorio, attualmente proibite (anche se ancora effettuate illegalmente in qualche regione del Sud), sia al progressivo spopolamento di vaste aree montane e rurali. Quest’ultimo fenomeno comporta sia una netta diminuzione del prelievo venatorio operato dall’uomo, sia una notevole sostituzione di terreni prima impiegati per l’agricoltura e la pastorizia con i boschi di vegetazione spontanea. Qui i cinghiali, che sono animali plastici e adattabili, possono trovare casa, benché il loro ambiente prediletto sia quello della macchia mediterranea, caratterizzato da vegetazione bassa e fitta, in cui possono nascondersi, come nel caso della smilacea, una pianta spinosa, tra i cui arbusti essi creano i loro viottoli. Peraltro, i cinghiali sono animali elusivi e intelligenti, capaci di sopravvivere in territori molto diversi tra loro e di cibarsi di un po’ di tutto, essendo onnivori opportunisti (benché la loro tendenza frugivora faccia prediligere loro ghiande, radici, tuberi, castagne in autunno-inverno e foglie, gemme e piccoli fusti in estate). Proprio perché sono animali opportunisti, quando le risorse naturali scarseggiano, i cinghiali, pur essendo considerati una specie sedentaria, sono capaci di percorrere anche decine di chilometri in cerca di cibo e, sempre più spesso, entrano nelle nostre città, attratti dai rifiuti organici presenti nei bidoni in strada. È chiaro che la loro presenza può essere percepita come pericolosa, anche se spesso la reazione umana risulta sproporzionata rispetto all’effettivo pericolo. Tuttavia, può capitare che una femmina di cinghiale con prole al seguito possa diventare aggressiva e quindi, se allarmata dalla presenza umana, attaccare l’uomo.
Inoltre, i cinghiali vanno nottetempo a compiere veri e propri scavi nei terreni da pascolo o agricoli, facendo razzia delle coltivazioni e arrecando gravi perdite economiche ad agricoltori e pastori. Si stima che i danni all’agricoltura in Italia, a causa dei cinghiali, dal 2015 al 2021 siano stati in media di circa 17 milioni di euro annui. Questa cifra non tiene conto dei danni (anche mortali) causati agli automobilisti negli incidenti stradali da essi provocati. Infine, occorre considerare il rischio di possibili infezioni trasmesse ai suini d’allevamento, visto che, dal gennaio dello scorso anno, i cinghiali sono stati individuati come i principali responsabili della diffusione della peste suina. Per tutto questo sono, quindi, moltissimi coloro che, a gran voce, chiedono il controllo e l’eliminazione di questi animali, indicando la caccia come soluzione. Siamo però sicuri che sia questa la strada migliore per risolvere il problema?
Una società matriarcale
In realtà, se consideriamo la biologia e lo stile di vita dei cinghiali, la risposta è certamente «no», anzi, con la caccia, si rischia di aggravare il problema invece di risolverlo. Infatti, nonostante il gran numero di capi abbattuti ogni anno (circa 300mila secondo l’Ispra), la loro popolazione continua ad aumentare. Per capire questo fenomeno, dobbiamo prendere in considerazione la biologia e l’ordine sociale dei cinghiali, che vivono in società matriarcali con a capo una femmina anziana, detta «matrona», che è la madre di tutte le altre femmine presenti nel branco e che è l’unica a riprodursi in condizioni normali, dal momento che essa emette particolari feromoni capaci di inibire la riproduzione delle femmine più giovani, impedendo che esse vadano in estro. La matrona normalmente si accoppia con il maschio più anziano, detto «salengano», che, pur essendo un animale potente, è caratterizzato da una bassa carica spermatica. Dalla loro unione nascono mediamente 4-6 cuccioli all’anno. Date le maggiori dimensioni delle matrone e dei salengani, essi sono le vittime predilette dei cacciatori, i quali, uccidendoli, privano il branco di controllo. In tal modo, le giovani femmine rimanenti entrano immediatamente in estro e si accoppiano con i giovani maschi ad alta carica spermatica. Il risultato è che in un branco, nel quale normalmente sarebbero nati solo i cuccioli della matrona, ogni anno ne nascono 20-30 dalle giovani femmine. Queste, per riprodursi, hanno soltanto bisogno di raggiungere i 30 chilogrammi di peso (indipendentemente dall’età), cosa piuttosto semplice vista la grande disponibilità di cibo sul territorio. L’età media di riproduzione delle femmine di cinghiale è scesa da 18 a 15 mesi. Quindi, è a causa delle battute di caccia che colpiscono gli animali più grandi e anziani, che ci ritroviamo popolazioni sempre più giovani e prolifiche.
