Ucraina. In viaggio tra Fastow e Kherson

Padre Luca Bovio, missionario della Consolata in Polonia, ha compiuto diversi viaggi nel Paese in conflitto dall’inizio dell’invasione russa. Ogni volta per portare tutto l’aiuto che gli è possibile, anche grazie alla generosità di molti amici della Consolata.
A inizio novembre è stato a Fastow, vicino alla capitale Kiev, e a Kherson, sul fronte Sud della guerra.

«Ti auguro la pace dal cielo», è il saluto che spesso ci si scambia in Ucraina salutandosi alla fine di un incontro.

È un augurio con un significato concreto: ti auguro che nessun missile o drone cada dal cielo. In tempo di guerra, è un augurio essenziale.

Ma è anche un’invocazione: il Signore che sta nei cieli ci aiuti ad avere la pace.

Dal marzo 2022, quando compimmo il nostro primo viaggio nell’Ucraina invasa dalla Russia, siamo tornati nel Paese diverse volte. I Missionari della Consolata e la Chiesa polacca non smettono di portare il loro aiuto alle popolazioni colpite dal conflitto.

Charkiv. Nelle cantine della città, trasformate in rifugi sotterranei a causa dei bombardamenti. Novembre 2022.

In questi ultimi mesi siamo tornati in Ucraina diverse volte. L’ultima pochi giorni fa. Un viaggio iniziato nella comunità dei Domenicani a Fastow, non lontano dalla capitale Kiev, proseguito a sud fino alla città di Kherson e conclusosi con il ritorno a Kiev.

A Fastow c’è una vivace comunità di Domenicani impegnati non solo nel guidare la parrocchia locale e alcune chiese limitrofe, ma anche, con l’aiuto di numerosi volontari, in molte opere sociali.

Tra queste, l’accoglienza di bambini che qui possono stare sotto un tetto sicuro e caldo, e ricevere istruzione.

Poco lontano è stato aperto un centro di riabilitazione con una nuova cappella benedetta domenica 3 novembre dal Nunzio apostolico.

Benedizione della cappella del centro di riabilitazione per bambini non lontano dal convento domenicano.

Dopo aver partecipato alla giornata di festa, allietata anche da diversi cori, tra cui un coro di giovani non autosufficienti e un gruppo musicale di soldati, ci siamo diretti ancora una volta nella città di Kherson, posta a sud del Paese, sulla riva occidentale del fiume Dniepr.

Padre Luca Bovio (il primo a sinistra) una famiglia di Słoneczne che prende l’acqua.

In questi giorni la città celebra il secondo anniversario della liberazione, avvenuta l’11 novembre del 2022, quando, dopo una breve occupazione russa, è ritornata sotto il controllo ucraino.

Da quel momento non si può dire che la città viva in pace, anzi di fatto è un fronte di prima linea. Il fiume, in questo momento, determina il confine naturale tra i due eserciti: gli ucraini a ovest, i russi a est.

Le condizioni di vita in questo luogo sono difficili a motivo dei continui lanci che da una sponda all’altra si scambiano gli eserciti giorno e notte.

Fumo dopo un bombardamento.

La città che contava quasi 300mila abitanti prima dell’invasione, si è vista ridotta a 30mila. Oggi si assiste a un timido ritorno, e oggi si calcola che in città vivano circa 70mila abitanti. Alcuni, infatti, nonostante il pericolo, hanno deciso di tornare non avendo la possibilità di vivere per un lungo periodo da altre parti.

Don Massimo con il suo vicario, anche lui don Massimo, e un catechista che vive con loro, Sergio, stanno nell’unica parrocchia latino cattolica della città, dedicata al Sacratissimo Cuore di Gesù, posta non lontano dalla riva del fiume.

Sono impegnati a tenere viva la piccola comunità cristiana che ogni giorno si ritrova nella chiesa per celebrare la santa Messa, ma anche nel distribuire aiuti umanitari.

Don Massimo nella sua parrocchia dedicara al sacro Cuore a Kherson.

Don Massimo si reca quasi ogni giorno nei villaggi attorno alla città per portare acqua potabile. Qui l’acqua è abbondante nel sottosuolo, tuttavia, a motivo della guerra, le falde sono inquinate. Le esplosioni di magazzini di fertilizzanti usati dai contadini hanno causato un doppio  danno: la perdita dei concimi e l’inquinamento delle falde.

La fonte di acqua che si trova sotto la parrocchia è ancora pura, e con essa viene riempita una cisterna di 1000 litri che va settimanalmente nei villaggi.

Al mattino, passando i vari check point dei militari, arriviamo nel piccolo villaggio di Sloneczne dove lasciamo la cisterna.

Da Sloneczne ci dirigiamo verso la città e visitiamo la nuova lavanderia che i Domenicani hanno aperto affidandola ad alcune donne del posto.

Da poche settimane qui sono messe a disposizione 10 lavatrici e 10 asciugatrici dove chiunque, soldati compresi, possono gratuitamente lavare i panni.

