Noi e Voi, dialogo lettori e missionari


MC, una casa per la cooperazione

Un paio di volte l’anno esco dal mio ufficio e mi chiudo la porta alle spalle, perché so che non tornerò per un paio d’ore. Vado nella biblioteca della casa generalizia dei Missionari della Consolata a Roma e mi siedo sulla scala di legno che porta dalla saletta principale a quella rialzata e che passa accanto allo scaffale dove ci sono i numeri di Missioni Consolata rilegati per anno. Con l’insolito e suggestivo sottofondo di musica, spesso lirica, che viene da un vicino teatro, mi metto a sfogliare.

Ho iniziato per cercare corrispondenze, anniversari, eventi di cui parlare in Cooperando: di che cosa scriveva la rivista in questo mese di trent’anni fa? E di cinquanta, sessanta, venti anni fa? C’erano progetti sul campo di cui dava conto?

La prima sorpresa è stata scoprire la rubrica «Appelli dal fronte», pubblicata dal gennaio del 1968 al maggio del 1974, che in ogni numero proponeva ai lettori un’iniziativa in missione da sostenere con un’offerta. Da lì è nato «Come cooperavamo», il box sui progetti d’antan – così d’antan che ancora non si chiamavano progetti – che ogni tanto è apparso all’interno di «Cooperando». Ma per trovare questi spunti basterebbe un quarto d’ora, dirà il lettore attento: perché non torni alla tua scrivania a tenere d’occhio i progetti?

Confesso: se mi fermo ore su quella scaletta è perché ogni volta trovo qualche gioiellino, a cominciare dai pezzi eleganti e divertenti di padre Benedetto Bellesi, il mio primo direttore. Ma ce ne sarebbero a decine da citare, come è inevitabile che sia quando una rivista fa per decenni da ponte non solo fra Italia e Africa, America Latina, Asia, ma fra persone e comunità italiane e persone e comunità in luoghi talmente isolati che sarebbe stato altrimenti quasi impossibile averne notizia.

E poi la storia, del secolo scorso e di questo, che attraversa le pagine: non di sfuggita, come fosse un’eco, ma come una presenza imponente che lascia orme profonde, solchi, dentro ai quali i missionari stessi hanno camminato, senza sottrarsi al confronto con mondi e punti di vista anche molto lontani dal loro.

Quanto alla cooperazione in particolare, poi, i pezzi sul volontariato, sullo sviluppo, sulla collaborazione con organizzazioni come Mani Tese pubblicati fra gli anni Sessanta e gli Ottanta del secolo scorso hanno contenuti e linguaggi di un’attualità che mi colpisce ogni volta.

Insomma, buon compleanno MC, te li porti bene questi 125 anni e più. E grazie del servizio che hai reso e rendi alla cooperazione.

Chiara Giovetti
Roma, 10/10/2024

Nonno missionario

Molto rev. padre Anataloni,
Ho seguito con entusiasmo l’elevazione agli altari di san Giuseppe Allamano.

In quei giorni ho potuto incontrare anche padre Rinaldo Do (a Isiro, in Congo Rd), con il quale ho un contatto quotidiano. Da pensionato e nonno faccio parte attiva, con entusiasmo e soddisfazioni, del gruppo missionario parrocchiale Belém, con presenza quasi tutte le domeniche, presso i nostri banchetti vendita, nelle cinque parrocchie del territorio parrocchiale di Alzano Lombardo (Bg).

Abbiamo diversi missionari locali, nessuno della Consolata, in Amazzonia, in Messico, in Papua Nuova Giunea, in Bangladesh, e anche missionarie, purtroppo ritornate al Padre di recente: suore che sono state nella Sierra Leone, che hanno subito anche un rapimento e sono state poi rilasciate (erano tra le sette missionarie di Maria-Saveriane che furono sequestrate il 25 gennaio 1995 dai ribelli del Fronte rivoluzionario unito e liberate il 21 marzo successivo, ndr).

