Noi e Voi, dialogo lettori e missionari

Proibire le armi nucleari

Un forte appello a Governo e Parlamento dai Presidenti e dai Responsabili nazionali di

Acli, Azione cattolica italiana, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Movimento dei Focolari Italia, Pax Christi, Fraternità di Comunione e Liberazione, Comunità di Sant’Egidio, Sermig, Gruppo Abele, Libera, Agesci, Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale), Argomenti 2000, Rondine-Cittadella della Pace, Mcl (Movimento Cristiano Lavoratori), Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli, Città dell’Uomo, Amici di Raoul Follerau, Associazione Teologica Italiana, Coordinamento delle Teologhe Italiane, Focsiv (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario), Centro Internazionale Hélder Câmara, Centro Italiano Femminile, Csi (Centro Sportivo Italiano), La Rosa Bianca, Masci (Movimento adulti scout cattolici italiani), Fondazione Giorgio La Pira, Fondazione Ernesto Balducci, Fondazione Don Primo Mazzolari, Fondazione Don Lorenzo Milani, Comitato per una Civiltà dell’Amore, Movimento Cattolico Mondiale per il Clima, Federazione Stampa Missionaria Italiana (a cui è associata MC), Rete Viandanti, Noi Siamo Chiesa, Beati i Costruttori di Pace, Fraternità francescana frate Jacopa, Comunità Cristiane di Base, Associazione delle Famiglie Italiane.

L’Italia ratifichi il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari

Il 22 gennaio 2021, al termine dei 90 giorni previsti dopo la 50esima ratifica, il «Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari» è diventato giuridicamente vincolante per tutti i Paesi che l’hanno firmato.

Questo Trattato, che era stato votato dall’Onu nel luglio 2017 da 122 Paesi, rende ora illegale, negli Stati che l’hanno sottoscritto, l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, l’installazione o il dispiegamento di armi nucleari.

Il nostro Paese non ha né firmato il Trattato in occasione della sua adozione da parte delle Nazioni Unite, né l’ha successivamente ratificato. Tra i primi firmatari di questo Trattato vi è invece la Santa Sede.

In Italia, nelle basi di Aviano (Pordenone) e di Ghedi (Brescia), sono presenti una quarantina di ordigni nucleari (B61). E nella base di Ghedi si stanno ampliando le strutture per poter ospitare i nuovi cacciabombardieri F35, ognuno dal costo di almeno 155 milioni di euro, in grado di trasportare nuovi ordigni atomici ancora più potenti (B61-12).

Il nostro Paese si è impegnato ad acquistare 90 cacciabombardieri F35 per una spesa complessiva di oltre 14 miliardi di euro, cui vanno aggiunti i costi di manutenzione e quelli relativi alla loro operatività.

Le armi nucleari sono armi di distruzione di massa, dunque, in quanto tali, eticamente inaccettabili, come ci ha ricordato anche papa Francesco in occasione della sua visita in Giappone domenica 24 novembre 2019, a Hiroshima. «Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa. Saremo giudicati per questo. Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta se abbiamo parlato di pace ma non l’abbiamo realizzata con le nostre azioni tra i popoli della terra».

Il 22 gennaio 2021 autorevoli esponenti della Chiesa cattolica di tutto il mondo, tra i quali il cardinal Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, e mons. Giovanni Ricchiuti, arcivescovo della diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi Italia, hanno sottoscritto a loro volta un appello in cui «esortano i Governi a firmare e ratificare il Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari», sostenendo in questo «la leadership che papa Francesco sta esercitando a favore del disarmo nucleare». Altri vescovi italiani si sono espressi pubblicamente in questa direzione e anche numerose sedi locali delle nostre associazioni e dei nostri movimenti hanno fatto altrettanto.

A tutti questi appelli, unendoci convintamente alla Campagna nazionale «Italia ripensaci», che ha registrato una vasta e forte mobilitazione su questo argomento, aggiungiamo ora il nostro e chiediamo a voce alta al Governo e al Parlamento che il nostro Paese ratifichi il Trattato Onu di Proibizione delle Armi Nucleari.