Nel pomeriggio ritorniamo a visitare il piccolo ospedale di Bylozerka, per consegnare i medicinali che abbiamo portato.

Ritroviamo la giovane chirurga Natalia, l’unica rimasta a lavorare qui. È molto contenta di ricevere i medicinali che portiamo. Le condizioni di lavoro in questo piccolo ospedale che serve una grande regione, sono molto difficili. Ogni giorno il villaggio, e, a volte, l’ospedale stesso, sono colpiti dai droni o dall’artiglieria russi.

I segni delle esplosioni sono visibili. Tutte le finestre sono coperte con i sacchi di sabbia per attutire i colpi.

Ospedale di Bylozerka.

Delle quattro ambulanze disponibili prima della guerra, ne è rimasta una sola. Le altre sono state tutte distrutte.

Purtroppo, ha perso la vita anche una equipe medica che era a bordo di una di esse. Ultimamente è stata distrutta anche la caldaia dell’ospedale.

La caldaia (distrutta dai russi) dell’ospedale di Bylozerka.

I medicinali che consegniamo erano esauriti. Tra questi, ci racconta Natalia, mancano anche gli antidolorifici. L’incontro con lei è breve. La stessa dottoressa ci incoraggia a tornare in città perché fra poco calerà il sole e potrebbero di nuovo iniziare le esplosioni.

Una volta tornati, riusciamo a fare ancora una breve passeggiata nei dintorni della Parrocchia in una città completamente al buio. I parchi sono tutti chiusi, ed è pericoloso attraversarli. Tra le foglie abbondanti che coprono i giardini e i marciapiedi in questa stagione autunnale, sono mischiate alcune mine a forma di foglia lanciate dai droni, pericolose perché difficili da riconoscere.

Mercato di Kherson.

Notiamo la presenza di tanti cani randagi che girano per le strade deserte. Soprattutto nelle ore serali. È meglio evitarli. Il loro abbaiare è l’unico suono che si sente nel profondo silenzio di questa citta, alternato solo dai rumori degli spari che rimbombano da lontano.

Finita la visita a Kherson, torniamo a Kiev e da lì di nuovo in Polonia. Pensiamo che, nonostante la lunghezza del conflitto e la stanchezza che tutti sentiamo di avere, in primis coloro che abitano in Ucraina, la situazione richiede ancora molta preghiera e molto aiuto. E affidiamo questo Paese all’intercessione del nostro santo fondatore Giuseppe Allamano.

Luca Bovio, Imc




Ucraina. Faccia a faccia con la guerra


30 aprile-5 maggio. Approfittando delle feste nazionali polacche, con don Leszek Krzyża, direttore dell’ufficio di aiuto per le chiese dell’Est presso la conferenza episcopale polacca, e di Rika Itozawa, ci mettiamo di nuovo in macchina per visitare alcune città al Sud dell’Ucraina e portare aiuti. Il nostro viaggio ci porta da Varsavia a Kiev e poi Odessa, Mikolajow e Cherson, con ritorno a Kiew e quindi a Varsavia. Dopo esserci fermati a Kiev per una sola notte, ci dirigiamo verso Odessa.

Odessa, città storica e strategica

foto 1

Ritorniamo in questa bella città costruita sul Mar Nero dopo circa un anno per una breve visita. Odessa oltre a essere una città storica e artisticamente ricca, è soprattutto il luogo da cui partono decine di navi che trasportano in tutto il mondo i raccolti di frumento e mais del Paese (foto 1). Per questo motivo strategico è una città presa di mira dall’esercito russo (foto 2). Nelle ultime settimane gli attacchi provenienti dalla vicina Crimea o dalle navi russe sono aumentati.

foto 2

Ci incontriamo con il cancelliere della diocesi, don Cristoforo. Ci racconta che gli aiuti sono diminuiti del 60% dall’inizio della guerra.

Mentre conversiamo, seduti in un ristorante tartaro accanto alla Cattedrale, le sirene iniziano a suonare. Non c’è alcuna reazione tra i clienti e i passanti. Questo può sorprendere, tuttavia occorre ricordare che da oltre due anni le sirene suonano quotidianamente. Dopo pochi minuti, si spengono.

Vediamo da un punto panoramico la città e il porto con i grandi silos. Ci sono almeno tre grandi navi nelle vicinanze. Ci raccontano che attualmente gli ucraini hanno un corridoio che permette alle imbarcazioni di dirigersi verso Istanbul e da lì proseguire per il canale di Suez.