L’intervento umano
Questo dimostra come spesso l’intervento umano in natura porti più danno che beneficio. Come se non bastasse, l’attività venatoria, oltre ad alterare l’organizzazione sociale dei cinghiali, ne altera la mobilità spingendoli verso le aree libere da cacciatori, come i luoghi abitati, i bordi delle strade e i parchi cittadini. Peraltro, bisogna distinguere la caccia sportiva dall’attività di controllo e dalla caccia di selezione. Mentre la prima è sostanzialmente un hobby, l’attività di selezione si fonda su basi ambientali ed è selettiva sugli animali da contenere scegliendo, in base a valutazioni biologiche ed ecologiche, quali colpire, utilizzando un’ampia strumentazione e non solo il fucile. La caccia di selezione è invece una via di mezzo tra le altre due. È effettuata da cacciatori, ma su base ecologica, per cui chi vuole diventare selecontrollore deve seguire dei corsi di formazione e superare un esame finale.
Tuttavia, è bene considerare che se ci sono voluti settant’anni per arrivare alla situazione attuale, questa non potrà essere risolta in breve tempo.
Come prevenire i danni
Sarebbe opportuno agire su più fronti. In primo luogo, limitare la pressione venatoria, per evitare il più possibile l’alterazione dell’organizzazione sociale dei cinghiali, che – come abbiamo visto – favorisce un maggiore numero di nascite. Inoltre, bisognerebbe predisporre delle aree libere dalla caccia, dove gli animali si sentano più sicuri e quindi invogliati a lasciare i luoghi abitati. Essenziale, inoltre, sarebbe evitare di lasciare i rifiuti organici in luoghi a loro accessibili, poiché la disponibilità di cibo non può che attrarli e rendere le giovani femmine più prolifiche.
Per quanto riguarda la prevenzione dei danni causati dai cinghiali all’agricoltura, potrebbe essere utile ricorrere a recinzioni elettrificate delle aree coltivate, così come la selezione oculata delle colture da impiantare. Infine, per la prevenzione degli incidenti stradali causati non solo dai cinghiali, ma dalla selvaggina in genere sono disponibili delle tecnologie piuttosto semplici, che percepiscono l’avvicinamento di un animale a bordo strada ed emettono luci e suoni, sia per spaventarlo che per avvisare gli automobilisti del pericolo. Il loro uso andrebbe sicuramente incentivato.
Prede e predatori
Poiché dove c’è la preda, lì si trova anche il predatore, ed essendo il cinghiale la preda per eccellenza del lupo, non poteva essere che quest’ultimo non facesse altrettanto rapidamente la sua comparsa vicino ai luoghi abitati.
In questi ultimi anni, sono stati numerosi gli avvistamenti vicino ai paesi o nelle periferie di grandi città in diverse zone italiane. Il lupo in Italia è una specie protetta, quindi non può essere oggetto di attività venatoria. Attualmente, in Italia si stima che ci siano circa 3mila lupi, mentre in Europa sarebbero circa 17mila. Le prede del lupo sono principalmente selvatiche ma, come noto, possono essere anche gli animali d’allevamento, soprattutto caprini e ovini, per l’estrema facilità di cattura. La totale protezione del lupo, in vigore in alcuni paesi europei, ha fatto sì che molti esemplari abbiano meno paura dell’essere umano; si parla di «lupi confidenti», che si addentrano nelle periferie dei centri abitati e fanno strage soprattutto di pecore e capre anche custodite all’interno di recinti, che questi predatori sono spesso in grado di saltare.
Da una parte, dunque, il lupo potrebbe essere alleato dell’uomo nel controllo dell’espansione dei cinghiali, dal momento che, come fanno spesso i grandi predatori, catturano più facilmente i piccoli che gli adulti. Per contro, i lupi causano gravi danni agli allevatori, anche perché sovente un singolo lupo che riesce a introdursi in un recinto di pecore o capre, ne uccide parecchie per cibarsi di una soltanto. Questo capita perché gli animali d’allevamento hanno perso i comportamenti delle prede selvatiche, quindi stanno fermi, oppure fuggono disordinatamente, mentre il lupo ha mantenuto le sue caratteristiche naturali di predatore, cioè è programmato per assalire l’animale oggetto di preda. Ecco perché è essenziale non fuggire di corsa dandogli le spalle. Tra l’altro, i lupi si avvicinano sempre più ai centri abitati seguendo anche le stagioni e le condizioni meteo, poiché sono le loro stesse prede, in particolare gli ungulati, a farlo. Normalmente l’inverno comporta carenza di cibo per gli animali selvatici, che tendono ad avvicinarsi maggiormente ai centri abitati. Secondo alcuni studiosi sarebbe opportuno derogare alla protezione assoluta del lupo, con degli abbattimenti controllati, in modo da riuscire a mantenere alta nel lupo la diffidenza verso l’essere umano.
Rosanna Novara Topino