Padre Luca Bovio, missionario della Consolata in Polonia, ha compiuto diversi viaggi nel Paese in conflitto dall’inizio dell’invasione russa. Ogni volta per portare tutto l’aiuto che gli è possibile, anche grazie alla generosità di molti amici della Consolata.
A inizio novembre è stato a Fastow, vicino alla capitale Kiev, e a Kherson, sul fronte Sud della guerra.
«Ti auguro la pace dal cielo», è il saluto che spesso ci si scambia in Ucraina salutandosi alla fine di un incontro.
È un augurio con un significato concreto: ti auguro che nessun missile o drone cada dal cielo. In tempo di guerra, è un augurio essenziale.
Ma è anche un’invocazione: il Signore che sta nei cieli ci aiuti ad avere la pace.
Dal marzo 2022, quando compimmo il nostro primo viaggio nell’Ucraina invasa dalla Russia, siamo tornati nel Paese diverse volte. I Missionari della Consolata e la Chiesa polacca non smettono di portare il loro aiuto alle popolazioni colpite dal conflitto.
In questi ultimi mesi siamo tornati in Ucraina diverse volte. L’ultima pochi giorni fa. Un viaggio iniziato nella comunità dei Domenicani a Fastow, non lontano dalla capitale Kiev, proseguito a sud fino alla città di Kherson e conclusosi con il ritorno a Kiev.
A Fastow c’è una vivace comunità di Domenicani impegnati non solo nel guidare la parrocchia locale e alcune chiese limitrofe, ma anche, con l’aiuto di numerosi volontari, in molte opere sociali.
Tra queste, l’accoglienza di bambini che qui possono stare sotto un tetto sicuro e caldo, e ricevere istruzione.
Poco lontano è stato aperto un centro di riabilitazione con una nuova cappella benedetta domenica 3 novembre dal Nunzio apostolico.
Dopo aver partecipato alla giornata di festa, allietata anche da diversi cori, tra cui un coro di giovani non autosufficienti e un gruppo musicale di soldati, ci siamo diretti ancora una volta nella città di Kherson, posta a sud del Paese, sulla riva occidentale del fiume Dniepr.
In questi giorni la città celebra il secondo anniversario della liberazione, avvenuta l’11 novembre del 2022, quando, dopo una breve occupazione russa, è ritornata sotto il controllo ucraino.
Da quel momento non si può dire che la città viva in pace, anzi di fatto è un fronte di prima linea. Il fiume, in questo momento, determina il confine naturale tra i due eserciti: gli ucraini a ovest, i russi a est.
Le condizioni di vita in questo luogo sono difficili a motivo dei continui lanci che da una sponda all’altra si scambiano gli eserciti giorno e notte.
La città che contava quasi 300mila abitanti prima dell’invasione, si è vista ridotta a 30mila. Oggi si assiste a un timido ritorno, e oggi si calcola che in città vivano circa 70mila abitanti. Alcuni, infatti, nonostante il pericolo, hanno deciso di tornare non avendo la possibilità di vivere per un lungo periodo da altre parti.
Don Massimo con il suo vicario, anche lui don Massimo, e un catechista che vive con loro, Sergio, stanno nell’unica parrocchia latino cattolica della città, dedicata al Sacratissimo Cuore di Gesù, posta non lontano dalla riva del fiume.
Sono impegnati a tenere viva la piccola comunità cristiana che ogni giorno si ritrova nella chiesa per celebrare la santa Messa, ma anche nel distribuire aiuti umanitari.
Don Massimo si reca quasi ogni giorno nei villaggi attorno alla città per portare acqua potabile. Qui l’acqua è abbondante nel sottosuolo, tuttavia, a motivo della guerra, le falde sono inquinate. Le esplosioni di magazzini di fertilizzanti usati dai contadini hanno causato un doppio danno: la perdita dei concimi e l’inquinamento delle falde.
La fonte di acqua che si trova sotto la parrocchia è ancora pura, e con essa viene riempita una cisterna di 1000 litri che va settimanalmente nei villaggi.
Al mattino, passando i vari check point dei militari, arriviamo nel piccolo villaggio di Sloneczne dove lasciamo la cisterna.
Da Sloneczne ci dirigiamo verso la città e visitiamo la nuova lavanderia che i Domenicani hanno aperto affidandola ad alcune donne del posto.
Da poche settimane qui sono messe a disposizione 10 lavatrici e 10 asciugatrici dove chiunque, soldati compresi, possono gratuitamente lavare i panni.
Nel pomeriggio ritorniamo a visitare il piccolo ospedale di Bylozerka, per consegnare i medicinali che abbiamo portato.
Ritroviamo la giovane chirurga Natalia, l’unica rimasta a lavorare qui. È molto contenta di ricevere i medicinali che portiamo. Le condizioni di lavoro in questo piccolo ospedale che serve una grande regione, sono molto difficili. Ogni giorno il villaggio, e, a volte, l’ospedale stesso, sono colpiti dai droni o dall’artiglieria russi.
I segni delle esplosioni sono visibili. Tutte le finestre sono coperte con i sacchi di sabbia per attutire i colpi.
Delle quattro ambulanze disponibili prima della guerra, ne è rimasta una sola. Le altre sono state tutte distrutte.
Purtroppo, ha perso la vita anche una equipe medica che era a bordo di una di esse. Ultimamente è stata distrutta anche la caldaia dell’ospedale.
I medicinali che consegniamo erano esauriti. Tra questi, ci racconta Natalia, mancano anche gli antidolorifici. L’incontro con lei è breve. La stessa dottoressa ci incoraggia a tornare in città perché fra poco calerà il sole e potrebbero di nuovo iniziare le esplosioni.
Una volta tornati, riusciamo a fare ancora una breve passeggiata nei dintorni della Parrocchia in una città completamente al buio. I parchi sono tutti chiusi, ed è pericoloso attraversarli. Tra le foglie abbondanti che coprono i giardini e i marciapiedi in questa stagione autunnale, sono mischiate alcune mine a forma di foglia lanciate dai droni, pericolose perché difficili da riconoscere.
Notiamo la presenza di tanti cani randagi che girano per le strade deserte. Soprattutto nelle ore serali. È meglio evitarli. Il loro abbaiare è l’unico suono che si sente nel profondo silenzio di questa citta, alternato solo dai rumori degli spari che rimbombano da lontano.
Finita la visita a Kherson, torniamo a Kiev e da lì di nuovo in Polonia. Pensiamo che, nonostante la lunghezza del conflitto e la stanchezza che tutti sentiamo di avere, in primis coloro che abitano in Ucraina, la situazione richiede ancora molta preghiera e molto aiuto. E affidiamo questo Paese all’intercessione del nostro santo fondatore Giuseppe Allamano.
Luca Bovio, Imc
E l’Est è venuto da noi
Da quindici anni in Polonia per l’animazione missionaria e per «guardare a Est», dallo scorso 24 febbraio (2022) padre Luca Bovio si trova coinvolto nell’emergenza Ucraina. Prima nell’accoglienza dei profughi, poi in una rete di solidarietà che porta sollievo alla popolazione in guerra e offre una testimonianza di pace.