Andiamo brevemente sulla spiaggia in una zona residenziale, una delle poche accessibili, e vediamo una casa, chiamata il castello di Potter a motivo della sua somiglianza con il castello del famoso film, con il tetto distrutto. Pochi giorni fa un missile dal mare ha colpito l’edificio causando delle vittime (foto 3 e 4).

foto 3

foto 4

foto 5

 

 

La chiesa distrutta di Koszeliwka

Prima di sera ci rimettiamo in macchina per dirigerci verso la vicina Mykolaïv dove abita don Alessandro, presso il Santuario di san Giuseppe. Dopo esserci riposati, al mattino visitiamo il villaggio di Koszeliwka, a distanza di circa un anno dall’ultima volta. La chiesa in questo villaggio è stata distrutta e oggi rimangono solo le macerie (foto 5). Da poco don Alessandro ha acquistato due container dal porto di Odessa e li ha posti nei pressi della chiesa distrutta. Un container serve come cappella, l’altro come centro medico.

foto 6

Il progetto per il futuro è quello di ricostruire la chiesa accanto a quella precedente, lasciando le rovine a ricordo. Anche le case duramente colpite iniziano a essere ricostituite dalle famiglie che lentamente provano a ritornare (Foto 6).

Cherson, sulla linea dei combattimenti

Nel pomeriggio ci viene a prendere, dalla vicina Cherson, don Massimo, il parroco, e ci guida attraverso i posti di blocco dei soldati fino alla sua parrocchia che si trova in prima linea in città.

Le nuove procedure impongono a noi stranieri di firmare una dichiarazione di responsabilità per poter entrare. La parrocchia del Sacro cuore di Gesù è l’unica romano-cattolica della città, e si trova vicina al fiume Dnepr in una zona abbandonata quasi da tutti. Se Cherson contava circa 300mila abitanti prima dell’invasione russa, oggi si stima abbia una popolazione di soli 20mila.

foto 7

È la terza volta che visitiamo questo luogo e, nonostante il lungo tempo trascorso, non si vedono cambiamenti. Le strade sono deserte e continui colpi, rompono il silenzio che qui avvolge tutto.

Il fiume Dnepr, in questo momento, è la linea di confine tra i due eserciti che occupano le rispettive rive: a Est i russi, a Ovest gli ucraini che si scambiano colpi giorno e notte in tutta la regione (foto 7).

foto 8

La città è fortemente segnata da questa situazione. Anche la parrocchia, il primo sabato di quaresima, è stata colpita per la seconda volta: quando, nel primo pomeriggio, un razzo è finito ai piedi della statua della Madonna che si trova davanti alla chiesa (foto 8).

Come la prima volta, quando un razzo entrò dal tetto della chiesa, anche questa volta non ci è stata l’esplosione. Le schegge dell’impatto hanno colpito la facciata della chiesa senza ferire nessuno nelle vicinanze.

Dopo qualche settimana, i soldati hanno messo in sicurezza il razzo che usciva dal terreno. Don Massimo vive qui con il vicario don Sergio e un aiutante, anche lui di nome Sergio. Senza nessuna costrizione, hanno scelto di restare per poter essere un segno di speranza non solo per le poche famiglie che qui sono rimaste ma anche per i tanti villaggi della regione che quotidianamente visitano portando aiuti, amministrando il sacramento della confessione e portando la santa comunione.

L’ospedale di Bilozerka

foto 9

La mattina successiva visitiamo Bilozerka, un villaggio a Sud lungo il fiume. Arriviamo nel piccolo ospedale che serve tutta la zona. Ci dà il benvenuto la giovane dottoressa chirurga Natalia che qui lavora (foto 9). Mentre ci mostra il primo piano di questo semplice edificio, ci racconta che, a motivo delle continue esplosioni, gli ammalati sono stati trasferiti dal primo piano al piano terreno.

foto 10

Tutte le finestre delle camere che vediamo sono state danneggiate dagli scoppi. L’unica attività rimasta al primo piano è quella della stanza operatoria che visitiamo notando i sacchi di sabbia a protezione dei vetri delle due stanze (foto 10).

La dottoressa Natalia ci racconta che per molti giorni l’ascensore è stata fuori servizio. Così le infermiere dovevano scendere le scale portando il paziente sdraiato sul letto. Oggi per fortuna l’ascensore è tornato in funzione. Raccontiamo che i prossimi giorni riceveremo dei farmaci dall’Italia e stabiliamo con la dottoressa quali sono quelli più necessari da far arrivare.

foto 11

Nello stesso villaggio incontriamo il signor Władek, 94 anni, di origini polacche. Ci racconta la sua storia e manda anche un video di saluti ai suoi connazionali (foto 11).

foto 12

Poi don Massimo ci accompagna dalla signora Lena che è paralizzata a letto da ben 29 anni (foto 12). Ci sorprende la sua vitalità e la sua energia. È molto contenta di accoglierci nella sua casa insieme al marito. Ci racconta che i due figli con le loro famiglie sono riusciti a scappare dal villaggio prima che venisse occupato dai soldati russi per alcuni mesi. Oggi ritornano spesso a visitare i genitori, ma le piccole nipoti hanno paura delle esplosioni che qui si sentono di continuo. Per questo le visite sono sempre brevi.