E il cappuccino padre Apollonio, che con il suo decesso, ci ha lasciato in eredità un lebbrosario in Brasile.

Quando san Giuseppe Allamano, padre di missionari e missionarie, raggiunse la gloria del Bernini, ho sentito la necessità di rivolgere una preghiera per i nostri missionari. A metà preghiera mi ha raggiunto un dolorosissimo blocco, con una lacrimuccia: sono un ex seminarista della Consolata. Dopo 9 anni in istituto, alla vigilia dei primi voti, d’accordo con il padre spirituale, ho lasciato. Ma non solo, in seguito, in modo colpevole, ho accantonato anche lo spirito missionario, tra l’altro molto gioioso, che avevo appreso a suo tempo.

Ora, se, nella parte terminale della rivista MC, ci fosse un piccolo trafiletto, magari gestito da un padre in infermeria, dove ne conosco molti di persona, con esperienza di missione e mi aiutasse a rientrare nello spirito missionario della Consolata, forse servirebbe a molti volontari ed ex, che sempre vi stimano e amano.

Mettetemi in condizione di pregare l’Allamano, non raggiungereste grandi risultati, con me: alla fine otterreste non grandi fasci di luce, ma una lucina del presepio, che, in ogni caso, può stare davanti all’Allamano, e quale nonno, porterei in dotazione tre nipotini, che mi seguono nel mondo missionario.

Ferruccio Vitali
Alzano Lombardo, 16/11/2024

Caro Ferruccio,
grazie di questa condivisione personalissima e grazie della passione missionaria che non ti ha mai lasciato; un amore per la missione che sembra essere di casa nel paese dove vivi.

La canonizzazione è stato certamente un avvenimento che ha galvanizzato tutti noi. È stata una tappa essenziale del cammino che stiamo facendo insieme missionari, missionarie e laici che condividono la nostra passione. Davanti abbiamo ancora un anno molto pieno e significativo per tutti noi. La meta sarà il 16 febbraio 2026, centenaria della morte di san Giuseppe Allamano. Una data che diventa occasione e stimolo per rinnovare la nostra fedeltà al suo carisma e, soprattutto, per declinarlo nella nuova realtà in cui tutti viviamo, con tutte le sue crisi, contraddizioni e drammi, ma anche con tantissime nuove potenzialità inedite.

Le pagine di questa rivista saranno un luogo privilegiato per condividere con i nostri amici e «tifosi» questo cammino. Non aspettarti sorprese straordinarie, ma davvero cammineremo insieme per «fare bene il bene», da «santi» anzitutto, «poi missionari».

Sant’Allamano, Attento alla Stampa

A Torino è pubblicata regolarmente la rivista «Il Santuario della Consolata». È la continuazione de «La Consolata», il mensile sorto nel 1899, una rivista, meglio «bollettino», come si diceva allora, che, a sua volta, nel 1928, dopo aver accompagnato per molti anni i primi passi dei missionari e missionarie della Consolata, ha generato «Missioni Consolata» come rivista autonoma.

Quando entro, oggi, nella redazione di MC resto affascinato da una gigantografia appesa a una parete: è la copertina del primo numero de «La Consolata» (vedi la foto qui sopra). Un’immagine a colori di oltre 125 anni fa, disegnata e decorata con arte, dalle proporzioni perfette. Una bellezza. Sì, perché al fondatore de «La Consolata» piacevano «le cose belle», e le esigeva puntando sull’eccellenza.

Si chiamava Giuseppe Allamano quel fondatore, sacerdote, il quale nel 1901 fondò pure i Missionari della Consolata e, nel 1910, le Missionarie della Consolata. Con lui operava un altro prete speciale: Giacomo Camisassa.

Ed ecco che, last but not least, il 20 ottobre Giuseppe Allamano è stato dichiarato santo.

