Nicaragua. Una Chiesa in esilio
Cacciati il nunzio apostolico, alcuni vescovi, presbiteri e persino le suore di Madre Teresa. Il regime di Daniel Ortega accusa la Chiesa cattolica di sostenere gli oppositori. Ma i vescovi del Paese centroamericano replicano che loro sono solo dalla parte degli ultimi.
Era la fine di giugno del 2022 quando Daniel Ortega ha deciso l’espulsione delle Missionarie della Carità dal Paese.
Presenti a Managua dal 1986, le suore di Madre Teresa hanno dovuto lasciare il Nicaragua perché non avevano rispettato le leggi sul «finanziamento del terrorismo e sulla proliferazione delle armi di distruzione di massa». Questa almeno era l’accusa rivolta loro dalla «Direzione generale di Registro e controllo delle organizzazioni senza scopo di lucro» del ministero dell’Interno nicaraguense. La stessa motivazione con la quale sono state messe al bando, in questi ultimi anni, oltre cento organizzazioni non governative (Ong).
Fuori chi contesta il regime
Il caso dell’espulsione dal Paese delle suore di Madre Teresa che, con una mitezza divenuta addirittura proverbiale, portano la loro assistenza agli ultimi in quasi tutti gli angoli del mondo, anche in contesti di guerra come sono oggi Gaza o l’Ucraina, ha fatto il giro del mondo. Le fotografie e i video che le ritraggono mentre, con le poche cose che avevano deciso di portare con loro, attraversavano a piedi il confine con il Costa Rica, sono tra le immagini simbolo della persecuzione dei cristiani in Nicaragua.
Un’oppressione che negli ultimi anni non ha avuto riguardo per nessuno, neanche per il Papa che si è visto cacciare su due piedi il nunzio apostolico dal Paese.
Monsignor Waldemar Stanislaw Sommertag, vescovo polacco, ambasciatore vaticano a Managua da quattro anni, il 6 marzo del 2022 è stato, infatti, accompagnato all’aeroporto della capitale in tutta fretta. Gli erano state concesse poche ore per raccogliere le sue cose prima di essere espulso.
L’ambasciatore della Santa Sede era arrivato in Nicaragua nel 2018, proprio quando esplodevano le proteste contro il governo di Daniel Ortega e sua moglie, la vicepresidente Rosario Murillo.
La Chiesa già allora era nel mirino per avere sostenuto la popolazione che protestava.
Venivano assaltate le chiese dai paramilitari e minacciati i vescovi. Uno di loro, il vescovo ausiliare dell’arcidiocesi di Managua, monsignor Silvio Josè Baez, nel 2019 era stato costretto a lasciare il Paese. Una sorte che sarebbe toccata a molti, fino a monsignor Rolando Alvarez, il vescovo di Matagalpa che, dopo oltre cinquecento giorni di carcere duro, e con una condanna a 26 anni di detenzione, il 14 gennaio del 2024 è arrivato a Roma, accolto in Vaticano insieme ad altri diciotto ecclesiastici scarcerati. Liberati grazie a una delicata trattativa condotta dalla Santa Sede, ma espulsi. Tutti messi su un aereo con un biglietto di sola andata.
La cacciata del nunzio
Il nunzio Sommertag i primi anni aveva cercato di tenere il dialogo aperto con il Governo consumando anche qualche frizione con la Chiesa locale.
La volontà era di utilizzare gli strumenti diplomatici per pacificare il Paese. E nel 2019 era stato anche mediatore nei colloqui tra Governo e oppositori.
Negli anni, però, la situazione si è fatta via via più difficile. Uno dei motivi è stato certamente la vicinanza espressa dal nunzio ai familiari dei tanti prigionieri, molti dei quali oppositori al regime di Ortega, che gli avevano chiesto di mediare per la loro liberazione. Una vicinanza che non è stata gradita dal Governo.
La situazione è poi precipitata quando il rappresentante della Santa Sede ha utilizzato l’espressione «prigionieri politici». A novembre 2021 è arrivato il primo segnale concreto del «non gradimento» quando è stato tolto al nunzio Sommertag il titolo di «decano» degli ambasciatori. In seguito, la situazione si è sempre più deteriorata fino all’espulsione. Oggi la Nunziatura apostolica è vuota, ed è custodita dal personale dell’ambasciata italiana a Managua.
Minacce, confische, arresti
«Le sofferenze inferte alla Chiesa in Nicaragua sono immani», commenta Alessandro Monteduro, il direttore della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) che sostiene i cristiani nelle terre di persecuzione. «Dall’aprile del 2018 sono stati centinaia gli attacchi nei confronti di religiosi, religiose e fedeli perpetrati dalla polizia fedele al regime di Ortega. Con la parola attacchi si indicano atti come minacce, rapine, profanazioni, arresti arbitrari, espulsioni, confische, divieti di ogni genere».