La pace non può essere raggiunta attraverso la minaccia dell’annientamento totale, bensì attraverso il dialogo e la cooperazione internazionale.

«La pandemia è ancora in pieno corso; la crisi sociale ed economica è molto pesante, specialmente per i più poveri; malgrado questo – ed è scandaloso – non cessano i conflitti armati e si rafforzano gli arsenali militari. E questo è lo scandalo di oggi».

Questa iniziativa, avviata il 25 aprile 2021, viene chiusa idealmente il 2 giugno 2021 con lo slogan «Per una Repubblica libera dalle armi nucleari».

seguono le firme dei  40 presidenti o segretari delle associazioni firmatarie e quelle di molti altri gruppi o associazioni che aderiscono
Già pubblicata il 27 maggio scorso, quando anche la Federaziane della Stampa missionaria ha aderito

 


Ricordando Abba Paulos

Paolo p Angheben

L’8 maggio scorso padre Paolo Angheben è deceduto ad Addis Abeba (Etiopia) dopo una breve e improvvisa malattia di Covid-19. Per giorni le sue condizioni sono state seguite con affetto e preghiera sia dalla gente della sua missione, Gighessa, che dai tanti amici con cui ha condiviso il suo cammino missionario e sacerdotale. Nato nel 1946 a Riva di Vallarsa (Tn), ha fatto i voti come missionario della Consolata nel 1968 alla Certosa di Pesio (Cn), ordinato sacerdote al suo paese nel 1974, è subito stato mandato in Etiopia, dove è rimasto fino alla morte eccetto i sei anni passati in Certosa di Pesio dal 1994 al 2000. I superiori avevano già pianificato il suo rientro in Italia, ma una chiamata più impellente lo ha invitato a far festa con i santi, in compagnia del beato Allamano e di tanti altri missionari che lo hanno preceduto.

L’irripetibilità di un incontro

La notizia della morte di padre Paolo Angheben mi ha profondamente addolorata per la sua grandezza come uomo, come sacerdote e come missionario che ha donato la sua vita alla popolazione dell’Etiopia, curandone tutti gli aspetti, da quello esistenziale a quello religioso e vocazionale.

Ho incontrato padre Paolo Angheben una sola volta nell’estate del 1999 alla Certosa di Pesio, ma tale incontro ha lasciato una traccia indelebile nella mia vita. Stavo trascorrendo lì alcuni giorni di riposo, invitata da padre Francesco Peyron, per ridefinire il cammino della fede e recuperare energie in vista della ripresa del mio lavoro, dedicando del tempo alla preghiera e alla meditazione, in un contesto caratterizzato da semplice e calorosa accoglienza, in compagnia di molte persone con percorsi di fede diversificati, con le sante Messe celebrate in orario preserale frequentate da tutti gli ospiti in modo attivo, con un cielo azzurro terso di giorno e stellato di notte, un paesaggio con piante verdi rigogliose e i profili delle Alpi Marittime all’orizzonte.

Fin dal primo giorno avevo notato come padre Paolo avesse incontri frequenti e accogliesse con  un largo sorriso, regalando disponibilità e sapienza. Ho scambiato con lui qualche considerazione su come la fede debba incarnarsi nella quotidianità rispondendo al desiderio di Dio che ogni uomo si salvi e si santifichi, in quanto da Lui desiderato. Abbiamo anche riflettuto sulla non linearità di tale percorso, contrastato a volte dalla individuale fragilità e a volte dagli eventi esterni. È rimasto indelebile in me il confronto con un uomo di profonda fede, consapevole della complessità di tale scelta in ogni situazione, in particolare nell’ambito missionario in cui si intrecciano la promozione umana e l’annuncio della Parola di Dio; conservo in me il dono di aver vissuto un incontro irripetibile con una persona di grande umanità, singolare eleganza e particolare dignità.

Milva Capoia
18 maggio 2021

2019-07-14 salita al Marguareis, padre Paolo Angheben

Testimonianze dall’Etiopia

Traduciamo qui alcuni commenti ricevuti dall’Etiopia nei giorni successivi all’annuncio della morte di padre Paolo.