«È stata come un’ondata. In pochissimi giorni sono arrivate in Polonia prima centinaia, poi migliaia di persone». Padre Luca Bovio, missionario della Consolata milanese, classe 1970, in Polonia dal 2008, ci racconta in collegamento da Varsavia l’inizio del conflitto in Ucraina dal suo punto di osservazione polacco.
«Giorno dopo giorno i numeri crescevano. Il telefono ha preso a squillare non stop.
Un giorno mi chiama una donna, appena entrata in Polonia. Parla ucraino. Io dico che non capisco, allora mi passa un volontario che traduce: “Guardi, questa signora con figli ha avuto il suo numero dall’Italia. Le vuole chiedere se può chiamare sua sorella, per dirle che sono arrivati in Polonia, che sono salvi”. Allora chiamo l’Italia. La donna che risponde, alla notizia si mette a piangere per la gioia. Poi mi dice: “Padre, però adesso mi dovete aiutare a farli arrivare a Milano”.
In quel momento tutti gli ucraini avevano i mezzi pubblici gratuiti. Mi viene in mente che a Cracovia ho un amico parroco che ha vissuto in Ucraina e ora sta vicino alla stazione. Lo sento: “Dario, per favore, puoi accoglierli tu?”.
Così la famiglia arriva a Cracovia. Don Dario scrive il loro nome su un cartello per trovarli tra le migliaia di persone che scendono dal treno. La famiglia lo vede, e lui li accoglie nella sua canonica.
Siamo nella prima ondata, loro devono arrivare in Italia, ma non hanno nessun documento. Allora chiamo l’ambasciata italiana a Varsavia che li aiuta. Li facciamo venire a Varsavia. Ricevono il visto. Sono contentissimi. Però, scopriamo che il volo costa 1.500 euro. In quel momento c’è un volontario accanto a me. Sentendo la storia dice: “Non preoccuparti, glielo pago io”. Ha preso i biglietti, e la famiglia quella sera stessa è arrivata a Milano».
Missione in Polonia
Padre Luca, prima di raccontarci l’ultimo anno segnato dalla crisi ucraina, parlaci della tua missione in Polonia.
«Io ho fatto parte del primo gruppo dei Missionari della
Consolata arrivati nel paese nel 2008. Siamo da quindici anni in Polonia, da dieci a Kiełpin, nella cittadina di Łomianki, a pochi km a Nord Ovest di Varsavia.
Nel 2022 abbiamo aperto una seconda comunità a Białystok, una città di 300mila abitanti a 50 km dal confine bielorusso.
La nostra presenza qui è legata all’animazione missionaria, cioè al tentativo di avvicinare la chiesa polacca alla missione e la missione alla Polonia.
Lo facciamo in molti campi, ma in particolare collaborando con le pontificie opere missionarie (Pom) polacche di cui io sono segretario nazionale. Questa struttura ci aiuta a entrare nella chiesa locale e nazionale, a presentarci come missionari e quindi a creare link, collegamenti a diversi livelli: ad esempio, formativo, spirituale, predicando nelle chiese, incontrando fedeli, giovani, seminaristi, ma anche a livello caritativo attraverso i tanti progetti che la chiesa polacca sostiene nel mondo intero, soprattutto nelle comunità Imc in Africa e Asia».
Come sono composte le vostre due comunità?
«A Kiełpin siamo in quattro: io, padre Noé Moreno, mozambicano, arrivato poche settimane fa dall’Italia, e due seminaristi, Lucien Sakimato del Congo, e
Titus Maina del Kenya. Fin dall’inizio è stato con me anche padre Ashenafi Abebe, etiope, che da gennaio è a Roma.
A Białystok ci sono due giovani missionari: padre Juan Carlos Araya Carmona, argentino, e padre Ditrick Sanga, tanzaniano.
La nostra comunità interculturale colpisce molto qui in Polonia, dove la presenza di stranieri è piuttosto limitata. Siamo in sei, di sei paesi diversi e tre continenti.
La nostra semplice presenza, penso parli molto più di quanto possiamo dire dall’ambone.
Il nostro auspicio è di dare una testimonianza di fraternità, mostrare il volto di una chiesa universale».
L’Ucraina
Nell’ultimo anno hai fatto quattro viaggi in Ucraina, ma la prima volta ci eri stato nel 2018. In un tuo articolo su quell’esperienza hai scritto: «L’Ucraina è il paese che offre più opportunità per approfondire la conoscenza dell’Est e allacciare nuovi contatti».
«L’Imc ci ha mandati in Polonia con due obiettivi: quello dell’animazione missionaria, e poi quello di “guardare a Est”. In una prospettiva futura, nei tempi che il Signore conosce, da questa base polacca si potrebbe fare un passo ulteriore verso l’Europa orientale. Questo giustifica i viaggi che ho fatto negli anni passati in Bielorussia, nelle repubbliche baltiche e in Ucraina.
Nel 2018 sono stato a Leopoli, la prima città importante oltre il confine a Sud. È una città con molti elementi linguistici e culturali polacchi.
La guerra era già iniziata quattro anni prima: in Donbass nel 2014. Infatti, ricordo diverse chiese con foto di soldati sugli altari.
Scrivevo quelle parole nel mio articolo perché l’Ucraina ha tanti punti storici, culturali e religiosi comuni con la Polonia, molte potenzialità su cui lavorare.
Ora, è successo quello che non avremmo mai immaginato: noi volevamo andare a Est, e l’Est è venuto da noi».
A Leopoli nel 2018 hai trovato una chiesa molto «polacca».
«I cattolici in Ucraina sono una netta minoranza rispetto alla cristianità presente nel paese: la chiesa ortodossa nella sua totalità e nelle sue diverse espressioni è maggioritaria. Poi ci sono i greco cattolici (ortodossi, ma in comunione con Roma).
Il cattolicesimo, in effetti, è presente in Ucraina soprattutto attraverso la chiesa polacca».
24 Febbraio 2022
Ci racconti i primi giorni dell’aggressione russa?
«Sono stati sconcertanti. Nessuno si aspettava un attacco su scala così grande.
In pochissimi giorni sono iniziate ad arrivare in Polonia decine di migliaia di persone. Oggi si contano un milione e mezzo di profughi ucraini registrati. Chi è arrivato non ha trovato resistenze qui in Polonia. Mi ha colpito l’empatia di tantissime famiglie semplici che si sono date da fare per accogliere.
Ricordo immagini molto forti: treni carichi di persone, file di donne e bambini che aspettavano. Sono stato al confine a fine marzo, e i volontari raccontavano che gli ucraini stavano tre o quattro giorni in attesa, a piedi, nel freddo, prima di poter entrare in Polonia. C’erano donne che partorivano in coda.
Dall’altra parte vedevi polacchi che arrivavano al confine con pulmini o auto e mettevano fuori un cartello: “Varsavia, 5 posti”, “Danzica, 15 posti”, per portare i rifugiati a quelle destinazioni. Oppure mamme e papà polacchi che portavano i propri passeggini alla stazione. Li lasciavano lì per chi ne aveva bisogno. Ho visto una solidarietà straordinaria.
In questo contesto, la parrocchia di Łomianki con cui collaboriamo è stata una delle prime ad accogliere, anche grazie agli ucraini residenti qui da tempo (quella ucraina è la più grande comunità straniera in Polonia: prima della guerra contava già un milione e mezzo di persone, ndr).
