Santi nella “Casa comune”
Nel Sinodo per l’Amazzonia, celebrato lo scorso ottobre e i cui echi arrivano ancora fino a noi in questo inizio d’anno, la riflessione per la preghiera di lunedì 14 ottobre, è stata proposta dall’arcivescovo di Florencia (Colombia), mons. Omar de Jesús Mejía, sul tema: «La nostra missione: essere santi».
All’inizio del suo discorso, il vescovo ha ricordato che, il 3 ottobre, visitando la tomba del beato Giuseppe Allamano, a Torino, era rimasto colpito dalla scritta: «Prima santi e poi missionari». Rientrato a Roma, era poi stato invitato a commentare la Parola di Dio: «Sii santo per me, perché Io sono santo, sono il Signore, che ti ha separato dagli altri per essere mio» (Lv 20, 26).
In quel contesto di preghiera sinodale, Mejía ha spiegato: «Siamo qui, perché vogliamo discernere l’attività missionaria della Chiesa, in Amazzonia. Chiediamo la forza dall’alto per capire che, senza la grazia di Dio, ciò che facciamo sarà inutile o innocuo, mentre la grazia è sempre edificante e salutare. Dio ci ha scelti per essere qui, in questo “momento vitale”, per essere luce e speranza oggi, in Amazzonia e, da lì, nel mondo. Come chiesa missionaria, siamo in Amazzonia non a scopo di lucro, né per devastarla e goderne le ricchezze, ma per condurre lo stile di vita di Gesù, per “guarire i cuori affranti”. È normale essere criticati, perché molte persone non capiscono la nostra missione. Come persone consacrate dobbiamo essere la terra di Dio e questo ci insegna a rifiutare la vita senza Dio. Come missionari, dobbiamo compiere la nostra opera con un senso di eternità. Non lavoriamo, non ci stanchiamo, non diamo la nostra intelligenza e volontà a Dio per essere applauditi, ma per la cura della “casa comune”, l’Amazzonia, e come “servitori inutili”. Alla Beata Vergine Maria, Madre della Speranza – ha concluso l’arcivescovo – affidiamo questa nuova settimana di discernimento nel Sinodo e ricordando: “Prima santi e poi missionari”» (Beato Giuseppe Allamano).
Che bello è stato sentir risuonare, nella variegata e poliglotta assemblea sinodale, il nome e le parole più caratteristiche del nostro beato fondatore, ricordate da un vescovo dell’Amazzonia, amico dei missionari della Consolata. Parole di augurio e di speranza, per questo anno di grazia che abbiamo appena iniziato…
Padre Giacomo Mazzotti
G. Allamano e L. Murialdo:
l’amicizia tra sacerdoti santi
L’Allamano ebbe la fortuna di vivere in un periodo in cui, nella diocesi di Torino e in altre del Piemonte, fiorirono diversi sacerdoti dei quali oggi la Chiesa riconosce ufficialmente la santità con l’onore degli altari o la cui causa di beatificazione è già avanzata.
L’Allamano ebbe contatti, a volte vera amicizia, con molti di loro ed è interessante constatare che tutti, senza eccezione, dimostrarono una profonda stima per l’Allamano, riconoscendo in lui un vero uomo di Dio.
Stessa profonda stima era ricambiata dall’Allamano per ognuno di essi. Qualcuno disse che i santi riescono a individuarsi anche da lontano, ed è vero.
In questa rubrica, durante il 2020, riporto i giudizi o i gesti di apprezzamento reciproci tra l’Allamano e alcuni santi sacerdoti.
Leonardo Murialdo
Inizio questa carrellata con San Leonardo Murialdo (1828-1900), fondatore dei Giuseppini. Tra lui e l’Allamano c’era una buona conoscenza come pure una sincera stima, nonostante la differenza di 23 anni di età. Qualche biografo del Murialdo pone l’Allamano addirittura nell’elenco dei suoi «amici».
Il pensiero dell’Allamano sul Murialdo
Durante il Congresso Mariano (8-12 settembre 1898), celebrato a Torino, erano presenti e attivi sia il Murialdo che l’Allamano. Fa piacere sapere che, per alcuni giorni, questi due uomini di Dio, abbiano lavorato assieme per promuovere il culto di Maria SS. Forse di lì iniziò una più profonda conoscenza e un certo rapporto di stima tra i due.