  1. 1. «Abba Paulos, hai ricevuto da Dio il dono di essere guida spirituale; ora il Signore ti ha ripreso a stare nella sua gloria. Ora che sei alla presenza di Dio, intercedi per noi».
  2. «Abba Paulos è stato un buon esempio di sacerdote missionario. Avendo visto la sua semplicità, mi piace ricordare il versetto “lasciate che i bambini vengano a me, perché di essi è il Regno dei cieli”».
  3. «Abba Paulos, manchi tanto a tutti noi qui in Etiopia. Tu sei stato il nostro padre spirituale, il nostro punto di riferimento quando ci sentivamo aridi spiritualmente e avevamo bisogno di essere ricaricati. Sei stato un’icona di vero missionario che ha assunto la vita, la cultura, la lingua di coloro ai quali sei stato mandato. Noi sacerdoti e l’intera comunità cattolica dell’Etiopia sentiamo fortemente la tua mancanza, ma è incoraggiante e di conforto aver avuto un prete santo come te in mezzo a noi. Noi crediamo davvero che tu abbia “combattuto la buona battaglia, terminato la corsa, conservato la fede” e che riceverai la “corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, ti darà quel giorno” (cfr 2 Tim 4,7-8)».
  4. «Abba, tu sei stato per noi molto di più di quanto tu abbia creduto. Noi di Gighessa siamo frutto del tuo lavoro e della tua fatica. Tu hai fatto la tua parte fino alla fine. Rimani nei nostri cuori sempre. Riposa in pace. Rimarrai nel cuore di molte persone. Tu hai segnato il cuore, la mente e anche il lavoro di molti. Che la tua partenza ci renda ancora più determinati a continuare il tuo lavoro».

dal gruppo «Abba Paulos»

 


Nadim e Afghanistan

Gentile redazione,
l’articolo di Simona Carnino è bellissimo (MC 04/2021). I protagonisti della storia dovrebbero essere i primi in corridoi umanitari. Che cosa pensare di Civil society human rights network? Che conclusione tirare? Che ogni persona onesta e coraggiosa deve arrendersi e scappare da lì?

Il giovane Nadim ha tentato e si è arreso. Auguriamo ogni fortuna in Germania a questa famigliola. E cosa pensare dell’Afghanistan? Probabilmente che resti il peggior posto del mondo (e che da lì non esca più nessuno?).

Carlo May

Abbiamo passato l’email all’autrice dell’articolo. Ecco la sua risposta.

Gentile Carlo,
grazie per il suo messaggio e anche per la simpatia dimostrata per Nadim, Fawkia e Tamkin. Leggo sgomento e sensibilità tra le sue righe e la necessità di avere una risposta non filtrata. Per questo motivo, ho tradotto il suo messaggio in inglese e l’ho mandato a Nadim. Provo a tradurle di seguito la sua risposta.

«Ciao Carlo, grazie per il messaggio, che mi ha reso il giorno migliore. Presto l’Afghanistan vivrà tempi ancora più bui. Gli Stati Uniti sono andati in Afghanistan per i propri interessi personali e molti conflitti si sono generati proprio a causa loro. Però ora la ritirata delle truppe Usa dall’Afghanistan non genererà un miglioramento, perché si creeranno nuovi conflitti interni e a nessuno interesserà nulla.

Il Civil society human rights network continua a lavorare, ma gli attivisti rischiano la vita. Se guardi i ranking internazionali, l’Afghanistan è sempre agli ultimi posti per diritti umani, denutrizione ecc., ma è ai primi posti per corruzione. Credimi se ti dico che appena l’Afghanistan sarà un po’ più sicuro e io potrò combattere per i diritti umani, tornerò subito là».

Simona Carnino
21/05/2021


Errori

Guardando all’ultimo numero, proprio in queste pagine, trovate diversi errori, sfuggiti (questa volta come altre) nonostante l’impegno nelle correzioni. Non è grande consolazione trovarne anche in altre pubblicazioni con più personale e mezzi di noi. Diventano un invito all’umiltà e a prendere coscienza dei nostri limiti.

Vi riporto qui il testo che abbiamo su un quadretto appeso in redazione, regalo di una tipografia tanti anni fa.

