Grassi e zuccheri, attrazione fatale

testo di Rosanna Novara Topino


L’obesità è una condizione che favorisce varie patologie: diabete, ischemie, tumori. Evitarla è possibile con stili di vita adeguati. E una dieta con meno grassi e zuccheri, più frutta e verdure.

In alcuni paesi, ad esempio negli Stati Uniti, l’obesità è diventata un’epidemia, probabilmente il problema sanitario più pressante da risolvere, con un costo per la collettività stimato in circa 90 miliardi di dollari annui. Attualmente tre statunitensi su cinque sono in sovrappeso e uno su cinque è obeso. Questo problema riguarda tanto gli adulti che i bambini e i giovani: dal 1970 a oggi il numero di giovani americani in sovrappeso è triplicato e attualmente rappresenta un terzo del totale.

Patologie e costi sociali

All’obesità e al sovrappeso sono associate spesso malattie croniche che hanno un grave impatto sulla speranza di vita come le malattie cardiovascolari, i tumori e il diabete di tipo 2 (che un tempo veniva definito «diabete dell’adulto», ma attualmente colpisce sempre più spesso anche i giovani). Oltre a un’alimentazione scorretta, l’obesità e le patologie a essa correlate sono associate anche a una riduzione dell’attività fisica.

Secondo uno studio dell’Oms, ogni anno muoiono circa 3,4 milioni di persone al mondo per patologie correlate con l’obesità. Inoltre, sarebbero correlati all’obesità il 44% dei casi di diabete, il 23% delle malattie ischemiche del cuore e il 7-41% di alcuni tipi di cancro (esofago, pancreas, colecisti, colon-retto, mammella, endometrio, rene).

Per quanto riguarda le malattie cardiovascolari, esse rappresentano la prima causa di morte a livello mondiale con 17,5 milioni di morti all’anno allo stato attuale e una previsione per il 2030 di 23 milioni di decessi. Nel solo continente europeo queste malattie causano ogni anno circa 4,3 milioni di morti. In Italia, nel 2015 si sono verificati 240mila decessi per questa causa, cioè il 37% dei decessi totali, con un aumento dell’8,8% rispetto all’anno precedente (43% uomini, 57% donne). Negli uomini prevale come prima causa di morte la malattia ischemica coronarica, mentre nelle donne prevalgono le malattie cerebrovascolari. Inoltre, le malattie cardiovascolari rappresentano la più frequente causa di ricovero ospedaliero (14,6% del totale dei ricoveri in Italia nel 2016). Secondo l’Oms, tre quarti della mortalità cardiovascolare a livello mondiale potrebbe essere prevenuta con adeguate modifiche allo stile di vita e dell’alimentazione e con il controllo di fattori di rischio come l’ipertensione, l’ipercolesterolemia e il diabete (che da solo raddoppia la probabilità di contrarre una malattia cardiovascolare). I costi totali di queste patologie, comprendenti non solo quelli diretti (servizi ospedalieri, farmaci, assistenza domiciliare, ecc.), ma anche quelli indiretti (perdita di produttività lavorativa dovuta alla malattia o alla morte prematura dei pazienti) sono elevatissimi.

Tumori e diabete 2

Altre patologie croniche legate anche a una scorretta alimentazione e uno scorretto stile di vita sono i tumori. Secondo l’International Agency for Research on Cancer (Iarc), nel 2018 si sono verificati nel mondo 9,6 milioni di decessi per tumore.

In Italia, i tumori rappresentano la seconda causa di morte con più di 178mila decessi nel 2015 (mille casi in più dell’anno precedente) e la prima causa di perdita di anni di vita per malattia, disabilità o morte prematura, con oltre 3 milioni di anni in totale.

Anche per queste patologie i costi complessivi sono ingenti: negli Stati Uniti, nel 2018, sono stati spesi per farmaci antitumorali 133 miliardi di dollari contro i 96 del 2013.

Attualmente si parla addirittura di «tossicità finanziaria» a causa del continuo aumento dei prezzi dei farmaci oncologici, che incidono molto spesso direttamente sul bilancio economico del malato.

In Europa, nel 2018, si sono spesi 18 miliardi di euro soltanto per il cancro al polmone; in Italia, il sistema sanitario ha destinato circa 16 miliardi di euro per i pazienti oncologici.

Nel 2018 sono state formulate 373mila nuove diagnosi di cancro (mille nuove diagnosi al giorno).