Ci raccontano che il tempo dell’occupazione è stato quello più difficile: i soldati passavo di casa in casa. Sono stati anche qui. C’era sempre paura, soprattutto quando erano visibilmente ubriachi.

Ci colpisce la vitalità del racconto di questa donna, che nonostante viva paralizzata a letto, nel mezzo di una guerra, trasmette la forza di vivere e un coraggio non comune. Spesso sorride e ha un timbro di voce forte e sicuro. Usciamo da questa casa edificati, e ringraziamo il Signore per questi esempi che ci pone di fronte.

Charkiv e le sue ferite

foto 13

La seconda parte della giornata la trascorriamo ritornando a Charkiv, dove siamo stati diverse volte nei mesi scorsi, per visitare alcuni quartieri della città. Passeggiamo per il parco giochi dei bambini completamente abbandonato. Forte è il profumo delle acacie e dei castagni in fiore che ci abbraccia. Per terra si trovano i resti dei razzi esplosi.

Incontriamo alcune donne che ci invitano a seguirle. Ci mostrano la cantina in cui vivono nei sotterranei del loro palazzo distrutto dopo tre giorni incessanti di bombardamenti.

foto 14

Ci fanno vedere i loro appartamenti dal cortile: i balconi sono devastati dalle esplosioni; penzolano i serramenti delle porte e delle finestre e i condizionatori appesi ai fili (foto 13-14).

Una improvvisa esplosione non lontana interrompe la nostra visita.

foto 15

Ci rechiamo per brevemente a Nord della città per vedere i resti del ponte Antonov, uno dei pochi che collegavano le due sponde. Il ponte è stato fatto saltare dai russi durante l’abbandono della città (foto 15).

 

foto 16

Don Massimo scrive una lettera di ringraziamento ai benefattori, molti sono tra voi lettori di Missioni Consolata. Con parte delle offerte raccolte abbiamo potuto finanziare il trasporto di aiuti giunti fino a qui (Foto 16).

I due giorni successivi sono impegnati per il ritorno a Varsavia passando da Kiev.

Gli aiuti che diminuiscono sono sempre più necessari. Per questo occorre non stancarsi e continuare a venire di persona per incontrare abitanti di questo Paese, ascoltare le loro storie, condividere del tempo e incoraggiare i confratelli sacerdoti, pregare con loro.

Luca Bovio

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Grazie da Cherson

A nome dei parrocchiani della Parrocchia del Sacratissimo Cuore di Gesù a Cherson, ringrazio i benefattori della Rivista Missioni Consolata per aver finanziato il costo del trasporto di aiuti umanitari.
Grazie al vostro aiuto e stato possibile ricevere materiale per pulizie e di igiene personale distribuito per i più bisognosi della città e dei villaggi.
Grazie per laiuto e la generosità. Un ricordo nella preghiera

don Massimo Padlewski
parroco

 

 


I viaggi precedenti su MC

 

 




Ucraina nel cuore dell’estate


Padre Luca Bovio ha compiuto il suo settimo viaggio in Ucraina tra il 23 e il 28 luglio 2023. Partito da Kiełpin, in Polonia, ha toccato le città di Lutsk, Lubieszów, Kiev e Cherson (Fedorivka). Ecco la cronaca giorno per giorno.

Lutsk

23/07/2023. Questo viaggio si svolge nel cuore dell’estate e inizia con una prima tappa nella città di Lutsk, la prima che si incontra entrando dalla frontiera più a nord dalla Polonia.

Questa città, come del resto la regione chiamata Volyn, è la zona più lontana dal fronte. Per questo motivo più di 100mila rifugiati hanno trovato accoglienza qui.

I problemi non mancano, considerando che la zona è economicamente povera. Nella regione si trovano decine di villaggi medio piccoli abitati prevalentemente da contadini.

In questo territorio, fortemente influenzato dalla vicina Polonia, sono avvenuti scontri molto crudeli alla fine delle Seconda guerra mondiale.

La presenza dei cristiani cattolici è bassa. Più numerosi sono gli ortodossi. Quasi ogni nostro viaggio è iniziato da qui perché e la strada più diretta per entrare nel paese arrivando dalla Polonia.

Andiamo a conoscere il vescovo, mons. Vitalii Skomarovs’kyj. Qui la chiesa locale è impegnata nell’aiutare i rifugiati.

Lubieszów

24/07/2023. Di buon mattino ci mettiamo in viaggio insieme a don Paolo, il vicario del vescovo, in direzione nord, verso Lubieszów, a 130 km da Lutsk.

Lubieszow è una cittadina di circa 10mila abitanti posta a soli venti km dal confine con la Bielorussia. Lo scopo di questo breve passaggio è quello di visitare una chiesa e il convento adiacente che il vescovo vorrebbe dare al nostro Istituto, per una possibile futura presenza di lavoro missionario.

La chiesa dedicata ai santi Cirillo e Metodio fu costruita dai Cappuccini nel XVIII secolo. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale e l’inizio dell’occupazione russa, i frati dovettero abbandonare tutto e il convento divenne la stazione della polizia locale. La chiesa una palestra.