In poche settimane sono arrivate nella cittadina, che conta meno di 30mila abitanti, più di 2.500 ucraini, tutti ospitati dalle famiglie nelle proprie case».
Anche voi avete ospitato in casa vostra. C’è qualche storia che ti è rimasta impressa?
«Una è quella di Piotr, un papà con una figlia di 12 anni, provenienti dal Donbass. È una storia particolare, perché quasi tutte le famiglie che arrivano sono composte da donne con figli, dato che gli uomini non possono uscire dal loro paese.
Lui era un professore. È stato in casa da noi per tre settimane.
Ci ha raccontato la sua storia: la suocera, anziana e invalida, non può scappare. Allora lui e la moglie prendono la difficile decisione: la moglie dice, “io rimango con mia mamma, tu prendi nostra figlia, vai in Polonia e poi da mia sorella in America”. Lui e la figlia prendono un taxi. Tra un bombardamento e l’altro arrivano al confine. Ma lui teme che non lo facciano passare. Tanto che scrive il numero di telefono sul braccio della figlia nel caso li separino.
Prima di partire, lui e la moglie hanno firmato un documento nel quale spiegano la loro storia.
I soldati, leggendo, capiscono e li lasciano passare.
Ora sono negli Usa. Ricordo bene la bambina. Era veramente triste. Non esprimeva emozioni. Parlava solo con il papà».
La vostra azione di aiuto e accoglienza è stata sostenuta anche dall’Italia, vero?
«Fin dall’inizio, in molti, singoli, parrocchie, gruppi, comunità Imc, in Italia ed Europa, si sono messi in moto per mandare aiuti: denaro, cibo, medicinali, vestiti.
Molte persone si sono messe in viaggio per dare una mano. Penso, ad esempio, a Clara da Torino. Un’infermiera che ha preso un mese di ferie per stare qui con noi; ma anche a una dottoressa dal Sudafrica, e poi un torinese che lavora in Canada.
Tra i tanti gruppi, mi viene in mente l’associazione Eskenosen, fondata da Mauro Magatti e Mino Spreafico: per l’inverno hanno lanciato la campagna “Scaldiamo Charkiv” (città a Est, poco distante dal confine russo), raccogliendo fondi per fornire stufe alle abitazioni. Hanno lavorato bene, e la risposta è molto buona. Poi, come fanno anche altri gruppi, hanno accolto molti ucraini con progetti di inserimento nel territorio in Italia.
Ecco, una cosa importante che non ho ancora detto è questa: attraverso di noi, tante persone sono arrivate in Italia e in altri paesi (cfr. MC 10/2022, ndr). Questo fa parte del nostro
“essere link”, così come succede quando ci sono gruppi che raccolgono aiuti, ma poi non sanno a chi darli. Grazie alla rete di contatti che noi abbiamo in Ucraina possiamo garantire che tutti gli aiuti arrivano sul posto».
Com’è andata dopo le prime settimane di emergenza?
«Il flusso di ucraini in arrivo e le presenze hanno iniziato a diminuire. Molti lasciavano la Polonia per andare in altri paesi, o per tornare in Ucraina. Le persone rimaste hanno cercato un po’ di autonomia iniziando a lavorare.
La pressione si è allentata e allora la nostra attenzione si è spostata dall’emergenza qui in Polonia all’Ucraina».
Tra le persone accolte c’erano anche africani.
«Sì. Città come Leopoli, Kiev, Charkiv, sono città universitarie con molti studenti stranieri. Con lo scoppio della guerra sono usciti dal paese anche loro.
A Łomianki abbiamo avuto una famiglia nigeriana, due giovani con una bimba piccola. Lei era incinta. Sono stati ospitati dai nostri vicini di casa per qualche settimana. Ora sono in Germania».
E famiglie miste ucraine-russe.
«Sì: il tessuto sociale dei paesi ex sovietici prevede questo “mescolamento”. Non sorprende che in molte famiglie ci siano genitori, nonni o bisnonni di una o dell’altra nazione.
Questa condizione delle famiglie rende ancora più difficile la comprensione del conflitto».
I viaggi
Nell’ultimo anno hai fatto quattro viaggi in Ucraina.
«Esatto. Nel primo viaggio a fine marzo siamo stati sul confine. Siamo entrati in Ucraina a piedi, per metterci in coda con i migranti in attesa di passare in Polonia e per ascoltare i volontari.
Era la fase in cui iniziavamo a spostare gli aiuti verso l’Ucraina.
Vicino all’ufficio delle Pom dove presto il mio servizio, c’è un altro ufficio che si occupa degli aiuti per la chiesa polacca che si trova nei paesi dell’Est. Il suo direttore, don Leszek Krzyża, conosce bene l’Ucraina. Per cui, in forza della nostra amicizia, abbiamo messo assieme i suoi tanti contatti nel paese con i molti aiuti che riceviamo noi missionari dall’Italia e da altrove.
I viaggi li abbiamo fatti assieme io e lui per capire a chi portare gli aiuti, cercando di non concentrarci in un solo luogo, ma di rispondere a tante richieste che arrivano da tutto il paese.
Nel secondo viaggio, a luglio, siamo arrivati a Kiev, visitando tra l’altro anche quei luoghi come Bucha in cui sono avvenuti dei massacri. È stata un’esperienza molto forte che mi ha fatto toccare con mano la crudeltà di questo conflitto.
Anche a novembre siamo tornati a Kiev, e poi, da Kiev siamo andati a Charkiv, la seconda città per grandezza dell’Ucraina, a soli 30 km dal confine russo.
Lì ho visto il senso di insicurezza che la popolazione vive costantemente. Sono sempre sotto attacco. Per questo motivo la città è sempre al buio, al pomeriggio spengono tutte le luci per non dare riferimenti visibili a russi.
I viaggi hanno lo scopo di incontrare le persone alle quali mandiamo gli aiuti. Attraverso la collaborazione con i vescovi locali in Ucraina, con i direttori delle Caritas, con religiosi e religiose, laici, persone che vivono sul posto, siamo in continuo contatto con le esigenze della gente.
Per l’inverno, una stagione già difficile di per sé, e resa ancora più difficile dai bombardamenti sulle centrali elettriche, uno dei nostri obiettivi è stato quello di portare generatori, pannelli di legno per chiudere le finestre rotte delle abitazioni, vestiti.
Con l’ultimo viaggio di gennaio, abbiamo iniziato ad andare anche più a Sud, per aiutare posti come Odessa, Mykolaiv, Kherson. Quest’ultima è stata liberata a novembre, ma è ancora sotto attacco da parte dei russi. Quindi vive una situazione umanitaria difficilissima. Anche lì cerchiamo di far arrivare tutto ciò che può portare un po’ di sollievo».
La chiesa in Ucraina si sta dando molto da fare.
«Sì, è una testimonianza davvero bellissima e coraggiosa: religiosi, diocesani, suore, laici, famiglie. Molti sono di origine polacca, ma hanno deciso di restare. Sono sempre lì, notte e giorno, e rischiano la vita: a fine gennaio, ad esempio, un sacerdote e una suora della Caritas di Charkiv sono stati feriti mentre portavano aiuti in un villaggio vicino al confine.