Non c’è dubbio che l’Allamano ritenesse il Murialdo un santo. Ciò risulta soprattutto dal fatto che fu lui a incoraggiare i Giuseppini a iniziare la causa canonica per la beatificazione del loro fondatore, come attesta il suo secondo successore don Eugenio Reffo: «Il canonico Giuseppe Allamano confortando alcuni dei nostri confratelli nella dolorosissima perdita, espresse un suo intimo pensiero, che al teologo Murialdo si sarebbe col tempo fatto il processo ed esortò a raccogliere con diligenza tutte le memorie che si possono avere di lui, compendiando in una sola frase il suo elogio, con dire di lui quello che si disse di don Giuseppe Cafasso: era uomo straordinario nell’ordinario».
Nella prima sessione del Capitolo generale del 1906, lo stesso don Reffo, dopo avere affermato che la tomba del Murialdo era visitata dai Giuseppini, aggiunse: «Ci andarono una volta i missionari della Consolata, e ricordo con filiale orgoglio che quel venerando uomo che è il canonico Giuseppe Allamano disse a quel prode drappello di apostoli: “Un giorno questa salma uscirà da questa tomba per essere venerata!”».
Nelle sue memorie autobiografiche, don Reffo illustrò meglio l’esortazione dell’Allamano per iniziare la causa del Murialdo: «Me ne spiegò il modo, le pratiche da farsi, la facilità dell’impresa, e tanto seppe dire e farmi premure, che io compresi essere ormai volontà di Dio che ci mettessimo all’opera, e subito, tornato a casa, ne parlai col mio superiore don Giulio Costantino, che aderì pienamente, e acconsentì che si muovessero le prime pedine».
Il pensiero del Murialdo sull’Allamano
Non c’è dubbio che anche il Murialdo abbia molto apprezzato l’Allamano. Lo dimostrano alcune sue parole pronunciate in situazioni particolari. Anzitutto riguardo il giornale diocesano, che sorse a Torino nel 1876, intitolato «Unioni Operaie Cattoliche» per iniziativa di un gruppo di laici, sostenuti dal teologo Leonardo Murialdo, che di questioni operaie era molto esperto. Il giornale doveva essere il collegamento delle varie Unioni operaie cattoliche, ed essere non solo per gli operai, ma anche redatto da un operaio. Questo redattore fu il sig. Domenico Giraud (1846-1901), cattolico fervente, che era segretario della conceria del sig. Pietro De Luca. Con il tempo, però, il Giraud non fu più in grado di impegnarsi nel giornale, soprattutto per il lavoro pressante come segretario della conceria. Quando il Giraud sembrava deciso a chiudere, il Murialdo, secondo il suo biografo Armando Castellani, prima lo incoraggiò e, in seguito, come sotto una particolare ispirazione, si aggrappò ad un’ancora di salvataggio dicendo: «Perché non sentire il consiglio del canonico Allamano?». Lo stesso Castellani ne spiega così la ragione: «Era l’Allamano, rettore del santuario della Consolata, un fervido sostenitore della buona stampa, delle Associazioni operaie cattoliche. Egli godeva della più alta stima tra i cattolici torinesi», concludendo: «L’intervento dell’Allamano e l’interesse continuo e vigilante del Murialdo salvarono “in extremis” il giornale».
Questo provvidenziale intervento dell’Allamano fu così spiegato dal can. Giuseppe Cappella suo stretto collaboratore al santuario della Consolata: «Al fondatore del giornale sig. Giraud, che nel mese di novembre (1889) gli annunciava di dover egli sospendere la pubblicazione del giornale, perché soverchiamente occupato nella direzione della Conceria De Luca, l’Allamano disse di ripassare la sera del sabato seguente. Ritornò infatti il Sig. Giraud. L’Allamano intanto aveva dato convegno anche al sig. Giacomo De Luca, e quando li ebbe tutti e due insieme, disse al proprietario: “Qui il sig. Giraud si lamenta di dover cessare la pubblicazione del giornale, perché troppo occupato nella conceria; faccia così: metta un segretario per la conceria che lo aiuti nelle sue mansioni, e il sig. Giraud pubblicherà il giornale, invece che ogni quindici giorni, ogni settimana”. E così fu fatto». Il Murialdo non si sbagliò suggerendo di ricorrere all’Allamano.
padre Francesco Pavese
Giuseppe Allamano:
fedeltà e novità
Il 5 luglio 2019, la signora Emanuela Costamagna ha conseguito, a pieni voti, la Laurea magistrale presso l’Istituto superiore di scienze religiose di Torino, difendendo la tesi dal titolo: «Beato Giuseppe Allamano. Fedeltà e novità nel suo pensiero teologico e nella sua attività missionaria».
