Allamano. Sapeva guardare oltre


Un prete umile e senza apparenza, Giuseppe Allamano, il 20 ottobre scorso è stato proclamato santo: per la fedeltà eroica con cui cesellò la sua vocazione cristiana e sacerdotale e, soprattutto, per avere spinto il suo sguardo attento non solo alla città in cui trascorse la vita, ma molto più in là, in Africa. E con la fondazione di due istituti missionari riuscì a raggiungere altri popoli e continenti.

Ancora ragazzo, guardava alle missioni con passione e curiosità. Superando le idee ristrette del suo ambiente e i confini limitati della sua terra piemontese, Allamano allargò i suoi orizzonti e sentì l’urgenza del mandato di Cristo di portare a tutti il Vangelo.

Trovava innaturale che nella sua Chiesa torinese, feconda di tante istituzioni di carità, ne mancasse una dedicata alle missioni. Decise di rimediarvi e, con l’approvazione del suo arcivescovo, monsignor Agostino Richelmy, e della Conferenza episcopale subalpina, il 29 gennaio 1901, fondò l’Istituto dei Missionari della Consolata.

Nel 1902 partì il primo gruppetto di pionieri per il Kenya. Vedendo, poi, la necessità della presenza di donne, consacrate a tempo pieno per l’evangelizzazione, dieci anni dopo, il 29 gennaio 1910, fondò le Suore Missionarie della Consolata.

I due Istituti adattano oggi il passo ai nuovi tempi, camminando nel solco tracciato dal fondatore e portando con loro il ricordo di una persona cara e santa, con l’impronta di una pedagogia adatta a ogni forma di evangelizzazione.

La concezione missionaria di Allamano è aderente, nella forma e nei contenuti, alle persone e alle loro culture, e si adatta ai ritmi di vita che incontra nel suo cammino. Egli insegnò ai suoi missionari e missionarie a entrare in casa altrui in punta di piedi e a sedersi alla mensa comune, senza pretese o condizionamenti, contenti di condividere con gli altri il pasto comune. Soleva dire che «il bene non fa rumore», che va compiuto con discrezione e nel miglior modo possibile.

Presenti, oggi, in 35 paesi d’Africa, America e Asia, i missionari e le missionarie della Consolata continuano a percorrere le strade del mondo, chiedendo ogni giorno al Signore di mantenere acceso nel cuore quel fuoco di carità che infiammò Giuseppe Allamano, per portare al mondo, con Maria Consolata, Gesù la vera consolazione e annunciare la sua gloria alle genti.

padre Giacomo Mazzotti


Rendiamo grazie a Dio

«Grazie a Dio per il suo dono indescrivibile» (2 Corinzi 9,15). «Rallegratevi sempre nel Signore. Lo ripeto ancora una volta: Rallegratevi! Che la vostra dolcezza sia evidente a tutti. Il Signore è vicino. Non siate in ansia per nulla, ma in ogni situazione, con preghiere e suppliche, con ringraziamenti, presentate a Dio le vostre richieste. E la pace di Dio, che trascende ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù» (Filippesi 4,4-7)

L’espressione «Rendiamo grazie a Dio» è la risposta alla proclamazione delle letture nelle celebrazioni eucaristiche, in segno di riconoscenza per il dono della Parola di Dio che è «luce che illumina i nostri passi» (Salmo 118).

Faccio mia questa espressione per ringraziare Dio, con tutto il cuore, per il dono specialissimo che ha fatto alla nostra famiglia missionaria, della canonizzazione del nostro fondatore, Giuseppe Allamano. Ripetiamo, singolarmente, in comunità, nelle parrocchie, con san Paolo: «Grazie a Dio per questo suo dono ineffabile».

Grazie a quanti hanno collaborato

Il processo di canonizzazione di Giuseppe Allamano, iniziato nel 1944, è stato lungo e faticoso, ma comunque sempre sostenuto e incoraggiato, soprattutto agli inizi, da tanti missionari e laici che l’avevano conosciuto e ne attestavano la santità. Facendo memoria del cammino fatto, è doveroso ringraziare tutti i confratelli che hanno lavorato in questi ultimi anni per portare a termine il processo di canonizzazione.

Un ricordo speciale anche per i missionari che sono in Paradiso e che si sono avvicendati nell’ufficio della postulazione, i quali, con la loro costanza e determinazione nel raccogliere materiale, produrre studi e pubblicazioni su Allamano, hanno mantenuto vivo l’interesse e favorito l’avanzamento del processo fino alle fasi conclusive.

Un grazie ai Superiori generali, nostri predecessori, che hanno sostenuto la postulazione insieme a tutti coloro che ci hanno creduto e le tante persone di buona volontà che hanno sostenuto il servizio della postulazione con la loro generosità. Questa ammirevole collaborazione ha reso possibile che Allamano diventasse un santo della Chiesa universale e per il mondo intero.

Un grazie davvero speciale va a tutti coloro che hanno lavorato instancabilmente per programmare e organizzare le celebrazioni della canonizzazione sia a Roma che a Torino, con il momento culminante nella messa solenne in Piazza san Pietro, domenica 20 ottobre, un giorno meraviglioso, indimenticabile, di gioia e di festa per tutti.

Una grande organizzazione

In una visione di insieme, è bello constatare come la proclamazione della data della canonizzazione, avvenuta il 1° luglio 2024, abbia suscitato un’ondata di interesse per il Fondatore in tutto l’Istituto con tanta voglia di celebrarlo e farlo conoscere.

Con entusiasmo e spontaneità si è messa in moto la nostra organizzazione, nelle sue diverse componenti: dalle circoscrizioni alle comunità locali, dalle diocesi alle parrocchie, dalle scuole ai collegi, dai missionari laici ai gruppi giovanili, tutti hanno organizzato eventi, partecipato ad incontri, preparato sussidi per celebrare e far conoscere la figura di san Giuseppe Allamano.

Attraverso pubblicazioni, interviste, articoli sulla stampa, video, omelie, incontri di preghiera, veglie missionarie, tantissime persone si sono rese disponibili per dare lode al Signore e annunciare il Vangelo attraverso il profumo di santità di Giuseppe Allamano.

I testimoni dell’evento

Straordinaria e sorprendente è stata anche la partecipazione di migliaia di pellegrini venuti in Italia per vivere in presenza la settimana di celebrazioni in onore del santo. Parrocchie e associazioni, famiglie e individui, giovani e adulti, gruppi e scolaresche da tutti i continenti, insieme ai vescovi Imc e di altre diocesi, hanno partecipato alle celebrazioni della canonizzazione sia a Roma che a Torino, testimoniando in modo mirabile che siamo un’unica grande famiglia riunita per celebrare la santità del proprio padre fondatore.

Al rientro nei loro Paesi, i superiori di circoscrizione, i parroci, i dirigenti scolastici e i gruppi di laici, si sono fatti promotori di celebrazioni di ringraziamento e di incontri per trasmettere la gioia e l’entusiasmo vissuti in Italia, in spirito di famiglia e con profonda spiritualità. Un unico argomento catalizzava l’interesse di tutti: la santità di Giuseppe Allamano, il significato per ciascuno di noi e per la Missione dell’Istituto. Lo si percepiva vivente nelle nostre celebrazioni, nei momenti di preghiera, nei discorsi spontanei fatti nei corridoi, negli incontri comunitari e nelle conversazioni spirituali. Non si parlava d’altro, con tanta soddisfazione per il traguardo raggiunto.

Una santità da imitare

Il mio augurio, per l’Istituto e per ciascuno di noi, è che l’onda lunga di questo interesse per Allamano e dell’entusiasmo per la canonizzazione possa continuare e trasformarsi in un seme di vita nuova per le comunità, il lavoro di evangelizzazione e la nostra santificazione. La santità di Allamano è prima di tutto da imitare, renderla significativa per la nostra vita personale e per la missione dell’Istituto.

Abbiamo un’altra grande opportunità per mettere al centro della vita il santo fondatore: l’anno del centenario della sua morte, iniziato il 16 febbraio 2025 e che terminerà il 16 febbraio 2026. Sì, un altro kairos per tenere alto l’interesse, l’amore e l’affetto verso Allamano e coinvolgere la grande famiglia della Consolata.

Continuiamo a rendere grazie a Dio per questo suo figlio, Giuseppe Allamano, amato in modo speciale e nostro intercessore, mentre ci impegniamo a essere fedeli alla missione a noi affidata.

padre James Lengarin,
Superiore generale IMC

Padre James Lengarin sullo sfondo della vetrata dedicata a San Giuseppe Allamano


La santità celebrata

Riportiamo la cronaca delle celebrazioni realizzate, in azione di grazie, in vari paesi del mondo per la canonizzazione di san Giuseppe Allamano. Ecco il racconto di suor Dinalva Moratelli, missionaria della Consolata che opera in una baraccopoli di San Paolo in Brasile.

Non appena è stata annunciata la notizia della canonizzazione di Giuseppe Allamano, una luce ha cominciato a brillare negli occhi di tutti coloro che lo conoscevano o ne avevano sentito parlare. Un entusiasmo contagioso ha cominciato a permeare i continenti, e tutti gli angoli della terra dove c’erano missionari, missionarie, laici e amici della famiglia Consolata.

Così è stato nella piccola comunità ecclesiale, il cui patrono è san Giuseppe Allamano, situata tra le case e gli edifici di São Miguel Paulista, San Paolo, in Brasile. La piccola cappella può passare inosservata per i passanti, ma non per i devoti di Giuseppe Allamano.

Quando sono entrata per la prima volta, sono stata colpita innanzitutto dalla luce del tabernacolo al centro e dalle immagini della Consolata e di Giuseppe Allamano in alto. Come non commuovermi? Come non vibrare? Come non ricordare le parole del fondatore? Piccola chiesa, umile, semplice, ma molto curata, non manca dell’essenziale per celebrare degnamente i misteri della salvezza; rispecchia lo stile di san Giuseppe Allamano, che dava grande valore alla liturgia e alla cura dell’altare, «al bene fatto senza rumore».

Fin dagli inizi, questa comunità ha contato sulla presenza delle missionarie della Consolata che hanno piantato radici di fede e di amore per la Consolata e Allamano, alcune di loro già nell’eternità, altre molto fragili, ma molto amate da chi le ha conosciute.

Venuti a conoscenza del grande evento della canonizzazione, i leader della comunità hanno iniziato a riflettere e a pianificare la preparazione della giornata. Tutto è stato molto semplice, ma fatto con impegno, immensa gioia ed entusiasmo.

I preparativi più stretti riguardavano la liturgia del giorno: prove di canti appropriati, scelta di simboli per la celebrazione e dinamiche per pubblicizzare il grande evento, coinvolgendo così la gente nella preparazione. Sono state confezionate magliette per l’occasione con le parole del nuovo santo: «Coraggio, ti benedico», con la certezza che lui era e sarà sempre presente.

Finalmente è arrivato il grande giorno e la cappella, già piccola di per sé, si è rivelata insufficiente per ospitare le suore, i laici missionari della Consolata e tante persone provenienti da altre comunità.

Era impossibile non commuoversi quando è stata intronizzata l’immagine di san Giuseppe Allamano nella processione d’ingresso e collocata nel luogo preparato con grande cura, così come la sua reliquia, accompagnata dal canto: «Allamano le tue benedizioni si riversano…».

Il vescovo, monsignor Algacir Munhak, ha contagiato il popolo con il suo messaggio pieno di ardore missionario e di gioia per la canonizzazione.

Dopo la messa, è stata benedetta la targa al cancello d’ingresso, tra gli applausi della comunità. Quindi, è stata servita la colazione, condividendo ciò che la gente aveva portato con generosità. Non è mancata neanche la torta con l’immagine del nuovo santo. Varie persone, poi, hanno raccontato le grazie e i favori che, nel corso degli anni, avevano ricevuto per intercessione di Giuseppe Allamano.

Il 20 ottobre 2024 è stato un giorno speciale e resterà per sempre nella memoria della nostra piccola comunità.

suor Dinalva Moratelli MC, São Miguel Paulista

Memoria di San Giuseppe Allamano a Raposa Sierar do Sol (Roraima) il 16 febbario 2025

 




Noi e Voi, dialogo lettori e missionari


MC, una casa per la cooperazione

Un paio di volte l’anno esco dal mio ufficio e mi chiudo la porta alle spalle, perché so che non tornerò per un paio d’ore. Vado nella biblioteca della casa generalizia dei Missionari della Consolata a Roma e mi siedo sulla scala di legno che porta dalla saletta principale a quella rialzata e che passa accanto allo scaffale dove ci sono i numeri di Missioni Consolata rilegati per anno. Con l’insolito e suggestivo sottofondo di musica, spesso lirica, che viene da un vicino teatro, mi metto a sfogliare.

Ho iniziato per cercare corrispondenze, anniversari, eventi di cui parlare in Cooperando: di che cosa scriveva la rivista in questo mese di trent’anni fa? E di cinquanta, sessanta, venti anni fa? C’erano progetti sul campo di cui dava conto?

La prima sorpresa è stata scoprire la rubrica «Appelli dal fronte», pubblicata dal gennaio del 1968 al maggio del 1974, che in ogni numero proponeva ai lettori un’iniziativa in missione da sostenere con un’offerta. Da lì è nato «Come cooperavamo», il box sui progetti d’antan – così d’antan che ancora non si chiamavano progetti – che ogni tanto è apparso all’interno di «Cooperando». Ma per trovare questi spunti basterebbe un quarto d’ora, dirà il lettore attento: perché non torni alla tua scrivania a tenere d’occhio i progetti?

