I Perdenti 9. Mons. Vincent Prennushi


Una delle persecuzioni contemporanee più feroci contro le confessioni religiose di ogni tipo fu perpetrata, a pochi chilometri dalle coste italiane, in Albania. Con la presa del potere da parte del regime di Enver Hoxha nel 1944, musulmani, ebrei, cristiani ortodossi e cattolici, furono presi di mira affinché sparisse ogni traccia di sentimento religioso nel popolo albanese. Hoxha voleva fare dell’Albania «il primo stato ateo del mondo». Con il consolidamento del potere in tutti i gangli della società del popolo albanese, l’accanimento contro le comunità e le persone che vivevano una loro fede divenne durissimo, e in modo particolare i cattolici furono considerati gli avversari più pericolosi del regime. Sull’Albania calò così una cappa pesante che bloccò ogni relazione con il mondo esterno. La piccola nazione illirica divenne praticamente un lager a cielo aperto, nonostante avesse sviluppato nei secoli un profondo senso di identità grazie a Giorgio Castriota Scanderberg, una delle figure europee più rappresentative del XV secolo, precursore dell’indipendenza albanese, che difese l’Albania, nonché l’Europa e i suoi valori religiosi cristiani, dall’invasione ottomana. Per tale motivo ottenne da Papa Callisto III gli appellativi di Atleta di Cristo e Difensore della Fede ed è considerato l’eroe nazionale.

Con la fine della Seconda Guerra Mondiale migliaia di credenti di ogni confessione furono imprigionati, torturati e moltissimi di loro uccisi. La Chiesa cattolica pagò un prezzo altissimo alla follia di un regime ateo e sanguinario che vedeva in ogni pratica religiosa e in ogni persona di fede un nemico dello stato. Con questa intervista ideale a mons. Nikolle Vinçenc (Vincent) Prennushi, arcivescovo di Durazzo, nato a Scutari nel 1885, vittima della persecuzione del regime comunista nel marzo del 1949, alziamo il velo su una storia di sofferenza e martirio consumata negli scorsi decenni alle porte di casa nostra.

Caro mons. Prennushi, pur essendo noi italiani così vicini geograficamente alla sua terra, conosciamo ben poco della vostra storia, ci vuole dire qualcosa dell’Albania?

L’Albania è una piccola nazione che si affaccia sul mare Adriatico situata a ridosso dei Balcani. Il suo popolo non va confuso con quelli circostanti: serbi, montenegrini, macedoni, ecc., né tanto meno con i greci. Siamo i discendenti degli antichi illirici, per meglio dire degli abitanti di quella zona che sotto l’impero Romano era denominata Illiricum. La nostra bandiera rossa con un’aquila a due teste sta a significare che dobbiamo difendere i nostri confini sia da una parte che dall’altra.

Però durante i secoli l’Albania è diventata un crogiuolo di razze e una mescolanza di religioni non indifferente.

Con l’andar del tempo il cemento unificante del nostro popolo, al di là delle etnie o delle religioni, divenne la lingua, difatti i serbi usano l’alfabeto cirillico mentre i greci ancora oggi usano il loro tipico alfabeto, noi abbiamo voluto mantenere l’alfabeto latino. Questo non è poca cosa perché già nello scrivere affermiamo la nostra identità.

Il cristianesimo si diffuse in Albania fin dai primi secoli?

San Paolo affermò di aver predicato il Vangelo nell’Illiria (Rom 15,19), qualcuno dice che passò anche per Durazzo, ma l’evangelizzazione vera e propria fu portata avanti da missionari inviati da Roma e da Costantinopoli. Non dimenticate che la via Egnatia, che univa le due capitali, attraversava tutta l’Albania.

Come mai in Albania c’è una presenza di confessioni cristiane diverse?

La maggioranza degli albanesi che vivevano al Nord, dopo lo scisma d’Oriente del 1054, rimasero fedeli alla Chiesa di Roma, mentre gli albanesi del Sud entrarono nell’orbita della Chiesa ortodossa bizantina che faceva capo a Costantinopoli.