Il diabete di tipo 2 è un’altra patologia strettamente associata alle abitudini alimentari e allo stile di vita, laddove vi sia familiarità per questa malattia. Ogni anno si registrano più di 7 milioni di nuovi casi al mondo e le stime per il 2025 prevedono che ci sarà il 7,1% della popolazione mondiale colpita, pari a circa 380 milioni di persone. Si tratta di una malattia altamente impattante sia per il malato, per le complicanze che può comportare, sia per gli elevati costi socio-economici. Tra le complicanze del diabete ci sono l’insufficienza renale, la retinopatia diabetica, la microangiopatia diabetica che può portare all’amputazione degli arti inferiori, neuropatie e danni al sistema nervoso e la predisposizione alle malattie cardiovascolari.

Attualmente in Italia le persone colpite da diabete 2 sono 3,4 milioni (200mila nuovi casi all’anno). Secondo l’Istat, in Italia la prevalenza del diabete 2 è passata dal 3,9% nel 2012 al 5,7% nel 2016.

La prevalenza del diabete e delle altre patologie croniche correlate all’obesità e al sovrappeso è in crescita non solo nei paesi industrializzati, ma anche in quelli in via di sviluppo e si correla a un progressivo aumento della popolazione mondiale dovuto soprattutto a un aumento della vita media, oltre che a uno stato d’indigenza, che porta ad acquistare cibo di scarsa qualità. Tutto ciò va a aggiungersi all’aumento delle malattie neurodegenerative, demenze in primis, che sono anch’esse in parte correlate a una dieta carente o scorretta. Nel siero dei pazienti di Alzheimer e di quelli affetti da demenza vascolare sono stati riscontrati bassi livelli di vitamina E, C, zinco, carotenoidi e albumina, mentre gli studi sul colesterolo e sul rapporto tra acidi grassi saturi/polinsaturi della dieta dimostrano un coinvolgimento del metabolismo dei grassi nell’insorgenza delle neurodegenerazioni, oltre che delle malattie cardiovascolari.

Una dieta carente di calcio e di vitamina D si correla a un aumentato rischio di osteoporosi nella popolazione anziana, con conseguenti possibili fratture patologiche. L’assunzione quotidiana di questi nutrienti riduce fino all’8% il rischio di fratture. Le perdite quotidiane di calcio vanno prevenute eliminando gli stili di vita scorretti, come l’eccessivo consumo di carne, di sodio (sale) e di alcolici, nonché il fumo e il sovrappeso e svolgendo una moderata attività fisica.

«Benessere» e dipendenza: come il cibo spazzatura attrae

Le patologie croniche correlate all’obesità rappresentano un grave problema socioeconomico nei paesi industrializzati, ma rischiano di diventare un problema insormontabile per i paesi in via di sviluppo, già gravati dalla presenza di altre malattie, oltre che dalla penuria di risorse economiche. Purtroppo, le popolazioni più povere spesso acquistano cibo di bassa qualità per quanto riguarda i nutrienti, ma altamente calorico, il cosiddetto cibo spazzatura. Questo è dovuto al fatto che l’industria alimentare ha reso gli alimenti a alto contenuto energetico i più economici sul mercato, se valutiamo il costo per caloria. Il costo medio di una caloria di zucchero è infatti sceso drasticamente dagli anni ’70 del secolo scorso a oggi. I poveri sono quindi portati a spendere le loro poche risorse in cibi più a buon mercato, ricchi di carboidrati e di grassi (questi ultimi derivati spesso dalla soia, dalla colza e dalla palma da olio), che risultano tuttavia molto appetibili (i cibi grassi infondono una sensazione di benessere, lo zucchero è in grado di creare dipendenza).

È chiaro che per arginare il problema delle patologie correlate ai disordini alimentari si deve agire su più fronti, a partire da un’agricoltura più diversificata e sostenibile, grazie all’impegno dei governi e della ricerca scientifica, unitamente alla preparazione di cibi più salubri da parte dell’industria alimentare, per arrivare a una mirata attività di informazione della popolazione sia da parte delle scuole, che delle aziende sanitarie. Nel contempo dovrebbero essere calmierati i prezzi di frutta e verdura di qualità, limitando la speculazione finanziaria in questo settore.

