È il tema della prossima «giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri» che si celebrerà il 24 marzo nel 40° anniversario del martirio di sant’Oscar Arnulfo Romero.
Scrive Missio Italia sul suo sito: «Secondo i dati raccolti da Fides, nel corso dell’anno 2019 sono stati uccisi nel mondo 29 missionari […]: 18 sacerdoti, 1 diacono permanente, 2 religiosi non sacerdoti, 2 suore, 6 laici. Dopo otto anni consecutivi in cui il numero più elevato di missionari uccisi era stato registrato in America, dal 2018 è l’Africa ad essere al primo posto di questa tragica classifica. In Africa nel 2019 sono stati uccisi 12 sacerdoti, 1 religioso, 1 religiosa, 1 laica (15). In America sono stati uccisi 6 sacerdoti, 1 diacono permanente, 1 religioso, 4 laici (12). In Asia è stata uccisa 1 laica. In Europa è stata uccisa 1 suora. Un’altra nota è data dal fatto che si registra una sorta di globalizzazione della violenza: mentre in passato i missionari uccisi erano per buona parte concentrati in una nazione o in una zona geografica, nel 2019 il fenomeno appare più generalizzato e diffuso. Sono stati bagnati dal sangue dei missionari 10 paesi dell’Africa, 8 dell’America, 1 dell’Asia e 1 dell’Europa» (www.missioitalia.it).
La «globalizzazione della violenza» contro i cristiani, è un fenomeno a cui stiamo assistendo con stupore e preoccupazione. Non siamo abituati e non ci abitueremo mai alla violenza contro chi vive la sua fede, ma che in Cina si mettano in prigione senza processo credenti di diverse religioni e si distruggano chiese, è ben noto da anni. Che in Pakistan ragazze cristiane siano rapite giovanissime e costrette a cambiare religione e a sposare il loro rapitore, è storia triste che quasi lascia indifferenti. Pure ben nota è la violenza contro i cristiani in Iraq, Siria e Indonesia, e poi in Libia, Nigeria, Somalia, Mali, Centrafrica e in tanti altri paesi dove il fondamentalismo islamico ha messo radici con Al Qaeda, Isis, Boko Haram e gruppi simili. Niente di nuovo anche circa la situazione in Nicaragua e altri paesi centro americani, dove regimi tutt’altro che democratici non accettano critiche. Stupisce un po’ di più il fondamentalismo induista che è emerso in questi ultimi anni ed è diventato aggressivo e violento contro le minoranze cristiane, islamiche e di cultura tradizionale. Per molti è una sorpresa ancor più grande la violenza del fondamentalismo buddista che si sta estendendo a macchia d’olio nel Sud Est asiatico.
Ma quello che sorprende oggi è la violenza di casa nostra contro chiese, preti e cristiani. Gli attacchi mafiosi contro gli scout in Sicilia, la devastazione dei centri Caritas o di aiuto ai poveri e migranti, le scritte blasfeme sulle chiese, i post ingiuriosi sui social, l’intolleranza verso le posizioni della comunità cristiana e dei suoi pastori sui temi come la vita, la famiglia, la sessualità, l’accoglienza. Questa violenza verbale, e anche fisica, non viene da fondamentalisti di altre religioni, ma da
individui che si ritengono addirittura dei buoni cristiani.
Tutto questo lascia certamente perplessi, ma è anche un segno positivo della vitalità della nostra Chiesa, anche in Italia, capace ancora di testimoniare, senza lasciarsi intimorire, il vero volto di Dio che è amore senza barriere e confini.
Scienza e religione
«La teologia e la religione entrano in gioco quando la scienza non è in grado di spiegare ciò che accade nel mondo». Trovate questa frase a pag. 55 nel contesto di un bell’articolo su religione e scienza. Come ho scritto al nostro collaboratore, la frase è ambigua perché potrebbe essere la base per questa conclusione: quando la scienza riuscirà a spiegare tutto, non ci sarà più bisogno della religione.
L’autore ha concordato sull’ambiguità dell’espressione che voleva invece sottolineare la complementarità e la differenza tra religione e scienza, ciascuna con un proprio ruolo specifico, diverso ma non contrapposto.
Ritengo che la scienza abbia il compito di capire e spiegare il come funziona questo nostro mondo e di dare gli strumenti per una sua corretta gestione. La religione risponde invece ai perché e alle domande di senso, cioè le ragioni e
lo scopo per cui il mondo e l’uomo esistono.