Tra le mosse per tagliare le gambe alla Chiesa, a metà del 2023, il Governo ha deciso anche il blocco dei suoi conti correnti. Questo ha portato come conseguenza la difficoltà, quando non la vera e propria impossibilità, di pagare qualsiasi cosa, persino le bollette della luce e dell’acqua. Per non parlare di tutte le opere di sostegno alla popolazione in difficoltà, dalle mense agli aiuti in denaro.
«Il Governo da anni è quotidianamente impegnato nel tentativo di mettere a tacere la Chiesa – riferisce ancora Monteduro -. Sacerdoti e vescovi sono stati arrestati, molte Ong sono state cacciate. Ma anche alcune manifestazioni di pietà popolare come la Via Crucis o le processioni sono state impedite. Succede anche che le spie del regime si presentino alle messe per registrare le omelie. I sacerdoti versano in uno stato di reale persecuzione».
L’università dei Gesuiti
Fanno paura al regime di Managua anche i centri del sapere. La storica Uca, l’Università centroamericana del Nicaragua, ad agosto del 2023 è stata sottoposta a sequestro, e tutti i suoi beni, mobili e immobili, sono stati trasferiti allo Stato nicaraguense.
Sono stati gli stessi Gesuiti, che avevano fondato il prestigioso ateneo nel 1963, a rendere nota, in quei giorni, la notifica da parte del decimo Tribunale penale di Managua, con la quale si accusava l’Uca di essere «un centro di terrorismo che organizza gruppi criminali».
La Provincia centroamericana della Compagnia di Gesù ha obiettato a quelle accuse definendole «totalmente false e infondate» e affermando con coraggio, in un comunicato del 16 agosto del 2023, che il sequestro e la confisca altro non erano che il frutto «di una politica governativa che viola sistematicamente i diritti umani e che sembra essere finalizzata al consolidamento di uno Stato totalitario». Da allora l’Uca ha sospeso le sue attività accademiche.
Scout, Ong e vie crucis
La scure è caduta anche sugli Scout, la cui associazione, a metà febbraio 2024, ha perso la personalità giuridica. Questo a causa, sostiene il Governo di Managua, di irregolarità nella presentazione dei bilanci.
Con gli Scout, in quella stessa data, hanno subito la medesima sorte altri dieci organismi, tra cui la Fraternidad misioneras del fiat de María. Un mese prima, il 16 gennaio, a farne le spese erano state sedici Ong, dieci delle quali cattoliche o evangeliche.
Le organizzazioni non governative soppresse o cacciate sono ormai innumerevoli.
A tutto questo si aggiunge il fatto che anche in questo 2024, come era già accaduto negli anni scorsi, ai cristiani è stato impedito di celebrare la Via Crucis nelle strade durante la Quaresima. I divieti sarebbero stati almeno quattrocento, secondo quanto ha denunciato alla stampa indipendente l’avvocata e attivista Martha Patricia Molina, anche lei, come tanti, da anni in esilio.
La delicata posizione della Santa Sede
Gli interventi pubblici del Papa e del Vaticano sulla situazione della Chiesa in Nicaragua sono stati in questi anni centellinati al contagocce. La situazione è troppo pericolosa per i cattolici che vivono nel Paese, per questo la Santa Sede è impegnata in un paziente lavoro diplomatico quanto più possibile lontano dai riflettori dei media.
Quando a gennaio di quest’anno sono arrivati a Roma due vescovi (monsignor Rolando Alvarez e monsignor Isidoro Mora Ortega), quindici sacerdoti e due seminaristi scarcerati, e sono stati presi in carico dal Vaticano, su di loro è scesa una cappa di protezione. L’unica informazione trapelata è che sono ospitati da diverse diocesi italiane, da quella di Roma a quella di Civitavecchia-Tarquinia. Ma c’è il massimo riserbo sulle località o le parrocchie nelle quali alloggiano e continuano, per quanto possibile, il loro ministero.
Il Papa in questo 2024 ha parlato del Nicaragua pochissime volte, e sempre per chiedere il rispetto dei diritti umani e lo spazio per aprire un dialogo.
All’Angelus del primo gennaio ha lanciato un vero e proprio appello: «Seguo con preoccupazione quanto sta avvenendo in Nicaragua, dove vescovi e sacerdoti sono stati privati della libertà. Esprimo ad essi, alle loro famiglie e all’intera Chiesa del Paese la mia vicinanza nella preghiera. Alla preghiera insistente invito pure tutti voi qui presenti e tutto il popolo di Dio: che si cerchi sempre il cammino del dialogo per superare le difficoltà».
In seguito, la situazione del Paese è emersa nelle parole del Pontefice nel discorso dell’8 gennaio al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, «desta ancora preoccupazione la situazione in Nicaragua: una crisi che si protrae nel tempo con dolorose conseguenze per tutta la società nicaraguense, in particolare per la Chiesa cattolica. La Santa Sede non cessa di invitare ad un dialogo diplomatico rispettoso per il bene dei cattolici e dell’intera popolazione».
