Perderci e ritrovarci


Sono qui di fronte a te. Dopo una notte di lavoro lunga e infruttuosa.

Ora è l’alba, e tu ti sei presentato alla mia fame per offrirmi un buon cibo preparato da te (Gv 21).

Ricordo di noi due. Ti avevo cercato per molto tempo senza trovarti, e, quando tu mi hai trovato, ho scoperto che anche tu mi cercavi. Da sempre.

Ricordo di avere più volte rischiato di perderti, e che tu mi perdessi. Di avere sentito che, perdendo te, avrei perso anche me. Paura di rimanere senza un nome da pronunciare, senza un volto che chiamasse il mio nome.

Non ti ho mai perso fino a quella sera, quando mi hai detto: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi» (Gv 13,36). Quando ti ho chiesto di tenermi con te e di poter morire per te, e di perdermi per te, e tu non hai voluto.

Mi sono perso in me, allora, e non ti ho più riconosciuto. A chi mi domandava se fossi tuo amico, rispondevo di no. E non mentivo: davvero ti guardavo nel cortile di Anna e stentavo a dire di te che tu mi amavi e che io ti amavo.

Ti ho perso mentre venivi innalzato e io rifiutavo di vederti così lontano, diverso, distinto da me, così altro. Totalmente te.

Mi avevi chiamato a una prossimità intima. Ora mi chiamavi a un distacco, a una distanza che ti rivelava per ciò che sei, che mi svelava per ciò che sono.

Una distanza ancora più intima che suggerisce quanto non sia automatico, necessario o inesorabile che io e te ci amiamo.

Una trascendenza che ci chiede di sceglierci. Di nuovo. Ancora.

Lo capisco ora, masticando questo pesce arrostito.

Meraviglia!

Mentre tu sei totalmente tu e io sono totalmente io, mi chiedi se ti scelgo, mi dici che mi scegli. «Pasci le mie pecore» e, come il primo giorno, «seguimi», perché mi prendi con te e dove tu sei sarò anche io.

Buon mese missionario, in intima prossimità e alterità con Lui, da amico

Luca Lorusso

 




«Il tuo amore vale più della vita»


Con la gola secca e lo stomaco contratto ti cerco. In una terra sterile, sporcata dal sangue. La menzogna sulla bocca del nemico ti descrive lontano, mi giudica indegno, pronuncia una condanna di separazione irreparabile tra te e me.

Ma nelle notti abitate da rabbia e angosce, mi ricordo della tua promessa, di te e della tua destra che mi sostiene.

Chiudo le orecchie alle parole dell’accusatore, le apro a quelle del tuo amore.

E così precedo l’aurora stringendomi a te. E l’anima assetata trova acqua che zampilla, ristoro la carne che desidera guarigione.

Il tuo amore vale più della vita (cfr. Sal 63).

Per questo le mie labbra canteranno la tua lode fino agli estremi confini della terra.

Pur morendo, è possibile vivere in eterno all’ombra delle tue ali.

Per questo esulto di gioia tra le nazioni.

Ho sentito il calore del tuo fiato sul mio volto fuori dal sepolcro.

Per questo sarò nel mondo testimone di te vivo.

Perché il tuo amore vale più della vita.

Perché tu, oh Dio, sei il mio Dio, dall’aurora mi cerchi.

In ascolto della sete e della fame dei popoli,
buon mese missionario da amico.

Luca Lorusso

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Un libro che parla di ferite nel cuore della Chiesa e uno di amore


Lo scisma e l’amore

Un giornalista e una teologa affrontano, senza peli sulla lingua, quella frangia di chiesa che si oppone a Francesco, parlando di scisma.

Una giovane laica missionaria parla, mettendo a nudo il suo cuore, del suo grande Amore: quello per Dio e per l’uomo, incontrati nella sua Italia, in Brasile, Benin, Palestina e Thailandia.

Lo scisma emerso

Si intitola Lo scisma emerso. Conflitti, lacerazioni e silenzi nella Chiesa del Terzo Millennio. Lo hanno scritto il giornalista Francesco Antonioli e la teologa Laura Verrani, ed è stato pubblicato in febbraio da Edizioni Terra Santa (dimostrando coraggio).

Il titolo è la perfetta sinossi di quanto hanno raccolto i due autori nelle 250 pagine del volume. Il mix è intrigante, da una parte c’è Antonioli che è un giornalista professionista dal curriculum importante e da sempre attento anche alle «cose di Chiesa»; dall’altra c’è Verrani, una teologa che da oltre venti anni si occupa di catechesi biblica. I loro saperi e i loro stili si fondono e raccontano, forse per la prima volta con così grande nettezza, ciò che purtroppo è sotto gli occhi di tutta la comunità ecclesiale: la spaccatura creata, nella Chiesa di Francesco, dall’ostilità di quella parte cosiddetta «tradizionalista», minoritaria, ma rumorosa. «Basta, chiamiamo le cose con il loro nome – si legge a pagina 13 -. E pronunciamole: senza il timore di tacere. È ben radicata una prassi corrosiva, nella Chiesa cattolica, che nasce dall’abitudine di edulcorare la verità, soprattutto quando risulta spiacevole o in grado di cambiare lo status quo». La vecchia abitudine dell’essere umano di accumulare polvere sotto il tappeto sta producendo danni enormi alla comunità ecclesiale. Dall’uso disinvolto del denaro, al recente caso torinese delle «vocazioni forzate», dalle discriminazioni di genere, agli abusi psicologici e sessuali, gli autori ricostruiscono la cronaca, ma danno anche una lettura di prospettiva, Vangelo alla mano.