La loro è la testimonianza di una chiesa che non scappa, non è lontana, non si perde in parole, ma, nella concretezza di questa realtà, offre sostegno».
Durante i viaggi hai avuto modo di parlare della guerra con molte persone.
«Parlo con molti. Non capiscono il perché del conflitto, sono stanchi. La speranza è che finisca presto, ma che finisca con un’integrazione delle componenti russe e ucraine, non con la separazione. La guerra non unisce, separa. Quello che si spera invece è che, finita la guerra, inizino dei percorsi di riconciliazione. Perché altrimenti non ci saranno i presupposti per far durare la pace. Basterà un fiammifero per far scoppiare un altro problema».
Sfide inattese
Tu come hai vissuto questo impegno non previsto?
«La vita missionaria offre sempre sorprese inaspettate. Mai avrei immaginato di trovarmi in una situazione del genere. Però, di fronte a queste sfide cerco di rispondere dicendo eccomi, mi metto in gioco, quel poco che posso fare, lo faccio volentieri.
È un’esperienza che porterò per sempre con me nella mia vita di missionario».
Questa esperienza dell’Imc in Polonia cosa può dare al resto dell’istituto?
«Un istituto ad gentes risponde alle sfide che il mondo gli mette davanti, e credo che il nostro lo stia facendo, pur con tutte le sue fatiche e contraddizioni. In tutto il mondo, siamo in posti sfidanti. Non soltanto in Ucraina. Quello che vivo io in rapporto all’Ucraina, lo vivono tanti miei confratelli in altri contesti.
Sicuramente il tema dell’Est Europa, cruciale già oggi per il mondo intero, in futuro lo sarà sempre di più. Quindi credo che, se come Missionari della Consolata vogliamo essere sulle frontiere di quello che sta accadendo, sulle sfide più impegnative, non possiamo non esserci anche in questo contesto.
Un sogno dell’Imc è di fare un passo ulteriore a Est.
Ora si sta realizzando in questa forma. Vedremo in futuro quali saranno gli ulteriori possibili passi che si potranno fare».
Luca Lorusso
Aiuti alla gente di Zaporizia
E preparativi per l’inverno a Charkow
Carissimi tutti,
un caro saluto e un doveroso ringraziamento per il continuo sostegno che continuate a dimostrarci. Dopo il viaggio che ho fatto questa estate in Ucraina e di cui vi ho relazionato, continuiamo a organizzare i progetti di aiuto sia per profughi sia per le persone che vivono nelle zone in cui ancora si combatte. Se le temperature estive facilitavano relativamente le condizioni di vita, l’arrivo imminente dell’autunno e ancor piu dell’inverno, rendono più complicata una situazione che di per sé è già molto difficile. Come sapete dai mass media il conflitto in Ucraina continua senza pause e sconti da mesi, anzi in alcune zone da anni (dal 2014). Tutti purtroppo sono concordi con il fatto che durerà ancora a lungo.
Aiuto ai frati francescani
In queste settimane siamo impegnati in diversi progetti di sostegno, molte infatti continuano ad essere le richieste di aiuto che riceviamo. Nei pressi di Zaporizia (o Zaporizhzhya), la località di cui molto si parla a motivo della presenza della piu grande centrale atomica europea messa a rischio dai continui attacchi, una comunità di frati francescani (Albertini) di origine polacca distribuisce quotidianamente più di mille pasti alla popolazione locale. Il loro sforzo è grande e la preoccupazione maggiore è quella di garantire le scorte alimentari per un lungo periodo e per un numero così grande di persone. Pochi giorni fa siamo riusciti a spedire loro un buon carico di scatolame a lunga conservazione aquistato in Polonia e già giunto sul luogo. Siamo già d’accordo di ripetere l’acquisto a ottobre.
Pannelli di legno per Charkow
Charkow, la seconda città per grandezza a poche decine di chilometri dal confine russo, è sotto bombardamento ininterrotto dallo scorso febbraio. Le notizie e le immagini che riceviamo dal direttore locale della Caritas, don Wojtech, sono eloquenti. Uno dei tanti progetti di aiuto specialmente con l’arrivo delle basse temperature, consiste nell’acquisto di pannelli di legno che possono sostiutire le finestre della case rotte per la deflagrazione delle esplosioni. Sono molto numerosi gli edifici colpiti. Spesso le onde durto dell’esplosioni distruggono i vetri delle finestre delle abitazioni. Per questo motivo viene messo del nastro adesivo sulle finestre ancora sane, per contenere dopo un eventuale esplosione le schegge che arriverebbero dappertutto. I pannelli di legno sono un’economica alternativa che proteggono minimamente dal vento e dalle precipitazioni di pioggia o di neve le abitazioni colpite. Sempre in questa città stiamo acquistando dei generatori di corrente elettrica indispensabili negli ospedali.
In questo contesto, i tentativi e gli sforzi di vivere e di ritornare a una certa normalità non mancano. Nella stessa città di Charkow, così come altrove, i bambini, con l’inizio del nuovo anno, ritornano nelle scuole o perlomeno in luoghi sicuri dove si possono tenere delle lezioni. Abbiamo ricevuto la richiesta per l’acquisto sul luogo di circa 300 zaini scolastici.
Grazie per l’aiuto
Questi sono solo alcuni esempi di progetti che attualmente stiamo organizzando, senza dimenticare l’aiuto costante dato alle famiglie che ormai da mesi risiedono vicino a noi qui in Polonia. Prevedo di recarmi in Ucraina all’inizio di novembre per poter portare ancora aiuti e per continuare a testimoniare una realtà che speriamo tutti, finisca al piu presto. Grazie di cuore a nome dei numerosi beneficiari per tutto quello che fate. Che il Signore vi benedica e ci renda suoi strumenti di pace. Perghiamo per la pace costruiamo la pace.
padre Luca Bovio IMC Kiełpin 10.09.2022
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Ucraina. Un balcone verde speranza a Borodjanka
Note di viaggio in Ucraina (18-22 luglio 2022)
Nella città di Borodjanka nella periferia di Kiev, c’è un piccolo balcone di un appartamento appena ristrutturato di colore verde all’ultimo piano di un edificio. Lo si nota perché il resto del palazzo che lo comprende è semidistrutto a causa dei pesanti bombardamenti avvenuti qui pochi mesi fa. Il balcone si fa notare come l’unica cosa normale attorno alla quale c’è solo distruzione. Questa immagine mi ha accompagnato durante il viaggio che ho compiuto nel centro dell’Ucraina per qualche giorno.
Ho condiviso il viaggio con un sacerdote polacco, don Leszek Kryza, (profondo conoscitore del paese), con una sua giovane collaboratrice Rika, nata in Ucraina ma scappata anni fa a motivo della guerra, e con sr. Lucina, che lavora in Ucraina da più di 30 anni e che, trovandosi in Polonia, ha approfittato del nostro viaggio per tornare là dove lavora. Il nostro obiettivo era quello di portare degli aiuti economici oltre a tutto quello che potevano caricare nell’ampio bagaglio della macchina, cibo, medicine, ecc. e anche incontrare testimoni sul luogo e visitare luoghi colpiti dalla guerra.