Confesso: se mi fermo ore su quella scaletta è perché ogni volta trovo qualche gioiellino, a cominciare dai pezzi eleganti e divertenti di padre Benedetto Bellesi, il mio primo direttore. Ma ce ne sarebbero a decine da citare, come è inevitabile che sia quando una rivista fa per decenni da ponte non solo fra Italia e Africa, America Latina, Asia, ma fra persone e comunità italiane e persone e comunità in luoghi talmente isolati che sarebbe stato altrimenti quasi impossibile averne notizia.

E poi la storia, del secolo scorso e di questo, che attraversa le pagine: non di sfuggita, come fosse un’eco, ma come una presenza imponente che lascia orme profonde, solchi, dentro ai quali i missionari stessi hanno camminato, senza sottrarsi al confronto con mondi e punti di vista anche molto lontani dal loro.

Quanto alla cooperazione in particolare, poi, i pezzi sul volontariato, sullo sviluppo, sulla collaborazione con organizzazioni come Mani Tese pubblicati fra gli anni Sessanta e gli Ottanta del secolo scorso hanno contenuti e linguaggi di un’attualità che mi colpisce ogni volta.

Insomma, buon compleanno MC, te li porti bene questi 125 anni e più. E grazie del servizio che hai reso e rendi alla cooperazione.

Chiara Giovetti
Roma, 10/10/2024

Nonno missionario

Molto rev. padre Anataloni,
Ho seguito con entusiasmo l’elevazione agli altari di san Giuseppe Allamano.

In quei giorni ho potuto incontrare anche padre Rinaldo Do (a Isiro, in Congo Rd), con il quale ho un contatto quotidiano. Da pensionato e nonno faccio parte attiva, con entusiasmo e soddisfazioni, del gruppo missionario parrocchiale Belém, con presenza quasi tutte le domeniche, presso i nostri banchetti vendita, nelle cinque parrocchie del territorio parrocchiale di Alzano Lombardo (Bg).

Abbiamo diversi missionari locali, nessuno della Consolata, in Amazzonia, in Messico, in Papua Nuova Giunea, in Bangladesh, e anche missionarie, purtroppo ritornate al Padre di recente: suore che sono state nella Sierra Leone, che hanno subito anche un rapimento e sono state poi rilasciate (erano tra le sette missionarie di Maria-Saveriane che furono sequestrate il 25 gennaio 1995 dai ribelli del Fronte rivoluzionario unito e liberate il 21 marzo successivo, ndr).

E il cappuccino padre Apollonio, che con il suo decesso, ci ha lasciato in eredità un lebbrosario in Brasile.

Quando san Giuseppe Allamano, padre di missionari e missionarie, raggiunse la gloria del Bernini, ho sentito la necessità di rivolgere una preghiera per i nostri missionari. A metà preghiera mi ha raggiunto un dolorosissimo blocco, con una lacrimuccia: sono un ex seminarista della Consolata. Dopo 9 anni in istituto, alla vigilia dei primi voti, d’accordo con il padre spirituale, ho lasciato. Ma non solo, in seguito, in modo colpevole, ho accantonato anche lo spirito missionario, tra l’altro molto gioioso, che avevo appreso a suo tempo.

Ora, se, nella parte terminale della rivista MC, ci fosse un piccolo trafiletto, magari gestito da un padre in infermeria, dove ne conosco molti di persona, con esperienza di missione e mi aiutasse a rientrare nello spirito missionario della Consolata, forse servirebbe a molti volontari ed ex, che sempre vi stimano e amano.

Mettetemi in condizione di pregare l’Allamano, non raggiungereste grandi risultati, con me: alla fine otterreste non grandi fasci di luce, ma una lucina del presepio, che, in ogni caso, può stare davanti all’Allamano, e quale nonno, porterei in dotazione tre nipotini, che mi seguono nel mondo missionario.

Ferruccio Vitali
Alzano Lombardo, 16/11/2024

Caro Ferruccio,
grazie di questa condivisione personalissima e grazie della passione missionaria che non ti ha mai lasciato; un amore per la missione che sembra essere di casa nel paese dove vivi.

La canonizzazione è stato certamente un avvenimento che ha galvanizzato tutti noi. È stata una tappa essenziale del cammino che stiamo facendo insieme missionari, missionarie e laici che condividono la nostra passione. Davanti abbiamo ancora un anno molto pieno e significativo per tutti noi. La meta sarà il 16 febbraio 2026, centenaria della morte di san Giuseppe Allamano. Una data che diventa occasione e stimolo per rinnovare la nostra fedeltà al suo carisma e, soprattutto, per declinarlo nella nuova realtà in cui tutti viviamo, con tutte le sue crisi, contraddizioni e drammi, ma anche con tantissime nuove potenzialità inedite.

Le pagine di questa rivista saranno un luogo privilegiato per condividere con i nostri amici e «tifosi» questo cammino. Non aspettarti sorprese straordinarie, ma davvero cammineremo insieme per «fare bene il bene», da «santi» anzitutto, «poi missionari».

Sant’Allamano, Attento alla Stampa

A Torino è pubblicata regolarmente la rivista «Il Santuario della Consolata». È la continuazione de «La Consolata», il mensile sorto nel 1899, una rivista, meglio «bollettino», come si diceva allora, che, a sua volta, nel 1928, dopo aver accompagnato per molti anni i primi passi dei missionari e missionarie della Consolata, ha generato «Missioni Consolata» come rivista autonoma.

Quando entro, oggi, nella redazione di MC resto affascinato da una gigantografia appesa a una parete: è la copertina del primo numero de «La Consolata» (vedi la foto qui sopra). Un’immagine a colori di oltre 125 anni fa, disegnata e decorata con arte, dalle proporzioni perfette. Una bellezza. Sì, perché al fondatore de «La Consolata» piacevano «le cose belle», e le esigeva puntando sull’eccellenza.

Si chiamava Giuseppe Allamano quel fondatore, sacerdote, il quale nel 1901 fondò pure i Missionari della Consolata e, nel 1910, le Missionarie della Consolata. Con lui operava un altro prete speciale: Giacomo Camisassa.

Ed ecco che, last but not least, il 20 ottobre Giuseppe Allamano è stato dichiarato santo.

Chi dice che a Giuseppe Allamano stava a cuore anche la stampa afferma una verità indiscutibile. Egli sostenne diversi giornali cattolici con consigli e denaro. Ebbe un peso rilevante sulle testate Italia Reale, Corriere Nazionale, La Voce dell’Operaio, Risveglio Cattolico. Inoltre, ispirò, incoraggiò e sostenne la nascita del quotidiano francese La Croix, il cui direttore, padre Paul Bailly, nel 1883 venne a Torino in pellegrinaggio al santuario della Consolata.

Questo dimostra che il canonico Allamano non era solo il rettore della Consolata, chiuso nel suo santuario, bensì partecipava alla vita sociale del suo tempo. «La Consolata» fu una rivista attraente anche sotto il profilo fotografico. I fotografi erano gli stessi missionari della Consolata, che raggiunsero il Kenya nel 1902. Però, prima di partire, frequentavano corsi di fotografia. Secondo padre Candido Bona, uno degli storici dell’istituto, il primo maestro di fotografia dei missionari fu nientemeno che Secondo Pia, il celebre fotografo della Sindone di Torino.

Quadretto con immagine b/n della Consolata (foto di Secondo Pia) che si trovava sopra letto dell’Allamano durante la malattia dopo la quale decise di fondare l’Isittuto nel 1901.

Secondo Pia era amico di Allamano, che gli commissionò la foto del quadro della Madonna Consolata dell’omonimo santuario. Poi l’immagine bianco e nero, incorniciata in centinaia e centinaia di quadretti, fu distribuita in tutta Torino. Un esemplare (foto qui sopra) si trova tutt’oggi in Corso Ferrucci 18, nella chiesa dedicata a San Giuseppe Allamano, che ne raccoglie le spoglie mortali.

Ebbene, i fotografi de «La Consolata» erano alcuni, pochi, missionari muniti di ottime macchine fotografiche (e relativo materiale di camera oscura per sviluppo e stampa, ndr), alcune delle quali sono conservate nel museo etnografico dell’istituto. Le foto destano tuttora ammirazione. Ritraggono specialmente l’etnia dei Kikuyu del Kenya. Oggi alcuni Kikuyu, visitando il nostro archivio fotografico, restano a bocca aperta di fronte ai ritratti dei loro nonni ed esclamano stupiti: «Ma noi eravamo proprio così?».

I missionari erano soprattutto scrittori. «La Consolata», prima, e MC, dopo, riportano i loro articoli che Allamano e Camisassa leggevano con passione. Si tratta di un materiale di notevole pregio anche etnografico. Alcune tesi di laurea sono state scritte avendo come fonte primaria le suddette riviste.

Sulla scia di Giuseppe Allamano, le Missionarie della Consolata hanno pure dato vita alla loro rivista «Andare alle Genti», mentre i Missionari hanno allargato l’orizzonte con «Fatima Missionaria» in Portogallo, «Antena Misionera» in Spagna, «Dimension Misionera» in Colombia, «Missões» in Brasile, «The Seed» (Il Seme) in Kenya, «Enendeni» (Andate) in Tanzania, «Missions» in Corea del Sud, «Reveil» in Canada, «Consolata missionaries» negli Usa. E tutto è «buona novella».

Francesco Bernardi
Torino, 28/09/2024

Una preghiera

Salve, non c’è un motivo particolare ma ho scritto una preghiera per invocare San Giuseppe Allamano, ve la mando, spero vi piaccia. Arrivederci,

Canonico Giuseppe,
primo padre della Consolata,
intercedi per noi,
affinché impariamo
ad affrontare 
i nostri dolori nel corpo e nello spirito
e i nostri cattivi pensieri.

Consolaci con la tua
attenzione e il tuo ascolto e
sostienici nel nostro quotidiano,
a volte così duro e greve.

Insegnaci a incontrare l’altro,
chiunque sia, senza pregiudizi

e senza etichettare
con fretta e ignoranza.

Aiutaci a diventare santi
che sanno fare bene il bene
senza far rumore,
a diventare missionari d’amore,
testimoni di fede.

Andare alle genti?
Adesso comincio.

Deo gratias? Sempre.
Amen

Stefania Barbieri
08/11/2024

 





La missione comincia da casa


Tante sono state le feste di ringraziamento per la canonizzazione di Giuseppe Allamano. Prima nel suo paese natale, poi a Torino al santuario della Consolata e nella Casa Madre. Quindi si sono moltiplicate in giro per il mondo.

Castelnuovo don Bosco, 23 ottobre. Il paese sulla collina dell’alto astigiano oggi è tirato a festa. Bandierine di tutte le nazioni attraversano le sue vie arroccate. Alle finestre e ai balconi è stato appeso il foulard con l’immagine del nuovo santo. I bambini della scuola elementare hanno affisso sulla via i loro disegni: ritraggono un Giuseppe Allamano del tutto originale.

Nella chiesa di sant’Andrea, dove il santo ha celebrato la sua prima messa nel 1873, all’età di 22 anni, fervono i preparativi. Il giovane sindaco di Castelnuovo, Umberto Musso, dirà, alla fine della celebrazione, in italiano e inglese: «Abbiamo un record del mondo, siamo l’unico comune ad aver dato la nascita a quattro santi!».

Da mezzo mondo

I pellegrini si ritrovano in piazza e piano salgono sul colle. Una volontaria con la pettorina gialla spiega, in francese, a un gruppo di congolesi, alcuni aspetti storici del piccolo comune. Allo stesso modo, altri accompagnano alla chiesa i mozambicani, gli ivoriani, i colombiani, parlando loro nelle diverse lingue.

Alle 10 sant’Andrea è già piena e mezz’ora dopo inizia puntuale la celebrazione. La musica del coro del Colle don Bosco accoglie i celebranti. Prende quindi la parola padre Gianni Treglia, superiore della Regione Europa dei missionari della Consolata, che in diverse lingue introduce la celebrazione: «Quattro giorni fa è stato canonizzato Giuseppe Allamano. Adesso la sua vita è riconosciuta dalla Chiesa universale. […] Oggi esprimiamo la nostra gratitudine per quest’uomo, figlio di Castelnuovo. “Ho portato con me il mondo contadino e la vita tra queste colline, una comunità di relazioni e di speranze”, diceva. “In mezzo ai miei figli e figlie missionari, mi sono sempre sentito come in famiglia”. Essere famiglia, essere insieme, dare testimonianza di unità e di amore vicendevole. Questa esperienza lui l’aveva dentro fino dall’infanzia, vissuta in questa terra».

La chiesa di sant’Andrea è colma e sono state messe pure alcune panche all’esterno. Oltre ai pellegrini da diversi paesi del mondo ci sono gli abitanti di Castelnuovo.

