Brasile. «Siamo sempre stati qui!»

 

Una folta rappresentanza dei popoli indigeni del Brasile si è data appuntamento a Brasilia – dal 7 all’11 aprile – per dare vita alla ventunesima edizione dell’«Acampamento terra livre» (Atl). Il raduno – organizzato dall’«Articolazione dei popoli indigeni del Brasile» (Apib), associazione che comprende sette rappresentanze regionali – è avvenuto in un periodo storico particolarmente grave per i popoli autoctoni a causa dei ripetuti attacchi ai loro diritti, formalmente sanciti dalla Costituzione del 1988 e dai trattati internazionali.

Se da una parte c’è un presidente aperto alle istanze indigene come Lula, dall’altra c’è un Congresso dominato dai «ruralisti» (latifondisti, proprietari terrieri, imprenditori dell’agrobusiness, imprenditori del settore minerario) che vedono nei popoli indigeni un ostacolo ai loro interessi particolari. L’obiettivo di questo gruppo è uno solo: impossessarsi a qualsiasi costo delle terre occupate dalle popolazioni indigene per sfruttarle a piacimento.

Negli ultimi anni, gli attacchi ai diritti costituzionali dei popoli indigeni hanno trovato la massima espressione nell’emanazione della legge 14.701/2023, nota come Lei do marco temporal Legge del limite temporale»), concernente il riconoscimento, la demarcazione, l’uso e la gestione delle terre indigene. Una norma – si noti bene – emanata dal Congresso che prima ha ignorato il giudizio di incostituzionalità del Supremo tribunale federale (Stf) e poi ha respinto i veti posti dal presidente Lula.

Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva con il leader indigeno Raoni Metuktire. Lula si trova a dover fronteggiare un Congresso dominato dai ruralisti, la cui unica volontà è di impossessarsi (a qualsiasi costo) delle terre indigene. Foto: Ricardo Stuckert – PR.

La legge è, dunque, vigente trovando su fronti opposti i popoli indigeni e il Congresso a maggioranza ruralista. Per cercare di trovare una soluzione consensuale, il ministro Gilmar Mendes del Supremo tribunale federale ha formato una Commissione speciale di conciliazione. Tuttavia, il Consiglio indigenista missionario (Cimi), organo meritorio legato alla Conferenza episcopale brasiliana (Conferência nacional dos bispos do Brasil, Cnbb), da oltre cinquant’anni a fianco dei popoli indigeni, ha commentato che la conciliazione proposta «potrebbe comportare conseguenze ancora più gravi per i popoli rispetto alla stessa Legge 14.701».

È in questo clima di incertezza e di opposizione frontale che circa ottomila indigeni (questa è stata la stima) si sono ritrovati nella capitale brasiliana. Le giornate sono state però segnate da un brutto evento. Il 10 aprile, durante una marcia programmata («A resposta somos nós», la risposta siamo noi), la polizia (sia quella nota come legislativa sia quella militare) ha attaccato un gruppo di indigeni, colpiti con gas lacrimogeni e spray al peperoncino. Le autorità hanno accusato i manifestanti di aver tentato di occupare spazi non autorizzati. Gli organizzatori hanno respinto l’accusa, replicando che si è trattato di un atto deliberato della polizia. Il fatto è riuscito a sviare l’attenzione pubblica dalle questioni poste dai popoli indigeni, evidenziando nel contempo il pesante clima anti indigeno vigente nel paese.

Tutto questo è stato raccontato anche nel comunicato finale dell’Apib, testo che si apre con un’affermazione e un’accusa incontestabili: «Noi indigeni siamo sempre stati qui! Abbiamo resistito all’invasione dei nostri territori e al genocidio perpetrato contro i nostri antenati e contro di noi per 525 anni». La conclusione è – invece – un grido, forse un po’ enfatico, ma sicuramente pieno di orgoglio e di speranza: «La nostra lotta è per la vita, per la Madre terra, per la Costituzione e per il futuro dell’intera umanità».

Paolo Moiola