Un viaggio di questo tipo richiede una grande elasticità nel fare i programmi, sempre pronti ai cambiamenti motivati dalle situazioni che possono improvvisamente presentarsi. In questi giorni di luglio il conflitto sta continuando in tutta la parte Est del paese e parte del Sud. Tuttavia, nel resto del paese dove si è combattuto prima, rimangono segni evidenti del conflitto, come edifici distrutti, macchine bruciate, mezzi militari abbandonati…
I check point sono un po’ dappertutto, soprattutto all’ingresso di ogni città dell’intero paese. Giovani militari osservano con attenzione ogni macchina che passa, talvolta chiedendo i documenti e controllando ciò che si trasporta.
A Kiev
L’impressione a Kiev è che la gente provi a ritornare a una normalità di vita tanto desiderata. Incontrando l’ambasciatore italiano, Pier Francesco Zazo, e quello polacco nelle rispettive ambasciate ascoltiamo i loro racconti. La popolazione di Kiev, stimata attorno a quattro milioni di abitanti, si è dimezzata a causa della guerra. Tuttavia, c’è un continuo arrivo di profughi dai luoghi dove avvengono i bombardamenti. Grande è l’impegno della Polonia e dell’Italia nel portare aiuti e nell’accogliere i profughi. Quello che noi facciamo come missionari è una piccola parte di tutta questa grandissima macchina della solidarietà che non deve fermarsi.
I negozi della città sono aperti, i mezzi pubblici viaggiano regolarmente, da poche settimane anche il carburante si può trovare nei distributori, pur potendone comprare con dei limiti. Verso il tardo pomeriggio la città va come spegnendosi. Infatti, durante la notte è in vigore il coprifuoco con il divieto assoluto di circolazione e di uscita dalle abitazioni; tutti devono stare nelle proprie case. La disobbedienza a questo può essere pericolosa per i trasgressori. Solo una notte ha suonato la sirena di allarme senza tuttavia nessuna conseguenza.
Diversi sono stati gli incontri con persone impegnate sul posto nella distribuzione degli aiuti umanitari. Qui i padri Oblati di Maria che sono i responsabili della Caritas a Kiev, hanno organizzato tra le tante cose una distribuzione del pane cucinato da loro stessi per i poveri senza tetto. Anche noi ci rechiamo a distribuire, lasciando anche aiuti per l’acquisto di un forno un po’ più grande che dovrebbe aumentare la quantità del pane prodotto. Lo stesso pane è distribuito anche dalle suore di Madre Teresa di Calcutta che visitiamo nella loro casa.
Incontri nel seminario
Nel seminario di Kiev incontriamo don Wojciech, direttore della Caritas a Charchów, la seconda città per grandezza a pochissimi chilometri dal confine con la Russia. La situazione là è ancora molto difficile. Da mesi si combatte senza sosta e ogni giorno si contano vittime anche e soprattutto tra i civili, tra questi anziani, giovani e bambini. Là beni come il cibo e i medicinali che arrivano con gli aiuti sono essenziali per la sopravvivenza di molte persone. Si guarda con preoccupazione al prossimo futuro, perché l’estate è breve e già con l’arrivo dell’autunno e poi dell’inverno la situazione, dal punto di vista umanitario, sarà ancora più difficile. A don Wojciech diamo una cospicua somma raccolta dai benefattori per provvedere alle emergenze sul posto.
Anche nel bel seminario diocesano di Kiev sono avvenuti a marzo esplosioni e saccheggi. L’edificio che si trova in una zona periferica della città è stato prima colpito da colpi di mortaio e poi occupato dai soldati russi che vi hanno qui abitato per una settimana, per poi abbandonarlo dopo averlo saccheggiato. I racconti che ascoltiamo dal padre spirituale Igor e dal vescovo Vitaliy Krivitskiy ci fanno capire bene cosa qui è successo. Durante lo scoppio del colpo di mortaio avvenuto nel cortile, le schegge hanno colpito l’edificio. Una di esse è passata dal vetro di una finestra e ha colpito una piccola statua della Madonna collocata su un tavolo. La testa della statua si è staccata. Tuttavia, esattamente una settimana dopo l’affidamento che tutta la chiesa ha fatto a Maria Santissima nel mese di marzo, tutti i soldati russi non solo hanno lasciato il seminario ma anche abbandonato il tentativo di invadere la città di Kiev, lì a due passi, ritirandosi a Nord. Da quel momento il seminario è diventato è un centro di distribuzione di aiuti per le famiglie locali.
Bucha
Dal seminario ci rechiamo lì vicino nella cittadina di Bucha tristemente famosa per il numero di civili uccisi, oltre 400. Incontriamo don Andrea un sacerdote ortodosso che vive nella chiesa dove sono state fatte le fosse comuni per seppellire inizialmente i defunti. Qui venne in visita a marzo anche il presidente dell’Unione europea Ursula Von der Leyer con il presidente Zelenski. Don Andrea ci spiega dettagliamene la cronaca di quei giorni mostrandoci anche filmati dal suo cellulare. Ha anche allestito una mostra fotografica all’interno della chiesa sulle atrocità qui commesse. L’esercito russo dopo aver per settimane provato a entrare a Kiev, non riuscendoci, aveva distrutto tutto quello che ha potuto, uccidendo in particolare i civili, per poi ritirarsi. Ci fermiamo a pregare in questo luogo.
Ancora a Kiev
La visita è stata anche un’occasione per conoscere la città di Kiev che mostra sia le decine di luccicanti cupole dorate delle chiese ortodosse che la famosa piazza di Maidan simbolo della resistenza ucraina nel cuore della città. Era il 2014 quando qui scoppio la rivolta arancione per protestare contro l’inizio del conflitto che ancora oggi continua. Lì vicino incontriamo il giovane Vescovo di Kiev, Vitaliy. Anche lui ci racconta quello che è avvenuto vicino alla cattedrale cattolica di san Alessandro, luogo di preghiera ma anche di rifugio per tantissime persone in cerca di riparo.
I mass media sono molto importanti non solo per l’informazione ma anche per raggiungere con la preghiera e la catechesi tante persone. Siamo stati invitati nella sede di Radio Maria Ucraina dove abbiamo commentato il Vangelo del giorno e poi celebrato la Messa. Qui lavora suor Lucina che ci ha anche ospitato nella sua comunità nel centro della città.
Rientro carico di memorie
Il viaggio di ritorno è stato impegnativo sia per la fatica sia per la pazienza che abbiamo dovuto dimostrare. Il viaggio ha richiesto più di 21 ore, di queste ben 10 trascorse alla frontiera. Le numerose macchine e i rigidi controlli ci hanno veramente sfiancato, ma tutto è andato bene e siamo tornati a Varsavia stanchi ma con una profonda consapevolezza di avere avuto il privilegio di ascoltare testimoni, di vedere luoghi e di portare in po’ di aiuto e di consolazione. Portiamo con noi non solo le immagini e i racconti della guerra, ma anche l’immagine degli sconfinati campi di girasole e di grano turco che ci hanno accompagnato durante il lungo viaggio. La bellissima giornata di sole ha fatto brillare gli sconfinati campi gialli di girasole e di frumento che con lo sfondo del cielo azzurro sono la base dei colori della bandiera ucraina.
