Mauritania. Crescono le migrazioni verso le Canarie

 

Raggiungere le Canarie vuol dire entrare in Europa. Una speranza che accomuna tanti giovani africani che decidono di lasciare il proprio Paese alla ricerca di migliori condizioni di vita. Per farlo, negli ultimi anni, un numero sempre più crescente di loro sta volgendo il proprio sguardo verso questo piccolo arcipelago, una comunità autonoma spagnola al largo della costa nordoccidentale africana.

Una rotta letale, ma frequentata
Qui, la distanza tra Africa ed Europa è relativamente limitata: Fuerteventura, l’isola più vicina alla terraferma, dista solo 95 chilometri dalla costa marocchina. Ma il viaggio per arrivarci nasconde profonde insidie.
Secondo Caminando fronteras (un’organizzazione per la protezione dei diritti dei migranti), la rotta per le Canarie è la più pericolosa tra tutte quelle percorribili per raggiungere la Spagna. Ciò a causa di condizioni meteorologiche spesso avverse e della mancanza sistematica di operazioni di ricerca e salvataggio rapide ed efficaci. Non è un caso infatti che, solo nei primi cinque mesi del 2024, in questo lembo di mare, siano morte 4.808 persone (il 95% di tutte le vittime registrate tra gennaio e maggio lungo tutte le rotte per la Spagna).
Nonostante ciò, negli ultimi mesi, gli arrivi alle Canarie hanno registrato un’impennata. Ad esempio, a gennaio 2024, nell’arcipelago sono sbarcati 7.270 migranti: un aumento del 1.184% rispetto allo stesso mese del 2023. E la tendenza, nel periodo successivo, non ha accennato a diminuire.

Nuove rotte in risposta alle politiche europee
La crescita degli sbarchi alle Canarie è direttamente riconducibile alle politiche migratorie dell’Unione europea (Ue) o dei singoli Stati membri. Recentemente, infatti, raggiungere l’Europa (e, in questo caso specifico, la Spagna) attraverso il Mar Mediterraneo o le enclave di Ceuta e Melilla è diventato sempre più complicato, a causa dell’esternalizzazione europea delle frontiere e delle politiche repressive dei Paesi nordafricani.
Con molti di essi (tra cui Egitto, Libia, Tunisia e Marocco) l’Ue ha siglato accordi che prevedono la concessione di fondi per contenere i flussi. In Nordafrica, spesso, le risorse sono utilizzate per potenziare la guardia costiera e i centri di detenzione: il risultato è che abusi e violazioni dei diritti umani sono diventati sempre più frequenti.
Addirittura, secondo una recente inchiesta giornalistica, il denaro europeo finanzia (e l’Ue ne è consapevole) operazioni per cui decine di migliaia di migranti intercettati in mare sono riportati indietro e abbandonati nel deserto o in aree remote. Quella che per l’Ue è semplice «gestione dei flussi», nell’indagine assume il nome di «desert dumps», letteralmente «discariche nel deserto».
Dunque, raggiungere l’Europa attraverso la rotta mediterranea è diventato sempre più difficile. E, perciò, numeri sempre maggiori di migranti optano per strade alternative, anche se più pericolose, come quella atlantica. I cui punti di partenza principali sono il sud del Marocco, il Senegal e la Mauritania.

Dal Senegal alla Mauritania
Fino alla fine del 2023, la maggioranza di coloro che sbarcavano alle Canarie proveniva dal Senegal. Con l’inizio del 2024, invece, c’è stata un’impennata delle partenze dalla Mauritania. Dalle sue coste, ad esempio, arrivava l’83% dei migranti giunti a gennaio 2024. A determinare questo spostamento del luogo privilegiato di partenza sono state soprattutto le politiche migratorie spagnole, supportate dall’Ue.
Lo scorso ottobre, di fronte a un picco di arrivi alle Canarie, la Spagna ha reagito in modo repentino. Il ministro dell’Interno Fernando Grande-Marlaska si è recato in Senegal con l’intento di affrontare la questione migratoria in modo drastico. Ha ottenuto dalla controparte senegalese controlli più serrati lungo la costa e maggiori rimpatri. Nel mentre, Frontex (l’agenzia europea di frontiera) e la Guardia civil (la gendarmeria spagnola) hanno iniziato a pattugliare le acque territoriali senegalesi. La polizia militare spagnola ha anche realizzato operazioni nelle principali città lungo la costa, sia in Senegal che in Gambia.
Mentre gli spazi di partenza dal Senegal si restringevano sempre di più, i migranti hanno iniziato a spostarsi nella vicina Mauritania. Le reti criminali per il traffico di esseri umani, già presenti nel Paese, hanno rapidamente sfruttato l’occasione, iniziando ad ammassare numeri sempre maggiori di persone su piccole barche fatiscenti, i cayucos.
Ancora una volta, l’Ue ha reagito siglando un accordo da 210 milioni di euro con la Mauritania finalizzato a contenere i flussi. L’ennesimo tassello di una politica repressiva che ha già ampiamente dimostrato di non funzionare. E che, anzi, continua a provocare sistematiche violazioni dei diritti umani nei Paesi di partenza e innumerevoli morti in mare.

Aurora Guainazzi




Senegal. Il più giovane dei presidenti

 

È Bassirou Diomaye Faye, il nuovo presidente del Senegal. Ha prestato giuramento ed è entrato in carica lo scorso 2 aprile. A 44 anni è il più giovane presidente senegalese di sempre, non ha mai avuto cariche elettive ed era praticamente sconosciuto. Funzionario di alto livello del servizio delle imposte, antisistema e panafricanista è noto come persona rigorosa e gran lavoratore.