Ma nonostante questa divisione entrambe le comunità resistettero impavidamente contro i tentativi ottomani di occupare l’Albania.

Scanderberg riuscì a tenere lontani i Turchi, ma dopo la sua scomparsa, l’influenza religiosa dell’ambiente islamico, la persecuzione contro i cristiani perpetrata da alcuni fanatici governatori e la politica ottomana che concedeva facili carriere civili e militari agli albanesi purché fossero musulmani, provocarono un graduale passaggio all’Islam di intere famiglie oltre che di interi villaggi.

Storicamente la presenza della Chiesa cattolica ha inciso nella cultura del popolo albanese?

Grazie alla protezione che l’Austria garantiva al clero e alle opere cattoliche, i francescani e i gesuiti aprirono diverse scuole in varie città, e con la geniale invenzione delle «missioni volanti» raggiunsero i luoghi più impervi delle montagne favorendo così un maggior fervore religioso e un’istruzione di base.

Quindi anche dal resto della popolazione albanese l’opera portata avanti dalla Chiesa cattolica era apprezzata?

Al momento dell’indipendenza dall’Impero ottomano a fine 1912, i cattolici godevano di un prestigio eccezionale, sia per il loro impegno nella lunga lotta di liberazione, sia per la loro elevatezza culturale. Si può dire che il cattolicesimo aveva dato l’impronta decisiva all’identità nazionale. I più grandi poeti, scrittori e giuristi albanesi erano in gran parte cattolici e quasi tutti appartenenti al clero.

Per dirla tutta, una situazione del genere stava sullo stomaco a un tipo come Enver Hoxha.

Non per niente questo tiranno si accanì come una furia contro i preti cattolici, ritenuti i maggiori ostacoli alla nuova ideologia. Per 46 anni (1944 – 1990) una dittatura spietata, ridusse il paese a una grande prigione. Due generazioni di albanesi sono cresciuti in un regime di terrore, in un clima di sospetto in cui non ci si poteva fidare di nessuno, neanche dei propri familiari per paura di essere denunciati.

Se a questo aggiungiamo anche la presenza ossessiva della «Sigurimi», la famigerata polizia segreta che controllava ogni aspetto della vita sociale e personale, abbiamo un’idea di come per oltre quarant’anni l’Albania abbia vissuto in un regime che definire terroristico è dir poco.

Il potere di Hoxha rase al suolo tutti i campanili esistenti in Albania, distrusse molte chiese e moschee e gli edifici di culto risparmiati da questa furia furono trasformati in sale di cultura, palestre, magazzini, qualcuno addirittura in stalla. Per non parlare dei singoli credenti che vennero incarcerati, perseguitati e torturati, molti inviati nei campi di lavoro, diversi fucilati, solo perché volevano continuare a vivere la loro fede.

Anche contro di te il regime si accanì con particolare durezza.

Nel 1945 ebbi un colloquio burrascoso con Enver Hoxha in cui lui mi chiese di formare una Chiesa nazionale antagonista alla Chiesa di Roma. In quegli anni ero il Primate della Chiesa cattolica in Albania, risposi che non potevo separarmi dalla sede di Pietro usando queste parole: «Un petalo non può restare staccato dal fiore al quale appartiene». La reazione fu forte, nel senso che rifiutarono l’ingresso al Nunzio Apostolico e io nel 1947 fui condannato a vent’anni di carcere duro.

Enver Hoxha fece altri tentativi di creare una Chiesa nazionale albanese?

Sì, ma anche tutti gli altri vescovi ribadirono la mia stessa posizione e furono tutti condannati ai lavori forzati. La comunità cattolica albanese, privata dei suoi pastori entrava in un tunnel oscuro vivendo una tragedia immane che è durata oltre quarant’anni.