«L’errore tipografico è una cosa maligna, | lo si cerca e perseguita, ma esso se la svigna. | Finché la forma è in macchina si tiene ben celato, | si nasconde negli angoli, par che trattenga il fiato. | Neppure il microscopio al scorgerlo è bastante, | prima; ma dopo esso diventa un elefante. | Il povero tipografo inorridisce e freme | e il correttor colpevole il capo abbassa e geme, | perché se pur dell’opera tutto il resto è perfetto, | si guarda con rammarico soltanto a quel difetto».

 




Corea del Nord:

Verità e segreti oltre il 38° parallelo


Kim, il dittatore incompreso.
Kim Il Sung, detto il Grande leader, suo figlio Kim Jong Il e suo nipote Kim Jong Un, l’attuale presidente, hanno guidato la Corea del Nord (Repubblica democratica popolare di Corea) dal 1948 a oggi. In questo dossier presentiamo un viaggio tra politica, economia, diritti umani e nucleare per scoprire se la Corea del Nord costituisca un pericolo reale, soprattutto dopo il sesto test atomico (con la prima bomba termonucleare) effettuato da Pyongyang lo scorso 3 settembre. E senza scordare che la guerra di Corea (1950-1953) ancora non è stata chiusa con un accordo di pace.

L a «Storia delle Cinque dinastie», compilata nel 974 dallo storico cinese Xue Juzheng durante la dinastia Song, racconta che nel 946 d.C. il monte Paektu – al confine tra la Corea del Nord e la Cina – fu sconvolto da una violenta eruzione. I geologi fanno risalire a quell’evento naturale la formazione del lago del Paradiso, lo specchio d’acqua che riempie il cratere del vulcano. Sembra però che la guida che mi accompagna ansimando lungo la parte nordcoreana della caldera non sia al corrente di questa acquisizione scientifica riguardo alla formazione del lago: «Da qui si domina tutta la Corea. Le acque di questo lago hanno visto due degli episodi più importanti della storia della Corea», racconta seduto guardando la riva opposta appartenente alla Cina. «È qui che è nato Dangun (il leggendario fondatore del paese, ndr) ed è qui che, quattromila anni dopo, il Grande Leader Kim Il Sung ha donato a una Corea umiliata e colonizzata, il suo futuro leader: Kim Jong Il. Kim Il Sung, Kim Jong Il e Kim Jong Un sono i veri e unici eredi di Dangun e il lago del Paradiso ne è il perpetuo testimone».

I primi cenni storici riguardanti Dangun risalgono al XIII secolo d.C.. Egli è il leggendario fondatore del primo regno coreano nel 2333 a.C., un personaggio sospeso tra mito e realtà che Kim Il Sung ha voluto storicizzare e prendere come pietra miliare per rafforzare la successione di Kim Jong Il, meno carismatico del padre, facendolo nascere ai piedi del monte Paektu, il «sacro luogo della rivoluzione coreana dove il giovane generale Kim Il Sung creò la guerriglia antigiapponese».

In Corea del Nord epopee, leggende, miti, fatti storici si intrecciano tra loro in un groviglio inestricabile alimentando molta letteratura fantasiosa che circonda il paese asiatico e di cui un certo tipo di giornalismo poco serio, alla ricerca di facili scoop e di likes sui social network, si è ormai appropriato.

Leggende metropolitane e bufale sulla Corea del Nord se ne contano a decine. Anche le redazioni delle testate più quotate e popolari troppo spesso preferiscono sorvolare sulla verifica delle fonti e sulla veridicità delle notizie per conquistare la loro fetta di lettori (e di pubblicità).

Certamente parlare con cognizione di Corea del Nord, un paese difficile (ma non impossibile) da visitare ed in cui è complicato (ma non impossibile) separare la propaganda dalla realtà, non è facile. Per questo molti si accontentano di riportare come veri fatti ripresi da testate satiriche o semplicemente da siti poco attendibili (vedi sotto: «Piovono le bufale»).