Scalata la classifica dei Paesi a rischio
Nella classifica dell’organizzazione Open doors, la World watch list che misura i Paesi con il più alto tasso di persecuzione dei cristiani, il Nicaragua nel 2023 si è collocato al trentesimo posto, mostrando un peggioramento della situazione rispetto all’anno precedente.
«L’obiettivo del Governo – spiega la Ong nel suo rapporto presentato lo scorso gennaio – non è semplicemente quello di mettere a tacere la voce dei cristiani, ma, data la loro influenza nel Paese, di ostacolare la loro credibilità e impedire la diffusione del loro messaggio. Va notato che mentre molti cristiani sono in prima linea, c’è una minoranza di credenti che, per paura o convinzione, sceglie di tacere. In alcune comunità ecclesiali ciò sta causando divisioni, che probabilmente stanno facendo il gioco del Governo».
Tra le tante storie colpisce quella del pastore evangelico Wilber Alberto Perez. Prima di essere espulso dal Paese, nel 2021 era stato arrestato e condannato a dodici anni di carcere. L’accusa inizialmente era di avere sollecitato una rivolta solo perché era stato trovato seduto in un luogo dove si erano assembrate molte persone. Dato che lui era riuscito a dimostrare di essersi trovato in quel luogo a riposare in compagnia di amici, è stato allora accusato di traffico di droghe illegali. Detenuto per un po’ di tempo, anche in una cella al buio, infine, gli è stato dato il foglio di via.
Un Paese cristiano
Ma che cosa è successo in questo Paese, a larghissima maggioranza cristiana?
Secondo i dati più recenti, riferiti al 2020, dell’Association of religion data archives, i cristiani in Nicaragua sono il 95% della popolazione. La maggior parte cattolici. Secondo altre stime più prudenti, i cristiani superano comunque l’80 per cento della popolazione. Perché dunque il Governo mette in atto la repressio- ne di un sentimento così diffuso? Perché la distruzione di chiese, la cacciata di religiosi e religiose?
Secondo gli osservatori è proprio la larga adesione alla Chiesa, l’unica che può dare voce a coloro che si sentono oppressi, che intimorisce il regime di Ortega.
Uno dei primi a essere stato esiliato e, dal febbraio 2023, anche privato della cittadinanza nicaraguense, è monsignor Silvio Báez, vescovo ausiliare di Managua, che vive attualmente tra Miami, negli Stati Uniti, e il Vaticano.
Il 16 novembre del 2023, nel ricevere la «Medaglia per il servizio alla democrazia» dell’istituto statunitense National endowment for democracy, ha dichiarato: «Questa onorificenza non è solo un onore personale, ma una testimonianza della resilienza collettiva del popolo nicaraguense e dell’impegno incrollabile della Chiesa cattolica del Nicaragua nel difendere la libertà, la pace e la giustizia». Parole inequivocabili sulla posizione della Chiesa nel Paese e che dunque mettono paura al regime che ha scelto la strada del non dialogo e della repressione.
Secondo mons. Báez, «nel corso della storia, il popolo del Nicaragua ha dimostrato un coraggio eccezionale di fronte a sfide immense. Abbiamo affrontato il dominio oppressivo di una dittatura brutale e abbiamo assistito alla lenta erosione dei valori democratici, fino alla loro completa scomparsa». In questo contesto, sottolinea il vescovo, la Chiesa cattolica in Nicaragua «è sempre stata un rifugio sicuro per i poveri e gli oppressi e continua a essere un faro di speranza nella società».
Un futuro incerto
«La liberazione ad opera del regime Ortega-Murillo dei diciannove religiosi il 14 gennaio scorso – commenta Alessandro Monteduro, rispondendo sulle prospettive future dei cattolici in Nicaragua – ha consentito all’intera comunità cattolica mondiale di tirare un sospiro di sollievo. Tuttavia, non è ancora chiaro se sia stata il frutto di un nuovo clima o una manovra politica.
Certamente ha influito la pressione internazionale che si è intensificata sia sul fronte politico, dagli Stati Uniti all’Alto commissariato dell’Onu per i Diritti umani, sia su quello mediatico.
Tutto ciò avrebbe indotto il regime a trattare con la Santa Sede. È probabile – prosegue Monteduro – che abbia inciso anche la volontà del Governo di non alienarsi completamente la comunità cattolica. Tuttavia, è anche vero che Ortega ha espulso un gruppo di leader caratterizzati da notevole spessore pastorale e ampia visibilità pubblica. Cosa che, agli occhi del regime, rappresenta un’azione di successo nel più ampio tentativo di reprimere e depotenziare la Chiesa.
Al di là dei toni apparentemente rassicuranti del Governo, è pertanto opportuno valutare l’accaduto con molta cautela».
Manuela Tulli