È vero che nel passato la religione ha preteso di controllare la scienza, ma è anche vero che senza gli uomini di religione noi oggi non avremmo la scienza che conosciamo.
La religione da tempo ha smesso di volersi imporre alla scienza e ne rispetta l’autonomia, ma non sembra che tutti gli uomini di scienza si siano resi conto che la scienza non deve diventare una religione, bensì restare tale senza aver la pretesa di avere la risposta a tutto, compreso il senso, lo scopo e lo stile dell’esistenza dell’uomo e del mondo.
Scienza versus religione
testo di Piergiorgio Pescali |
Molti scienziati rifuggono la religione perché la considerano una superstizione. Un tempo la scienza doveva assoggettarsi ai dettami religiosi. Oggi la religione (e l’ideologia) influenza ancora il progresso scientifico? Esiste un punto d’incontro?
Il rapporto tra scienza e religione è stato sempre problematico e ha nel processo a Galileo Galilei (1564-1642) l’esempio (non unico) della lunga incomprensione che, per secoli, ha opposto due categorie del pensiero umano.
La Chiesa cattolica è sempre stata (almeno nel mondo occidentale) uno dei principali attori in questo dialogo-scontro, assumendo spesso atteggiamenti ambigui. Durante lo stesso processo a Galileo (tenutosi a Roma nel 1633) il verdetto fu aspramente combattuto tra i cardinali non tanto sulla tesi eliocentrica, che oramai sapevano essere più semplice e veritiera rispetto alla tesi geocentrica (lo stesso papa Gregorio nel 1582, 50 anni prima del processo, riformò il calendario basandosi sull’eliocentrismo), ma perché la fazione del cardinale Bellarmino, ostile a Galileo, pretendeva che lo scienziato ammettesse di parlare «ipoteticamente e per supposizione». Questa ammissione avrebbe dato alla Chiesa la possibilità di salvare capra e cavoli rimanendo ancorata al famoso versetto biblico («E il sole si fermò e la luna rimase al suo posto», Giosuè 10,12-13), ma al tempo stesso avrebbe potuto ammettere l’ipotesi che la Terra girasse attorno al Sole. Contro Bellarmino e a favore di Galileo si era posto il cardinale Barberini.
Del resto 97 anni prima, un altro astronomo, Copernico (1473-1543), aveva pubblicato il De Revolutionibus (1536), avendo però l’accortezza di far scrivere una prefazione al furbo ecclesiastico Andreas Osiander il quale, ben sapendo quanto gli aristotelici fossero potenti all’interno della Chiesa cattolica scrisse che «Non è affatto necessario che queste ipotesi siano vere, e neppure che siano verosimili: piuttosto, è sufficiente una sola cosa: che diano luogo a calcoli che concordano con le osservazioni».
Il risultato fu che le tesi eliocentriche di Copernico furono accettate senza grossi problemi (almeno da parte cattolica; i luterani furono meno indulgenti), mentre Galileo venne condannato.
I gesuiti e il big bang
Nel corso dei secoli il dialogo scienza-religione si è sviluppato tra collaborazioni e incomprensioni anche all’interno di cornici ideologiche.
Il Big Bang, ad esempio, non fu accettato dall’intellighenzia sovietica e stalinista degli anni Trenta-Quaranta in quanto teorizzava una creazione che, a parere degli inesperti tutori ideologici, assomigliava troppo alla Genesi biblica venendo bollato come teoria pseudo-scientifica e idealistica.
Uno dei motivi principali di questa emarginazione era anche il fatto che il principale teorico del Big Bang fu il belga Georges Lemaître (1894-1966), il quale, oltre che essere matematico e cosmologo, era anche un gesuita.
L’opposizione di Stalin al Big Bang si scontrava dogmaticamente anche al sostegno dato da papa Pio XI alla teoria della cosmologia relativistica.
In realtà Lemaître non concepì mai il Big Bang come una creazione, e fu sempre molto attento nel distinguere «principio» e «creazione» del mondo. Secondo Lemaître, il modello del Big Bang «resta del tutto lontano da ogni questione metafisica o religiosa (e) lascia il materialista libero di negare qualsiasi Essere trascendente». Pressoché tutti i fisici condividono la frase del gesuita belga sostenendo che, per spiegare la cosmologia del Big Bang, non è necessaria l’idea di un creatore e dal 1951 anche i papi non hanno mai usato il Big Bang per esprimere la scientifica dimostrazione dell’esistenza di Dio.