Vorrei tornare qui a quel balcone della città di Borodjanka ristrutturato e di colore verde come la speranza: è il simbolo della ricostruzione che già inizia. In mezzo ai continui segnali di guerra e distruzioni che provocano sofferenza e ingiustizia, quel piccolo balcone verde è un segno visibile di una ricostruzione che già deve iniziare, simbolo di una ricostruzione ancora più profonda che deve avvenire nel cuore degli uomini, cuori feriti dall’orrore della guerra. Il balcone e all’ultimo piano dell’edificio, e per raggiungerlo occorre salire in alto… questa salita è un invito a salire e a rivolgere lo sguardo verso Colui che abita più alto ancora nei cieli, per invocare il dono della pace e chiedere umilmente perdono per la stupidità umana. Preghiamo per la pace, costruiamo la pace.
padre Luca Bovio imc
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Festa della Consolata da Kiełpin
Carissimi un caro saluto a tutti voi. Vi invito domenica 19 giugno alla festa della Consolata, nostra patrona tenerissima.
La festa di quest’anno che terremo a Kiełpin avrà un significato speciale.
Alcuni gruppi di ucraini desiderano ringraziarvi per la solidarietà che avete dimostrato.
Per questo organizzeremo una diretta su youtube (qui sotto trovate il link), attraverso il quale potrete collegarvi e seguire la santa Messa dal nostro giardino presieduta dal Nunzio apostolico S.E. Salvatore Pennacchio il quale alla fine benedirà i nostri volontari che questa estate partiranno per il Tanzania.
Appena finita la Messa, il coro di musica sacra ucraino (gli Angeli) terrà un concerto di ringraziamento per tutti voi, per il bene che avete condiviso.
All’inizio del concerto proverò a leggere in italiano una lista dei gruppi o dei volontari che in questi mesi hanno aiutato la causa ucraina attraverso la nostra comunità, sperando di non dimenticare nessuno di voi.
Un caro saluto a tutti. Buona festa con un ricordo.
Carissimi amici e benefattori un saluto a tutti voi
Dopo una pausa dall’ultima comunicazione vi aggiorno sulla situazione che ci vede impegnati tutti insieme ad aiutare coloro che sono colpiti dalla guerra in Ucraina.
Qui a Łomianki come del resto in Polonia siamo passati ormai ad una seconda fase dall’inizio del conflitto inziato quasi due mesi fa e purtroppo non ancora interrotto. Dopo l’ondata di profughi improvvisa e gigantesca che si faceva notare ovunque nel paese, direi che ora siamo passati a una gestione delle migliaia di persone giunte qui. Qualcuno (pochi) ha provato a rientare nel paese ricongiungendo la famiglia in Ucraina; invece, la maggior parte di donne e di bambini che vivono ormai da 2 mesi presso le famiglie o nei centri in cui hanno trovato alloggio, sono ancora qui tra noi.
Se per fortuna non si notano piu le folle di arrivi di donne e bambini alle stazioni dei treni, tuttavia nei centri di assitenza le code giornaliere sono sempre ben visibili, come capita nella parrocchia di Łomianki, dove ogni giorno continuiamo coi volontari a distribuire generi di prima necessità. Permettetemi di ringraziare molti di voi per le generose offerte che ci avete fatto avere, grazie alle quali possiamo quotidianamente comprare e nuovamente riempire gli scaffali del centro di aiuto della parrocchia, che rapidamente si svuotano.
Ringraziamo anche i volontari che da diverse parti del mondo hanno scelto di vivere nella nostra casa per aiutare in diversi modi, tra questi ricordiamo Clara un’infermiera di Torino, Kessie una dottoressa del Sud Africa e Adriano un volontario di origine italiana abitante in Canada.
Se la situazione in Polonia si puo definire in questo momento di gestione, lo stesso non si puo dire nella vicina Ucraina, dove purtroppo come ben sapete il conflitto continua con una cruenza e una violenza raccapricciante. Le notizie che ascoltiamo dai media e ancor piu le storie dei testimoni che incontriamo sono molto tristi. Per questo motivo stiamo sempre piu organizzando i nostri sforzi non solo qui sul posto ma anche inviando aiuti di vario genere in Ucraina soprattuto nelle zone occupate, escluse da ogni rifornimento.
Sono gia 4 i trasporti partiti, (e per grazia arrivati!) nell’Est del paese come nella zona di Charkow dove proseguono i combattimenti. In quei luoghi ogno genere di aiuti e visto come una manna dal cielo, perche il prolungare del conflitto ha ridotti ogni scorta nei magazzini. Un frate francescano mi ha detto che in quella regione dove abita, per fare benzina alla propria auto con l’aiuto di un amico, sono andati a fare rifornimento da un treno abbandonato che aveva ancor del carburante nel serbatoio. Queste perché i benzinai o sono esauriti i sono stati distrutti.
In questi giorni stiamo organizzando altre spedizioni nella regione di Zaporoze esattamente a Energodar dove si trova la centrale atomica piu grande di Europa. La città è stata occupata. Prevedo questa estate, se le condizioni lo permetteranno, di recarmi in Ucraina.
In questo momento è difficile fare delle previsioni. La situazione è ancora molto confusa e purtroppo non si vedono ancora spiragli per un cessate il fuoco. Una delle poche cose di cui si e sicuri che purtroppo si continuerà a lungo. Oltre a questo, una cosa che vediamo bene è il rischio che una volta terminata la guerra questa stessa continui nei cuori di molte persone che hanno subito violenza e sopprusi.
Per questo continuaimo a pregare per la fine della guerra chiedendo a Dio il dono della pace e continuando a costruiore pace attorno a noi.
Un saluto a tutti
padre Luca Bovio
Le foto sono da Charkow, in Ucraina. Sono le persone beneficiate dagli aiuti che abbiamo inviato.
A Medyka e Shehyni alla frontiera Sud Est tra Polonia e Ucraina
Carissimi tutti,
con questo 4 aggiornamento oltre a ringraziare tutti voi per la continua solidarietà concreta che state dimostrando in questa situazione, desidero condividere l’esperienza che ho fatto questa settimana recandomi in Ucraina.
Il viaggio è nato da una proposta arrivata da don Leszez Kryza direttore nazionale dell’Ufficio di aiuto alla chiesa in oriente, struttura appartente alla Conferenza episcopale polacca.
Dopo aver riempito completamente la macchina di beni di prima necessità, quali cibo e medicinali, siamo partiti all’alba di giovedì 31 marzo, in direzione della frontiera di Medyka a sud est della Polonia. Con noi si è unita Clara la volontaria infermiera che da settiane è con noi. Dopo cinque ore di viaggio in un clima che si è fatto improvvisamente invernale alternando la pioggia alla neve, arriviamo presso la frontiera.
Non sono tanti i mezzi che passano il confine dalla Polonia all’Ucraina; tuttavia, i tempi di controllo dei documenti sono lunghi, dovuto sia al controllo dei documenti sia al controllo della merce trasportata, entrando in un paese in guerra i soldati vogliono essere certi di cosa si trasporta.