Rosanna Novara Topino
(quarta parte – fine)


Alimentazione e stati infiammatori

Nelle nostre cellule i danni subiti dal Dna vengono continuamente sistemati da meccanismi di riparazione in esse presenti e il potenziale di longevità di ciascun individuo è strettamente correlato al corretto funzionamento di questa attività riparatrice cellulare, che si esplica mediante la replicazione e sostituzione delle cellule danneggiate. La regione terminale dei cromosomi del nucleo cellulare, detta telomero, ha la funzione di evitare la perdita di informazioni (perdita di basi azotate) durante la duplicazione dei cromosomi nella replicazione cellulare. La sua lunghezza diminuisce progressivamente ad ogni duplicazione, finché viene meno la sua funzione protettiva e la cellula, non riuscendo a replicarsi ulteriormente, muore (apoptosi). La incapacità di sostituire le cellule consumate con cellule nuove nei processi riparativi determina il sopravvento di fenomeni infiammatori e degenerativi come l’aterosclerosi e le malattie neurodegenerative.

Diabete e obesità causano uno stato infiammatorio nel sangue e nei tessuti che comporta un più intenso utilizzo dei processi riparativi, determinandone un precoce esaurimento, che ha come conseguenza una riduzione dell’aspettativa di vita.

Secondo recenti studi esiste un legame tra le patologie croniche e l’infiammazione silente (senza dolore, quindi senza sintomi) provocata da abitudini alimentari scorrette, quindi anche i modelli alimentari possono influenzare positivamente o negativamente la risposta infiammatoria dell’organismo. Una dieta scorretta implica maggiori azioni di riparazione dell’organismo, quindi un maggiore coinvolgimento dei telomeri, che giungono più velocemente all’esaurimento, con conseguente infiammazione e possibile instaurazione di patologie croniche. Per contro, una dieta ricca di antiossidanti come le vitamine E e C, carotenoidi, polifenoli e antocianine (presenti in frutta e verdura) risulta altamente protettiva nei confronti dell’infiammazione.

RNT

 




Obesi e denutriti, il paradosso alimentare

Testo di Rosanna Novara Topino


Nel mondo ci sono 821 milioni di persone denutrite e 672 milioni di obesi. Sia gli uni che gli altri sono in aumento. Cerchiamo di analizzare le molteplici cause di questo paradosso alimentare.

Ai giorni nostri stiamo assistendo a un vero e proprio paradosso, per quanto riguarda l’accesso al cibo a livello mondiale. Secondo il rapporto Food security and nutrition in the world (Lo stato della sicurezza alimentare e nutrizione nel mondo) del 2018, realizzato congiuntamente da cinque agenzie Onu – la Fao (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), il World Food Programme (Programma alimentare mondiale, Pam), il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms / Who) e il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad) – attualmente vi sono al mondo 821 milioni di persone denutrite e 672 milioni di obesi.

Fame zero: obiettivo fallito

Per quanto riguarda la fame nel mondo, non solo siamo ancora lontani dall’obiettivo che si erano prefissati gli stati di eliminare la fame entro il 2030 (il Sustainable development goal of zero hunger, l’obiettivo dell’annullamento della fame con uno sviluppo sostenibile), ma negli ultimi tre anni si è assistito a un trend in crescita, con una persona su nove al mondo che soffre la fame, soprattutto in Africa, Asia e America Latina, praticamente un ritorno alla situazione di dieci anni fa. Stanno nuovamente aumentando il rischio di insufficienza di peso alla nascita, il ritardo nella crescita e l’anemia nelle donne gravide, rispetto al minimo storico di 783,7 milioni di persone denutrite nel 2014.

Le cause di questa tendenza al rialzo del numero di persone denutrite (vedi anche l’articolo seguente a pag. 68, ndr) sono molteplici. Ai gravi conflitti che interessano diversi paesi si è aggiunta una notevole variabilità climatica, spesso con fenomeni estremi, che compromettono la produzione delle risorse alimentari, quindi la loro disponibilità continuativa.

Le alterazioni climatiche causano non solo la riduzione della quantità degli alimenti, ma anche della qualità dei nutrienti e della loro diversità.

Altre cause importanti sono il crescente fenomeno dell’urbanizzazione (nel 2008 il numero delle persone che vivono in città ha superato quello degli abitanti delle zone rurali); la volatilità dei prezzi degli alimenti a seguito dell’aumento della speculazione finanziaria, che ha vincolato il prezzo del cibo ad altre commodity (prodotti primari o materie prime, che rappresentano fondamentali oggetti di scambio internazionale perché sono fungibili, cioè sono gli stessi indipendentemente da chi li produce), ad esempio alle quotazioni del petrolio. Questo è accaduto, ad esempio, tra il 2010 e il 2011 quando vi fu un rialzo dei prezzi dei prodotti alimentari di quasi il 20% che ridusse alla fame altri 44 milioni di persone, grazie alle operazioni finanziarie dei trader e degli investitori che considerano il cibo semplicemente come un qualunque oggetto di indicizzazione e di speculazione finanziaria.