I primi passi

«Siamo qui per ringraziare il Signore per questa canonizzazione. Qui Giuseppe ha mosso i primi passi. […] Ringraziamo gli abitanti di questa terra speciale, per la loro grande accoglienza», così esordisce nella sua omelia padre James Lengarin, superiore generale dei Missionari della Consolata, nono successore di Allamano e primo di origine africana. Ricorda poi la giovinezza del fondatore dei due istituti, che è cresciuto, anche spiritualmente, in questo paese del Piemonte. E di come abbia vissuto un clima missionario alla «scuola di don Giovanni Bosco», anch’egli nato qui. Ma dice anche che Allamano è riuscito ad andare al di là, a «interpretare queste situazioni per andare oltre Torino, il Piemonte, e aprirsi alle persone più lontane, nelle periferie del mondo», perché ha compreso che «la salvezza è per tutti».

E continua: «La festa di oggi non è soltanto nostra, ma è di tantissime persone nel mondo che hanno conosciuto i missionari della Consolata».

Parla a un’assemblea variopinta, padre James: «Siamo tutti cittadini del mondo, e sappiamo che purtroppo milioni di persone soffrono, sperimentano le devastazioni della guerra, le malattie, la fame, l’umiliazione della povertà. Oltre alle condizioni fisiche, molti vivono in povertà spirituale […]». Il fatto di avere tante persone a Castelnuovo, di differente origine, vuol dire che «la missione continua».

Padre James ricorda pure «tante nostre sorelle e fratelli hanno anche perso la vita, mentre erano missionari in paesi lontani, e sono stati sepolti laggiù».

Chiede l’intercessione del «beato Giuseppe Allamano», ma si ferma. «Non siamo ancora abituati: del santo Allamano!», e dal pubblico si leva una risatina di compiacimento. «Chiediamo di avere la forza e il coraggio di vivere anche lontani, anche quando le energie umane sono poche, e la speranza sarà l’unica cosa che ci salverà».

Castelnuovo

«Mai missionari solitari»

Dopo la messa e le foto di rito, i pellegrini si radunano per lingua. Ogni gruppo segue un volontario che regge un cartello colorato, e tutti invadono pacificamente il paese. Sono visitate, in particolare, la casa natale di san Giuseppe Allamano e quella di suo zio, san Giuseppe Cafasso.

Passate le nuvole del mattino, il sole è comparso e pare di vivere in una splendida giornata primaverile che ben si adatta al momento di festa.

Verso le cinque tutti si ritrovano in piazza don Bosco. È il momento dei saluti. Suor Lucia Bortolomasi, madre superiora delle Missionarie della Consolata ringrazia le autorità presenti, poi ricorda una frase di Allamano, appena letta nella sua casa natale: «A Castelnuovo ho incontrato tante persone che hanno preso a cuore la mia vita». Suor Lucia riprende: «Vogliamo dire grazie, perché è stato un giorno speciale, un giorno bellissimo. Voi di Castelnuovo avete vissuto le parole di Allamano quando dice che il bene bisogna farlo bene. Abbiamo visto ogni cosa, ogni dettaglio, fatto bene con il tocco speciale dell’amore». E conclude: «Abbiamo visto da parte vostra un lavoro di squadra. Il fondatore ci ha sempre detto: “Mai missionari solitari in missione, ma vivere insieme, in comunione, perché l’unione fa la forza”. Per realizzare la santità delle piccole cose, nella vita ordinaria».

Castelnuovo


Torino, 25 ottobre

Santuario Allamano

A «casa sua»

È una mattina piovosa, ma il cortile della Casa Madre si sta già animando con i primi gruppi di pellegrini, reduci delle tre giornate di Roma e delle due piemontesi.

Ieri è stata celebrata la messa di ringraziamento nel santuario della Consolata, del quale san Giuseppe Allamano è stato rettore per 46 anni. Oggi il ritrovo sarà proprio a «casa sua», in corso Ferrucci, nel suo santuario. Nella chiesa fervono i preparativi.

Incontriamo il gruppo giunto da Oujda, in Marocco, quello della Costa d’Avorio, del Congo Rd, i mozambicani, i laici del Brasile e della Colombia. Ma anche padre Jasper, keniano arrivato da Taiwan, padre Dieudonné, congolese dalla Mongolia, e la signora Lina, dal Kazakistan. Solo per citarne alcuni. Poi gli europei, e molti amici dei missionari e delle missionarie di Torino e del quartiere. Tutto il mondo è qui.

Padre Antonio Rovelli e padre Sandro Faedi, i responsabili dell’organizzazione dell’accoglienza dei pellegrini a Roma e Piemonte, corrono indaffarati per gli ultimi dettagli.

Allo scoccare delle 10,30 fanno il loro ingresso nella chiesa affollata le danzatrici: sono le novizie delle suore, vestite con  abiti africani a dominante verde intenso. Danzano e cantano fino all’altare seguite dai cinque vescovi e dai sacerdoti che celebreranno la messa. Alle ali dell’altare siedono almeno un centinaio di preti nei loro paramenti bianchi, la maggior parte missionari della Consolata. Altrettante sono le missionarie.

Padre Gianni Treglia prende la parola ed esordisce arringando i presenti: «Allamano!». E tutti rispondono:«Viva!». E ancora padre Gianni, «Viva!» e tutti «Allamano!». E poi, insieme: «Grazie per averci dato Giuseppe Allamano!».

Il superiore della Regione Europa ringrazia il Signore per il dono di san Giuseppe Allamano: «Questo è il luogo del suo sogno missionario che, non potendolo realizzare personalmente, lo ha realizzato con la fondazione di due istituti. […] Il sogno stesso di Dio che vuole che tutta l’umanità abbia la salvezza. Giuseppe Allamano l’ha affidato a noi, suoi figli e figlie».

Il mandato missionario

La celebrazione è presieduta da monsignor Francisco Múnera Correa, arcivescovo di Cartagena e presidente della Conferenza episcopale colombiana. Le letture vengono fatte in italiano e kiswahili.

È poi monsignor Osório Citora Afonso, mozambicano e neovescovo ausiliario della capitale Maputo, fa l’omelia: «Dopo i fasti di piazza san Pietro […] ci siamo recati nei luoghi che videro la vita quotidiana di san Giuseppe Allamano, prima a Castelnuovo don Bosco, quindi al santuario della Consolata, e oggi qui in Casa Madre, dove si trova il suo sepolcro. È un luogo che ci invita a sostare in preghiera, in meditazione. Un luogo che è anche un’oasi di relazione. È una casa. È la sua dimora dalla quale continua a spandere benedizione, incoraggiamento e consolazione».

Riferendosi al Vangelo appena letto (Marco 16,14) monsignor Osório dice: «Gesù, l’ultimo gesto, quello del mandato missionario, lo fa in una casa, un luogo di relazione, così non è casuale che anche noi veniamo nella casa di Allamano per riascoltare il mandato missionario. È in questa casa che si sente ancora: “Andate e predicate”».

«Perché una casa è un luogo di vita, di incontri, dove i religiosi e i laici cercano di vivere e testimoniare la passione per la missione. Parlando dello spirito di famiglia, Allamano parlava della casa dove si sta insieme, dove si vive il quotidiano. Casa come luogo di invio missionario: è da casa che si parte».

Monsignor Osório ritorna poi su una famosa frase del santo: «Allamano diceva: “Siate straordinari nell’ordinario”. Per vivere questa santità, ripartiamo dalle nostre case, ripartiamo dalle relazioni, dalle piccole cose.

Sono partiti da Torino tanti anni fa, erano quasi tutti piemontesi, e per questo motivo adesso siamo qua in tanti, e veniamo da molte parti del mondo».

E per evidenziare questa «mondialità» chiede: «Dove è avvenuto il miracolo? Non a Torino, Roma, o in una grande città, ma tra il popolo dell’Amazzonia».

La celebrazione continua, si canta seguendo il coro italiano diretto da padre Sergio Frassetto. L’atmosfera è quella delle grandi feste. C’è gioia, c’è voglia di viverla tutti insieme, provenienti da tante nazioni e da popoli dei quattro continenti, ma in sintonia.

Impegno di santità

Suor Lucia Bortolomasi prende infine la parola, con la sua voce dolce, ma ferma: «È qui che vogliamo esprimere il nostro grazie a Dio e alla Consolata, per questo immenso dono, che è san Giuseppe Allamano. Vogliamo ringraziare tutti voi, amiche e amici, perché ci siete stati vicino in questi giorni di festa, e anche perché, in diversi modi, ci accompagnate nella nostra missione.

Un grazie tutto speciale alle nostre missionarie e missionari e alle persone che sono ammalate, ma che ogni giorno offrono la loro preghiera e la loro sofferenza a Dio per l’annuncio del Vangelo, e per sostenerci. Ci danno forza».

Poi aggiunge: «Vogliamo fare un regalo speciale a san Giuseppe Allamano. Vogliamo regalargli il nostro impegno di vivere quella santità che lui ci ha sempre indicato. Essere presenze umili, semplici di consolazione, nella vita di tutti i giorni».

Padre James Lengarin, visibilmente contento, esprime il suo ringraziamento: «Sono qui per dire grazie a tutte le persone che hanno guidato questa macchina organizzativa». E parte un applauso alla commissione organizzatrice.

«Tutti i 35 paesi del mondo in cui siamo presenti sono rappresentati in questo momento speciale. Siamo una famiglia grande, che si vuole bene».

Ringrazia l’arcidiocesi di Torino, «dove siamo nati e da dove siamo partiti. E anche per gli aiuti concreti che sono arrivati da qui» alle missioni.

Ricorda poi i missionari e le missionarie defunte: «Fanno parte di questa grande famiglia. Loro ci hanno aiutato a essere ciò che siamo oggi. Anche in cielo sono tutti in festa». Ringrazia la Regione Europa e la Casa Madre e tutti «i fratelli vescovi che hanno partecipato». Conclude con un grazie caloroso «a tutti i pellegrini che sono venuti. Siamo tutti membri di questa famiglia. Ripartiamo da questo santo.
Portiamo la consolazione nel mondo e siamo seminatori di speranza».

Con le parole di padre James, si chiude la celebrazione, ma la festa continua, e i pellegrini si accalcano presso la tomba di san Giuseppe Allamano, per un saluto, una preghiera, ma anche per portare a casa una foto con lui, perché da oggi c’è un santo in famiglia.

Marco Bello


Un Santo mondiale

I festeggiamenti per la canonizzazione di san Giuseppe Allamano si sono moltiplicati nei diversi paesi di missione.

Il 9 novembre è stata grande la festa al campus universitario di Nairobi, con la presenza della direzione generale, di tutti i vescovi della Consolata in Kenya, il nunzio apostolico e le suore della Consolata.

Gli studenti e i diaconi dell’istituto hanno assicurato il servizio all’altare. Ma i protagonisti sono stati le centinaia di fedeli venuti per celebrare il nuovo santo, con musica e danze oltre che con preghiere.

Anche a Bogotà, Colombia è stata celebrata una grande festa il 16 novembre al Collegio Giuseppe Allamano, dove erano presenti più di seicento persone.

Feste di ringraziamento, grandi e piccole si sono tenute in tutti i 35 paesi di missione dove sono presenti missionarie e missionari della Consolata.

M.B.

Celebrazione eucaristica presieduda da mons. Giraudo, vescovo ausiliare di Torino nel santuario della Consolata


Per informazioni più dettagliate sulle celebrazioni in vari Paesi del mondo, vedi www.consolata.org

Ai piedi della Consolata, il gruppo dei vescovi

 

Celebrazione di ringraziamento nel santuario della Consolata




Missionari santi


La Giornata missionaria mondiale di domenica 20 ottobre 2024, è stata celebrata a una settimana dalla conclusione del percorso sinodale che dovrà rilanciare la Chiesa verso il suo impegno prioritario, cioè l’annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo.

In quella giornata, il Santo Padre ha proclamato la santità di Giuseppe Allamano, sacerdote della Chiesa torinese, rettore del santuario della Consolata, formatore di sacerdoti e fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata.

Come ha scritto papa Francesco nel suo messaggio: «La missione è un andare instancabile verso tutta l’umanità per invitarla all’incontro e alla comunione con Dio. La meta dell’invito è la partecipazione di tutti i popoli al banchetto escatologico, immagine della salvezza finale nel Regno di Dio, simboleggiata e anticipata già ora nel banchetto dell’Eucaristia, che la Chiesa celebra su mandato del Signore in memoria di Lui».

«Il missionario – diceva san Giuseppe Allamano più di cento anni fa – è il ministro dell’apostolato della Chiesa, inviata da Gesù ad evangelizzare tutte le genti. Bisogna fare nostre le parole dell’Apostolo: “Tutto faccio per il Vangelo!”. Lavorare non solo per santificare noi, ma anche gli altri; essere disposti a qualunque sacrificio. “Tutto faccio per il Vangelo!”. Tutto, tutto! Mi spenderò e mi sacrificherò».

Ispirandosi al suo carisma, i missionari svolgono il loro servizio ad gentes annunciando la buona notizia dove non è ancora presente, privilegiando i più poveri, bisognosi e trascurati e prestando speciale attenzione alle situazioni umane alle quali è più difficile far giugnere il messaggio cristiano.

L’Allamano ha speso il suo sacerdozio al servizio dei fedeli nel santuario della Consolata: 46 anni vissuti con zelo pastorale e forte passione per le missioni ad gentes. Pur non lasciando mai l’Italia, ha percorso con il cuore il mondo intero cercando di fondere insieme santità e sacerdozio, evangelizzazione e missione.

