Marzuk, il beniamino
Il 13 maggio 1903, arrivando al porto di Mombasa, Kenya, la terza spedizione dei Missionari della Consolata e la prima delle Vincenzine del Cottolengo ricevono un dono speciale: Selmi, Angior e Marzuk, tre piccoli schiavi appena liberati. Qui la storia del più piccolo.
La foto del bimbo in mezzo ai cavoli , non si sa bene se scattata per evidenziare quanto sia piccolo lui o quanto siano grandi i cavoli, pur apparsa più volte su questa rivista, mantiene sempre la sua innegabile simpatia. E come ogni foto di oltre cento anni fa, porta in sé una storia.
Il bambino dei cavoli, presto battezzato Giacomino in onore del canonico Giacomo Camisassa, aiutante e amico del beato Giuseppe Allamano, si chiama Marzuk (che significa il beniamino) e ha più o meno quattro anni quando schiavisti somali provenienti dal Benadir (zona della Somalia vicino a Mogadiscio, allora colonia italiana) lo rapiscono dal suo villaggio nel sud dell’Etiopia per venderlo nella penisola arabica. Con lui sul dhow (la grande barca a vela tipica di quei mari) ci sono altri due bambini un po’ più grandicelli, Selmi e Angior, e diverse ragazze.
Ma quel dhow non arriva in Arabia: una cannoniena italiana che pattuglia l’Oceano Indiano per bloccare i negrieri, infatti, lo intercetta e libera tutti gli schiavi. Emilio Dulio, governatore del Benadir, affida i tre bambini al cavalier Giulio Pestalozza (1850-1930), console italiano a Zanzibar (da cui dipende Mombasa) che li tiene per oltre un anno, ma poi, dovendo rientrare in Italia per fine servizio, li consegna a padre Filippo Perlo, giunto a nella città portuale per accogliere la terza spedizione di missionari della Consolata (quattro preti, uno studente di teologia e un fratello) e la prima delle suore Vincenzine del Cottolengo (otto in tutto), arrivate a Mombasa il 13 maggio 1903.
Dal porto i nuovi arrivati raggiungono in treno la casa procura nel villaggio di Limuru, la prima stazione dopo Nairobi e la più vicina (si fa per dire) alla missione di Fort Hall (in seguito Murang’a) dove è in costruzione la casa per le suore.
Il 31 maggio è la festa di Pentecoste. È l’occasione ideale per battezzare il piccolo Marzuk. Padre Filippo Perlo scatta prima una foto dei tre nei loro abiti da «schiavetti» (foto qui sotto) e poi fa rivestire il suo figlioccio e gli altri due con un bell’abito battesimale bianco.
Quel giorno Marzuk diventa Giacomino, mentre gli altri due, di 8 e 9 anni, continuano la loro preparazione catechistica per essere battezzati più avanti a Murang’a con i nomi di Giuseppe (come l’Allamano) e Agostino (come il cardinal Richelmy di Torino).
Le suore, a fine giugno, entrano finalmente nella loro nuova casa, costruita secondo le regole di sicurezza imposte dagli inglesi. I tre ragazzi vanno con loro, e Giacomino diventa davvero il «beniamino» di tutti. Sveglio, svelto e intelligente, parla l’italiano e anche un po’ di piemontese che ha imparato dalle suore ancora prima del kikuyu e dell’inglese. Attivo e attento, si presta ai piccoli servizi, recita le poesie nelle feste e si fa benvolere da tutti. La foto con i due cavoli è rivelatrice della sua simpatia contagiosa.
Crescendo, mentre i suoi due compagni mettono su famiglia, Giacomino, che nella casa serve come «boy» (domestico) con salario, seguendo una profonda ispirazione interiore, comincia invece a esprimere il desiderio di mettersi al servizio del Signore e della missione come sacerdote. Così nel 1917, quando monsignor Filippo Perlo inizia il primo nucleo di seminario, lui è tra i primi a esservi accolto. Tra il 1920 e il 1927 fa i suoi studi filosofici e teologici nel seminario sant’Agostino a Nyeri e viene ordinato sacerdote con Tommaso Kemango, il primo sacerdote kikuyu, il 5 febbraio 1927 (foto a inizio testo).
Dal 1927 al 1950, don Giacomino serve come sacerdote diocesano nelle missioni di Gaichanjiru, Kianyaga e Ngandu nel vicariato di Nyeri. Intanto matura in lui il desiderio di diventare missionario. Il 6 aprile 1950 scrive a padre Domenico Fiorina, superiore generale dei Missionari della Consolata: «Da quando ero giovane sacerdote sentivo la vocazione di farmi religioso, cioè sacerdote della Consolata…».
Ottenuto il consenso, padre Giacomino Camisassa Díma Irma (così si firma nella lettera), il 18 giugno 1950 inizia il noviziato alla Certosa di Pesio (Cuneo), che lascia presto per il troppo freddo, e il 19 giugno 1951, a Roma, emette i primi voti come missionario.
Tornato in Kenya, per quasi trent’anni lavora nelle missioni della diocesi di Nyeri, fino a quando l’8 agosto 1979 il Signore lo chiama alla festa dei servi fedeli. Marzuk, il beniamino, ora conosce davvero l’Amore più totale.
Gigi Anataloni