Dopo la caduta del muro di Berlino e il ritorno della democrazia in Ucraina, nel 1992, il complesso fu restituito alla diocesi locale. La comunità cattolica è oggi formata da circa trenta fedeli che la domenica partecipano alla santa Messa presieduta da un parroco polacco che vive a 60 km da qui.

L’intero edificio ha bisogno di importanti lavori di manutenzione, già iniziati con il cambio del tetto. Vedremo se in futuro il discernimento che faremo con i superiori ci porterà forse un giorno a lavorare in questo luogo.

Dopo questa breve visita, ci dirigiamo verso Kiev, che raggiungiamo con circa sei ore di viaggio per alloggiare in Nunziatura e riprendere il viaggio il giorno successivo in direzione di Cherson.

La sera faccio una passeggiata nel centro della città per sgranchire le gambe dopo le lunghe ore di viaggio e per gustare le bellissime chiese e palazzi illuminati.

Cherson

25/07/2023. La distanza che separa Kiev da Cherson è di quasi 600 km passando per la strada più diretta e sicura. Il GPS la mostra chiusa, ma in realtà è percorribile. Il viaggio ci regala dei paesaggi suggestivi. La giornata calda e soleggiata fa brillare intensamente le sconfinate distese di coltivazioni di girasoli che spesso incontriamo.

Sono abbastanza numerosi i grandi camion che viaggiano in direzione sud carichi di cereali e frumento per essere imbarcati nelle gigantesche navi cargo nel grande porto di Odessa e, da lì, partire per tutto il mondo.

Purtroppo, i magazzini portuali sono diventati ultimamente obiettivi sensibili e spesso sono stati colpiti causando la perdita di tonnellate di prodotti.

Anche il mancato accordo sul grano contribuisce a far lievitare i prezzi a livello mondiale di queste materie prime così importanti per sfamare tante povere popolazioni nel mondo.

Torniamo a Cherson per la seconda volta dopo essere stati qui a marzo. La situazione non è cambiata. La città, prima occupata e poi liberata, è continuamente sotto tiro, giorno e notte. Il fiume è la linea naturale del confine.

Abbiamo con noi aiuti sanitari. In particolare, abbiamo raccolto pastiglie che disinfettano l’acqua. Il sei giugno a circa 100 km da qui in direzione nord fu fatta saltare la diga sul fiume a Kakhovka. L’esplosione della diga riversò l’acqua del bacino artificiale che travolse e allagò villaggi e città. A Cherson il parroco don Massimo ci indica le pareti delle case con il segno lasciato dall’acqua.

Sui fili della corrente sono rimaste appese delle scarpe trascinate dalla corrente.

Molte case sono state invase dall’acqua e quelle più fragili distrutte, come quella che abbiamo visitato. Il proprietario, che ci mostra ciò che rimane e che prova a salvare, è ospitato in parrocchia.

Cherson è una città disabitata. Prima del conflitto contava circa 300mila abitanti. Oggi si stima che ve ne siano tra i 20 e i 25mila.

Nella zona più lontana dal fiume al mattino ci sono pochi negozi aperti e qualche mercato. Vicino al fiume, dove abitiamo, non si vede quasi nessuno per tutto il giorno. I mezzi pubblici, dove è possibile, svolgono ancora il loro servizio. Accanto a ogni stazione dell’autobus è stato posto un bunker: nel caso di improvvise esplosioni, la gente può così trovare un rifugio.

Già nel primo pomeriggio le strade dell’intera città si svuotano e i mezzi si fermano. Dalle nove di sera alle cinque del mattino c’è il coprifuoco. Durante la notte c’è il divieto di accendere la luce nei piani più alti dei palazzi. Sono tuttavia molto poche le persone che abitano su quei piani ritenuti troppo pericolosi.

26/07/2023. La mattina visitiamo l’ospedale pediatrico della città accompagnati dalla dottoressa responsabile. Ci racconta che prima della guerra qui nascevano annualmente circa 1.500 bambini. Oggi 20, 22 al mese.

Arriviamo poco dopo la nascita di un bambino. Tutte le attività dell’ospedale sono state trasferite al piano terreno.

Il quarto piano è stato colpito da un razzo. Lo visitiamo rapidamente arrivando fino al balcone più alto dell’edificio da cui si vede la città.

Facciamo diverse foto ma ci viene chiesto di non pubblicarle perché c’è il divieto di salire fino lassù.

La sala parto è una semplice stanza con l’occorrente. A fianco un’altra stanza attrezzata dell’essenziale: è la sala operatoria.

Ci affacciamo durante un intervento in corso.

Scendiamo nelle cantine dove si trovano i locali più sicuri. Qui ci sono delle brandine con i sacchi a pelo. Durante gli allarmi questo è il luogo di riparo. A fianco si sta lavorando per organizzare una vera sala operatoria.