La Nasa e la Bibbia
La stessa Nasa oggi è estremamente cauta nel mischiare, anche involontariamente, la religione nelle sue imprese spaziali.
Già durante il viaggio spaziale dell’Apollo 8 nel 1968 i tre astronauti, Frank Borman, Jim Lowell e William Anders, lessero un passo della Bibbia tratto dalla Genesi. Era la vigilia del Natale e William Anders inviò un messaggio dicendo: «A tutte le persone sulla Terra, l’equipaggio dell’Apollo 8 ha un messaggio che vorrebbe inviarvi», leggendo, immediatamente dopo, dei passi biblici alternandosi con i suoi compagni di viaggio (Genesi 1, 1-4; Genesi 1, 5-8; Genesi 1, 9-10).
Lo stesso Borman, comandante della missione concluse il messaggio dicendo: «Dall’equipaggio dell’Apollo 8 vi auguriamo una buona notte, buona fortuna, un felice Natale e che Dio vi benedica tutti, tutti quanti sulla Terra».
La lettura della Bibbia scatenò una polemica guidata da Madalyn Murray O’Hair, fondatrice e presidentessa dell’Associazione degli ateisti americani, secondo cui i tre astronauti avrebbero violato il primo emendamento della costituzione statunitense che recita: «Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti».
La O’Hair citò a giudizio il governo statunitense ma, in tutti e tre i processi che seguirono, i giudici ritennero non valida l’accusa.
Sebbene il procedimento nei confronti dello stato non abbia avuto alcuna conseguenza legale, la Nasa non ritenne opportuno sfidare di nuovo l’agguerrita presidentessa degli ateisti e vietò ad Aldrin la lettura del passo biblico che si era preparato nel suo viaggio sulla Luna del 1969 («Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla», Gv 15,5) e la diretta mondiale della comunione.
Religione e scienza, oggi
Viene quindi spontaneo chiedersi quanto ideologia e religione influenzino il progresso scientifico.
Sebbene siano lontani i tempi oscurantisti in cui la scienza doveva assoggettarsi alle esigenze ecclesiastiche, esistono ancora pressioni da parte di forze estranee al sapere scientifico.
Oggi gran parte delle Chiese cristiane storiche hanno imparato a convivere con il pensiero razionale e materialistico, ma in tempi recenti lo scontro tra religione e astronomia ha coinvolto altre fedi e altri credi.
Il caso più eclatante e molto controverso nella sua dinamica lo si è avuto negli anni Ottanta con il telescopio Vaticano a tecnologia avanzata sul monte Graham, in Arizona. Fondato dal Vatican observatory research group di Tucson in collaborazione con l’Università di Arizona, l’Osservatorio di Arcetri e il Max Planck institute, il complesso astronomico sorge su un territorio considerato sacro da una parte degli Apache della riserva di San Carlos, che chiamano «Dzil Nchaa Si An» (Grande montagna seduta). Dato che nel 1873 il monte Graham venne rimosso dalla riserva di San Carlos diventando terra pubblica, il consorzio scientifico non era legalmente tenuto a negoziare la costruzione del telescopio con la comunità apache locale.
All’inizio, alcuni gruppi ecologisti avanzarono preoccupazioni per la presenza di attività umane in un territorio che ospitava una specie protetta: lo scoiattolo rosso del monte Graham. In seguito, alle proteste ambientaliste, si innestarono quelle di alcuni indiani guidati da Ola Cassadore Davis, una leader spirituale apache che, tra l’altro, non viveva neppure nella riserva e che aveva preso a cuore la vicenda del monte Graham dopo aver avuto contatti con spiriti apache durante un sogno.
Al tempo stesso, però, il Consiglio tribale San Carlos rilasciò una risoluzione di neutralità rispetto alla costruzione. La vertenza intentata da Ola Cassadore contro il consorzio scientifico si protrasse tra il 1988 e il 1994 quando la Corte d’Appello chiuse la diatriba consentendo l’inizio dei lavori.
Oggi un simile contenzioso si sta ripetendo, questa volta nelle Hawaii dove la Tmt observatory corporation, un ente che raggruppa l’Università di California, l’Istituto di tecnologia di California e l’Associazione delle università canadesi per la ricerca astronomica sta costruendo il Thirty meter telescope (Tmt), un telescopio da 1,4 miliardi di dollari sulla sommità del vulcano Mauna Kea, a 4.050 metri di altitudine. L’aria tersa, l’altitudine, la posizione geografica rendono il vulcano il miglior sito sulla Terra dal quale scrutare lo spazio profondo.