I «signori dei soldi» e il mercato immobiliare

Varcare a Nord il 38° parallelo non è, come pretendono molti, un viaggio a ritroso nel tempo: la Corea del Nord, in particolare dopo che, nel 2011, Kim Jong Un è succeduto a Kim Jong Il, è una nazione in continua trasformazione economica, sociale e, seppur in modo meno evidente, politica.

L’attuale giovane leader nordcoreano ha dimostrato di credere nel mercato rivoluzionando un governo gerontocratico e anchilosato dai militari, mettendo al loro posto tecnocrati ed economisti.

Ed i risultati si vedono, a cominciare dalle città che in questi ultimi anni sono state oggetto di un drastico riassetto urbanistico caratterizzato da un boom immobiliare. Strano a dirsi, in un regime a mercato socialista, la compravendita di immobili è oggi uno dei maggiori giri d’affari del paese tanto che a Pyongyang (ma non solo) c’è un nuovo quartiere residenziale i cui prezzi sono schizzati talmente alle stelle che viene spesso soprannominato Pyonghattan. Qui, lungo la Changjon Street, joint venture sino-nordcoreane hanno costruito appartamenti utilizzando strutture moderne, nuovi materiali, nuovi spazi che dovranno essere riprodotti negli altri centri urbani del paese. Case insonorizzate, vetrate più ampie per dare luminosità alle stanze, colori vivaci, coibentazione per risparmio energetico: sono le residenze dei donju, letteralmente «i signori dei soldi», i nuovi ricchi della Corea del Nord, coloro che, grazie a conoscenze o parentele all’estero, sono riusciti, durante gli anni Novanta e la prima decade del Duemila, a creare redditizie attività commerciali (si stima che i soli 10.000 nordcoreani che lavorano in Sud Corea inviino al Nord circa 10-15 milioni di dollari annui)1.

«I donju occupano quelle posizioni imprenditoriali e economiche che il governo, per mancanza di fondi o di inventiva, non riesce a colmare», spiega Kang Go-eun, professoressa di Economia alla Pyongyang University of Science and Technology (Pust), l’unica università privata della Corea del Nord, creata e finanziata dalla Chiesa cristiana evangelica sudcoreana ed in cui, durante l’anno scolastico, una sessantina di professori provenienti da Cina, Stati Uniti, Canada, Corea del Sud e Gran Bretagna, si alternano a insegnare a una élite di 500 studenti le basi dell’economia di mercato. Nelle aule della Pust, ma anche in alcuni corsi della più famosa università del paese, la Kim Il Sung University, si sta formando la futura classe economica della Corea del Nord, che si avvia sempre più verso un’economia di mercato.

È in questo nuovo contesto sociale che avvengono le cospicue transazioni immobiliari nordcoreane; mediatori contattano funzionari dei vari Dipartimenti regionali di assegnazione degli alloggi i quali, con una «commissione» che va dal 10 al 30%, riservano a chi ne fa richiesta i migliori appartamenti. Un affare da trilioni di won, vista la crescita esponenziale avuta negli ultimi anni dei prezzi degli immobili dal 2004 a oggi. Un appartamento di 100 metri quadrati sulla Changjon situato sui «piani reali» (fino al terzo o quarto piano di un edificio e così chiamati perché più accessibili senza l’ausilio di ascensori spesso fermi per mancanza di energia elettrica), può costare l’equivalente di 170.000 euro. In centro a Pyongyang i prezzi medi si aggirano sui 1.000 euro al metro quadrato, mentre a Chongjin, una città in piena fase di sviluppo sulla costa settentrionale ci si accontenta di 800 euro al metro quadrato. Se si pensa che nel 2004, quando iniziarono a funzionare le prime transazioni immobiliari, un appartamento a Pyongyang costava meno di 2.000 euro, si può capire quanto sia consistente il movimento di denaro che interessa il settore.