All’esterno dell’ospedale vediamo un grande generatore di corrente ancora imballato, arrivato come dono umanitario. La dottoressa ci racconta che sarebbe molto utile, ma purtroppo non ci sono i cavi di collegamento. Ci impegniamo a interessarci della cosa per attivare la macchina.

La parrocchia del Sacro Cuore, dove abitiamo, è uno dei pochi centri di distribuzione di aiuti agli abitanti. Il giorno precedente al nostro arrivo è stata organizzata la distribuzione. Circa mille persone hanno ricevuto cibo.

Questa distribuzione è rischiosa. Ogni assembramento costituisce un potenziale obiettivo. È sufficiente che questa informazione arrivi dalla parte opposta del fiume e si potrebbero avere conseguenze gravi. Per questo motivo il giorno e l’ora della distribuzione non sono mai gli stessi.

In questo momento gli aiuti arrivano abbastanza regolarmente. Senza di essi sarebbe difficile sfamare i cittadini.

Oltre a quella della parrocchia in città è stata aperta anche una mensa organizzata dai Domenicani che, pur non vivendo qui, assicurano il cibo e ciò che occorre per la distribuzione. Ogni giorno vengono preparati mille pasti. Si possono consumare sul posto oppure una rete di volontari li consegna nelle case.

Anche la parrocchia greco cattolica della città, guidata dai padri Basiliani, è impegnata nella distribuzione degli aiuti.

Fedorivka

Nel pomeriggio di questa intensa giornata ci rechiamo in un villaggio fuori città, Fedorivka, a poche decine di chilometri a nord di Cherson.

Fedorivka è uno dei tanti villaggi colpiti dall’inondazione avvenuta a causa della distruzione della diga. Per arrivare qui occorre passare diversi check point dei militari.

Ne vediamo alcuni passare su una macchina. Hanno appena abbattuto un drone, e i resti caduti lontano sono ancora visibili e fumanti nei campi.

Siamo accolti nel villaggio dal responsabile con la sua moglie.

Portiamo un generatore di corrente perché qui gli abitanti hanno mediamente solo due ore di elettricità al giorno, un tempo insufficiente per tenere carichi i telefonini. Il generatore sarà messo a disposizione nella chiesetta del villaggio.

Siamo accompagnati a visitare l’abitato. Ci raccontano che l’acqua dell’inondazione, qui è rimasta per quasi tre settimane, perché il terreno è pianeggiante e quindi non favorisce il deflusso.

Molte case e fienili sono stati trascinati via insieme agli animali. Sacchi di cereali custoditi nei magazzini sono marciti. Chi è rimasto prova ora salvare il salvabile.

In questi villaggi è ancora vietato bere l’acqua dai pozzi a causa dell’inquinamento delle falde.

In tutti i campi attorno al villaggio persiste un cattivo odore di marciume. Per questo si cercano alternative come autopompe (una purtroppo si è guastata), acqua in bottiglia, pastiglie disinfettanti.

Portiamo del cibo a una coppia di anziani. La signora che ci accompagna ci racconta che durante il tempo dell’occupazione nella loro casa furono nascosti sei soldati ucraini in fuga. Quando arrivarono le forze speciali russe che li cercavano, la signora li nascose in un locale e diede loro il rosario dicendo: «Che ci crediate o no, usatelo!». I russi chiesero dei soldati. La signora disse che non li aveva visti e quelli se ne andarono. Allontanatisi i soldati russi, quelli ucraini poterono scappare a piedi fino a Mikolajow.

Tornati in città, trascorriamo la serata in parrocchia dopo aver fatto una breve passeggiata nei dintorni. Il quartiere è deserto e per tutta la notte si intensificano i colpi che spesso ci svegliavano insieme al suono delle sirene.

27-28/07/2023. Il viaggio di ritorno lo facciamo senza difficoltà, coprendo la lunga distanza che ci separa da casa in due giorni. Anche il passaggio della frontiera avviene con poche ore di attesa.

Come dopo ogni viaggio, anche questa volta ritorniamo con tanti ricordi. Abbiamo la consapevolezza che il conflitto sarà ancora lungo e per questo ci sentiamo sfidati, insieme a tante persone vicine a noi, a non stancarci nel portare consolazione e pace.

padre Luca Bovio


Il viaggio in immagini

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Viaggio di solidarietà a Kherson e dintorni


La città di Kherson si trova nel sud del paese (foto 1). È costruita interamente sulla sponda occidentale del fiume Dnieper che lì vicino sfocia nel mar Nero. La città e stata occupata all’inizio della guerra alla fine di febbraio del 2022 e liberata l’11 novembre. La liberazione della città purtroppo non ha coinciso con la ritrovata pace. I soldati russi hanno arretrato sulla sponda orientale del fiume e da li costantemente colpiscono la città a poche centinaia di metri, separati soltanto dal fiume.