La domanda di fondo offerta dal libro è: vista la spaccatura interna alla Chiesa, aperta anche dalla pessima abitudine di non dare i nomi giusti alle cose, quale Chiesa vogliono i cattolici? «Questa frattura profonda – scrivono gli autori – non è uno degli effetti della cosiddetta secolarizzazione. Per lo meno: anche, ma soltanto in parte. Il punto è che la pandemia […] ha divaricato ulteriormente le posizioni da quando, nel 2013, è salito al soglio pontificio Jorge
Mario Bergoglio. Una divaricazione sempre più evidente e graffiante. È questa la Chiesa del Vangelo? È questo il futuro della presenza dei cattolici nella società civile?».

Lo scisma emerso è una lettura che scorre veloce, non è per addetti ai lavori, per amanti delle analisi in filigrana, ma per tutti coloro che vivono e si muovono all’interno della comunità, credenti e non. Inevitabilmente è una lettura che lascia un po’ di amaro in bocca, ma tanto Laura Verrani quanto Francesco Antonioli, come si evince chiaramente dalla lettura del loro lavoro, non hanno alcuna intenzione di picconare una casa pericolante che sentono in tutto e per tutto anche la loro, anzi: «La Chiesa sta vivendo per la prima volta una chiamata al confronto sinodale capillare – scrivono -. Bisogna dirci ciò che non funziona. Senza livore, polemiche o anticlericalismo pregiudiziali. È invece proprio in quanto credenti e sinceramente appartenenti alla Chiesa che riteniamo importante mettere sul tavolo le questioni».


Amare, voce del verbo…

Nel febbraio scorso è uscita anche una piccola chicca che vale davvero la pena segnalare: Amare, voce del verbo… Come esperienze e vite intrecciate mi hanno fatto conoscere l’Amore, libro d’esordio della giovanissima Maristella Tommaso per le Edizioni San Paolo.

Nata a Conversano (Ba) ventotto anni fa, Maristella è stata segretaria regionale di Missio Giovani Puglia. Ora vive a Torino, è membro della Consulta del Centro missionario dell’arcidiocesi e collabora per la formazione missionaria dei giovani. Quella di Maristella
Tommaso è una riflessione ad alta voce, un mettere nero su bianco un flusso di parole che pone al centro di tutto l’Amore. Già, quello con la A maiuscola. Quell’Amore che si è fatto carne, il Verbo, e che è venuto in mezzo a noi. Gesù.

Non stupisca che l’autrice si sia spinta così avanti (o in alto): il suo non è un trattato teologico, né ha velleità filosofiche. Piuttosto è un percorso di scoperta di sé e di quell’Amore percepito con chiarezza, nel quale ha un peso determinante la missione, il tempo trascorso in Brasile, Benin, Palestina e Thailandia.

«Sono stata fortunata e lo dico spesso – scrive -. Sono sempre stata circondata da persone meravigliose che mi hanno rivelato l’Amore. L’Amore che si incarna, che si spoglia, che si fa povero con i poveri, che ci accarezza con tenerezza, ci sostiene e ci libera. L’Amore che si fa uomo e che cammina insieme a noi, che si fa strada, silenzio, speranza. L’Amore che ci spinge ad andare, a tendere verso gli altri, a prenderli per mano, che ci sprona a migliorare, che alimenta il nostro entusiasmo, che ci fa uscire per le strade e si fa presente negli occhi che incrociamo, nelle mani che stringiamo, nei volti che accarezziamo, nei piedi di chi decide di fare un pezzo di strada insieme a noi».

Un inno alla speranza in tempi che sembrano, forse per la prima volta da decenni a questa parte, davvero bui.

L’autrice traccia anche una piccola personale road map, un sentiero lessicale che ha ricostruito per dare senso e profondità alla voce del verbo amare. Tredici capitoli per declinare quel verbo in altrettanti verbi all’infinito: proteggere, attendere, camminare, stare, perdonare, vivere, sorridere, cadere, guarire, liberare, risorgere, (r)esistere, sognare.

In ogni capitolo c’è la vita vissuta di Maristella: gli incontri, le sofferenze, le rinascite, la fede, i dubbi. Racconta tutto con naturalezza e semplicità, accompagnando il lettore in un cammino di scoperta che, partendo dall’autrice, diventa, in qualche modo, corale.

«Siate sentieri, lasciatevi percorrere. Siate mani sempre spalancate che sappiano accogliere qualsiasi cosa come un dono, sappiano accarezzare e sappiano donare. Siate sorrisi in un mondo in cui, purtroppo, regnano l’odio, l’indifferenza, il razzismo, l’egoismo. Siate piedi per chi ha paura di cambiare strada, di camminare e di percorrere sempre insieme agli altri le strade che Dio vi metterà davanti. Siate occhi capaci di guardare oltre, capaci di oltrepassare muri, capaci di innamorarsi ancora, ancora e ancora. Siate costruttori di pace… innalzate ponti e abbiate sempre il cuore aperto al mondo. […] Quando vi dicono che siete il futuro non ci credete, voi siete il presente! Il presente. Impegnatevi oggi. Amate oggi. Sporcatevi le mani. Metteteci la faccia, ma oggi».