Ha voluto che i suoi figli fossero come Gesù, santi ed evangelizzatori, per questo il suo motto era: «Prima santi, poi missionari». Da loro esigeva radicalità ed entusiasmo, qualità riassunte nell’espressione: «Ci vuole fuoco per essere apostoli». L’importante era «fare bene il bene e senza rumore» cercando di essere «straordinari nell’ordinario».

Sergio Frassetto


Grazie per il dono della santità

La santità è dono del Signore, per questo bisogna fare festa e ringraziare. I missionari e le missionarie della Consolata l’hanno fatto lunedì 21 ottobre, il giorno dopo la canonizzazione di Giuseppe Allamano, con un’eucaristia solenne nella basilica di San Paolo fuori le mura. Una celebrazione gioiosa, rallegrata dalle danze e dai canti dei popoli africani e di altri continenti. Ha presieduto la liturgia il cardinale Giorgio Marengo, prefetto apostolico della Mongolia che nell’omelia ha invitato a ringraziare il Signore.

L’oggi di Dio nella liturgia

Nella sinagoga di Nazaret, dopo aver annunciato l’anno di grazia del Signore, Gesù dice: «Oggi si compie questa scrittura». «Oggi Dio mi chiama», disse l’Allamano mentre discerneva la sua vocazione. La ricerca della volontà di Dio nel suo «oggi» è stata costante nella sua vita e ci invita a fare altrettanto.

E c’è un’altra parola che merita essere evidenziata: «Gli occhi di tutti erano fissi su di lui»: avere gli occhi fissi su di lui così da poterli volgere agli altri con vicinanza, compassione e tenerezza.

L’eucaristia quotidiana era il perno attorno al quale ruotava la vita di san Giuseppe Allamano: «Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue… fate questo in memoria di me», e lo Spirito Santo ha plasmato il cuore di san Giuseppe Allamano permettendogli di diventare puro strumento nelle sue mani in una successione continua di «oggi» e di «qui».

Il mistero celebrato nella liturgia è la forza che muove il presente, è l’oggi, la contemporaneità, l’attingere la forza della missione dalla contemplazione, e lui ci diceva: «Lasciamo che ci giri e rigiri a suo talento e per tal modo diverremo veri e santi missionari».

Vorrei citarvi ancora una parola del fondatore detta in un’occasione particolare: era il 24 gennaio 1905, la professione religiosa e partenza di due missionari, e lui disse così: «Nostro Signore Gesù Cristo da questo altare rivolge a voi, carissimi figli, le solenni parole che disse un giorno agli apostoli: “Andate, predicate alle genti, battezzatele, ecco io sarò con voi tutti i giorni”.

Le stesse parole rivolse nel corso dei secoli a tanti uomini apostolici che da lui chiamati ebbero la stessa missione con la stessa promessa», e aggiungeva: «Oggi queste parole sono per voi, fortunati figli della Consolata e per i vostri fratelli che vi precedettero e vi seguiranno. La vostra è la stessa missione di Nostro Signore Gesù Cristo, missione divina».

Screenshot

L’oggi della missione

Allora «oggi» significa avere gli occhi fissi su di lui, un unico movimento che definisce la santità di Giuseppe Allamano per capire la quale bisognerebbe essere saliti anche noi con lui sul «coretto» nel santuario della Consolata e aver speso come lui lunghe ore con lo sguardo fisso sul tabernacolo e l’immagine della Consolata, aver dato tempo all’ascolto dei suoi figli e figlie spirituali come anche alla gente comune che veniva al santuario per un consiglio, aver condiviso con il canonico Giacomo Camisassa e con gli altri uomini della prima ora le inquietudini e le speranze di una famiglia missionaria che stava nascendo.

Per i santi non c’è distanza, c’è solo contemporaneità. Il mistero celebrato nella liturgia è la forza che ci muove, è l’oggi, è l’essere qui per essere inviati nel mondo. E per questo i santi lasciano che lo Spirito dia loro la forma che vuole. Per san Giuseppe Allamano e per noi è la forma della missione ad gentes, la prima evangelizzazione dove la chiesa non è ancora radicata e non ci sono altri testimoni del Risorto, con lo stile di Maria. E questo stile vissuto nella vicinanza, nella compassione e nella tenerezza.

Scossi dalla santità di Allamano

Quanto san Giuseppe Allamano teneva alla serietà del nostro volerci bene tra noi. Lo considerava una priorità, un punto di attenzione continua, e qui, oggi, siamo anche noi. Allora possiamo chiederci: che dice al nostro presente la santità di Padre Fondatore? Verrebbe da dire che se non prendiamo sul serio questo invito a fissare i nostri occhi sul Signore qui presente in mezzo a noi e se trascuriamo quest’oggi, che è la possibilità concreta di volerci bene davvero, senza logiche di gruppo, ma con una vera armonia tra tutti noi, la santità di Giuseppe Allamano forse non riuscirà a giovarci più di tanto.

Sì, dobbiamo dircelo con sincerità: la sua santità ci deve scuotere, altrimenti non ci gioverà.

I nostri istituti attraversano un momento delicato della loro storia che condivide le incertezze e i rapidi mutamenti del mondo. «Oggi» non è solo un punto di arrivo, deve essere anche un momento di ripartenza. L’amore appassionato per il Padre Fondatore trasmessoci dalle prime generazioni dei missionari e missionarie, l’immenso lavoro apostolico portato avanti da tanti fratelli e sorelle che noi qui oggi rappresentiamo, l’impegno della postulazione, le fatiche della preparazione… tutto sarà ampiamente ripagato se prenderemo sul serio questo «oggi» e avremo gli occhi fissi sul Signore teneramente amato da san Giuseppe Allamano.

E realizzeremo davvero il suo desiderio di vederci famiglia della Consolata che si vuole bene e che arde di zelo apostolico.

Che questo giorno benedetto ci aiuti a riscoprire con fervore e fedeltà creativa il dono di essere missionari e missionarie della Consolata, inviati dove altri, forse, non se la sentono di andare per rendere concretamente possibile l’incontro con Cristo, imitando così la Madre di Dio presa con noi tra gli affetti più cari per imparare da lei.

cardinale Giorgio Marengo


Pagine di vita

Era Occupatissimo

San Giuseppe Allamano svolse un intenso ministero nella diocesi di Torino, oltre a quello già molto impegnativo al santuario della Consolata e al Convitto ecclesiastico. C’è anzitutto da sottolineare il suo ministero tra le comunità di religiose. Dal 1886 al 1891 fu superiore delle Suore di san Giuseppe di Torino e, nel giro di pochi anni, compì un gran bene in quella congregazione. Unendo alla fermezza del comando una bontà longanime e comprensiva e un tatto squisito, diede impulso nuovo allo spirito e all’osservanza religiosa. Allamano fu pure superiore delle Visitandine dal 1889 fino al 1905, anno in cui il loro monastero fu trasferito da via Santa Chiara in corso Francia.

L’Allamano svolse in diocesi anche altre mansioni di prestigio tra le quali quella di dottore collegiato alla Facoltà teologica di Torino dal 1877, e quella di membro aggiunto della Facoltà legale pontificia di Torino dal 1887. Questi incarichi lo impegnarono in varie attività accademiche: adunanze generali, sessioni di esami e presidenza della facoltà stessa.

A tutto ciò si aggiunge l’intensa attività di confessore e direttore spirituale: «Ho visto io personalmente – assicurò il suo domestico Scovero – molti poveri recarsi da lui per confessione o per consiglio. Non rimandava mai alcuno, ma riceveva tutti con la stessa bontà e carità».

«A me dava l’impressione ch’egli avesse giammai niente da fare. Da noi occupava molto bene il suo tempo; mai che mostrasse avere impegni o urgenze, e soltanto più tardi abbiamo saputo che dirigeva mezza diocesi ed era occupatissimo». Con queste parole il padre Gaudenzio Panelatti ricordava le visite dell’Allamano alla prima Casa Madre, all’inizio dell’Istituto dei missionari.

«A lui – fu la testimonianza comune dei canonici G. Cappella e N. Baravalle – si può dire senza esagerazione, ricorreva tutto il clero diocesano, dai parroci più anziani fino al più giovane convittore. Così molti vescovi del Piemonte ricorrevano a lui per consiglio.

Grande conto ne fecero sempre gli arcivescovi di Torino, da monsignor Gastaldi al cardinal Gamba.

Buona parte del patriziato torinese a lui ricorreva per consiglio sia per le questioni familiari, come e molto più per le circostanze politiche e sociali. Molte personalità, sia ecclesiastiche che civili, lo avevano per direttore di spirito».

L’arcivescovo Gastaldi un giorno avrebbe detto al suo segretario: «Sono così contento che il teologo Allamano mi abbia fatto aprire il Convitto che lo faccio canonico».

Di fatto, con decreto del 10 febbraio 1883, Allamano fu nominato «canonico onorario» della Chiesa metropolitana, ad appena 32 anni di età e a tre anni dal suo ingresso alla Consolata.

Quattordici anni dopo, l’8 maggio 1897, al chiudersi dell’episcopato di monsignor Davide Riccardi, Allamano fu nominato «canonico effettivo», all’età di 46 anni. Quando si recò a ringraziare l’arcivescovo, Allamano si sentì dire: «Questa nomina servirà anche a migliorare la sua salute. Lei passa la giornata al tavolino e fra le mura del santuario e del convitto. Quale canonico effettivo dovrà frequentare il coro, e quindi sarà obbligato a fare la passeggiata dal santuario al duomo». «Come canonico Allamano era esemplarissimo – dichiarò un altro canonico – sempre puntuale all’ufficiatura e molto raccolto».

Nel discorso ai canonici in occasione della presa di possesso, il 10 novembre 1897, Allamano disse tra l’altro: «Che cosa abbiano riguardato in me i due venerandi arcivescovi per conferirmi tanto onore io non crederei se non me l’avessero entrambi espresso dicendomi che volevano darmi prova della loro soddisfazione per l’opera prestata nell’educazione del giovane clero. E il nuovo onore d’oggi mi è pure stimolo ad accrescere questo buon volere nel compiere la missione affidatami dalla Divina Provvidenza».

 




La santità che scuote


Il 20 ottobre scorso Giuseppe Allamano è diventato ufficialmente santo. Pellegrini da 35 paesi hanno raggiunto Roma per l’evento. Missionarie e missionari della Consolata di tante nazionalità erano presenti. È stata una grande festa di famiglia. Reportage.

Roma, 19 ottobre. È già buio quando fuori dalla Chiesa Nuova di Santa Maria in Vallicella, a pochi passi da piazza Navona, incontriamo un brulicare di gente. A guardare bene, e ad ascoltare la cacofonia di voci, ci sono persone da diverse parti del mondo. Si abbracciano, parlano, cercano qualcuno di conosciuto, prima di entrare alla veglia che inizierà tra poco. È il popolo di Giuseppe Allamano, che si è riunito da 35 paesi di quattro continenti, perché il 20 ottobre, il sacerdote torinese fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, sarà canonizzato da papa Francesco, ovvero, diventerà ufficialmente santo.

Intanto la chiesa si riempie, è stracolma e molti sono in piedi o seduti per terra nell’area davanti all’altare. I cori Tatanzambe di Nervesa (Tv) e Massawe di Bevera (Lc), uniti per l’occasione, suonano e cantano in kiswahili.

Verso le 20 suor Alessandra Pulina, direttrice di Andare alle genti, prende la parola per spiegare il programma della serata. Con lei, condurrà padre Edwin Osaleh, missionario in Marocco.

 

La veglia abbia inizio

Il benvenuto è di suor Lucia Bortolomasi, madre generale delle missionarie della Consolata, anche a nome di padre James Lengarin, superiore generale dei missionari. Di colpo la chiassosa e variopinta assembela si zittisce. «Che gioia indescrivibile, quanti sentimenti abitano il nostro cuore. […]

Alcuni di noi hanno varcato oceani, attraversato continenti, viaggiato giorni per arrivare qui. […] è necessario fermarci tutti insieme a preparare il cuore. per sintonizzarci a quanto sta accadendo sotto i nostri occhi e coglierne il senso più profondo».

Suor Lucia ricorda la beatificazione di Allamano, nel 1990 e riflette sul significato di essere riconosciuto santo: «Questo riconoscimento ufficiale varca i confini della nostra famiglia, diventando un modello rivolto ai fedeli della Chiesa tutta. Da domani Allamano è un po’ meno nostro e sempre più di tutti».

Suor Lucia richiama la santità che il fondatore chiedeva ai suoi: «Non miracoli, ma fare tutto bene. Farci santi nella via ordinaria» e ricorda i tanti missionari e missionarie che sono rimasti ai loro posti, in missione, e quelli che non sono potuti venire perché impediti dall’età o dalla malattia. Suor Lucia fa, infine, un richiamo alla responsabilità: «siamo tutti chiamati a operare con sempre maggiore dedizione».

Dopo di lei, parla monsignor Giacomo Martinacci, rettore del santuario della Consolata doi Torino, che ricorda i 47 anni a guida di Giuseppe Allamano.

Per ogni intervento lei due guide della veglia, fanno sintesi in inglese, spagnolo, portoghese.

Raccontare il miracolo

Viene il momento di parlare del miracolo che ha portato alla canonizzazione di Giuseppe Allamano. La guarigione di Sorino Yanomami, nella missione di Catrimani, a Roraima, in Brasile, nel 1996. Sorino, a caccia nella foresta, era stato aggredito da un giaguaro, che aveva causato gravi ferite alla scatola cranica.