Foto 1

Qui vive don Massimo, parroco dell’unica parrocchia cattolica della città dedicata al Sacro Cuore, insieme al suo vicario anche lui don Massimo. Lì, con don Leszek Krzyża, direttore dell’ufficio di aiuto per le chiese dell’Est presso la conferenza episcopale polacca, abbiamo incontrati nell’ultimo nostro viaggio avvenuto tra il 17 e il 21 marzo. Don Massimo è giovane, ha solo 36 anni ed è nativo proprio di Kherson, guida la parrocchia nella quale e cresciuto da bambino. Abbiamo deciso di venirlo a trovare perché sappiamo che sono poche le persone che qui vengono, cosa da lui molto apprezzata. Ci diamo appuntamento in macchina fuori dalla città per essere da lui accompagnati. Occorre infatti passare diversi check point per entrare. Nell’ultimo controllo dopo aver mostrato i documenti e l’aiuto umanitario che trasportiamo: generatori di corrente e una stufa a legna, il soldato, indicandoci con un cenno che potevamo proseguire, ci dice in inglese «good luck», buona fortuna. La città di Kherson prima della guerra contava circa 300.000 abitanti, oggi ne ha circa 20.000. Il coprifuoco inizia alle 17.00 col divieto di uscire per le strade, ma in realtà ci spiega don Massimo già dalle 14.00 nessuno si vede più in giro. C’è un silenzio strano, profondo e triste, interrotto soltanto dai colpi sparati a pochi chilometri che risuonano nell’aria (video 2).

 

A distanza di un anno chi vive qui riesce a capire dal rumore chi e stato a sparare. Piu volte siamo tranquillizzati, non vi preoccupate questi sono i nostri.

Non potendo uscire, trascorriamo il pomeriggio e la serata nella casa parrocchiale (foto 3).

Foto 3

Facciamo lunghe chiacchierate alternando temi allegri che ci fanno sorridere a racconti più seri su quanto accade qui. Ci accorgiamo quanto sia importante l’esserci, l’ascoltarci e il guardarci, molto piu prezioso di tanti aiuti materiali che comunque, ringraziando il cielo, non mancano e che sono vitali per le persone che qui vivono (foto 4). In questo luogo anche la distribuzione degli aiuti e problematica. Il problema non è la mancanza di aiuti quanto il fatto che le persone si radunano insieme durante la distribuzione diventando cosi un possibile ed invitante bersaglio. Per questo motivo il giorno e l’ora vengono sempre cambiati. Nonostante la pericolosità e i divieti, alcuni, per essere tra i primi a ricevere gli aiuti, trascorrono la notte all’aperto aspettando.

Foto 4

Don Massimo ci accompagna nel solaio e ci mostra il buco lasciato dal razzo inesploso che è entrato nella soffitta a dicembre e oggi custodito come ricordo dopo essere stato messo in sicurezza lì vicino. Era il 23 dicembre. Le donne stavano preparando la chiesa per il Natale quando improvvisamente il rumore dal tetto. La notizia del “miracolo” aveva fatto velocemente il giro, amplificata dal web. E veramente inspiegabile quello che era accaduto. Tuttavia, la pubblicità fattasi attorno a questo ha preoccupato non poco chi abita qui perché il web e visto anche da coloro che sono dalla parte opposta del fiume…

Foto 5
Foto 5

La notte riusciamo a riposare e al mattino di buon’ora ci mettiamo in macchina per visitare la città. Qualche persona cammina per le strade principali per fare un po’ di spesa. Con sorpresa notiamo che funzionano gli autobus anche se non quelli elettrici perché i cavi sono stati tagliati. Tuttavia, l’impressione è quella di una citta vuota e triste. Andiamo sulla piazza centrale (foto 5) luogo prima di proteste e poi dei festeggiamenti. Il grande edifico del governatore ha sulla sinistra una parte completamente distrutta, centrata da un razzo, le finestre dell’ultimo piano che si affaccia sulla piazza sono tutte saltate e alcune penzolano nel vuoto. La parete laterale e stata centrata e distrutta (video 6).

 

Nel parco della città camminando con attenzione solo sui vialetti cementati colpiti dalle schegge dell’esplosioni (foto 7) ed evitando di calpestare l’erba dei giardini nascondiglio insidioso delle mine sparse dappertutto, ci avvinciamo alla grande torre televisiva che giace sul prato. Sarà lunga oltre 60 metri (video 8). Si avvicina a noi una macchina della polizia attirata forse del fatto che stiamo facendo fotografie, ma dopo pochi secondi prosegue oltre. Dai vialetti raccogliamo alcune schegge lasciate dai razzi, sono di metalli molto affilate e toccandole si può immaginare il danno che provocano lanciate all’impazzata dalla forza dell’esplosione.

Foto 7
Foto 7

 

Facciamo ancora un salto davvero breve fino alla sponda del fiume in una delle tante piazze della città che vi si affacciano. Si vede a poche centinaia di metri la sponda opposta coperta prima dai canneti che galleggiano sull’acqua e poi la terra ferma. Qui inizia la zona occupata (video 9).