Una volta ultimato, il Tmt e la sua gigantesca lente di trenta metri di diametro permetteranno di osservare i corpi nell’Universo con una nitidezza senza precedenti consentendo così di scrutare punti che i normali strumenti non possono raggiungere.
Sul sito sono già operativi altri tredici telescopi gestiti da undici nazioni e tre istituzioni (Nasa, Università delle Hawaii, Associazione per la ricerca astronomica della California) e nessuno di questi edifici scientifici è stato costruito senza aver suscitato le proteste di ambientalisti e delle comunità religiose locali. La decisione di aggiungere un nuovo fabbricato ad un’area già congestionata e considerata sacra dalla confessione locale, ha aumentato le tensioni già esistenti facendo esplodere l’ira dei fedeli indigeni. E se, in altre circostanze, rimostranze simili erano limitate essenzialmente negli ambienti di attivisti, ora i dissensi si sono estesi anche a professori universitari, studenti, cittadini hawaiani e stessi scienziati.
Da parte loro i leader dei dimostranti, sapendo di correre il serio rischio di essere paragonati a fedeli bigotti contrari al progresso e alla ricerca, hanno ultimamente fatto sapere che il vero motivo della loro strenua opposizione alla costruzione del Tmt è quello di «lottare per una scienza etica». Una scienza in cui lo sviluppo scientifico in terre considerate sacre e inviolabili dalle singole comunità, sia discusso e condiviso con le autorità locali, i cittadini, le organizzazioni che operano nella regione, e le istituzioni intenzionate a investire energie e finanziamenti per approfondire la conoscenza per il bene dell’umanità.
Per la verità un simile raffronto è già stato fatto: la costruzione del Tmt avrebbe l’approvazione del 64% dei residenti della zona se si dovesse dar credito a un sondaggio condotto dal giornale locale Honolulu Civil Beat (in un altro sondaggio commissionato dall’Honolulu Star Advertiser, il 72% della popolazione sarebbe favorevole all’edificazione del nuovo osservatorio). Il fatto è che questi sondaggi sono pesantemente influenzati dagli enormi benefici che la presenza degli osservatori concedono a istituzioni accademiche e alla popolazione. L’Università delle Hawaii (da cui pur provengono numerosi accademici contrari alle installazioni sul Mauna Kea) gestisce il 10% del tempo di osservazione dei telescopi guadagnando prestigio e finanziamenti dagli istituti internazionali, mentre i tredici telescopi del Mauna Kea garantiscono entrate annuali per 64 milioni di dollari alle casse dello stato. Comunque stiano le cose, è però chiaro che la comunità scientifica ha valicato un confine invisibile e alquanto delicato. La situazione è peggiorata quando il governatore dello stato delle Hawaii, David Ige, ha imposto posti di blocco lungo le strade impedendo ai dimostranti di raggiungere l’area di Mauna Kea e, in pratica, militarizzando l’intera zona.
Scienza e religione: una convivenza possibile?
Sembra che, dopo il XVII secolo, l’uomo sia stato incapace di tessere un legame tra scienza e religione (il termine scienziato fu coniato solo nel 1834, mentre la parola religione è sconosciuta nel vocabolario delle lingue orientali). Molti scienziati odierni, pur con notevoli eccezioni hanno difficoltà a reputarsi religiosi in quanto ogni tipo di concezione metafisica e di credo, storicizzato o no, viene da loro contrassegnato nella categoria di superstizione.
Secondo San Tommaso d’Aquino (1225-1274), la teologia e la religione entrano in gioco quando la scienza non è in grado di spiegare ciò che accade nel mondo. E anche se la conoscenza della scienza progredisce velocemente mentre la religione ha dei concetti che rimangono fissi e immutabili nel tempo, oggi siamo ben lontani dallo spiegare cosa sia e come funziona l’universo. Probabilmente l’uomo non sarà mai in grado di svelare il meccanismo che muove il cosmo perché, come disse Galileo (nella lettera a Madama Cristina di Lorena Granduchessa di Toscana del 1615), «l’intenzione dello Spirito Santo è d’insegnare come si vada in Cielo e non come vada il cielo».