Il governo è naturalmente a conoscenza di tale commercio, così come di altre attività private quali ristorantini, pubs, bar, discoteche, negozi che permettono alla maggior parte delle famiglie nordcoreane di aumentare i loro introiti, ma fa buon viso a cattivo gioco. Un funzionario statale guadagna tra i 3.000 e i 5.000 won al mese, l’equivalente di 15-33 euro che però si riducono a 30-60 centesimi di euro al mercato nero2; un’inezia anche per un paese, come la Corea del Nord, dove – in teoria, ma in pratica avviene sempre più di rado – ogni cittadino avrebbe diritto a ricevere cibo e generi di prima necessità gratuitamente da parte dello stato. In realtà si stima che, per sopravvivere, una famiglia di quattro persone necessiterebbe un’entrata mensile di 100.000 won3. Molte famiglie guadagnano ben più della cifra minima di sopravvivenza e l’80% delle entrate di un nucleo famigliare proviene dalle attività private.

Nei centri commerciali: i prodotti e i prezzi (in «won»)

I prezzi non sono più determinati dallo stato, ma dal mercato (e quindi dal cambio nero). Nell’affollatissimo centro commerciale di Kwanbok trovo bottiglie di Chivas a 272.000 won, mele a 5.500 won al chilo, shampoo L’Oréal a 40.000 won, diverse marche di vino di produzione cinese a 100.000 won, un chilo di riso a 5.000 won, scarpe a 200.000 won, e poi lavatrici, frigoriferi, tablets, Pc e, cosa sempre più popolare in una nazione in cui sono normali black out energetici, pannelli solari che costano tra i 500.000 e i due milioni di won. Dal 2015 le strade di Pyongyang sono percorse da un numero sempre maggiore di biciclette elettriche cinesi Anqi, che trovo al centro commerciale a 2.620.000 won. Uno smartphone, che 2,5 milioni di nordcoreani posseggono, costa 2 milioni di won4.

Il tutto può essere pagato sia in contanti che con due tipi di carte di credito valide, però, solo all’interno del circuito nordcoreano: la «Narae» e la «Chonsong».

Trovo anche televisori a schermo piatto che potrebbero far sorridere pensando che ufficialmente nel paese vi sono solo tre canali dal palinsesto abbastanza scarno e ripetitivo, due dei quali trasmettono solo nei giorni feriali per 4 o 5 ore al giorno. In realtà le Tv sono i prodotti che vanno per la maggiore perché i nordcoreani adorano guardare i Dvd venduti al mercato nero delle serie televisive cinesi e soprattutto sudcoreane (la più popolare di queste porta sullo schermo le gesta militari di Taeyang-ui Huye, «I discendenti del Sole»). Il fenomeno è divenuto talmente virale che lo stesso Kim Jong Un ha ritenuto suo dovere denunciarne la corrente: «È necessario contrastare l’ideologia imperialista, l’avvelenamento culturale per proteggere e preservare strettamente il nostro stile di vita e la nostra cultura socialista […]. Dobbiamo stabilire una forte disciplina morale nella società. […]. È necessario aumentare ulteriormente il potere dell’ideologia politica e militare»5.

Situazione alimentare e migrazioni

Lontano dalle città, dove non esistono supermercati e centri commerciali, ci sono i golmokjang (mercati contadini non autorizzati, ma tollerati), e i jangmadang (mercati contadini autorizzati).

Le «Misure del 30 maggio», il pacchetto di riforme avviate da Kim Jong Un nel 2014, consentono ai contadini di trattenere tra il 30 e il 60% del raccolto per proprio consumo o per commercializzarlo, mentre ai dirigenti d’impresa vengono offerti forti incentivi sui profitti delle aziende statali. Questo ha permesso all’economia nordcoreana di riprendere vigore, tanto che recentemente in alcune contee questi jangmadang hanno iniziato a vendere anche piccoli animali d’allevamento, in particolare anatre, galline, maiali, conigli.

Nelle campagne la terribile crisi degli anni Novanta è solo un ricordo ma il problema alimentare perdura, anche se oggi non si muore più di fame, ma c’è malnutrizione e non si parla di disponibilità, ma di accessibilità al cibo. La produzione agricola è aumentata, ma per sfamare i 25 milioni di abitanti, il paese deve importare ogni anno tra le 400 e le 500mila tonnellate di cibo, circa il 10% della necessità alimentare6, sotto forma di aiuti internazionali, il 75% dei quali giungono rispettivamente da Cina, Sud Corea, Stati Uniti e Giappone. Nulla di strano che le nazioni più ostili al governo nordcoreano siano anche le più generose nell’elargire gli aiuti: a nessuno, infatti, gioverebbe un crollo improvviso del regime, che porterebbe milioni di profughi a varcare il 38° parallelo per dirigersi a Sud o a inondare le aree cinesi a ridosso della frontiera settentrionale.

