Russia. Il multilateralismo non vale un Brics

Il XVI vertice dei Brics – acronimo dei cinque paesi fondatori (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) – si è tenuto a Kazan, in Russia, dal 22 al 24 ottobre. Al Summit hanno partecipato 41 delegazioni: 6 rappresentavano organizzazioni internazionali e 36 paesi, 24 dei quali erano capi di stato e di governo. Numeri importanti, ma risultati effettivi molto scarsi, come si può facilmente dedurre leggendo i 134 punti della «Dichiarazione di Kazan», spesso (ma non sempre) apprezzabili ma troppo vaghi per trovare una concreta e rapida applicazione.

È positiva la volontà (punto 8) di riformare l’Onu, incluso il Consiglio di sicurezza. Elementi positivi possiamo trovarli nei punti dal 15 al 19 in cui si ribadisce – almeno a parole – la necessità di affrontare il cambiamento climatico e la desertificazione, difendere la biodiversità e l’acqua. Anche la preoccupazione per la grave situazione in Medio Oriente (punti 30-31) è condivisibile, salvo che sui punti in cui si giustificano Siria (34) e Iran (35), paesi alleati della Russia. Per l’Ucraina (36), paese aggredito da Mosca, la vaghezza dei termini utilizzati per descrivere la situazione assume livelli sublimi: «Sottolineiamo che tutti gli stati dovrebbero agire in modo coerente con gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite nella loro interezza e interrelazione. Prendiamo atto con apprezzamento delle pertinenti proposte di mediazione e buoni uffici, volte a una risoluzione pacifica del conflitto attraverso il dialogo e la diplomazia».

Altrettanto acrobatica (punto 56) è la dichiarazione sul problema (sempre più grave) delle notizie false e sulla libertà d’espressione: «Esprimiamo – si legge – seria preoccupazione per la diffusione esponenziale e la proliferazione di disinformazione, cattiva informazione, inclusa la propagazione di false narrazioni e fake news, nonché di discorsi d’odio, in particolare sulle piattaforme digitali, che alimentano la radicalizzazione e i conflitti. Mentre riaffermiamo l’impegno per la sovranità degli Stati, sottolineiamo l’importanza dell’integrità delle informazioni e di garantire il libero flusso e l’accesso pubblico a informazioni accurate basate sui fatti, inclusa la libertà di opinione ed espressione». Vale la pena di ricordare che la più grande fabbrica mondiale di trolls (software di hackeraggio) ha sede a Mosca e che né in Russia né in Cina – paesi fondatori dei Brics – esiste libertà d’espressione.

Nel documento, si accenna anche alla questione – molto complicata (anche se non campata in aria) – della riforma dell’architettura finanziaria internazionale e della de-dollarizzazione del sistema.

Dal primo gennaio 2024 si sono uniti ai Brics altri cinque paesi – Egitto, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati arabi uniti -, nessuno di loro guidato da un governo democratico. A Kazan, altri tredici si sono uniti in qualità di «partner»: Algeria, Bielorussia, Bolivia, Cuba, Indonesia, Kazakistan, Malaysia, Nigeria, Thailandia, Uganda, Uzbekistan, Vietnam e la Turchia (forse il paese più «pesante», vista la sua appartenenza alla Nato). La commistione di paesi dittatoriali (Russia e Cina, in primis) con altri a conduzione democratica (il Brasile, ad esempio) pare costituire un vulnus per l’organizzazione che si vorrebbe porre come alternativa al cosiddetto Nord del mondo.

A Kazan, il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha incontrato Vladimir Putin, suscitando molte polemiche. (foto Faces of the World)

Da notare, infine, che l’evento più chiacchierato della XVI riunione dei Brics è avvenuto a latere del convegno: l’incontro tra il padrone di casa Vladimir Putin e il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, un evento molto discusso visto che l’autocrate russo è un criminale di guerra che ha scatenato il conflitto in Ucraina. Vedremo se questo incontro porterà dei frutti, ma pare altamente improbabile.