Chi dice che a Giuseppe Allamano stava a cuore anche la stampa afferma una verità indiscutibile. Egli sostenne diversi giornali cattolici con consigli e denaro. Ebbe un peso rilevante sulle testate Italia Reale, Corriere Nazionale, La Voce dell’Operaio, Risveglio Cattolico. Inoltre, ispirò, incoraggiò e sostenne la nascita del quotidiano francese La Croix, il cui direttore, padre Paul Bailly, nel 1883 venne a Torino in pellegrinaggio al santuario della Consolata.

Questo dimostra che il canonico Allamano non era solo il rettore della Consolata, chiuso nel suo santuario, bensì partecipava alla vita sociale del suo tempo. «La Consolata» fu una rivista attraente anche sotto il profilo fotografico. I fotografi erano gli stessi missionari della Consolata, che raggiunsero il Kenya nel 1902. Però, prima di partire, frequentavano corsi di fotografia. Secondo padre Candido Bona, uno degli storici dell’istituto, il primo maestro di fotografia dei missionari fu nientemeno che Secondo Pia, il celebre fotografo della Sindone di Torino.

Quadretto con immagine b/n della Consolata (foto di Secondo Pia) che si trovava sopra letto dell’Allamano durante la malattia dopo la quale decise di fondare l’Isittuto nel 1901.

Secondo Pia era amico di Allamano, che gli commissionò la foto del quadro della Madonna Consolata dell’omonimo santuario. Poi l’immagine bianco e nero, incorniciata in centinaia e centinaia di quadretti, fu distribuita in tutta Torino. Un esemplare (foto qui sopra) si trova tutt’oggi in Corso Ferrucci 18, nella chiesa dedicata a San Giuseppe Allamano, che ne raccoglie le spoglie mortali.

Ebbene, i fotografi de «La Consolata» erano alcuni, pochi, missionari muniti di ottime macchine fotografiche (e relativo materiale di camera oscura per sviluppo e stampa, ndr), alcune delle quali sono conservate nel museo etnografico dell’istituto. Le foto destano tuttora ammirazione. Ritraggono specialmente l’etnia dei Kikuyu del Kenya. Oggi alcuni Kikuyu, visitando il nostro archivio fotografico, restano a bocca aperta di fronte ai ritratti dei loro nonni ed esclamano stupiti: «Ma noi eravamo proprio così?».

I missionari erano soprattutto scrittori. «La Consolata», prima, e MC, dopo, riportano i loro articoli che Allamano e Camisassa leggevano con passione. Si tratta di un materiale di notevole pregio anche etnografico. Alcune tesi di laurea sono state scritte avendo come fonte primaria le suddette riviste.

Sulla scia di Giuseppe Allamano, le Missionarie della Consolata hanno pure dato vita alla loro rivista «Andare alle Genti», mentre i Missionari hanno allargato l’orizzonte con «Fatima Missionaria» in Portogallo, «Antena Misionera» in Spagna, «Dimension Misionera» in Colombia, «Missões» in Brasile, «The Seed» (Il Seme) in Kenya, «Enendeni» (Andate) in Tanzania, «Missions» in Corea del Sud, «Reveil» in Canada, «Consolata missionaries» negli Usa. E tutto è «buona novella».

Francesco Bernardi
Torino, 28/09/2024

Una preghiera

Salve, non c’è un motivo particolare ma ho scritto una preghiera per invocare San Giuseppe Allamano, ve la mando, spero vi piaccia. Arrivederci,

Canonico Giuseppe,
primo padre della Consolata,
intercedi per noi,
affinché impariamo
ad affrontare 
i nostri dolori nel corpo e nello spirito
e i nostri cattivi pensieri.

Consolaci con la tua
attenzione e il tuo ascolto e
sostienici nel nostro quotidiano,
a volte così duro e greve.

Insegnaci a incontrare l’altro,
chiunque sia, senza pregiudizi

e senza etichettare
con fretta e ignoranza.