La diffusione delle tossine

Altra causa dell’aumento della fame nel mondo è stata una maggiore diffusione e contaminazione degli alimenti da parte di aflatossine o altre micotossine: tossine prodotte da muffe o funghi, di cui le specie più comuni che colpiscono i vegetali sono l’Aspergillus, soprattutto nel mais, il Penicillium, una muffa che contamina i cereali e i legumi in fase di raccolta e di conservazione, il Fusarium, una muffa, che contamina le piante e i semi durante la coltivazione, nonché i prodotti alimentari derivati.

Sicuramente i cereali, il mais in primis, sono i vegetali più colpiti. Seguono i legumi, le arachidi, le noci, le mandorle, il cacao e tutti i loro derivati, nonché le spezie. Possono risultare contaminati anche latte e carne, se i mangimi per animali a base di mais sono stati precedentemente contaminati. Va ricordato che l’aflatossina B1 è un cancerogeno del gruppo 1, cioè il più pericoloso e colpisce soprattutto il fegato.

Senza verdure, senza frutta

La malnutrizione è spesso causata anche dalla dieta povera di nutrienti derivati dai diversi tipi di verdure. Purtroppo molto spesso gli enti finanziatori, i donatori e i governi si concentrano sulla produzione e fornitura di calorie, piuttosto che di nutrienti. Basti pensare che, da ormai quasi tre decenni, nell’Africa subsahariana e in Asia la produzione di alimenti si è concentrata soprattutto sulle commodity come mais, frumento e riso e molto meno sui prodotti autoctoni come miglio, sorgo e ortaggi. Per buona parte dei poveri, le verdure rappresentano spesso un bene di lusso e la ricerca agricola internazionale impiega molti più fondi negli studi per il miglioramento della produzione dei cereali che di ortaggi e frutta. Questo significa non essere lungimiranti, perché la produzione di frutta e di ortaggi è il modo più sostenibile ed economico per porre rimedio alla malnutrizione – dovuta a carenze di micronutrienti, come la vitamina A, ferro e iodio -, che colpisce circa un miliardo di persone in tutto il mondo. Tali carenze comportano uno sviluppo mentale e fisico inadeguati, causano cecità e anemia soprattutto nell’infanzia e inoltre una riduzione delle prestazioni lavorative e scolastiche, che si ripercuotono sull’economia di comunità povere e già gravate da altri problemi sanitari. La denutrizione e la malnutrizione infatti hanno ripercussioni sul sistema immunitario, che risulta meno efficiente nella difesa dalle malattie, le quali si presentano perciò di gravità e durata superiori rispetto a quanto succede nelle persone alimentate bene. Si è osservato che ridotti consumi di verdure sono correlati a tassi di mortalità più alti per bambini sotto i 5 anni di età. Attualmente sono circa 151 milioni al mondo, circa il 22%, i bambini sotto i 5 anni con un ritardo nella crescita. In Niger ad esempio, le persone hanno a disposizione giornalmente circa 100 grammi di verdura, mentre la dose giornaliera di frutta e verdura raccomandata è di circa 600-800 grammi e questo paese è tra quelli con le più alte percentuali di malnutrizione e di mortalità infantile al mondo.

Attualmente oltre due terzi del suolo terrestre sono rappresentati da terreni coltivati per lo più a monocolture. Questo comporta la perdita di biodiversità agricola, nonché l’impossibilità per i piccoli agricoltori di accedere ai mercati. Per risolvere il problema della fame, tra le altre cose, è perciò indispensabile tornare ad un sistema agricolo salutare, sostenibile e praticabile, dove trovano spazio i piccoli agricoltori, che devono potere accedere a mercati dove le loro merci siano valutate equamente, in modo da ricavare un reddito dal proprio lavoro.

È poi fondamentale imparare (e insegnare) a cucinare gli ortaggi in modo da preservarne le proprietà nutritive. Spesso infatti le verdure vengono cotte troppo a lungo, perdendo così gran parte dei nutrienti, quindi per migliorare il loro valore nutrizionale è necessario abbreviare i tempi di cottura.