Paolo Moiola




Mondo. L’Onu ci prova (ma prevalgono le divisioni)

Il nome scelto è ambizioso: «Patto per il futuro» è stato, infatti, chiamato. È l’accordo globale più rilevante discusso e adottato nella 79.ma Assemblea delle Nazioni Unite (Unga), tenutasi a New York dal 24 al 30 settembre, alla presenza dei rappresentanti di 193 paesi. Come spesso accade (ad esempio, per l’«Agenda 2030» varata nel 2015), il testo è meritorio e suadente, ma è nato in tempi grami per i rapporti tra i paesi del mondo con una divisione profonda tra un Occidente in crisi e un’alternativa autocratica capeggiata da Russia e Cina.

L’incipit dell’accordo è solenne: «Noi, capi di Stato e di Governo, in rappresentanza dei popoli del mondo, ci siamo riuniti presso la sede delle Nazioni Unite per proteggere le esigenze e gli interessi delle generazioni presenti e future attraverso le azioni previste da questo Patto per il futuro». Il Patto si articola in 5 aree principali e 56 azioni: sviluppo sostenibile e suo finanziamento; pace e sicurezza internazionale; scienza, tecnologia e innovazione e cooperazione digitale; gioventù e generazioni future; trasformazione della governance globale. Include anche due documenti aggiuntivi: uno dedicato al superamento del divario digitale e uno relativo alle generazioni future.
Davanti a un mondo dove le controversie tra i paesi sfociano sempre più spesso in conflitti, viene affermato che «il sistema multilaterale e le sue istituzioni, con le Nazioni Unite e la sua Carta al centro, devono essere rafforzati». Questo rafforzamento dovrebbe passare anche attraverso una riforma del Consiglio di sicurezza: «Riformeremo – si legge nell’azione 39 – il Consiglio di sicurezza, riconoscendo l’urgente necessità di renderlo più rappresentativo, inclusivo, trasparente, efficiente, efficace, democratico e responsabile». Fin dall’inizio, il Consiglio di sicurezza dell’Onu (Unsc) è stato bloccato dai veti incrociati dei suoi membri permanenti.

Il Patto – inoltre – conferma in più passaggi l’impegno per l’Agenda 2030 e per il raggiungimento dei suoi obiettivi, la gran parte dei quali rimangono lontani.

«Questo Patto per il futuro – ha detto Charles Michel, presidente del Consiglio europeo – invia un forte segnale di fiducia che, nonostante le nostre differenze, nonostante le sfide che affrontiamo, possiamo lavorare insieme e vogliamo lavorare insieme. Potete contare sull’Ue come partner forte e affidabile per rendere questo Patto un successo». Peccato che l’Unione europea (indebolita dai partiti della destra populista) sia, da tempo, il grande assente dal panorama geopolitico internazionale, con una rilevanza ridotta ai minimi termini e un’assoluta povertà d’idee condivise.

L’accordo per il futuro, che – va ricordato – non è vincolante, ha avuto un iter travagliato. Alla fine, è stato adottato, nonostante i tentativi della Russia di far saltare il banco. La votazione sugli emendamenti russi ha visto, infatti, 143 voti favorevoli al Patto, 7 contrari e 15 astensioni. A votare contro sono stati la Russia e alcuni dei suoi principali alleati (Bielorussia, Corea del Nord, Iran, Nicaragua, Sudan e Siria), mentre tra gli astenuti troviamo Cina, Cuba, Arabia Saudita e Irak. I restanti paesi – tra cui l’Argentina dell’anarco capitalista Javier Milei – hanno deciso di non partecipare.
Tutti numeri, questi, che fanno intuire quanto difficile sarà l’effettiva messa in atto del Patto per il futuro oltre al recupero di un ruolo centrale per le Nazioni Unite.

Paolo Moiola