Aiutaci a diventare santi
che sanno fare bene il bene
senza far rumore,
a diventare missionari d’amore,
testimoni di fede.

Andare alle genti?
Adesso comincio.

Deo gratias? Sempre.
Amen

Stefania Barbieri
08/11/2024

 





Allamano. Una passione nascosta


A Torino, al Museo dei missionari della Consolata (Cam), fa bella mostra di sé uno strano oggetto, classificato come «macchina fotografica». L’aveva voluta il fondatore Giuseppe Allamano per donarla ai suoi primi missionari partenti per l’Africa, ed essi ne fecero buon uso, realizzando fotografie di ottima fattura. Tali fotografie furono poi ampiamente utilizzate dalla rivista del santuario della Consolata per far conoscere ai numerosi lettori le attività dei missionari in Kenya, e così suscitare nuove vocazioni missionarie e anche offerte a favore delle missioni.

Scopriamo questo interesse dell’Allamano per la fotografia già nel 1899, quando prese l’iniziativa di affidare al celebre fotografo della Sindone, l’avvocato Secondo Pia, il compito di ritrarre per la prima volta il quadro della Consolata. Con la stessa macchina fotografica servita per la sacra Sindone, l’avvocato Pia impiegò tre giorni per riprendere il più fedelmente possibile il volto della Vergine Consolata (cfr MC 06/2023). L’immagine, riuscita in modo ottimo, venne ampiamente utilizzata non soltanto dalla rivista del santuario, ma anche per fare riproduzioni di ogni tipo e dimensione. Ai benefattori del santuario e delle missioni, l’Allamano amava farne dono apponendovi la propria firma, accompagnata sovente da quella dell’arcivescovo di Torino, il cardinale Agostino Richelmy.

La riproduzione fotografica del quadro della Consolata suscitò varie iniziative pastorali che ebbero allora grande successo, come la consacrazione delle abitazioni alla Consolata tramite il suo collocamento ai muri o alle porte.

Se l’Allamano aveva mostrato tale zelo nel diffondere l’immagine della Vergine Consolata, e anche nel far conoscere le attività dei suoi missionari in Kenya attraverso le fotografie, altrettanto non si può dire circa la sua disponibilità a lasciarsi fotografare. Rare volte l’Allamano ha accettato di mettersi in posa davanti alla macchina fotografica, per l’innata e ricercata tendenza a non voler apparire. Mentre lo troviamo sempre in prima linea quando si tratta di favorire iniziative di bene e di apostolato, non così quando si trattava di giocare lui stesso il ruolo di protagonista.

Alle solenni celebrazioni centenarie della Consolata nel 1904, ad esempio, vediamo la partecipazione di importanti personalità civili ed ecclesiastiche: raramente l’Allamano appare, anche se è stato lui il primo promotore di quest’importante evento. Era il suo stile costante: fare e non apparire. Il suo unico intento: «Tutto per la gloria di Dio e della Vergine Consolata».

padre Piero Trabucco


Protettore annuale

I missionari e le missionarie della Consolata hanno la bella tradizione, ereditata dal beato Allamano, di affidarsi ogni anno a un protettore speciale al quale rivolgersi nella preghiera e del quale imitare le virtù. Quest’anno, e per tre anni di fila, è stato scelto proprio lui, il beato Allamano, come protettore dei nostri due istituti. Di seguito la lettera di presentazione inviata dai nostri superiori a tutti i missionari e missionarie

 «Nella carità consiste essenzialmente la santità… la carità è santità: amare e farsi santi è la stessa cosa… La carità verso Dio è necessaria in modo particolare a noi che abbiamo ricevuto la vocazione e la missione di comunicarla alle anime».

Beato Giuseppe Allamano

 Carissimi missionari e missionarie,

è con il cuore colmo di gratitudine che ci rivolgiamo a voi per comunicarvi che il beato Giuseppe Allamano sarà il protettore per i prossimi anni 2024, il 2025 e anche 2026 (in quest’ultimo celebreremo il centenario della sua morte).