Per migliorare la produzione agricola sostenibile sono indispensabili servizi di divulgazione agricola nelle comunità rurali, gestiti da persone realmente competenti. Attualmente nell’Africa subsahariana i divulgatori agricoli, che un tempo fornivano informazioni su nuove varietà di sementi, sulle tecnologie per l’irrigazione e sulle condizioni atmosferiche, sono stati sostituiti da commercianti di fertilizzanti e di pesticidi, spesso con scarsissime conoscenze e formazione. Un aiuto in tal senso potrebbe venire dalla tecnologia informatica. Esistono già servizi su internet come «FrontlineSms», che offrono informazioni in tempo reale e permettono agli agricoltori di rimanere in contatto tra loro e con potenziali clienti. Inoltre, poiché in Africa l’80% di coloro che coltivano la terra sono donne, che solitamente hanno maggiori difficoltà di accesso alle informazioni tramite passaparola, internet rappresenta un modo per ottenere le stesse informazioni, che di solito sono una prerogativa maschile. Laddove l’agricoltura è praticata maggiormente da donne, che quasi mai sono proprietarie del terreno, un miglioramento nella legislazione per l’accesso femminile alla proprietà, all’istruzione e al credito bancario, potrebbe rappresentare un ulteriore passo avanti per un’agricoltura di qualità e sostenibile.

Geografia dell’obesità

L’altra faccia di un’alimentazione inadeguata e di un’infrastruttura agricola carente è rappresentata dal dilagare a livello mondiale dell’obesità che colpisce 672 milioni di persone nel mondo. Secondo uno studio condotto da Majid Ezzati dell’Imperial College di Londra e da oltre mille ricercatori della Ncd Risk Factor Collaboration sulle variazioni dell’indice di massa corporea (Bmi), cioè del rapporto tra altezza e peso di oltre 112 milioni di persone di 200 paesi tra il 1985 e il 2017, sta cambiando la geografia globale dell’obesità. La tendenza all’aumento di peso è presente quasi ovunque e questo fenomeno risulta più accentuato nelle aree rurali dei paesi poveri o a medio reddito. Quando l’indice di massa corporea è nel range 19-24, la persona ha un peso nella norma, tra 25-30 è in sovrappeso, oltre 30 è obesa. Lo studio ha dimostrato che nell’intervallo di tempo considerato, le donne dei paesi presi in esame hanno acquisito 2 punti di Bmi e gli uomini 2,2 in media, corrispondenti a un aumento ponderale di circa 5-6 chilogrammi. In particolare gli aumenti ponderali sono stati più marcati per le donne nelle aree rurali in Egitto e in Honduras (con 5 punti in più), per gli uomini nell’isola caraibica di S. Lucia, in Barhein, Perù, Cina, Repubblica Dominicana e Stati Uniti (con oltre 3,1 punti in più). I motivi di tale aumento soprattutto nelle zone rurali possono ascriversi a modesti aumenti di reddito, ad una agricoltura più meccanizzata, ad un maggiore uso dell’auto. Se però consideriamo l’aumento di peso della popolazione mondiale e facciamo un confronto tra molti dei cibi consumati attualmente e quelli consumati prima del secondo conflitto mondiale, ci rendiamo conto che a farla da padrone sono quantità smodate di cereali prodotti e trasformati, soprattutto mais e soia.

A tutto mais

Il granoturco o mais, grazie alla sua enorme capacità di adattamento ad ogni tipo di terreno e alla sua altrettanto enorme versatilità di trasformazione, è presente in tutto ciò che mangiamo o quasi. Esso viene usato come mangime per animali d’allevamento: bovini, ovini, suini, pollame, ma anche salmoni e pesci gatto. Queste specie sarebbero erbivore o tutt’al più onnivore le prime quattro e carnivore le ultime due, se considerate in natura, ma che vengono riprogrammate tutte come vegetariane dalla moderna zootecnia. Troviamo poi il mais in ogni cibo confezionato. Se diamo un’occhiata agli ingredienti, spesso vi troviamo componenti come amido modificato, lecitina, mono-, di-, trigliceridi, coloranti che danno un gradevole aspetto dorato, acido citrico: sono tutti derivati del mais. E che dire delle bevande gassate o di quelle non gassate al gusto di frutta, dove è onnipresente l’Hfcs (High Fructose Corn Syrup), uno sciroppo dolcificante a base di fruttosio ricavato dal mais, che fece la sua apparizione nel 1980? O della birra, il cui alcool deriva dalla fermentazione del glucosio sempre proveniente dalla stessa pianta? Del resto uno dei primi impieghi della montagna di mais a disposizione, negli anni ’20 del secolo scorso, fu proprio quello di distillarlo e di trasformarlo in whisky nella valle dell’Ohio. All’epoca il mais dette origine a una massa di alcolizzati, oggi ci fa diventare obesi.

