Venezuela. L’ultimo azzardo di Maduro

 

Nella notte di domenica 28 luglio, il Consejo nacional electoral (Cne) del Venezuela ha annunciato il vincitore delle elezioni presidenziali in anticipo, senza attendere tutti i conteggi e senza effettuare alcuna verifica. Nicolás Maduro avrebbe vinto con il 51,2% dei voti. Cina, Russia ed Iran, paesi notoriamente a digiuno di democrazia, hanno subito inviato messaggi di complimenti al (presunto) vincitore. Se le cose rimarranno tali, Maduro, ex autista e sindacalista di 61 anni, in carica dal 2013, sarà presidente del Venezuela per la terza volta, fino al 2031.

Opposto il risultato diffuso dalla Plataforma unitaria democrática (Pud), l’alleanza che riunisce i principali partiti dell’opposizione sotto la guida di María Corina Machado, la pasionaria inabilitata a partecipare alle elezioni. Secondo gli oppositori, il loro candidato, l’ex ambasciatore Edmundo González Urrutia, avrebbe vinto la consultazione con 7,2 milioni di voti pari al 67% dei voti. Tuttavia, anche sui dati della Pud è lecito nutrire qualche dubbio.

Dunque, le due posizioni appaiono inconciliabili e – purtroppo – foriere di violenze. Poco dopo la diffusione dei risultati del Cne, nelle strade di Caracas sono iniziate proteste popolari con le pentole (cacerolazos) o con le barricate (guarimbas), mentre Maduro ha sollecitato i propri sostenitori a scendere in piazza contro «fascisti e controrivoluzionari». In questo momento, cifre non verificabili parlano di una decina di morti e un migliaio di arresti.

Secondo l’opposizione, questi sarebbero i veri risultati delle elezioni di domenica 28 luglio. Dal sito: resultadosconvzla.com.

Già nelle ore successive alle elezioni, il governo venezuelano aveva interrotto le relazioni diplomatiche con ben sette paesi dell’America Latina – Argentina, Cile, Costa Rica, Perú, Panamá, Repubblica Dominicana e Uruguay -, rei di aver espresso dubbi sulla veridicità del risultato. Più cauti nei giudizi sono stati il Brasile, il Messico e la Colombia, come anche gli Stati Uniti e l’Unione europea.

Mai tenera con il governo bolivariano, la Chiesa cattolica venezuelana – che raccoglie circa il 90 per cento dei cittadini – ha chiesto una verifica dei risultati, raccomandandosi nel contempo di evitare qualsiasi azione violenta. Per parte sua, l’«Osservatorio per la democrazia in America Latina», appartenente all’associazione delle università gesuitiche latinoamericane (Ausjal), pur criticando fortemente le modalità del processo elettorale, ha concluso che le elezioni rimangono l’unico cammino per la pace. Raggiunto via WhatsApp, un missionario della Consolata che lavora tra i Warao ci ha detto: «In questo momento siamo pieni di parole, promesse,… Tanti sanno tanto… Io credo che sia il tempo di ascoltare, fare silenzio, accompagnare, rimanere con i poveri, con il popolo che soffre».

Una verifica importante del risultato potrebbe essere effettuata controllando i registri ufficiali (i cosiddetti «actas de escrutinio») di ciascun seggio elettorale. Tuttavia, a quasi una settimana dal voto, questa verifica non è ancora arrivata. Nel frattempo, il 30 luglio il Centro Carter – organizzazione indipendente (e autorevole) con alle spalle 124 elezioni in 43 paesi e la sola ammessa come osservatore dal Cne – ha rilasciato un duro comunicato in cui si dice nero su bianco che l’elezione non è stata democratica.

Elezioni a parte, la situazione generale rimane pesante. Stando alle statistiche più recenti (fonte Encovi), oltre metà della popolazione venezuelana (51,9 per cento) vive in povertà, mentre nel 2023 l’inflazione annuale è stata del 189,9 per cento (Banco Central de Venezuela). A causa della situazione economica e politica, dal 2014 circa otto milioni di cittadini (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, Unhcr) hanno abbandonato il Paese. La maggioranza di essi vive (o, più sovente, sopravvive) in Colombia, Perú, Stati Uniti e Brasile.

Senza voler giustificare le carenze governative, va anche detto che le sanzioni (bloqueo e medidas coercitivas unilaterales) a cui è sottoposto il governo di Caracas sono una causa primaria della grave situazione economica del Paese latinoamericano. Secondo l’Observatorio venezolano antibloqueo, organismo ministeriale, dal marzo 2015 il Venezuela è sottoposto a 930 misure sanzionatorie, in gran parte imposte dagli Stati Uniti. Le sanzioni più pesanti sono quelle sul petrolio e il gas, vera ricchezza del Paese.

Paolo Moiola




Uomini e maiali

Le immagini trasmesse dalle televisioni argentine sono state molto impattanti. In questi giorni, diversi canali hanno mostrato scene riprese in una discarica di rifiuti (basural a cielo abierto) a testimonianza della miseria in cui versano vasti strati della popolazione del Paese. I titoli apparsi in sovra impressione sugli schermi erano sconvolgenti: «Shopping nella discarica»; «In cerca di alimenti nella discarica»; «Così si arrangiano quelli che hanno sempre meno»; «Mangiano e si vestono con ciò che trovano tra i rifiuti»; «Una realtà che fa male».

Esagerazioni? Purtroppo, no. Scene di questo tipo le ho viste personalmente in occasione di un rilevamento ambientale, sociale e umano a Pichanal, una località situata a 25 chilometri da Orán, provincia di Salta. Qui, qualche anno fa, comunità indigene locali (Guarani e Wichi) e l’equipe di Pastorale aborigena della diocesi di Orán cercarono di fermare il progetto per trasformare una discarica illegale in una mega discarica e uno stabilimento di trattamento delle acque reflue previsti a poche centinaia di metri dalla zona abitata.