La dottoressa Roberta Barbero ha seguito dal punto di vista medico la vicenda. Racconta come abbia vissuto il contrasto tra il ruolo di medico, che ha bisogno di osservare, misurare, e il suo essere donna di fede, alla quale bastano le testimonianze.

Racconta, ad esempio, come a volte si sia sentita isolata dalla comunità scientifica, quando raccontava il caso, perché lo scienziato fa fatica ad andare oltre a quello che si può misurare: «Le guarigioni inspiegabili avvengono, e l’atteggiamento della medicina è quasi come quello di chi subisce un affronto». Ma «la fede può fare la differenza. Questa guarigione ha cambiato il mio modo di vedere le cose, e anche di testimoniare la mia fede all’interno di un ambiente che non sempre permette questa apertura».

Si alza poi suor Felicita Muthoni Nyaga, la testimone più diretta dell’evento occorso nel febbraio 1996 a Roraima. Prende il microfono e va verso la gente. Tra le centinaia di persone, adesso, cala un silenzio assoluto: sono tutti con il fiato sospeso per ascoltare la sua storia (vedi dossier MC ottobre 2024). Quando conclude dicendo che Sorino «è un uomo che non è registrato all’anagrafe, né nei nostri registri di battesimo, ma c’è, Dio lo ha visto», scoppia un lungo applauso. L’atmosfera è diventata caldissima.

Parlano ancora i vescovi di Roraima: quello attuale, monsignor Evaristo Spleger, e alcuni predecessori e vicari, monsignor Roche Paloschi, e monsignor Raimundo Vanthay Neto.

Gli interventi sono intervallati da canti del coro in diverse lingue.

Testimonianze

Dopo un breve saluto di monsignor Alessandro Giraudo, vescovo ausiliario dell’arcidiocesi di Torino, si susseguono alcune testimonianze di laici e laiche.

Toccante è quella di Nadia, ragazza marocchina musulmana di Oujda, dove è operativo il centro per migranti coordinato da padre Edwin.

Una preghiera del cardinale Giorgio Marengo conclude la serata.

Sono le dieci passate, i pellegrini chiassosi defluiscono lentamente dalla Chiesa Nuova. Si vede la stanchezza di chi è arrivato da lontano, ma si sente l’entusiasmo, e molta attesa per quello che avverrà domani.

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=k6dxF1L6aAI?feature=oembed&w=500&h=281]


Piazza san Pietro, 20 ottobre

È festa grande

Fino dalle 7 del mattino, a giorno non ancora fatto, lunghe code di pellegrini aspettano ai controlli della polizia necessari per entrare nella piazza.

Nella coda, tra la gente che si stropiccia gli occhi, si sentono decine di lingue: portoghese, spagnolo, francese, inglese, italiano, kiswahili. Ma c’è anche l’Asia, con la Corea, la Mongolia e Taiwan.

Su alcune asticelle viene issata l’immagine di Giuseppe Allamano, nella sua versione colorata o «pop art», che resta un riferimento tra la marea di teste.

Oggi saranno, infatti, «canonizzati» anche Elena Guerra, Marie-Léonie Paradis e gli undici martiri di Damasco (Manuel Ruiz e compagni). Ci si distingue anche per il foulard, bianco ma colorato con le 35 bandiere dei paesi dove lavorano i missionari e le missionarie della Consolata, e con il volto di Allamano e l’immagine della Consolata. L’organizzazione ha anche previsto per tutti un badge verde con il logo studiato specificamente per questo giorno.

Entriamo tra i primi, dopo il controllo con il metal detector. La platea davanti alla scalinata di San Pietro è ancora da riempire.

I pellegrini sono assonnati, ma nei volti si nota la gioia e l’eccitazione. Molti si salutano, si abbracciano. È spesso un rivedersi dopo anni, talvolta un incontrarsi per la prima volta, entrando subito in sintonia.

Intanto si è fatto giorno. È nuvoloso, ma non piove.

È un momento di attesa, e si approfitta per farsi foto, video, scambiarsi un contatto o un sorriso. Vediamo una folta delegazione dall’Uganda, poi la bandiera del Kenya (primo paese di missione dei Missionari della Consolata). Il Congo Rdc è presente, così come la Costa d’Avorio. A un certo punto compare la bandiera del Marocco: è il gruppo di Oujda, del quale fanno parte alcune migranti subsahariane.

Vediamo il gruppo dei laici della Consolata del Portogallo, con le magliette del loro 25° anno di esistenza. E poi tantissime suore, di svariate età e nazionalità. Così metà della piazza, quella con i posti a sedere, si è riempita.

Intanto, alla sinistra dell’altare si siedono cardinali, vescovi e sacerdoti. Alla destra, invece, le autorità e i diplomatici.

Francesco accolto dai suoi

Dopo il rosario in latino, inizia uno scampanio, poi il coro ufficiale intona alcuni canti diffuse con i potenti altoparlanti. L’attesa si fa più intensa tra le migliaia di persone venute da tutto il pianeta, spaccato di umanità.

Alle 10,20, quasi all’improvviso, arriva papa Francesco sulla sua carrozzina e si siede sulla poltrona papale. Tenue, quasi sotto voce, sul lato destro della platea, un gruppo di pellegrini intona: «Papa Francesco, papa Francesco». Altri iniziano, è come se il coro si spostasse nello spazio antistante alla basilica, e intanto diventa «papa Francisco», per culminare con un grande applauso. Nel frattempo è comparso un pallido sole.

Scorgiamo evidente, in prima fila nel gruppo delle autorità, il presidente Sergio Mattarella.

La celebrazione ha inizio. Vengono lette le brevi biografie dei nuovi santi. Quando è nominato Giuseppe Allamano, parte un applauso dalla piazza.

«Vince non chi domina, ma chi serve per amore», dice il Papa nella sua omelia, a commento del Vangelo del giorno (Mc 10,35-45).

«Gesù svela pensieri nel nostro cuore smascherando, talvolta, i nostri desideri di vanità e di potere». E poi ci insegna lo «stile di Dio», ovvero il «servizio». Le parole magiche per il Papa sono: «Vicinanza, compassione e tenerezza, applicate all’azione di servire. […] A questo dobbiamo anelare».

Uno stile che nasce dall’amore e non ha una scadenza o un limite.

«I nuovi santi hanno vissuto questo stile di Gesù: il servizio», continua il Papa.

Allamano e gli Yanomami

All’Angelus il pontefice mette l’accento sui popoli indigeni: «La testimonianza di san Giuseppe Allamano ci ricorda la necessaria attenzione verso le popolazioni più fragili e vulnerabili. Penso in particolare al popolo Yanomami, nella foresta amazzonica brasiliana, tra i cui membri è avvenuto proprio il miracolo legato alla sua canonizzazione. Faccio appello alle autorità politiche e civili affinché assicurino la protezione di questi popoli e dei loro diritti fondamentali e contro ogni forma di sfruttamento della loro dignità e dei loro territori».

Il nome «Yanomami», dunque, echeggia in piazza san Pietro, proprio grazie al nuovo santo.

Papa Francesco conclude con un giro in carrozzina a salutare i cardinali, per poi salire sulla papamobile, e fare un lungo percorso nella piazza. I pellegrini e i fedeli hanno oramai lasciato le loro sedie e si accalcano alle transenne per salutare il Santo Padre.

Dopodiché, inizia il lento deflusso di migliaia di persone, mentre gruppi di svariate nazionalità e lingue si fanno le ultime foto sulla piazza, con lo sfondo della basilica di san Pietro sulla cui facciata spicca lo stendardo di san Giuseppe Allamano.

Chiediamo a padre James Lengarin, superiore dei missionari della Consolata, le sue impressioni: «È stata una bellissima giornata. Quando si nominava san Giuseppe Allamano, dalla piazza si alzava un urlo di gioia. Il Papa ha ancora parlato di lui all’Angelus, sottolineando il suo spirito missionario: oggi è anche la Giornata missionaria mondiale».

«Poi ci siamo trovati tutti al Teresianum (la Pontificia università teologica), per festeggiare. Eravamo più di 1.300 persone da tutto il mondo. Questo ci fa vedere come il cuore della Consolata sia vivo». Gli chiediamo come si sente a essere il successore di un santo: «Mi sento come uno dei suoi figli, ma anche come frutto della missione. Io vengo da una popolazione di pastori nomadi. Vuole dire che Allamano aveva questa attenzione per le persone che di solito sono emarginate, alla periferia del mondo. Io adesso mi sento animatore dei miei fratelli».

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=eMG2kXp9iho?feature=oembed&w=500&h=281]


Roma, 21 ottobre

«Coraggio, avanti»

Lunedì pomeriggio i pellegrini di san Giuseppe Allamano si trovano nuovamente tutti insieme per una celebrazione di ringraziamento nella splendida cornice della basilica di san Paolo fuori le mura.

La messa inizia con una danza africana realizzata da suore e novizie, che scalda subito l’atmosfera. Sfilano vestite con colori africani, a dominante azzurra. Dietro alle danzatrici, fanno il loro ingresso centodieci sacerdoti vestiti di bianco, due fratelli missionari, seguiti da ventidue vescovi e, in ultimo, dal cardinale Giorgio Marengo. È lui che, con la sua solita semplicità, ma al tempo stesso profondità, prende la parola: «Questa mattina, alla sessione del sinodo, sono andato a ringraziare il Santo Padre, che era lì con noi, per il dono della canonizzazione. Mi ha colpito, perché, sedutomi davanti a lui, mi ha preso le mani e mi ha detto “Coraggio, avanti”. Quello che ci diceva sempre san Giuseppe Allamano».

Continua il cardinale: «Oggi è un giorno di ringraziamento per san Giuseppe Allamano. È il primo giorno nel quale possiamo chiamarlo così». Le sue parole, quasi emozionate, scatenano l’euforia dei presenti.

Tra questi spicca una folta delegazione di fedeli di Roraima, lo stato del Brasile dove è avvenuto il miracolo della guarigione dell’indigeno yanomami Sorino. Sono riconoscibili da una maglietta fatta per l’occasione, con la scritta in portoghese: «Annunziate la mia gloria alle nazioni» (Is 66,19), e con i loghi della diocesi di Roraima e quello ufficiale della canonizzazione. Poi tante fedeli africane, con vestiti dai tipici colori sgargianti, e moltissime religiose. Ci sono anche i laici missionari della Consolata, e i tanti amici del nuovo santo venuti da quattro continenti. Quasi tutti hanno al collo il foulard della canonizzazione.

Iniziano le letture. Poi il salmo viene recitato da uno studente e una studentessa missionari, e il coro risponde cantando in maniera soave: «Popoli tutti, lodate il Signore».

Dopo la seconda lettura, parte di nuovo il coro, diretto dall’accalorato padre Douglas Lukunza del Kenya. I musici – tastiera, batteria, due djembé (tamburi africani) e pure un bravo violino – sono altri studenti missionari, tutti africani. Il coro variegato segue i movimenti del direttore, che non si limita a muovere le braccia, ma praticamente balla. Una danza contagiosa, che in pochi secondi prende tutti i presenti e, chi più chi meno, inizia a muoversi a ritmo di musica. E parte l’entusiasmo della grande festa.

Un punto di partenza

Con la preghiera dei fedeli torna la calma. Alcuni lettori e lettrici si alternano nelle diverse lingue: italiano, inglese, portoghese, spagnolo, coreano, kiswahili e francese. A leggere quest’ultima è una ragazza migrante del Burkina Faso, attualmente a Oujda in Marocco. La sua è una supplica toccante, forse perché nasce dall’esperienza personale: chiede di pregare affinché i governi rendano più vivibili i Paesi del mondo, in modo che i giovani non siano più costretti a partire.

Durante la cerimonia di ringraziamento, come nei giorni precedenti, il collegamento con l’Amazzonia è forte: all’offertorio, oltre al pane e al vino, viene portato anche un tipico copricapo indigeno, fatto di piume blu e gialle del grande pappagallo ara, mandato da coloro, spiega la voce di commento, «che sono assetati di fede e di giustizia».

Ma oltre alla festa, il ringraziamento è pure un momento di riflessione, stimolata dalle parole, talvolta provocatorie, del cardinale Marengo che nella sua omelia si è soffermato sull’importanza della contemporaneità: l’impegno deve essere «una successione continua di oggi e qui», e occorre «attingere la forza per la missione dalla contemplazione».

«Dobbiamo dircelo: la sua santità (di Allamano, ndr) ci deve scuotere, altrimenti non ci gioverà. I nostri istituti attraversano un momento delicato della loro storia, con incertezze nei cammini del mondo. Oggi non è solo un punto di arrivo, deve essere anche un punto di ripartenza».

Considerando il percorso e gli sforzi fatti per arrivare a questa canonizzazione, «tutto sarà ripagato se prenderemo sul serio questo oggi, l’avere gli occhi fissi sul Signore, teneramente amato e servito da san Giuseppe Allamano, e realizzeremo davvero il suo desiderio di vederci famiglia della Consolata che si vuole bene e che arde di zelo apostolico».

La cerimonia si avvia alla conclusione con il canto del Magnificat in versione africana, danzato e cantato da tutti i presenti. Il cardinale incensa lo stendardo con il volto di Giuseppe Allamano, che pare sorridente come non mai. Anche lui, oramai coinvolto nella festa per il nuovo santo.