La frontiera polacca la passiamo senza difficoltà, invece dalla parte ucraina siamo fermati a lungo, per la mancanza di un documento della nostra macchina che abbiamo solo in versione on line e non stampata. Dopo piu di tre ore di attesa, siamo costretti a rientrare in Polonia a motivo della mancanza di questo documento. Cambiamo il nostro piano. Decidiamo di lasciare gli aiuti trasportati presso la sala di una parrocchia dei francescani vicino alla frontiera, per essere già nei prossimi giorni di nuovo spedita oltre il confine con un altro trasporto.
Questo cambio di situazione ci porta alla decisione di entrare in Ucraina a piedi. Il controllo dei documenti dalla Polonia all’Ucraina avviene in modo sbrigativo anche se non siamo soli, alcuni rifugiati, non molti, ritornano. Ci spiegano che sono coloro che abitano vicino a questo confine in una zona meno bombardata di altre. Hanno i mariti che li aspettano nelle loro case e inoltre trovare lavoro in Polonia non è facile… Aiutiamo una giovane donna a portare due borse della spesa pesanti. È tutto quello che ha con sé. La soldatessa ucraina mi chiede cosa andiamo a fare in Ucraina. Le spiego il problema che abbiamo avuto poco prima con la macchina aggiungendo che vorremmo organizzare il passaggio dei beni. Fissandomi seriamente negli occhi per un momento fa poi un mezzo sorriso e ringrazia per quello che stiamo facendo. Sono parole che mi colpiscono perché dette da un soldato non sono per niente scontate.
Entrando in Ucraina notiamo dalla parte opposta una coda molto piu lunga di rifugiati che attendono di entrare in Polonia. Nella vicinanza delle frontiera da entrambi i paesi ci sono tante organizzazioni umanitarie, sono volontari provenienti da tutto il mondo: americani, spagnoli, portoghesi, ebrei, sono tutti giovani sorridenti che trasmettono un calore umano fatto di sorrisi di mille piccole attenzioni verso i profughi. Alcuni sono vestiti da clown come al circo per strappare un sorriso ai bambini che scappano dalla guerra. Altri si prestano con carrelli della spesa ad aiutare a portare i pochi bagagli dei profughi. Altri ancora offrono bevande calde, pasti, cioccolata… siccome la giornata è fredda e umida vengono distribuite delle mantelline per la pioggia che anche noi beneficiamo e si organizzano dei ripari dalla pioggie mista a neve che cade ininterrottamente, usando delle serre per fiori che qualcuno ha offerto. Ci sono anche delle stufe a gas come quelle che si trovano nei ristoranti all’aperto che riscaldano nelle immediate vicinanze.
Incontriamo un gruppo di volontari polacchi che hanno allestito un campo a fianco della frontiera, in Ucraina. Conosciamo Magdalena che fin dall’inizio è qui presente. Ci racconta che la situazione in questi giorni è meno pesante rispetto all’inizio; tuttavia, non c’è sicurezza e da un momento all’altro potrebbe di nuovo tutto precipitare a seconda degli sviluppi della guerra nel paese.
Solo da questa frontiera sono passate circa 700.000 persone (circa la capienza di 10 grandi stadi di calcio) su un totale di 2.700.000 che hanno varcato il confine con la Polonia.
I primi giorni sono stati i più drammatici. Magdalena ci racconta che i primissimi aiuti sono arrivati tutti da Ovest fermandosi in territorio polacco senza oltrepassare il confine. Ancora oggi lì ci sono decine e decine di tende di volontari. Molto meno se ne trovano ancora oggi dalla parte ucraina, dove ci sono le code piu lunghe di profughi.
Ci sono video che mostrano all’inizio del conflitto, code di oltre 30 km di macchine in attesa di passare il confine. Erano tra i pù fortunati perche stavano al caldo e seduti, al contrario della maggioranza di essi che aspettavvano all’aperto giorno e notte anche per tre e quattro giorni, per passare il confine. Anche se le pratiche burocratiche sono state semplificate l’ondata di profughi da smaltire è stata così grande che non lasciava alternative. Per scaldarsi durante la notte si bruciava tutto quel poco che si trovava compresi i vestiti non utilizzati. Ci sono stati, ci raccontano i volontari, anche casi di parti precoci a seguito dello stress e della stanchezza.
Avendo lasciato la macchina al di là del confine, verso sera ci rimettiamo in coda con i profughi per rientrare in Polonia. Ci colpisce molto la dignita di queste persone. Non sentiamo un lamento o una imprecazione. Ci si guarda solo negli occhi. Le storie che ci raccontano sono terribili e talmente crudeli che si fanno fatica a descrivere. Sono tutte persone che scappano dall’estremo est del paese, Mariopol, Charchowy, Donbas, Kiev…
Le uniche persone accompagnate dai volontari che accorciano le file sono solo alcuni anziani su carrozzine avvolti da coperte. Gruppi di persone poco nominate in questo conflitto, ma che rappresentano un altro lato debole della popolazione. Nessuno si lamenta di questo anche se la stanchezza e il freddo non aiutano. Dopo circa tre ore in fila ritorniamo in Polonia. A differenza dei profughi, abbiamo una macchina ad attenderci e un luogo sicuro dove ritornare. È notte fonda quando ritorniamo a casa presso la nostra comunità dopo quasi 24 ore di viaggio. Siamo stanchissimi, ma anche coscienti che abbiamo visto molto e come testimoni molto possiamo continuare a fare molto insieme a tutti voi. Dopo Pasqua probabilmente ci recheremo ancora in Ucraina questa volta per qualche giorno.
padre Luca Bovio IMC
I perdenti 24: Don Jerzy Popieluszko
Don Jerzy (Giorgio) Popieluszko nacque il 14 di settembre 1947 a Okopy, provincia di Bialystok, in Polonia. Dopo gli studi teologici fu ordinato sacerdote dal cardinale Stefan Wyszynsky il 28 maggio 1972 a Varsavia. Destinato alla parrocchia di San Stanislao Kostka, oltre al lavoro parrocchiale, cominciò a svolgere il suo ministero tra gli operai organizzando conferenze e incontri di preghiera aperti a tutti. Durante le giornate visitava gli ammalati e assisteva i poveri e gli emarginati della società polacca. Insieme a don Teofilo Bogucki celebrava delle messe mensili nelle cui omelie sviluppava ampie riflessioni commentando anche la drammatica situazione che in quegli anni viveva la sua amata patria.
Il 19 ottobre 1984 di ritorno da un servizio pastorale venne rapito nei pressi di Torum da tre funzionari del ministero dell’Interno che lo pestarono a sangue e infine lo uccisero. La sua tomba, che oggi si trova accanto alla chiesa di San Stanislao Kostka a Varsavia, è meta continua di pellegrinaggi di fedeli provenienti da tutta la Polonia e dal mondo intero.
Il 14 giugno 1987 il suo conterraneo papa Giovanni Paolo II, durante una visita in Polonia, ha pregato lungamente sulla sua tomba. Il 6 giugno 2010 è stato beatificato da Benedetto XVI.
Caro padre Jerzy, vorrei iniziare la nostra chiacchierata con una domanda un po’ scomoda: è vero che avevi un carattere piuttosto pepato, o sbaglio?