Ci ha spinti a proporvi l’Allamano come protettore per tre anni consecutivi il nostro desiderio di offrirvi l’opportunità di vivere un tempo privilegiato per stare a contatto con il fondatore da veri figlie e figli. Siamo certi che il fondatore è vivo, presente in mezzo a noi, nella nostra storia, nella missione, e continua a donarci il suo spirito se noi rimaniamo in comunione con lui.

Su un biglietto ritrovato dentro il suo sarcofago nel 1989, durante la ricognizione della salma, era scritta questa invocazione: «Padre donaci il tuo spirito… nelle piccole e grandi cose, facci figlie/i disponibili, perché il tuo spirito, che è in Dio, si prolunghi oggi e sempre a ogni popolo».

Desideriamo continuare a pregarlo perché ci trasmetta il suo spirito, il suo zelo, perché dalla sorgente del suo insegnamento e del suo esempio possano continuare a scaturire sorelle e fratelli capaci di donazione a Dio e a ogni persona.

Crediamo che il nostro fondatore abbia ancora da dirci molte cose, che possa illuminare la nostra vita di donne e uomini consacrati e che possa aiutarci a vivere in profondità la vita delle nostre comunità e quella dei nostri istituti.

L’Allamano più volte ha ribadito che sarebbe stato vicino ai suoi missionari e missionarie anche dopo la morte: «Quando sarò poi lassù, vi benedirò ancora di più; sarò poi sempre dal balcone [per guardarvi, benedirvi e seguirvi]».

«Per voi sono vissuto tanti anni e per voi consumai roba, salute e vita. Spero morendo di divenire vostro protettore in Cielo».

Un padre che amava intensamente ciascuno

Contempliamo con amore di figlie e figli questo nostro padre. Che diventi sempre più padre per noi. L’esperienza più forte che i nostri missionari e missionarie ebbero dell’Allamano fu soprattutto quella della sua paternità: lo sentivano come un padre che amava intensamente ciascuno, così tanto da lasciare un ricordo indelebile fin dal primo incontro: «Sono passati otto giorni da quando sono ritornata da Rivoli dove sono stata 15 giorni con il nostro amato padre – scrisse suor Emilia Tempo l’11 settembre 1925. Sono stati giorni meravigliosi. Il padre mi sembrò più che mai “padre”, e, credimi, specialmente alle sere abbiamo goduto immensamente della sua compagnia… il padre si sedeva sul sofà e noi ci inginocchiavamo ai suoi piedi e chiacchieravamo con lui fino alle 10».

Padre Alfredo Ponti nel 1906 racconta:

«Una sera a Tosamaganga (Iringa, Tanzania), mentre sulla missione si scatenava un terribile temporale, mi rifugiai nella stanza di padre Nazareno… Quasi spontaneamente… il discorso cadde sugli anni felici della nostra giovinezza… Rivivemmo per qualche istante i nostri primi anni di vita di Istituto… Il discorso cadde naturalmente su colui che di quella famiglia era il vincolo, sostegno, guida, padre. Ricordammo tutto di lui: la bontà verso di noi, la grande comprensione e la felicità nostra di poter convivere con lui. Il ricordo palpitante dell’amato padre ci aveva commossi entrambi. Congedandoci padre Nazareno esclamò: “Era veramente un padre; nostro padre”».

Sostiamo dunque accanto al nostro padre e insieme a lui vogliamo riflettere e meditare sui suoi grandi amori: «L’Eucarestia, la Consolata, la carità fraterna, la santità, la Chiesa, lo zelo, la salvezza delle anime…». Contempliamo la sua santità e sentiamoci stimolati a vivere sempre più secondo il suo cuore, le sue scelte, il suo esempio.