 

Per motivi di sicurezza acceleriamo le operazioni, giusto il tempo di fare qualche foto e un breve video per poi tornare alla macchina e dirigersi in parrocchia. Essendo domenica mattina si celebra la Messa coi fedeli. Sono circa 20. Tra questi ci sono 3 bambini molto allegri e sorridenti quasi incuranti del luogo e delle condizioni in cui abitano (foto 10-11). Gli doniamo della cioccolata che apprezzano tanto. Quel giorno e la 4a domenica di quaresima chiamate laetare (gioire). La chiesa invita alla gioia nel cammino quaresimale perché le feste di Pasqua sono vicine. Un invito che anche qui risuona accolto nella fede e nella speranza.

Foto 11

Foto 10

Mikołajów

A poche decine di chilometri in direzione ovest quasi sulla sponda del mar Nero si trova la città di Mikołajów che raggiungiamo la domenica stessa. Qui si trova il Santuario di S. Giuseppe che oggi celebra la festa patronale. La città a differenza di Kherson non è stata occupata anche se porta i segni e le ferite dei tentativi di occupazione.

Dopo la celebrazione solenne, presieduta dal vescovo locale della diocesi di Odessa, a cui hanno partecipato decine di fedeli, ci troviamo coi sacerdoti. Tra loro siedono non solo i cattolici ma anche i greco cattolici e un prete ortodosso della chiesa ucraina. Il clima e piacevole e interessanti sono gli argomenti che scambiamo (foto 12).

Foto 12
Foto 12

È presente anche il «mer», il sindaco della città anche lui cattolico. Nella piazza principale della città si affacciano due grandi palazzi, uno del sindaco e l’atro opposto del governatore della regione. Il palazzo della regione si presenta con un gigantesco buco causato dallo scoppio di un razzo che lo ha centrato (foto 13).

Foto 13
Foto 13

Era le 8.30 di mattina quando avvenne lo scoppio. Per quel giorno era convocata una riunione di ufficio. Il presidente fece ritardo e si scusò mandando un messaggio. Nel frattempo, avvenne l’attacco che causò la morte di oltre 40 persone. Quel ritardo gli salvò la vita. Nel pomeriggio passeggiamo in centro recandoci in quel luogo. Il clima, a differenza di Kherson, è diverso. Sono molte le persone che passeggiano, giovani e bambini corrono con le biciclette in una domenica con le temperature già primaverili. Se non fosse per gli allarmi che di tanto in tanto risuonano, sembrerebbe quasi un ritorno alla normalità.

Fastow

Il giorno successivo sulla strada per Kiev ci fermiamo a Fastow, una cittadina a circa 100 km di distanza. Qui vive una comunità di Domenicani. Sono molto attivi. Lavorano con un gran numero di laici, giovani soprattutto. Ci accoglie padre Marco, ucraino. Dopo aver mangiato nel locale gestito dai giovani della comunità, visitiamo l’asilo e la scuola elementare. Quasi cento bambini provenienti dalle zone del fronte dove si combatte a Est, hanno trovato qui alloggio e l’accesso alla scuola. Le classi sono ben attrezzate e le insegnati garantiscono un ottimo lavoro (video 14).

 

Nel seminterrato sono allestiti tre piccoli locali rifugio. La procedura impone che ad ogni suono di allarme i bambini devo essere qui condotti fino al termine del cessato allarme (video 15). Questo purtroppo spesso accade, come nella giornata odierna e alcuni di essi manifestano un disagio e una sofferenza ogni qualvolta che devono qui scendere.

 

Nel giardino è allestita una tenda da campo sotto la quale ognuno, gratuitamente e in ogni momento, può qui venire e ricevere qualcosa di caldo, scaldato dalla cucina di campo posta all’esterno (video 16). Sul fondo della tenda si trova un gran presepio che dà il nome alla tenda.

Questa comunità e impegnata non solo qui, ma anche organizza viaggi al fronte per raggiungere i villaggi e portare aiuti alle famiglie che ancora là vivono. La sfida, ci racconta padre Marco, e quella di poter ricevere sempre gli aiuti da distribuire, mensilmente circa 200 tonnellate. Ci impegniamo anche noi a organizzare un nuovo trasporto di aiuto che possa qui arrivare (foto 17).

Foto 17
Foto 17

A margine di questo viaggio ci raggiunge la notizia della arrivo del tir che abbiamo spedito alla citta di Zaporoze costantemente sotto attacco. Riceviamo un calso ringraziamento del Vescovo locale (video 18),

 

Ringrazia anche la comunità dei frati cappuccini (foto 19) a Dnieper ai quali abbiamo mandato un altro trasporto contente aiuti e sistemi fotovoltaici che dovrebbero assicura l’energia elettrica.

Foto 19


Preghiamo per la pace, costruiamo la pace.

padre Luca Bovio
23 marzo 2023