On demand
testo di Sante Altizio |
Con le sale chiuse per Covid, il cinema è più che mai domestico, magari su «piattaforme», come quella tutta italiana che offre contenuti originali. Vale la pena, poi, fare i conti anche con lo smartphone, che la pandemia ha reso ancora più centrale nella fruizione di contenuti audiovisivi.
VatiVision
È metà marzo mentre scrivo, e l’Italia è tornata a essere quasi tutta (di nuovo) «zona rossa».
Una delle conseguenze inevitabili è il perdurare della chiusura dei luoghi di ritrovo, cinema compresi. Nessuna nuova uscita nelle sale, nessun nuovo film da guardare sgranocchiando popcorn. In Italia.
In Cina, invece, il paese da cui la pandemia ha preso il volo, i cinema sono tornati a essere affollatissimi. Da metà marzo nelle sale cinesi è tornato un film uscito nel 2009: il pluripremiato e già campione d’incassi Avatar, di James Cameron. In poco più di un fine settimana ha incassato quasi 9 milioni di dollari. Un segno positivo per il futuro prossimo della settima arte.
Con le sale chiuse, l’attenzione del pubblico, che continua a vivere il proprio tempo libero soprattutto in casa, si concentra sulle piattaforme che offrono contenuti in streaming.
Netflix ha annunciato da poco di avere superato i 200 milioni di abbonati nel mondo. Calcolando a braccio, possiamo dire che sul pianeta Terra, non c’è palazzo che non abbia almeno un abbonato al colosso statunitense. Ed è lì, o su Amazon Prime, l’unico vero competitor di Netflix, che le «prime cinematografiche» arrivano puntuali, mese dopo mese.
In mezzo ai giganti nascono realtà piccole e di qualità che vale la pena segnalare. Ce n’è una tutta italiana, nata da meno di un anno, a suo modo interessante: VatiVision, presieduta da Luca Tomassini, classe 1965, insegnante alla Luiss e, ricorda Wikipedia, uno dei padri della telefonia mobile di casa nostra.
Il nome VatiVision, in realtà, è in parte fuorviante, perché, anche se apprezzata dalla Chiesa, non è un’iniziativa del Vaticano. La piattaforma ha un catalogo piuttosto nutrito di film, serie tv, cartoon e documentari con una dichiarata impronta educational e di ispirazione cattolica. È una piattaforma on demand dove è possibile sia acquistare che noleggiare i contenuti.
Molti titoli sono di produzione recentissima e toccano temi come i diritti civili, l’immigrazione, i conflitti dimenticati, le relazioni sociali. Con uno sguardo decisamente europeo, aperto, per nulla italocentrico.
Se dovessi consigliarvi come spendere i 4,99 € di un noleggio, sicuramente suggerirei Est, dittatura last minute, film del 2020 di Antonio Pisu, ambientato nella Romania del 1989. Racconta di un viaggio che parte da Cesena e vede coinvolti tre venticinquenni (uno dei quali interpretato da Lodo Guenzi, giovane frontman di uno dei gruppi musicali più in vista della scena italiana, Lo stato sociale) che decidono di fare dieci giorni di vacanza oltre la cortina di ferro, proprio mentre la cortina va in frantumi.
All’ultima Mostra internazionale del cinema di Venezia ha fatto molto parlare di sé.
Est, dittatura last minute, non è un’esclusiva VatiVision (lo trovate anche sulle maggiori piattaforme specializzate). Tuttavia fate «due passi» sul sito www.vativision.com, resterete sorpresi dalla qualità dei titoli proposti. Il livello è alto. Tra essi si possono ritrovare titoli importanti del passato e piccole esclusive, soprattutto interessanti reportage dal Sud del mondo.
Sante Altizio
Alberto Ravagnani
Vale la pena fare i conti anche con un altro strumento che la pandemia ha reso ancora più centrale nella fruizione di contenuti audiovisivi: lo smartphone.
TikTok è uno dei social network più recenti e diffusi con oltre un miliardo di utenti nel mondo. È l’unico basato esclusivamente su contenuti video non più lunghi di 30 secondi.
Nato in Cina, al centro di numerose polemiche in tema di sicurezza informatica, bloccato negli States, la app è scaricata e utilizzata soprattutto da giovanissimi.
TikTok è il terreno ideale per un giovane sacerdote che, durante il lockdown dello scorso anno, quando l’imperativo categorico era #iorestoacasa, si è chiesto in quale modo continuare a parlare con i ragazzi della sua parrocchia, anch’essa «chiusa per Covid».
Alberto Ravagnani, sacerdote di 27 anni, dall’Oratorio San Filippo Neri di Busto Arsizio, ha così iniziato a cimentarsi con YouTube, poi Instagram e infine è sbarcato su TikTok, diventandone, in pochi mesi, una vera star. Ha oltre 90mila followers (550mila se si considerano tutti i suoi social), e ogni suo TikTok raccoglie decine di migliaia di like.
Il suo canale merita di essere visto e colpisce perché don Alberto, forte delle sue poche primavere, ha un gran dono: fonde con naturalezza linguaggio alto e linguaggio basso. Usa con sapienza la tecnologia, la postproduzione video, cura l’audio, gli effetti, la color correction. E poi ci sono i testi, le brevi sceneggiature che scrive lui prima di girare.
Il suo studio è diventato un piccolo set, semplice ma curato fin nei dettagli. È bravo.
«Sono un prete, vivo in oratorio, insegno a scuola. Ogni tanto faccio cose sui social. La fede mi fa godere di più la mia vita. Per questo ne parlo. W la fede». Questa la sua breve bio su YouTube.
In una sua recentissima intervista su «Avvenire» ha detto: «I social network non sono il male. Sui social può capitare il male perché dietro ci sono anche persone che fanno il male».
Su YouTube, il suo video più gettonato (650mila visualizzazioni in 10 mesi) s’intitola: A cosa serve pregare (non è una perdita di tempo), il suo TikTok più visto, Ora di religione, conta 2,4 milioni di visualizzazioni.
«Se non impariamo a “essere tutto a tutti”, come diceva San Paolo – ha raccontato don Alberto in un’intervista alla tv della svizzera italiana che si trova in rete – come arriviamo alle persone? Se non ci facciamo “social”, come arriviamo ai ragazzi che stanno sui social? Più di qualcuno ce lo perderemo per strada».
Sante Altizio