Ascoltare e vivere la sua parola

In questo triennio i due Istituti saranno impegnati a camminare nella luce del nostro padre fondatore, il beato Giuseppe Allamano. Sia nostro impegno ascoltare e vivere la sua parola. Sentiamolo mentre ci incoraggia a essere sempre più come lui ci voleva, preghiamolo perché ci renda famiglia missionaria chiamata ad annunciare il Vangelo e a vivere «la carità a qualunque costo». Continuiamo a pregare il fondatore per i nostri Istituti e per tutta l’umanità nella speranza di poterlo venerare presto come «Santo» insieme a tutta la Chiesa.

Beato Giuseppe Allamano, prega per noi.

La benedizione del fondatore possa avvolgerci e accompagnarci in questo cammino:

«Vi benedico come foste a me presenti, desideroso d’infondervi colla benedizione della nostra Consolata quanto un padre vi desidera in Domino».

«Sii forte nella prova; la Consolata ti accompagnerà e ti aiuterà. Il padre ti ricorda ogni giorno. Ti benedico. Padre».

A nome delle due Direzioni generali, fraternamente vi salutiamo
suor Lucia Bortolomasi Mc – Superiora generale
padre James Bhola Lengarin Imc – Superiore generale


L’Allamano e il Convitto ecclesiastico

LAllamano, appena nominato rettore alla Consolata, dovette affrontare il problema del convitto ecclesiastico. Per disposizione dell’arcivescovo, il convitto, che era presso il santuario, era stato chiuso quattro anni prima, e i convittori erano stati ospitati in seminario. Monsignor Gastaldi aveva preso questa decisione a motivo dell’insegnamento della teologia morale, che seguiva una linea da lui non condivisa. Se ne era addirittura assunto personalmente l’insegnamento, componendo dei trattati appropriati. Questa situazione aveva creato un po’ di sconcerto, specialmente tra il clero.

L’Allamano ben presto si vide pressato da varie parti perché convincesse l’arcivescovo a riportare il convitto ecclesiastico presso il santuario. Così il 24 giugno 1882, appena due anni dopo il suo ingresso alla Consolata, scrisse dal santuario di Sant’Ignazio una lunga lettera all’arcivescovo. Senza giri di parole, gli domandò se non fosse giunto il momento di fare tornare i giovani convittori alla Consolata.

L’arcivescovo venuto a Sant’Ignazio a predicare un corso di esercizi spirituali fu d’accordo nel riaprire il convitto ecclesiastico presso il santuario della Consolata a condizione che l’Allamano fosse il capo delle conferenze di morale.

Il convitto ecclesiastico

Era proprio quello che l’Allamano non si sarebbe aspettato. La condizione era molto gravosa. A nulla valsero le sue obiezioni, non si sentiva portato alla scuola, ed era gravato già da tante altre occupazioni. L’arcivescovo fu irremovibile: «O tu, o non se ne fa niente». «Monsignore – disse con molta franchezza -, assumo la scuola, ma non adotterò i suoi trattati». «Non importa, fa come credi, di te mi fido», rispose monsignor Gastaldi.

L’Allamano si immedesimò subito con la nuova missione e fece il possibile per tenere vivo lo spirito del Cafasso tra i sacerdoti del convitto. Proponeva senza mezzi termini l’ideale della santità sacerdotale. Commentando il testo paolino: «Questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione» (1Ts 4,3), diceva ai convittori: «Voi dovreste già essere santi… ma giacché, senza far torto a nessuno, non lo siete ancora, procurate di divenirlo».

Quando doveva riprendere qualcuno, lo faceva con semplicità e chiarezza, terminando sempre con un incoraggiamento: «Là! Ora mettiamo una pietra su tutto. Si metta d’impegno e procuri di essere un buon sacerdote».