Marco Bello

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=TovV1r44H-c?feature=oembed&w=500&h=281]




Quando «piccolo» è grande


Sorino, chi è costui? Come don Abbondio con Carneade, forse ci facciamo questa domanda, visto che oggi il suo nome è sulla bocca di tutti dopo che Giuseppe Allamano è stato riconosciuto santo per aver guarito proprio lui.
Ma al tempo del miracolo, trent’anni fa, Sorino era per noi un signor nessuno. Uno Yanomami inesistente, uno dei tanti indigeni dell’Amazzonia che l’anagrafe del suo Paese ignorava (e continua a ignorare). Un signor nessuno, che però è diventato segno di vita e speranza per tutti gli ultimi della terra.

Come lui, anche quel bambino nato 2030 anni fa in una stalla di Betlemme era nessuno. Amato, però, curato e protetto dai suoi genitori e accolto dai marginali della storia, i pastori. Era un bambino inerme, Gesù. Eppure da subito ha dato fastidio ai potenti del tempo che hanno cercato di eliminarlo.

Quel nessuno, finito in croce come uno schiavo, è oggi Luce del mondo, Parola di vita, Via alla più vera e autentica umanità, quella a misura di Dio.

Sorino era un nessuno per il mondo, ma un unico per Dio il quale, complice Giuseppe Allamano, lo ha fatto rinascere alla vita dopo un terribile incontro con un giaguaro nel fitto della foresta amazzonica, lontano dagli occhi di tutti.

Là il Signore ha voluto porre un segno della santità di Giuseppe Allamano, per confermare ancora una volta il senso più vero del suo sogno missionario: un miracolo in favore di un nessuno e un non cristiano per ricordare che la Buona Notizia trova la sua realizzazione nei più poveri, umili e dimenticati della terra. È là, nella piccolezza e nel nascondimento, che nasce il mondo nuovo, non nei palazzi degli Erode di ieri e di sempre e neppure nei templi (stadi, arene, platee social) dei nuovi idoli di oggi.

Il piccolo seme del futuro cresce in mezzo agli ultimi della terra. Come un tempo la più radicale rivoluzione è iniziata con un bambino figlio di umili lavoratori di un villaggio di periferia, che da adulto è stato ucciso come uno schiavo su una croce piantata fuori dalle mura della città, così ora la guarigione di Sorino ci ricorda che la vera luce per il mondo continua a germinare nella piccolezza e nelle periferie.

I piccoli e i «nessuno» del mondo diventano maestri di vita, come la bimba di nove anni che si carica sulle spalle la sorellina di cinque ferita dalle bombe a Gaza per portarla all’ospedale.

Dio ha sempre avuto un occhio speciale per i nessuno di questo mondo. Grazie a essi ha scritto la storia della nostra salvezza. Basta ricordare Noè, Abramo, Giuseppe, Davide, Geremia, Ester, e tanti altri fino a Maria e Giuseppe, Giovanni Battista, gli apostoli, e fino a noi.

Mi colpisce la bellezza della logica del nascondimento e della piccolezza che unisce la nascita di Gesù e il miracolo accordato a Sorino.
È una potente contestazione dell’apparire, dell’ostentazione, del protagonismo, della voglia di imporsi e dominare che ha contagiato il nostro mondo. È l’antidoto alla tentazione di richiudersi in se stessi, di difendere i propri confini, di vedersi al centro di tutto. È un invito a guardare oltre, ad aprirsi alla sorpresa, a superare le paure dell’altro.

Sorino, una volta guarito, è diventato, insieme a sua moglie, «casa di accoglienza» per tanti bambini orfani, spesso resi tali da malattie e uccisioni provocate dall’invasione dei territori indigeni da parte di chi vuole rapinarne le risorse. Una risposta di squisito amore ai bisogni del suo popolo.

Il bambino di Betlemme ha portato nel mondo una nuova proposta di vita che insegna agli uomini a scoprirsi veri fratelli e sorelle, tutti figli e figlie dello stesso Padre.

San Giuseppe Allamano ha mandato nel mondo i suoi missionari e missionarie per continuare questa rivoluzione, per rendere reale il sogno di Dio di un’umanità che viva nella pace e nell’amore qui e ora, nell’attesa della grande festa di famiglia che ci aspetta in cielo, la sua casa.

Una rivoluzione senza armi e violenze, nella quale «il bene è fatto bene» a favore di tutti da persone che «prima sono sante e poi missionarie».

 




Giuseppe Allamano santo


I 20 ottobre scorso i Missionari, le Missionarie, i Laici della Consolata, la Chiesa torinese e quella universale hanno vissuto l’immensa gioia della canonizzazione di Giuseppe Allamano. Il lungo cammino che ha portato a proclamarne la santità è iniziato il 7 ottobre 1990, quando san Giovanni Paolo II l’ha dichiarato «Beato».

Il miracolo attribuito alla sua intercessione si riferisce alla guarigione miracolosa dell’indigeno Sorino Yanomami che, assalito il 7 febbraio 1996, da un giaguaro nella foresta amazzonica di Roraima (Brasile), nonostante la copiosa emorragia di sangue e le lesioni al cervello, non solo è sopravvissuto, ma ha potuto anche riprendere la sua vita normale senza alcuna conseguenza del trauma subito.

Il significato di questo miracolo conferma l’attualità degli insegnamenti di Giuseppe Allamano e il cammino missionario che la Chiesa sta seguendo. Come Dio guarda con cura a tutti gli uomini, l’Allamano, fondatore di una famiglia missionaria ad gentes, ha fatto suo lo stesso sguardo e lo ha infuso nei suoi discepoli. Così, sotto l’impulso dello Spirito, ha formato i primi missionari e missionarie per una missione incarnata nella realtà e oggi, tramite il miracolo avvenuto per sua intercessione, ha mostrato di accompagnare i suoi figli e la Chiesa tutta a vivere la missione con uno stile universale, audace e prudente, aperto all’incontro e al dialogo con le culture e i popoli.

I Missionari e le Missionarie della Consolata hanno vissuto i giorni di attesa della canonizzazione del loro santo fondatore con una intensa preparazione spirituale, affinché questo evento diventasse per i due Istituti e per la Chiesa intera un’occasione di rinnovamento nella grazia carismatica.

La canonizzazione di Giuseppe Allamano è stata un dono immenso che invita ad ascoltare il fondatore per attingerne la ricchezza. «Ecco, o miei cari, la santità che io vorrei da voi: non miracoli ma far tutto bene. Farci santi nella via ordinaria. Il Signore, che ha ispirato questa fondazione, ne ha anche ispirate le pratiche, i mezzi per acquistare la perfezione e farci santi. Se egli ci vorrà sollevare ad altre altezze, ci penserà lui, noi non infastidiamoci. I santi sono santi non perché abbiano fatto dei miracoli, ma perché “bene omnia fecerunt” (hanno fatto bene ogni cosa)».

padre Sergio Frassetto

Padre Barlassina visita un villaggio kikuyu e cura gli occhi dei bambini


Murang’a 2 – seconda parte

Presentiamo la seconda parte della relazione storica di monsignor Giovanni Crippa sulle «Conferenze di Murang’a» (vedi la prima parte in Mc – agosto/settembre 2024, pagg. 70-71) tenute dai primi missionari giunti in Kenya, dal 1° al 3 marzo 1904. Quanto in esse venne proposto era frutto dell’esperienza già collaudata nella vita quotidiana dei missionari. Dal confronto di questa realtà con i principi appresi in Italia e con i metodi sperimentati da altri missionari, il gruppo di «principianti» del Kikuyu cercò un proprio metodo di evangelizzazione.

Un nuovo metodo di evangelizzazione

Scartati altri metodi o perché si sarebbero protratti troppo nel tempo o perché considerati troppo onerosi, i missionari riuniti a Murang’a elaborarono un proprio piano di evangelizzazione così formulato: «Dato il carattere e i costumi degli Akikuyu, i mezzi migliori per iniziare le nostre relazioni con essi pare si possano ridurre ai seguenti: catechismi – scuole – visite ai villaggi – ambulatori alla missione – formazione d’ambiente».

Con i catechismi, che richiesero quasi subito la formazione di un corpo di catechisti, si inculcavano le prime nozioni di religione naturale. Le scuole miravano a formare una èlite che avrebbe coadiuvato i missionari nell’approccio con i Kikuyu. Gli ambulatori, che segnarono la prima attività a favore degli indigeni in missione, venivano intesi come mezzo per rendere credibile il missionario e assicurargli la simpatia della gente. Le visite ai villaggi, che ricordavano il metodo del cardinale Guglielmo Massaia, assunsero caratteristiche proprie: servivano alla conoscenza reciproca ed erano il mezzo più valido per l’enunciata formazione dell’ambiente, consistente nell’istruire la popolazione in modo che in massa fosse preparata a ricevere il battesimo, qualora si desse il caso di pericolo di morte.

A Murang’a si stabilirono norme che riguardavano anche la vita interna di missione e comprendevano, tra l’altro, la compilazione di un «Diario di missione», il modo con cui scrivere la lingua Kikuyu e la relazione trimestrale che ogni superiore di missione doveva inviare a Torino.

Unità di intenti

«Per i Missionari della Consolata nel Kikuyu le conferenze tenute a Murang’a nel 1904 segnarono un punto di riferimento anche per molti anni successivi, sebbene siano state ripetute con regolarità annuale. Il Fondatore, a Torino, le incoraggiava e ne vagliava i risultati che venivano di volta in volta approvati. Il principio della “uniformità” fu ritenuto necessario nella prima evangelizzazione e condiviso da tutti. Per attuarlo si escogitò il “Rapporto serale”».

Ogni sera, padri, fratelli e suore delle singole missioni si incontravano per informarsi reciprocamente sul lavoro della giornata, correggerne i difetti, orientarne le prospettive per il giorno seguente e far conoscere a tutti lo stato del settore assistito. Il lavoro così inteso diveniva un efficace strumento di comunicazione interpersonale e di orientamento della pastorale e favoriva l’«unità di intenti» che l’Allamano voleva tra i suoi. Esso arricchiva dell’esperienza comune soprattutto i missionari nuovi arrivati e permetteva al superiore di missione non solo di controllare il lavoro di tutti, ma anche di sostenere le iniziative più valide e di intervenire nelle emergenze più impellenti.

La missione esige un metodo

L’Allamano non ebbe e non poteva avere una metodologia missionaria: in missione non andò mai. Ebbe però un metodo per fare apostolato che così egli stesso descrisse: «… datevi toto corde et omnibus viribus all’opera dell’evangelizzazione. È per questo speciale fine che per farvi santi sceglieste la via delle missioni, preferendo il nostro istituto a tante altre Congregazioni che attendono ad altri ministeri. Ma perché il vostro lavoro ottenga il frutto desiderato deve avere tre qualità, che sia perseverante, concorde ed illuminato» (Lettera ai missionari del Kenya, 2 ottobre 1910).

Perseveranza: è richiesta dall’esigenza di far sorgere e crescere la fede. Non fu facile convertire il Kikuyu, la delusione per una realtà diversa e dura è espressa costantemente nei diari.

Per perseverare occorre affezionarsi alla gente, imparare a volere bene, avere viscere di carità. Prima che con la parola, si evangelizza con la bontà.

Concordia: «L’unione di mente e di cuore – continua l’Allamano – mentre rende leggera la fatica, fa la forza ed ottiene la vittoria».

Il missionario che non ricerca la concordia, secondo il fondatore, «lavorerà invano e forse distruggerà il bene fatto dagli altri». «Lavorate concordi e Dio benedirà le vostre fatiche». Non siamo noi o gli altri, ma Dio che deve dire bene (benedire) del nostro lavoro.

Illuminato: «Vengo al terzo carattere del vostro lavoro, quello che chiamo illuminato riguardo al metodo da seguire. Bisogna degli indigeni farne tanti uomini laboriosi per poi poterli fare cristiani: mostrare loro i benefizi della civiltà per tirarli all’amore della fede: ameranno una religione che oltre a offrire le promesse dell’altra vita, li rende più felici su questa terra» (2 ottobre 1910).

Fu così che i primi missionari della Consolata nel Kenya, sebbene giunti in Africa da poco più di un anno, riuscirono a darsi delle norme da seguire nel lavoro apostolico. La via, tracciata con un impegno quotidiano costante, avanzò sotto la guida lontana dell’Allamano, e la trazione in loco di padre Filippo Perlo, che indirizzarono l’opera dei missionari verso l’unico fine di giungere presto alla conversione dei Kikuyu.

+ Giovanni Crippa, Imc
Vescovo di Ilhéus


Roraima: diocese in festa

Il miracolo attribuito san Giuseppe Allamano è avvenuto nella missione Catrimani, appartenente alla diocesi di Roraima, nel nord del Brasile. Il vescovo della diocesi, monsignor Evaristo Pascoal Spengler, ha pubblicato un messaggio indirizzato al popolo di Dio della sua diocesi e alla famiglia Consolata, in cui esprime la sua gioia per il «lieto annuncio della canonizzazione del beato Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari e delle missionarie della Consolata, presenti nella nostra Chiesa di Roraima dal 1948».

Ha scritto il vescovo: «Questo è il Dio misericordioso ancora una volta all’opera nella nostra storia. Dio non si stanca mai di sorprenderci con il suo amore e la sua bontà».