I dati ufficiali del 2023 indicano che oltre il 40 per cento della popolazione argentina vive in povertà. (Foto José Auletta)

Anche in questo caso le fotografie parlano da sole: basta guardarle. In modo particolare ne ricordo una: all’arrivo del camion dei rifiuti, in pochi secondi si produsse un assemramento di uomini, donne (alcune di esse in gravidanza), bambini e… porci, tutti quanti lì per rovistare tra i rifiuti appena sversati. Identicamente, mi fece rimanere a bocca aperta la scritta di propaganda governativa dipinta sulla fiancata del camion: «Curando l’ambiente! (Cuidando el medio ambiente)».

Come postilla finale, una nota di attualità politica. In una delle sue ultime interviste, il presidente uscente, Alberto Fernández (domenica 10 dicembre è entrato alla Casa Rosada Javier Milei, il nuovo presidente eletto, ndr), ha avuto il coraggio di affermare: «In Argentina, l’indice della povertà (40,1% secondo l’istituto di statistica, ndr) è mal calcolato. Se ci fosse una tale quantità di poveri, l’Argentina sarebbe distrutta».

Probabilmente, l’ex presidente non ha mai avuto modo di frequentare le discariche del paese che fino a ieri governava.

José Auletta da Yuto (Jujuy)




Argentina. Un altro pifferaio magico?

In Argentina, il secondo turno delle elezioni presidenziali (19 novembre) ha sancito il trionfo di Javier Milei, il cinquantaseienne candidato de La Libertad Avanza, economista iperliberista, personaggio stravagante cui una larga maggioranza di argentini ha affidato le sorti del paese. Un paese allo sbando con un’inflazione al 140 per cento e 18,5 milioni di poveri (su 46 milioni di abitanti) di cui 4,3 milioni indigenti (proiezione su dati ufficiali dell’Instituto nacional de estadística y censos, Indec).

Quintas del Sol, un «barrio cerrado» (quartiere chiuso privato), nella provincia di Buenos Aires. L’interminabili cresi economica argentina ha accuito le differenze sociali nel paese. (Foto Infobae)

Abbiamo raccolto un paio di opinioni subito dopo il clamoroso risultato elettorale. Padre Luigi Inverardi, per molti anni missionario nel paese latinoamericano, si dice sorpreso della vittoria di Milei, ma giustifica gli argentini che lo hanno votato visto il disastro compiuto dal candidato presidenziale Sergio Massa, ministro dell’economia uscente. «La prima cosa da fare – aggiunge il missionario – è controllare l’inflazione e sanare l’economia. L’adozione del dollaro è una misura improponibile, ma la spesa pubblica si può ridurre perché ci sono troppi argentini che vivono di sussidi senza lavorare».

Padre José Auletta, 47 anni in Argentina, ci risponde di buon mattino da Yuto, provincia di Jujuy, nell’estremo nord ovest del paese. «Sia lo sfidante Massa che il vincitore Milei erano il peggio. Il popolo argentino ha votato spinto da un desiderio di cambiamento, ma soprattutto dalla rabbia. Oggi l’Argentina deve affrontare un impoverimento che è strutturale e una corruzione che è altrettanto».

Al Congresso nazionale (il parlamento) partito di Milei è minoranza: al Senato avrà 7 membri su 72, alla Camera 38 su 257. «E nessuno – aggiunge Auletta – dei 24 governatori delle province argentine. Milei ha vinto anche per aver gridato contro “la casta”. Quella stessa casta con cui dovrà però arrivare ad accordi per poter governare».

Quanto alla Chiesa argentina, il clima non è dei migliori. Dopo le accuse (tra cui comunista e rappresentante del maligno) e le offese di Milei a papa Francesco in più circostanze, in chiusura di campagna elettorale Alberto Benegas Lynch, economista e mentore del nuovo presidente, aveva proposto di «rompere le relazioni diplomatiche con il Vaticano». Gli aveva risposto (con classe) José María Di Paola detto Pepe, uno dei più noti curas villeros, i preti che vivono nelle villas miserias, le baraccopoli argentine. Il sacerdote sta preparando una campagna per invitare il papa a visitare il suo paese. Sotto lo slogan: «Vení Francisco, el pueblo te espera» (Vieni Francesco, la gente ti aspetta).

Padre José María Di Paola detto Pepe, noto «cura villero» e sostenitore del viaggio di papa Francesco in Argentina. (Foto David Agren)

Lo scorso ottobre, durante una lunga intervista concessa alla direttrice dell’agenzia argentina Télam, il papa aveva parlato dell’Argentina senza mai nominare Milei, ma facendovi riferimenti piuttosto espliciti. «Ho molta paura – aveva confessato – dei pifferai magici di Hamelin perché sono incantatori di serpenti. Se fossero incantatori di serpenti li lascerei, ma sono incantatori di persone… e finiscono per affogarle. Persone che credono di poter uscire dalla crisi ballando al suono del flauto, con redentori fatti da un giorno all’altro. […] Le grandi dittature nascono da un flauto, da un’illusione, da un fascino del momento. E poi diciamo “che peccato, stiamo annegando tutti”».

Il neoeletto Milei è un pifferaio magico? Aspettiamo per vedere come metterà mano ai problemi del paese che lo ha eletto. Come sempre, una cosa sono le parole dette in libertà durante le campagne elettorali, un’altra è la realtà quotidiana. E quella argentina è una realtà da brividi.

Paolo Moiola