Per curare meglio la dimensione spirituale della formazione, fin dal 1886, l’Allamano chiamò come direttore spirituale dei convittori il beato Luigi Boccardo, del quale era stato direttore spirituale in seminario. Questa scelta fu molto apprezzata. Un biografo del Boccardo commentò: «Se si tiene conto della cura con cui l’Allamano studiava i suoi convittori, e della fama che godeva di profondo conoscitore di giovani sacerdoti, si tratta di una scelta significativa». E riportò compiaciuto il pensiero di un altro sacerdote: «La diocesi torinese deve perenne riconoscenza al can. Allamano per questa scelta, che intrecciò gli splendori di due astri riverberanti sul convitto ecclesiastico della Consolata».

«Con questa schiera di giovani sacerdoti che preparava per il sacro ministero – affermò il can. G. Cappella – il Servo di Dio portò il santuario ad uno sviluppo veramente eccezionale. Come superiore del convitto ecclesiastico lasciò un’orma imperitura, dimostrando ottime qualità di formatore del clero».

 




«La fotografia della Consolata»


Dal bollettino del santuario condividiamo – nello stile originale – il racconto di come sia stata realizzata la prima «esatta riproduzione» del quadro della Madonna tanto amata a Torino e poi considerata fondatrice dei missionari e missionarie che da lei prendono il nome.

Coll’animo pieno di gioia diamo ai nostri lettori la bella notizia, e la stampiamo in capo al periodico: ben presto, fra una quindicina di giorni al più, i divoti di Maria potranno contemplare, ammirare, possedere la vera fotografia della Madonna della Consolata.

– Oh come mai! – chiederà taluno stupito a quest’annunzio – non esisteva già la riproduzione esatta della cara e venerata Immagine? A centinaia, a migliaia corrono tuttodì i lavori litografici, eliotipici, fotografici con l’epiteto di vera effigie di Maria SS. della Consolata: tra tutti questi non avremo la copia genuina del quadro miracoloso? –

Domanda naturalissima, alla quale rispondiamo: – Esisteva e non esisteva. – Un po’ di storia spiegherà per noi. Il desiderio di avere riprodotta, di portar via con sé la soave figura della Vergine Consolatrice è antico, crediamo, quanto antica è la divozione alla Celeste Patrona di Torino e del Piemonte. Ma parecchi erano gli ostacoli che si opponevano al compimento del pio desiderio. L’antichità del quadro, il conseguente affievolimento dei colori, la sua posizione, la gelosa custodia in che era tenuto, tutto si opponeva, tutto concorreva a renderne difficile, quasi impossibile la esatta riproduzione a mano libera. Ma non per questo ristavano i divoti dal provare e riprovare. L’invenzione ed il primo perfezionarsi dell’arte fotografica parvero schiudere finalmente l’adito alle speranze più fondate, e non mancò chi tosto s’accingesse all’opera.

Nel 1872 il Direttore dell’Ospizio delle Suore Cieche di S. Paolo a Parigi, ottenuta una grazia segnalatissima ad intercessione di Maria Consolatrice (Vedi N. 6 del Periodico), ne fa fotografare, col permesso dell’Arcivescovo di Torino, la divota Immagine dall’avv. Pietro Ferdinando Giani; porta una copia della fotografia con sé a Parigi; un’altra è umiliata ai piedi di S. S. Pio IX, che, graditala, di suo pugno vi scrive su parole di benedizione e di lode agli autori. Di questa prima prova, quantunque infelicissima, a migliaia andarono a ruba le copie.

Nel 1879 il Rettore del Santuario, Canonico Bartolomeo Roetti di v. m., per ottenere un risultato migliore, dà incarico di un nuovo tentativo di riproduzione al fotografo distintissimo signor Berra, che, quantunque armato di apparecchi buoni e di migliore volontà e valore artistico, non riesce purtroppo nell’intento. L’antichità, come dicemmo, del quadro, la debolezza delle tinte, i colori antifotogenici che abbondano nel dipinto, il poco o nessun distacco dei panneggiamenti dallo sfondo, fecero sì che nel fototipo (lastra negativa) non si ebbe che una figura molto indeterminata, disturbata da una grande quantità di macchie e macchiette tanto da parere, diremmo una ragnatela. Furono perciò necessari molti ritocchi, i quali resero la riproduzione fotografica, che è quella attualmente in commercio, molto lontana dal vero.