Di tesi sull’Allamano l’istituto ne possiede molte fatte da missionari o missionarie della Consolata. Questa è la prima e, per ora, l’unica presentata da una persona laica. Per di più, da una mamma che, all’inizio del lavoro della tesi, era in attesa del terzo figlio. Tenuto conto di tutto ciò, la tesi assume un significato particolare.
Per comprendere il motivo che ha spinto la signora Emanuela ad affrontare un tema di questo genere, basta ascoltare come lei stessa si è presentata alla commissione dei professori il giorno della difesa: «Questo elaborato è nato da un mio forte desiderio, coltivato negli anni, per la missione “universale”. Già nell’elaborato per la tesi triennale avevo sviluppato questo tema, concentrandomi su un piccolo aspetto del pensiero del beato Giuseppe Allamano.
Questo vivo interesse per la missione è nato in giovane età e mi ha portato a vivere esperienze nelle missioni dei missionari della Consolata. La più lunga è durata un anno e mezzo ed è stata vissuta con mio marito presso la missione di Gambo, in Etiopia, dove abbiamo avuto la gioia di vivere al fianco dei missionari e delle suore e condividere lo spirito del fondatore, sentendoci come in famiglia.
Lo scopo della mia tesi magistrale è stato provare ad analizzare come si è formato il carisma dell’Allamano e il suo pensiero teologico missionario, da quali fonti può aver attinto, a chi si è ispirato, in che modo le sue idee siano state influenzate dal contesto storico sociale da lui vissuto e in particolare come le sue idee siano state trasmesse ai suoi missionari. Questo tipo di studio non è stato ancora effettuato nell’istituto per cui rappresenta un po’ una novità.
«Non ho analizzato lo sviluppo storico del suo pensiero, ma identificato e affrontato alcune tematiche per lui importanti. Per poter fare questa attività, ho preferito utilizzare e valorizzare principalmente le fonti primarie: le conferenze ai missionari e alle suore missionarie, che sono durate dall’inizio della fondazione dei due istituti fino alla sua morte; quelle ai sacerdoti convittori, le lettere che inviava e riceveva dalle missioni e i diari che i missionari erano tenuti a scrivere e consegnare all’Allamano. Sicuramente la possibilità di utilizzare le fonti primarie mi ha permesso di andare al cuore del suo pensiero, di poter lavorare direttamente sulle sue parole, cosa che non sarebbe stato possibile utilizzando fonti secondarie, anche se non sono mancate».
La tesi, dopo l’introduzione, è divisa in quattro capitoli. Nel primo è analizzato il rapporto dell’Allamano con il magistero della Chiesa, sia con i sommi pontefici che con i suoi vescovi. Rapporto di comunione, fedeltà e obbedienza. Questa parte è stata fondamentale per conoscere la personalità dell’Allamano.
Il secondo capitolo sposta lo sguardo verso l’apertura dell’Allamano all’universalità della salvezza. Come la vita di un sacerdote diocesano, vissuto sempre all’ombra del santuario della Consolata, sia stato capace di guardare al di là dei confini della propria diocesi. Si è potuto analizzare quali fossero i punti fermi dell’Allamano sulla missione: l’annuncio del Vangelo, la formazione di chiese locali, e la promozione umana, in vista della salvezza delle anime.
Nel terzo capitolo viene precisata l’identità dei missionari secondo l’Allamano, esaminando e dando una risposta a domande come queste: qual era il suo pensiero sulla vocazione sacerdotale e vocazione missionaria? Perché considerava la vocazione missionaria come “la migliore?”. C’erano differenze tra la vocazione missionaria dei sacerdoti, delle suore, dei fratelli coadiutori? Quale identità missionaria voleva trasmettere? E come la trasmetteva? Perché dava un senso mariano all’evangelizzazione? Qual era la sua idea di santità per un missionario?
Nei primi tre capitoli, fondamentali per inquadrare storicamente e analizzare bene il suo pensiero, è anche effettuata una prima analisi teologica, ma è poi nel quarto capitolo che, sulla base dei primi tre, sono considerati alcuni degli aspetti più importanti e si sono esaminati dal punto di vista teologico. Ne emerge che l’Allamano può essere considerato «figlio del suo tempo» perché egli viveva appieno la visione teologica del suo periodo storico. Ha portato sicuramente delle sue originalità, ha insistito su alcuni particolari aspetti, pensando che il suo scopo fosse formare giovani uomini e donne che presto sarebbero stati inviati lontano con lo stesso spirito missionario. Il suo pensiero si potrebbe racchiudere nelle sue stesse parole: «Amare e farsi santi è la stessa cosa».
Fine della prima parte