Oltre alle celebrazioni liturgiche vennero proibite anche le cose più semplici legate alla fede.

Nella tradizione sia cattolica che ortodossa, nel periodo pasquale si dipingono con colori vivaci le uova sode che, dopo essere state benedette nelle messe di Pasqua, vengono consumate in famiglia e si scambiano con i vicini di casa. Ebbene gli insegnanti delle scuole elementari avevano il compito di chiedere ai bambini più piccoli, quindi per loro natura più innocenti, se in famiglia avevano dipinto le uova.

Così quei bambini diventavano dei delatori inconsapevoli.

Purtroppo sì. Subito dopo scattava il meccanismo dell’emarginazione totale della famiglia e, nei casi più gravi, i genitori «colpevoli di questi atti criminali» venivano indirizzati ai campi di rieducazione.

Con questo modo di operare, come si collacava l’Albania nel contesto internazionale?

Col passare degli anni pur entrando nell’orbita dei paesi socialisti, se ne distaccò progressivamente e ruppe addirittura con l’Unione Sovietica, mantenendo i legami solo con la Cina di Mao Tse Tung. La quale la utilizzò come grimaldello per entrare nelle Nazioni Unite. Fu infatti l’Albania che presentò all’Onu la richiesta cinese di essere ammessa nel consesso internazionale delle Nazioni Unite.

Quindi per l’Albania fu un periodo segnato da eventi importanti sul piano internazionale ma, per quanto riguarda la sua popolazione quei decenni furono tragici. La tua storia è emblematica.

Come ho già accennato, la furia distruttiva contro ogni espressione religiosa ebbe dei momenti tragici. Fin dal 1945 bersagli preferiti diventarono il clero e i fedeli: «Ogni fascista portatore di un vestito clericale deve essere ucciso con una pallottola in testa e senza processo», diceva uno dei motti del regime. Vescovi, preti e religiosi furono arrestati, malmenati in pubblico, torturati, fucilati, imprigionati e inviati nei campi di lavoro. Le suore furono obbligate a lasciare l’abito, quelle che rifiutavano venivano sottoposte al pubblico ludibrio e inviate ai lavori forzati. Molti di loro furono vittime di processi farsa che venivano diffusi via radio e riassunti in uno speciale la domenica mattina all’ora della messa con il titolo: «L’ora giorniosa».

Nonostante tutto quello che avete passato, mano a mano che i regimi comunisti dell’Europa dell’Est cadevano grazie al crollo del muro di Berlino, anche in Albania spirò un vento nuovo che fece uscire dalle catacombe i credenti perseguitati.

Pur con il controllo ferreo del regime sui mezzi d’informazione, attraverso le radio clandestine la popolazione albanese captò la notizia del crollo dei regimi comunisti europei. Con coraggio alcuni sacerdoti ripresero a dire Messa pubblicamente nei cimiteri e la gente accorreva a queste celebrazioni eucaristiche, finché anche in Albania crollò il regime ormai marcio di Enver Hoxha e iniziò il periodo democratico della sua storia che – grazie a Dio – continua ancora oggi.

Monsignor Vincent Prennushi morì di stenti, probabilmente il 19 marzo 1949, in un campo di prigionia dove era stato rinchiuso dopo un processo farsa, martire insieme a molti altri albanesi che non si piegarono al regime di Enver Hoxha, che affrontavano la morte al grido di: «Viva Cristo Re». Alla fine del 2002 è stato aperto il processo per la beatificazione dei Martiri Albanesi vittime della persecuzione religiosa durante gli anni della dittatura comunista. Sorprende come una comunità così piccola abbia dato alla Chiesa dei nostri giorni tanti martiri. Va segnalato inoltre che una delle figure più splendide del cattolicesimo del XX Secolo è l’albanese Agnese Gonxhe Bojaxhiu, meglio conosciuta come Madre Teresa di Calcutta.

Don Mario Bandera
Missio Novara

Mario Bandera