Faye ha passato gli ultimi undici mesi in prigione sotto l’accusa di oltraggio a un magistrato per un post su Facebook (alla quale si sono aggiunte quelle più gravi per attentato alla sicurezza dello Stato e incitamento all’insurrezione), per uscirne il 14 marzo, grazie all’amnistia pre elettorale. Come lui, anche molti altri oppositori, incarcerati con pretesti nei mesi scorsi, attraversati da tensioni per il processo elettorale, nel goffo tentativo del presidente Macky Sall di restare al potere. Primo fra tutti Ousmane Sonko, fondatore (insieme a Faye) e leader del partito Pastef (Patrioti africani del Senegal, per il lavoro, l’etica e la fraternità), principale oppositore del presidente uscente. Sonko, dato vincente da tutti i sondaggi, era stato condannato e il Pastef sciolto nel luglio dello scorso anno. Bassirou Diomaye Faye è quindi stato scelto come piano B, in sostituzione di Sonko, e ha vinto al primo turno con il 54,28% dei voti.

«Il nuovo presidente del Senegal è un uomo di sani principi, rigoroso, che non parla molto, ed è molto rispettoso delle leggi del paese. Speriamo che saprà fare del Senegal un paese emergente», ci dice il giornalista Ama Dieng, contattato telefonicamente, senza nascondere un certo entusiasmo.
Il giorno dell’investitura, il neo presidente ha subito nominato primo ministro lo stesso Ousmane Sonko. I due si trovano oggi ai vertici del paese: insieme avevano elaborato un programma di sviluppo per il Senegal, che ora hanno la possibilità di provare a realizzare.
Tale ambizioso programma prevede, ha ricordato Faye: più giustizia, meno corruzione, una migliore ripartizione delle ricchezze, più equità nelle relazioni internazionali, la lotta all’iper presidenzialismo, la sovranità economica e la riforma monetaria.

Sonko, dopo la nomina ha dichiarato, tra l’altro: «Alla testa della squadra che stiamo per formare, daremo tutto quello che abbiamo e non risparmieremo nessuno sforzo per raggiungere quello che abbiamo promesso al popolo senegalese, ovvero la rottura (con i governi del passato, ndr), il progresso e il cambiamento definitivo nel giusto senso».
E il primo ministro la squadra l’ha formata rapidamente. È composta di 25 ministri (dieci in meno del precedente governo) e cinque sottosegretari. Tra i punti critici della nuova compagine, si segnala la presenza di solo quattro donne, e ben due generali (alla difesa e all’interno). Il 9 aprile si è tenuto il primo Consiglio dei ministri, per una prima conoscenza, mentre il passaggio di consegne è ancora in corso nei diversi dicasteri.
Oltre ad alcuni membri del Pastef in ministeri di peso, fanno parte del nuovo governo diverse personalità della società civile poco conosciute, e quasi tutti ministri alle prime armi. Resta da capire se effettivamente si tratta di un governo di unità e vicino alla popolazione, come Sonko ha promesso.
«Abbiamo questo duo al potere, nel quale Faye è il capo di Sonko nel governo, ma nel partito è il contrario – ci ricorda Ama Dieng -. Un coppia sulla quale abbiamo molte speranze e pensiamo davvero che cambieranno le cose, perché la popolazione ha bisogno di cambiamento, e lo ha dimostrato con il voto, con la schiacciante vittoria al primo turno del candidato dell’opposizione».

Marco Bello




Senegal. Le elezioni che sfuggono

 

La nuova data del primo turno delle elezioni presidenziali in Senegal è stata fissata per il 2 giugno, anche se si aspetta la firma del decreto da parte del presidente Macky Sall. Dopo il Ramadan (10 marzo – 8 aprile), e prima della stagione delle piogge. Ma il mandato del presidente scade il 2 aprile, per cui occorrerà un periodo di interim.

Il presidente aveva rimandato sine die le elezioni previste per il 25 febbraio, ma il Consiglio costituzionale aveva invalidato il decreto. Fatto sta che le elezioni non si sono tenute, per ora. La gente, però, è scesa in piazza per reclamarle.
Il Senegal è uno dei pochi paesi saheliani che aveva ancora mantenuto una certa stabilità e un approccio democratico, ma gli ultimi segnali non sono rassicuranti (ne avevamo parlato qui).
Il tentativo di Sall di modificare la Costituzione per potersi candidare per la terza volta consecutiva, è fallito a causa delle proteste di piazza.
Così il presidente ha cercato di escludere dalla competizione gli oppositori più validi, tra tutto Ousmane Sonko, attualmente in prigione con una condanna a due anni, e di mandare avanti il suo candidato Amadou Ba, l’attuale premier.
Intanto la società civile, con il coordinamento Aar sunu élection (Proteggiamo le nostre elezioni), ha indetto una giornata di sciopero generale mercoledì 28 febbraio, per fare pressioni affinché la consultazione elettorale non sia ulteriormente rimandata.
Nel frattempo, il presidente Macky Sall ha realizzato quello che ha chiamato «Dialoghi nazionali», un incontro con le parti, ovvero società civile, partiti politici, leader religiosi, sindacati e patronato (ma molte organizzazioni e candidati già validati non hanno partecipato), per la ridefinizione del processo elettorale. All’apertura dei lavori, il 27 febbraio, Sall ha annunciato un progetto di legge di amnistia per tutti i fatti accaduti durante le manifestazioni a fini politici tra il 2021 e 2024. Questo potrebbe rimettere in campo Sonko e altri candidati esclusi. Anche Karim Wade, figlio dell’ex presidente Abdoulaye Wade (2000-2012), escluso dalle liste, potrebbe essere ripescato.
Inoltre, quindici dei diciannove candidati validi, hanno depositato un ricorso al Consiglio costituzionale chiedendo che le elezioni si tengano prima del 2 aprile.

Marco Bello