E perché c’è tutto questo mais (e soia) da impiegare ovunque? Perché il prezzo delle materie agricole tende a scendere con il tempo, specialmente se aumenta la produzione nei campi o la lavorazione. C’è quindi una tendenza da parte degli agricoltori a seminare sempre più e a occupare nuovi terreni, per potere avere lo stesso guadagno. Questo spiega l’espansione delle monocolture.

Rosanna Novara Topino
(fine terza parte – continua)


Glossario essenziale

Aflatossine: sono micotossine prodotte da due specie di Aspergillus, un fungo tipico delle zone con clima caldo-umido. Si tratta di sostanze genotossiche e tra le più cancerogene. Esse possono contaminare arachidi, frutta a guscio, granoturco, riso, fichi ed altra frutta secca, spezie, oli vegetali grezzi e semi di cacao. Esistono diversi tipi di aflatossine. Le più diffuse sono la B1 prodotta dall’Aspergillus flavus e dall’Aspergillus parasiticus e la M1, che deriva dal metabolismo della B1 e può contaminare il latte, se gli animali produttori si sono nutriti di mangimi contaminati dalla B1.

Micotossine: sono composti tossici prodotti da diversi tipi di funghi appartenenti solitamente ai generi Aspergillus, Penicilium e Fusarium. Esse possono entrare nella filiera alimentare a partire da colture, principalmente di cereali, destinate alla produzione di alimenti e di mangimi.

Denutrizione: consiste essenzialmente in una carenza di calorie e di proteine, nonché di vitamine e di minerali. È un tipo di malnutrizione.

Malnutrizione: è uno squilibrio tra i nutrienti necessari per un organismo e quelli che effettivamente riceve. Essa comprende sia l’ipernutrizione (eccesso di calorie o di qualsiasi nutriente), sia la denutrizione.

Obesità: sindrome caratterizzata da un aumento patologico del peso corporeo, dovuto ad un’eccessiva formazione di adipe (grasso) nel tessuto sottocutaneo. Il grasso corporeo può aumentare sia per l’aumento delle dimensioni degli adipociti (cellule adipose), sia per l’aumento del loro numero. I trigliceridi costituiscono circa il 65% del tessuto adiposo ed il 90% della massa adipocitaria. Quasi tutti i casi di obesità sono dovuti, da un lato alla predisposizione genetica, dall’altro ad uno scorretto stile di vita, che consiste in uno squilibrio tra apporto calorico e consumo energetico.


Nutrienti contenuti nei sette gruppi alimentari

Gruppo 1

  • carni, pesci, uova: proteine di elevato valore biologico, ferro, alcune vitamine del gruppo B.

Gruppo 2

  • latte e derivati: proteine di elevato valore biologico, ferro, alcune vitamine del gruppo B.

Gruppo 3

  • cereali, patate: carboidrati, proteine di medio valore biologico, alcune vitamine del gruppo B.

Gruppo 4

  • legumi secchi: proteine di medio valore biologico, ferro, alcune vitamine del gruppo B.

Gruppo 5

  • grassi da condimento (oli di oliva, di semi, burro, margarina, lardo, strutto): grassi, acidi grassi anche essenziali (acido linoleico e linolenico), vitamine liposolubili (A,E).

Gruppo 6

  • ortaggi e frutta  di colore giallo arancione o verde scuro (carote, albicocche, cachi, melone, zucca, peperoni, spinaci, biete, broccoletti, cicoria, indivia, lattuga, radicchio verde, ecc.): vitamina A, minerali, fibre.

Gruppo 7

  • ortaggi tipo crucifere (cime di rapa, broccoli, cavolfiore, cavolo, cavolini di Bruxelles, cavolo cappuccio), patate novelle, peperoni, radicchio, spinaci, agrumi, fragole, frutti di bosco, ananas, kiwi, ecc.: vitamina C, minerali, fibre.

R.N.T.