Questo miracolo è motivo di gioia per i missionari e le missionarie, ma lo è anche per la chiesa di Roraima «perché si riconosce l’intercessione del beato Allamano a favore dell’indigeno yanomami Sorino, che vive nella nostra diocesi, nella missione Catrimani, nel territorio indigeno del popolo yanomami di Roraima.

La guarigione miracolosa dell’indigeno, in un momento in cui le cure tradizionali e la scienza medica potevano solo attendere la sua morte, è stata il frutto della fervente preghiera delle Missionarie della Consolata, che hanno chiesto aiuto al loro fondatore, il beato Giuseppe Allamano nel primo giorno della novena a lui dedicata».

Il messaggio ricorda i passi compiuti durante il processo, prima nella fase diocesana, e racconta come si è svolto. Si sottolinea inoltre che «l’annuncio della canonizzazione del beato Giuseppe Allamano è motivo di consolidamento dell’opzione evangelizzatrice della missione Catrimani, di conferma della storia dell’alleanza della nostra diocesi di Roraima con i popoli indigeni e un motivo di benedizione e di speranza per la nostra diocesi, che celebra 300 anni di evangelizzazione in queste terre di Macunaíma».

Infine, il vescovo di Roraima ha annunciato che «istituiremo una commissione nella nostra diocesi per celebrare il dono della fecondità dell’annuncio del Vangelo tra noi, confermato dal miracolo operato sul nostro fratello Sorino, per intercessione di san Giuseppe Allamano».

 


Io carmelitana

Sono una povera e anziana carmelitana scalza dell’ex Carmelo Sacro Cuore in Torino, nata e vissuta a Torino in prossimità del Santuario della Consolata, imparando fin dalla mia fanciullezza a invocare la Vergine Consolata.

Quando il canonico Allamano fu dichiarato «beato», nel nostro Carmelo ci fu grande gioia, e lo festeggiammo con entusiasmo, come si gioisce per un dono fatto a una persona cara. Per più di cento anni, infatti, i padri della Consolata sono saliti tutte le mattine da corso Ferrucci fino al nostro Carmelo, non senza fatica, ma con una grande fedeltà: non un giorno ci è mancata la celebrazione della santa Messa, né il dono dell’Eucaristia, e tante volte anche quello di poter accedere al Sacramento del perdono amministrato con piena disponibilità e tanta misericordia.

Attendevamo con speranza questo giorno in cui il beato Allamano sarebbe stato proclamato santo e il nostro cuore esulta di gioia e gratitudine al Signore perché il nostro desiderio è stato esaudito.

Quello che scrivo vuole essere una umile testimonianza della santità, fecondità e amore che i suoi figli e le sue figlie sanno portare e donare al mondo.

C’è infine un legame profondo tra il nostro monastero e i figli dell’Allamano: per settantacinque anni abbiamo condiviso la nostra vita con la cara suor Teresina del Bambino Gesù, sorella di sangue di padre Giovanni Calleri, l’eroico missionario della Consolata morto martire in Amazzonia.

Suor Maria Luisa del Volto Santo
Carmelitana scalza

 




Il popolo di san Giuseppe Allamano in festa

 

Roma, 21 ottobre. «Questa mattina, alla sessione del sinodo, sono andato a ringraziare il Santo Padre, che era lì con noi, per il dono della canonizzazione», racconta il cardinale Giorgio Marengo, in chiusura alla sua omelia della messa di ringraziamento. Nella splendida cornice della basilica di san Paolo fuori le mura, si ritrovano i missionari, le missionarie e centinaia di pellegrini che domenica 20 ottobre hanno partecipato alla canonizzazione di Giuseppe Allamano. «Mi ha colpito – continua Marengo -, perché, sedutomi davanti a lui, mi ha preso le mani e mi ha detto “Coraggio, avanti”. Quello che ci diceva sempre san Giuseppe Allamano».

La celebrazione inizia con una danza africana realizzata da suore e novizie, che scalda subito l’atmosfera. Sfilano vestite con colori africani, a dominante azzurra. Dietro alle danzatrici, fanno il loro ingresso centodieci sacerdoti vestiti di bianco, due fratelli missionari, seguiti da ventidue vescovi e, in ultimo, dal cardinale Marengo. È lui che, con la sua solita semplicità, ma al tempo stesso profondità, prende la parola: «Oggi è un giorno di ringraziamento per san Giuseppe Allamano. È il primo giorno nel quale possiamo chiamarlo così». Le sue parole, quasi emozionate, scatenano l’euforia dei presenti.

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Marco Bello).

Sono di tanti Paesi, svariate lingue e culture a ritrovarsi, oggi pomeriggio, nella basilica.

Spicca una folta delegazione di fedeli di Roraima, lo stato del Brasile dove è avvenuto il miracolo della guarigione dell’indigeno yanomami Sorino. Sono riconoscibili per la maglietta che indossano, con il motto dell’Istituto Missioni Consolata scritto in portoghese: «Annunziate la mia gloria alle nazioni» (Is 66,19), e con i loghi della diocesi di Roraima e quello ufficiale della canonizzazione. Poi tante fedeli africane, con vestiti dai tipici colori sgargianti, e moltissime religiose. Ci sono anche i laici missionari della Consolata, e i tanti amici del nuovo santo venuti da quattro continenti. Quasi tutti hanno al collo il foulard realizzato per la canonizzazione.

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Marco Bello).

Iniziano le letture. Poi il salmo viene recitato da uno studente e una studentessa missionari, e il coro risponde cantando in maniera delicata «Popoli tutti, lodate il Signore».

Dopo la seconda lettura, parte di nuovo il coro, diretto dall’accalorato padre Douglas Lukunza del Kenya. I musicisti – tastiera, batteria, due djembé (tamburi africani) e pure un bravo violino – sono altri studenti missionari, tutti africani. Il coro variegato segue i movimenti del direttore, che non si limita a muovere le braccia, ma dirige il canto ballando con tutto il corpo. Una danza che, in pochi secondi, contagia tutti i presenti. È l’espressione dell’entusiasmo della grande festa.

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Marco Bello).

Con la preghiera dei fedeli torna la calma. Alcuni lettori e lettrici si alternano nelle diverse lingue: italiano, inglese, portoghese, spagnolo, coreano, kiswahili e francese. A leggere quest’ultima è una ragazza migrante del Burkina Faso, attualmente a Oujda in Marocco (dove c’è una missione della Consolata). La sua è una supplica toccante, forse perché nasce dall’esperienza personale: chiede di pregare affinché i governi rendano più vivibili i Paesi del mondo, in modo tale che i giovani non siano più costretti a partire.

Anche durante questa celebrazione di ringraziamento, come nei giorni scorsi, il collegamento con l’Amazzonia è forte: all’offertorio, oltre al pane e al vino, viene portato anche un tipico copricapo indigeno, fatto di piume blu e gialle del grande pappagallo ara, mandato da coloro, spiega la voce di commento, «che sono assetati di fede e di giustizia».

Ma oltre alla festa, il ringraziamento è pure un momento di riflessione, stimolata dalle parole, talvolta provocatorie, del cardinale Marengo che nella sua omelia si sofferma sull’importanza della contemporaneità: l’impegno deve essere «una successione continua di oggi e qui», e occorre «attingere la forza per la missione dalla contemplazione».

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Marco Bello).

«Dobbiamo dircelo: la sua santità (di Allamano, ndr) ci deve scuotere, altrimenti non ci gioverà. I nostri istituti attraversano un momento delicato della loro storia, con incertezze nei cammini del mondo. Oggi non è solo un punto di arrivo, deve essere anche un punto di ripartenza».

Considerando il percorso e gli sforzi fatti per arrivare a questa canonizzazione, «tutto sarà ripagato se prenderemo sul serio questo oggi, l’avere gli occhi fissi sul Signore, teneramente amato e servito da san Giuseppe Allamano, e realizzeremo davvero il suo desiderio di vederci famiglia della Consolata che si vuole bene e che arde di zelo apostolico».

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Marco Bello).

La cerimonia si avvia alla conclusione con il canto del Magnificat in versione africana, danzato e cantato da tutti i presenti. Il cardinale incensa lo stendardo con il volto di Giuseppe Allamano, che pare sorridente come non mai. Anche lui, oramai coinvolto nella festa.

La messa di ringraziamento conclude la fase romana delle celebrazioni per la canonizzazione di san Giuseppe Allamano, iniziate con la veglia di preghiera di sabato 19 ottobre.

Nei prossimi giorni seguiranno eventi e celebrazioni a Castelnuovo don Bosco (At), paese natale di Allamano (il 23 ottobre) e a Torino, alla Consolata (il 24) e nella chiesa del santo in corso Ferrucci 18 (il 25).

Marco Bello

HIGHLIGHTS MESSA DI RINGRAZIAMENTO (Fr. Adolphe Mulenguzi)

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=OOqvdac9tQI?feature=oembed&w=500&h=281]

 

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=TovV1r44H-c?feature=oembed&w=500&h=281]

 

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Jaime Patias).

 

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Jaime Patias).

 

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Jaime Patias).

 

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Jaime Patias).

 

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Jaime Patias).

 

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Jaime Patias).

 

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Jaime Patias).

 

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Jaime Patias).

 

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Jaime Patias).

 

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Jaime Patias).

 

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Jaime Patias).

 

Roma, basilica di San Paolo fuori le mura, 21 ottobre 2024. Messa di ringraziamento per la canonizzazione di San Giuseppe Allamano (Foto ©Jaime Patias).




Giuseppe Allamano è santo

 

Oggi, 20 ottobre 2024, Giuseppe Allamano è ufficialmente santo. La messa di proclamazione, in piazza San Pietro, è stata intensissima.

Città del Vaticano. Fin dalle 7 del mattino, a giorno non ancora fatto, lunghe code di pellegrini aspettano ai controlli della polizia, necessari per entrare nella piazza.

Il popolo di Giuseppe Allamano è arrivato dai quattro continenti il giorno prima. Nella coda, tra la gente che si stropiccia gli occhi, si sentono decine di lingue: portoghese, spagnolo, francese, inglese, italiano, kiswahili. Ma anche l’Asia c’è, con la Corea, la Mongolia e Taiwan.

Su alcune bacchette viene issata l’immagine del futuro santo, nella sua versione colorata o «pop art», che resta un riferimento tra la marea di teste.

Oggi saranno, infatti, «canonizzati», termine tecnico, anche Elena Guerra, Marie-Léonie Paradis e gli undici martiri di Damasco (Manuel Ruiz e compagni).
Ci si distingue anche per il foulard, bianco ma colorato con le 35 bandiere dei paesi dove lavorano i missionari e le missionarie della Consolata, e con l’effige di Allamano e della Consolata.
L’organizzazione ha anche previsto per tutti un badge verde con il logo studiato ad hoc per questo giorno.

Entriamo tra i primi, dopo il controllo metal detector.
La platea davanti alla scalinata di San Pietro è ancora da riempire.
I pellegrini sono assonnati, ma si vede la gioia e l’eccitazione. Molti si salutano, si abbracciano. È spesso un rivedersi dopo anni, talvolta un incontrarsi per la prima volta, entrando subito in sintonia.

Intanto si è fatto giorno. È nuvoloso, ma non piove.
È ancora un momento di attesa, e si approfitta per farsi delle foto, dei video, scambiarsi un contatto o un sorriso.

Vediamo una folta delegazione dall’Uganda, poi la bandiera del Kenya (primo paese di missione dei Missionari della Consolata). Il Congo Rdc è presente, così come la Costa d’Avorio.
A un certo punto compare la bandiera del Marocco: è il gruppo di Oujda, del quale fanno parte anche alcune migranti subsahariane.
Vediamo anche il gruppo dei laici della Consolata del Portogallo, con le magliette del loro 25° anno di esistenza. E poi tantissime suore, di svariate età e nazionalità.

Così metà della piazza, quella con i posti a sedere, si è riempita.
Intanto, alla sinistra dell’altare si siedono cardinali, vescovi e sacerdoti. Alla destra, invece, le autorità e i diplomatici.

Dopo il rosario in latino, inizia uno scampanio, poi il coro ufficiale intona alcune canzoni diffuse con i potenti altoparlanti in tutta la piazza.
L’attesa si fa più intensa tra le migliaia di persone da tutto il pianeta, spaccato di umanità.

Alle 10,20, quasi all’improvviso, arriva Papa Francesco sulla sua carrozzina e si siede sulla poltrona papale. Tenue, quasi sotto voce, sul lato destro della platea, un gruppo di pellegrini intona: «Papa Francesco, papa Francesco». Altri iniziano, è come se il coro si spostasse nello spazio antistante alla basilica, e intanto diventa «Papa Francisco», per culminare con un grande applauso.

Nel frattempo è comparso un tenue sole.
Scorgiamo evidente, in prima fila del gruppo di sedie delle autorità, il presidente Sergio Mattarella.

La celebrazione ha inizio. Vengono lette le brevi biografie dei nuovi santi. Quando è nominato Giuseppe Allamano, parte un applauso dalla piazza.

«Vince non chi domina, ma chi serve per amore», dice il Papa nella sua omelia, a commento del Vangelo del giorno.
«Gesù svela pensieri nel nostro cuore smascherando, talvolta, i nostri desideri di vanità e di potere».
E poi ci insegna lo «stile di Dio», ovvero il «servizio». Le parole magiche per il Papa sono: «Vicinanza, compassione e tenerezza, applicate all’azione di servire. […] A questo dobbiamo anelare».
Uno stile che nasce dall’amore e non ha una scadenza o un limite.
«I nuovi santi hanno vissuto questo stile di Gesù: il servizio», continua il Papa.