Il desiderio dei divoti rimaneva perciò vivissimo ed a soddisfarlo finalmente ha pensato e provvisto l’attuale Rettore, invitando a ritrarre la taumaturga effigie l’egregio avvocato Secondo Pia, che i numerosi e insuperabili lavori artistici e l’insperata riproduzione della SS. Sindone resero conosciutissimo ed ammirato dagli intelligenti e dal popolo.

Ed egli vi si accinse con tutto l’amoroso zelo e l’accurato studio che la nobiltà e la difficoltà dell’impresa richiedevano, e, come già per la SS. Sindone, senza altro corrispettivo che la riconoscenza dei divoti, le cui preghiere gli attireranno, siam certi, le più elette benedizioni della Consolata.

Di due sorta erano le difficoltà che gli stavano di fronte: l’illuminazione conveniente del quadro; le tinte poco fotografabili.

A vincere la prima, col permesso di S. E. l’Arcivescovo, rotti i sigilli alla presenza dei testimoni, la miracolosa effigie fu tolta dalla sua cornice d’argento e posta in un ambiente ad arte illuminato, inondato di luce gialla. Chi non è dentro le segrete cose dell’arte fotografica non potrà mai immaginarsi quante cure e minuziose attenzioni siano richieste per evitare su di un quadro antico da ritrarre i riflessi, le luci false, la disuguaglianza d’illuminazione che si deve produrre sulle sue diverse parti.

A vincere la seconda, invece delle lastre fotografiche ordinarie (sulle quali certi colori producono effetti esagerati, altri troppo deboli, altri contrari affatto all’impressione che fanno nell’occhio) furono adottate quelle di invenzione recentissima dette ortocromatiche, le quali ricevono l’impressione delle tinte con la stessa intensità graduale e con la stessa tonalità con cui l’occhio le percepisce, non dànno assolutamente, per questo lato, effetti falsi, non richiedono ritocchi lunghi e delicati sul fototipo.

Con la stessa macchina che servì per la SS. Sindone, producente fotografie di cm. 60 x 50, si fecero parecchie pose, nessuna delle quali richiese meno di quattro ore di esposizione; e finalmente, dopo un assiduo lavoro di più giorni, si riuscì ad ottenere una copia fotografica così buona da superare le aspettative degli intelligenti. L’avvocato Secondo Pia, fotografo della Sindone, sarà anche d’ora innanzi il fotografo della Consolata!

Tra l’una posa e l’altra la cara effigie venne sempre ricollocata alla venerazione dei fedeli, che con le loro preghiere, senza saperlo, hanno certamente concorso alla felice riuscita del difficile lavoro.

Ed ora, data la bella notizia, non ci rimane che coronarla con un augurio.

La figura, fedelmente ritratta della nostra dolce e soave Consolata, presto entri in tutte le case, in tutti gli istituti, in tutte le famiglie, in tutte le camere della città e della campagna, nel Piemonte, nell’Italia, e porti seco la benedizione materna di Maria. Affissandosi in Lei ritrovi ciascuno la forza del bene, la consolazione nel dolore, la speranza vivace del Paradiso!

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Abbiamo riportato alla lettera il testo come pubblicato sul periodico «La Consolata» nel numero di dicembre del suo primo anno di vita, il 1899.
È una pagina davvero speciale di storia della fotografia, ma soprattutto di amore alla
Consolata.

Il testo non è firmato, ma il direttore della rivista è il canonico Giacomo Camisassa, con l’aiuto di Gilardi Antonio, gerente responsabile.

a cura di Gigi Anataloni