Sì, è vero. A 19 anni mi accusavano di avere un carattere e un atteggiamento «ribelle», nonostante fossi (credo) un buon seminarista. Certo per un prete nella Polonia comunista di quel tempo non era proprio un bel biglietto da visita. Pensa che durante il servizio militare (obbligatorio allora anche per i chierici studenti di teologia) le provarono tutte con lo scopo di «farmi cambiare idea», ma nonostante il continuo lavaggio del cervello a cui fui sottoposto non riuscirono a spegnere la mia vocazione né a piegare la mia ferma volontà di diventare sacerdote.
Fosti ordinato da quella splendida figura dell’Episcopato polacco che fu il cardinale Stefan Wyszy?ski, vero?
Venni ordinato sacerdote nel 1972 dal cardinal Wyszy?ski, il quale per alcuni anni mi incaricò di seguire la pastorale giovanile in diverse parrocchie della diocesi di Varsavia. Il fatto di dedicarmi totalmente ai giovani, di mettermi a totale disposizione soprattutto degli studenti universitari, avrei scoperto più avanti, lasciò una traccia indelebile nel loro animo negli anni della loro formazione e alla fine riuscii anche a stabilire con molti di essi un «filo diretto», che con il passare del tempo avrebbe dato i suoi frutti.
Insomma sia pur restando un prete scomodo e di poche parole, ti riscaldavi e ti trasformavi in testimone cristallino del Vangelo quando venivi a contatto con i giovani. Avevi la rara qualità di stabilire subito con loro un dialogo franco e leale che andava dritto al cuore.
Per questo mio modo di fare, nel giugno 1980 venni destinato alla parrocchia di san Stanislao Kostka come coordinatore della pastorale giovanile della zona sul cui territorio era impiantata la grande acciaieria «Huta Warszawa».
E fu proprio lì che la tua vita sacerdotale prese una direzione ben precisa.
Il 28 agosto di quell’anno il primate di Polonia cardinal Wyszy?ski, mi chiese di andare dagli operai dell’acciaieria in sciopero che chiedevano un sacerdote per la messa: di colpo mi trovai catapultato nella realtà dei metalmeccanici polacchi e dopo qualche tempo divenni il cappellano del sindacato Solidarno??.
La Provvidenza ti aveva dunque spalancato i vasti orizzonti dell’effervescente mondo operaio della tua terra.
Oltre a svolgere il lavoro parrocchiale mi ritrovai di colpo gomito a gomito con gli operai metalmeccanici, che con le loro richieste non solo salariali ma anche di una maggiore democrazia nel paese, erano l’autentica spina nel fianco del regime comunista polacco.
Quindi che strategia pastorale mettesti in atto per far fronte a questa nuova realtà?~
Incominciai organizzando conferenze, incontri di preghiera, assistendo con la mia presenza le famiglie degli ammalati cronici, facendo visita alle famiglie che avevano un loro congiunto in carcere e a quelle dei perseguitati politici. Insieme al mio parroco iniziai a celebrare mensilmente un’Eucaristia per l’amata patria polacca, che arrivò ad avere oltre un migliaio di persone: operai, intellettuali, artisti e anche gente lontana dalla fede.
Questo tuo andare «verso le periferie», il diventare «ponte» con tutte le categorie di persone della tua parrocchia non fece venire qualche sospetto alle autorità comuniste nei tuoi confronti?
Certamente, mi tenevano d’occhio, me ne accorsi subito perché di colpo aumentarono le telefonate anonime con frasi minacciose più o meno velate al mio indirizzo, venne persino gettato un ordigno esplosivo nella mia camera da letto, per fortuna mentre non ero in casa.
E gli operai dell’acciaieria «Huta Warszawa» e il sindacato Solidarno??, come reagirono a queste provocazioni del regime nei tuoi confronti?
Ci fu una stupenda risposta corale da parte degli operai che si organizzarono fra loro per offrirmi una scorta composta tutta da metalmeccanici volontari, che mi accompagnasse nei miei vari spostamenti.
Però eri anche spiato e seguito in ogni tuo movimento da persone di ben altro genere.
Ogni volta che mi muovevo da casa ero pedinato e ogni mio discorso, comprese le omelie, veniva registrato. Agenti in borghese si celavano tra quanti ascoltavano le mie prediche. Purtroppo (e questo mi fu causa di una profonda amarezza) tra i miei più fidati collaboratori, un sacerdote e ben quattro laici, sarebbero risultati informatori della polizia!
Eppure non una tua sola parola, e neppure un tuo singolo gesto, veniva preso come un invito alla ribellione alle autorità dello stato o una incitazione alla violenza.
Nelle mie omelie mi limitavo a chiedere per il popolo polacco il rispetto elementare delle libertà civili e, dopo la sua soppressione, il ripristino del sindacato libero Solidarno??. In più affermavo continuamente che, poiché ci era stata tolta la libertà di parola, era più che mai necessario ascoltare la voce del nostro cuore e della nostra coscienza per vivere nella verità dei figli di Dio e non nelle menzogne imposte dal regime comunista.
Con molta astuzia avevi elaborato per le tue omelie un linguaggio che arrivava dritto alle coscienze, secondo il detto evangelico «chi ha orecchie per intendere… intenda!».
Difatti non concludevo mai le «messe per la patria» senza chiedere ai fedeli di pregare «per coloro che sono venuti qui per dovere professionale», mettendo così in forte imbarazzo gli agenti del servizio di sicurezza che erano presenti al solo scopo di registrare le mie omelie.
In ogni caso con il passare del tempo sei stato sottoposto ad angherie di ogni genere…
Visto che la mia predicazione era chiara ed efficace e il mio ascendente andava sempre più aumentando tra la gente, venni arrestato in più riprese, interrogato per ben tredici volte dalla polizia, poi fui sottoposto ad una continua sorveglianza. Il cardinale Józef Glemp per alleviare un poco questa situazione mi propose di «cambiare aria» e di trasferirmi per qualche tempo a Roma. Pur apprezzando la proposta rifiutai, perché dentro di me sentivo che come pastore non potevo abbandonare il mio gregge. Il mio posto era con i miei operai, con le loro famiglie e con la mia gente nella amata e benedetta terra di Polonia.
Don Jerzy durante la sua ultima celebrazione religiosa del 19 ottobre 1984 invitò a chiedere al Signore di essere liberi dalla paura, dal terrore, ma soprattutto dal desiderio di vendetta: «Dobbiamo vincere il male con il bene e mantenere intatta la nostra dignità di uomini, per questo non possiamo fare uso della violenza». Alcune ore dopo venne sequestrato da tre membri del servizio di sicurezza polacco: lo ritroveranno «incaprettato», il successivo 30 ottobre, nel lago di Wloclawek e scopriranno che gli avevano rotto la mandibola e sfondato il cranio a manganellate.
«Infondeva coraggio ai fedeli, non sobillava rivoluzioni», affermò il Cardinale Glemp, Arcivescovo di Varsavia, riconoscendo che don Jerzy non aveva «mai oltrepassato le sue competenze di sacerdote e neppure ridotto la Chiesa e il suo messaggio di salvezza a strumento di lotta politica». La gente di Polonia lo aveva già capito da un pezzo: sia il mezzo milione di persone che partecipò al suo funerale, sia i venti milioni di pellegrini che in questi anni si sono inginocchiati davanti alla sua tomba. La Chiesa Universale lo ha proclamato Beato nel 2010, alla presenza della sua anziana mamma.