All’Angelus papa Francesco mette l’accento sui popoli indigeni: «La testimonianza di san Giuseppe Allamano ci ricorda la necessaria attenzione verso le popolazioni più fragili e vulnerabili. Penso in particolare al popolo Yanomami, nella foresta amazzonica brasiliana, tra i cui membri è avvenuto proprio il miracolo legato alla sua canonizzazione. Faccio appello alle autorità politiche e civili affinché assicurino la protezione di questi popoli e dei loro diritti fondamentali e contro ogni forma di sfruttamento della loro dignità e dei loro territori».

Il nome «Yanomami», dunque, echeggia in piazza san Pietro, proprio grazie al nuovo Santo.

Papa Francesco conclude con un giro in carrozzina a salutare i cardinali, per poi salire sulla papamobile, e fare un lungo percorso nella piazza. I pellegrini e i fedeli hanno oramai lasciato le loro sedie e si affollano alle transenne per salutare il Santo Padre.

Una volta passato, inizia il lento deflusso di alcune migliaia di persone, mentre gruppi di svariate nazionalità e lingue si fanno le ultime foto sulla piazza, con lo sfondo della Basilica di San Pietro sulla quale spicca lo stendardo di san Giuseppe Allamano.

testo di Marco Bello
foto di Jaime Patias

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=eMG2kXp9iho?feature=oembed&w=500&h=281]




Pillole «Allamano» /10. Prima di tutto santi


Carissimo Padre, buon Natale.
Uso l’appellativo Padre invece di Canonico (oggi un po’ demodé), o di Rettore (troppo accademico), per sottolineare la paternità spirituale che hai avuto e continui ad avere su di noi, missionari e missionarie della Consolata. Grazie per queste pillole di spiritualità che, oggi come ieri, ci aiutano a dare un senso alla nostra vita, per poterne essere i protagonisti e non dei comprimari. I tuoi consigli hanno permesso a missionari e missionarie di camminare diritti e spediti durante tanti anni e in moltissime parti del mondo; crediamo che possano servire anche a noi, nella nostra Europa attuale, per riproporci come persone che hanno a cuore il Regno di Dio, e lo vogliono promuovere lì dove si trovano. In fin dei conti, questo è lo spirito con cui abbiamo provato ad assumerle durante questi mesi e chissà se ci aiuteranno ad alzare un po’ il tiro, iniziando da questo periodo natalizio.

A Natale si dovrebbe essere tutti più buoni o, come forse suggeriresti tu stesso, un pochino più santi. Ti è sempre piaciuta questa parola: santo.  Hai parlato tanto di santità, ma soprattutto hai vissuto in modo da rendere esplicito, visibile, toccabile con mano ciò che cercavi di esprimere a parole. Hai soprattutto cercato di mostrare che la santità è nient’altro che il coronamento di un cammino nella fede «fatto bene», con rispetto del ruolo che si occupa nel mondo, senza pensare di essere Dio, ma soltanto povere creature che cercano di fare al meglio la Sua volontà (a dirla tutta, se c’è qualcosa che veramente contraddice lo spirito del Natale è proprio questa tendenza a credersi dei padreterni; altro che spirito dell’incarnazione!).

La Torino dei tuoi tempi poteva vantare degli esempi di santi mica da ridere: ci si sarebbe potuta fare una squadra di calcio con tanto di riserve contando tutte le persone che hanno dato la loro vita per la causa del Vangelo, e a tale ragione sono assurti alla gloria degli altari. Altri ancora hanno vissuto la loro vita cristiana in maniera più nascosta, o forse meno «eroica», e non vengono ricordati liturgicamente, ma hanno comunque lasciato un segno che rimane vivo ancora oggi, eredità di una vita dedicata a Dio e al servizio dei fratelli. Alcuni parlano di loro come «santi sociali», proprio per sottolineare il loro forte impegno al servizio dei poveri del tempo, fra i giovani, gli operai, i carcerati, gli ammalati…

Molti li hai incontrati tu stesso di persona. In particolare non si può non citare le due figure a te più vicine, non fosse altro per la comune provenienza, visto che eravate tutti originari di Castelnuovo, in provincia di Asti: Giuseppe Cafasso, tuo zio, e Giovanni Bosco. Oggi il tuo paese, adagiato sulle colline del Basso Monferrato astigiano, ha preso il nome di Castelnuovo don Bosco, dal concittadino più famoso, anche se dovrebbe essere battezzato «Castelnuovo dei Santi» perché ben quattro (va aggiunto infatti anche Domenico Savio) sono i santi che lì hanno avuto i loro natali in uno spazio di tempo davvero ristretto.

Santi vicini, santi in famiglia, santi le cui vite si sono sfiorate lasciando segni indelebili sulle altrui esistenze. Sì, diciamo che sei anche stato un po’ fortunato ad avere la possibilità di entrare in contatto con persone di quel calibro. Da loro hai attinto molto, pur conservando una tua precisa personalità, che non si è confusa né con lo spirito, né tantomeno con la missione altrui. Da Giovanni Bosco, anche se soltanto per un breve periodo di tempo, sei andato a scuola nell’Oratorio da lui fondato, luogo da cui poi ti sei allontanato alla chetichella, per non dare un dispiacere a chi ti aveva ospitato fra i suoi ragazzi e che probabilmente, vedendo la pasta di cui eri fatto, aveva iniziato a pensare che un giorno avresti potuto dargli una bella mano. Del resto, non lo hai fatto per capriccio (le persone capricciose non ti sono mai andate troppo a genio e non ti sei stancato di ripeterlo in continuazione a tutti coloro che erano affidati alla tua formazione), ma per seguire quella che a te sembrava essere la tua strada, indirizzandoti verso il Seminario metropolitano di Torino.

A Giuseppe Cafasso devi sicuramente molto di più, pur avendolo personalmente incontrato tutto sommato poche volte. Hai respirato sin da piccolo la sua presenza e hai sempre saputo e creduto di avere un «Santo zio» in famiglia, al punto che quando è stata l’ora ti sei dedicato anima e corpo, fra mille altre cose, anche ai processi di beatificazione e canonizzazione, dando così alla Chiesa intera un modello di prete a cui ispirarsi.

Creazione di David Ongaro per la chiesa di Maria Regina delle Missioni in Torino: san Giuseppe Allamano con i suoi santi. Da sinistra a destra: s. Chiara regge con lui il quadro della Consolata, s. Ignazio di Loyola, s. Caterina da Siena, s. Giovanni Bosco, s. Francesco di Sales, s. Teresa d’Avila, s. Francesco, s. Teresina di Gesù Bambino, s. Fedele da Sigmaringen, s. Giuseppe Benedetto Cottolengo, s. Francesco Saverio e s. Giuseppe Cafasso, suo zio.

La santità che hai conosciuto tu, di cui hai fatto esperienza diretta vedendola riflessa nelle esistenze degli altri, era la conseguenza di una vita buona, vissuta bene, con sacrificio, determinazione, fede, perseveranza. Dio lancia il seme, e questo cade in una terra più o meno fertile. Nel vostro caso terra fertilissima, perché preparata, lavorata, concimata quotidianamente con la pazienza e anche la fatica del contadino. Niente di eccezionale, verrebbe da dire, una santità alla portata di tutti, fatta di piccoli gesti buoni ripetuti nel tempo. È la santità di tante nostre famiglie, quella che non fa rumore ma permette al bene di incunearsi nel tessuto della società e lo fa scorrere a dispetto di tanti messaggi a esso contrari, segnali di male, morte, disperazione che mettono in pericolo la speranza.

L’eccezionalità sta appunto in questo lavoro costante su di sé, sulla propria crescita umana e spirituale. «Vivere l’ordinario in modo straordinario» è il motto che hai proposto a chi guardava a te come modello di uomo e prete. Lo hai attinto dalla spiritualità di San Giuseppe Cafasso, ma lo hai fatto diventare come parte del tuo stile di vita. Il tuo punto di riferimento era Cristo, ma il tuo terreno di gioco è sempre stato il quotidiano, le ventiquattro ore della giornata, cui dare un senso, giorno dopo giorno, con l’Eucaristia a fare da metronomo: preparazione, celebrazione e ringraziamento; e così via, in una serie continua di istanti in cui la vita dell’uomo si fonde in quella di Dio.

Il santo è la persona che vive in profondità questa unione di Dio con la sua storia passata, presente e futura; è colui o colei che permette a Dio di incarnarsi nel suo vissuto, di vivere nella sua famiglia, di frequentare la stessa scuola o di interessarsi degli stessi problemi di lavoro degli altri. Il santo è la persona della porta accanto, quella capace di praticare iniezioni di bene con la sua presenza discreta e silenziosa, che permette a Dio di essere Dio, e lo fa lasciando che questi entri nella propria vita, concedendogli spazio e diventando a sua volta strumento di salvezza.

Caro don Giuseppe, tu sei stato questo tipo di persona per molti tuoi contemporanei, che istantaneamente hanno riconosciuto in te i segni di una presenza più grande. Il tuo spirito di preghiera, l’amore per l’eucaristia, la relazione cuore a cuore con Maria Consolata. Tuttavia, la tua santità ha assunto dei connotati speciali che restano un’eredità unica per noi missionari e per tutti gli amici che, a vario titolo e in varie occasioni, si sono avvicinati al nostro carisma e ne sono rimasti affascinati.

Innanzitutto, la tua è stata una santità extra large; hai guardato oltre i confini di Torino, dell’Italia, più in là sempre e comunque. Sicuramente più in là dei tuoi comodi – avresti potuto infatti vivere un’esistenza decisamente tranquilla e rilassata invece di perdere pace, salute e soldi nel correre dietro all’ideale missionario – a cui hai però volentieri rinunciato per rispondere all’imperativo che sentivi dentro di te di annunciare a tutti la consolazione del Vangelo. In questo momento storico in cui la chiesa è invitata a uscire, ad andare alle periferie, a essere lì dove la gente si trova, a non perdere la voglia di annunciare, ci offri un modello di santità molto attuale. Dà coraggio pensare che hai vissuto in maniera totale la tua missionarietà senza mai allontanarti, se non per brevi viaggi, dal tuo amato Santuario della Consolata. Sei un invito vivente per tante persone e famiglie che forse non ce la fanno proprio a trovare tempo e risorse per «partire» e vivere la loro vocazione missionaria in terre lontane. C’è chi dona partendo e chi parte donando. Da sempre la missione si è nutrita del dono del tempo, dei beni materiali, della preghiera di tanti benefattori che pur senza oltrepassare l’uscio di casa hanno reso l’attività dei missionari possibile, partecipando a tutti gli effetti, pienamente, della missione della chiesa.

Inoltre la tua è stata una santità «inclusiva», che si è nutrita e arricchita dei contributi di culture nuove e lontane, di cui leggevi attraverso i racconti dei tuoi missionari. Il senso di vicinanza all’altro che hai trasmesso ai tuoi, l’enfasi posta sulla necessità di imparare, e imparare bene, le lingue straniere per meglio comunicare con le persone, la passione di capire l’altro per entrare nel profondo della sua cultura, con rispetto, in punta di piedi… sono elementi che hanno caratterizzato il tuo insegnamento e restano parte di quello spirito che sempre hai voluto trasmettere personalmente ai tuoi missionari. I nostri confratelli che lavorano in Asia sempre ripetono l’importanza di essere sul posto, presenti, sussurrando il Vangelo, con tatto, rispetto e discrezione, senza imporre, ma proponendo coraggiosamente la buona notizia di Gesù.

In questo mondo così controverso e contraddittorio, alla cui tensione verso la globalità rispondono movimenti di chiusura e intolleranza assolutamente non evangelici, la ferma delicatezza della tua parola è garanzia di un messaggio di accoglienza e di fraternità che rincuora e dà coraggio.

Grazie caro Padre per quest’ultima tua pillola che, in fondo, contempla tutte le altre. Siate santi missionari; anzi, «prima santi, poi missionari», come ripetevi instancabilmente allora e continui a ripetere anche a noi oggi. Ai nostri giorni il tuo appello assume una valenza particolarmente pregnante perché immettersi in un cammino di santità significa andare due volte contro corrente. Mentre noi missionari e missionarie della Consolata desideriamo profondamente che tu, già beato, possa essere riconosciuto finalmente santo, tu vuoi soprattutto che siamo noi a santificarci, anche senza riconoscimento ufficiale da parte della chiesa. Ci chiedi soltanto di condurre una vita evangelicamente certificata e di testimoniare con coerenza i valori del Vangelo attraverso il carisma speciale che ci hai lasciato.

Penso che, corroborati da un anno di pillole ricostituenti da te fornite, possiamo tentare di metterci su questo cammino chiedendoti, ancora una volta, di essere padre e guida dei tuoi missionari e degli amici fraterni che ne accompagnano le iniziative apostoliche. Siamo convinti che, diventando più santi, noi spianeremo anche a te la strada per il riconoscimento universale della tua santità. Prendi questo nostro impegno come un piccolo regalo di Natale. E ancora tanti auguri.

Ugo Pozzoli


Tutte le 10 parole

Per finire con gioia

[youtube https://www.youtube.com/watch?v=2kRI5F0HSMo?feature=oembed&w=500&h=281]