«La Corea del Nord sta sfruttando questa paura di esodo biblico come “arma di migrazione di massa” per ottenere aiuti dall’estero», spiega Kelly Greenhill, professoressa alla Tufts University di Medford, Massachusetts, specializzata in politica dei flussi migratori. Un collasso improvviso del regime porterebbe nei mesi immediatamente successivi 300.000 profughi in Sud Corea e Cina, mentre nel primo anno la migrazione interesserebbe diversi milioni di nordcoreani7. Una cifra che terrorizza sia la Cina, ma anche, e soprattutto, la Corea del Sud, già alle prese con grossi problemi di inserimento dei 27.000 nordcoreani presenti sul suo territorio, molti dei quali devastati da problemi psicologici e dediti al crimine organizzato, all’alcolismo e alla droga8.

In Cina, poi, la situazione è ancora peggiore: qui molti dei 100.000 rifugiati nordcoreani sono visti come bassa manovalanza da sfruttare nei lavori meno gratificanti; nel peggiore dei casi, alcune delle ragazze hanno terminato il loro viaggio in bordelli gestiti da bande sino-coreane.

La versione ufficiale della Corea del Nord nei confronti di questi cittadini fuggiti dal loro paese è che siano «terroristi che si oppongono al sistema sociale della Dprk (acronimo inglese per «Repubblica democratica popolare di Corea», ndr), paese in cui i cittadini godono di una vita genuina e felice»9.

Naturalmente ben pochi a Nord del 38° parallelo sono ancora convinti di vivere in un paradiso, ma l’osmosi di notizie tra Nord e Sud ha anche cambiato la visione del mondo di molti nordcoreani. I talbukja, letteralmente «coloro che sono scappati dal Nord», nonostante le difficoltà rimangono in contatto con le loro famiglie e questo ha permesso di sfatare alcuni dei miti che rendevano Cina e Sud Corea delle mete incantate e ineffabili.

Questa disillusione, accompagnata anche dal sensibile miglioramento delle condizioni di vita registrato dai primi anni Duemila, ha fatto sì che le fughe, oggi principalmente dovute a motivi economici più che politici, si siano ridotte.

I rapporti economici con Cina e Russia e le sanzioni internazionali

Secondo il ministero dell’Unificazione della Corea del Sud, il 48,4% dei nordcoreani che nel 2014 si erano trasferiti al Sud erano disoccupati10. Per arrestare questa emorragia di giovani lavoratori (il 58,2% aveva tra i 20 e i 39 anni)11 Pyongyang deve trovare il modo di migliorare la propria economia e, soprattutto, modernizzare le proprie infrastrutture. Alle strade, porti, macchinari industriali fatiscenti e obsoleti si aggiungono frequenti interruzioni di energia elettrica che mantengono le compagnie straniere lontane dall’altrimenti allettante mercato nordcoreano.

Nel paese ci sono una trentina di aziende europee e, secondo un rapporto della Samsung Economic Research Institute, il governo ha commissionato alla Cina la costruzione e la ristrutturazione di impianti e servizi per 6,5 miliardi di dollari. Gli investimenti stranieri, che nel 2010 ammontavano a 1,475 miliardi di dollari, sono destinati ad aumentare, ma sino a quando la nazione asiatica non stabilizzerà le proprie leggi sul lavoro non sono molte le industrie intenzionate a concludere affari con Pyongyang.

«Guarda l’hotel Ryugyong», mi dice un membro di una delegazione europea in visita nel paese indicandomi l’edificio di 330 metri che avrebbe dovuto essere completato sin dal 1989 per divenire l’hotel più alto al mondo. «È dal 1987 che è in costruzione e a distanza di trent’anni non è ancora finito. È l’emblema di come sia inefficiente e inaffidabile il sistema nordcoreano».

Al tempo stesso, la necessità di «espandere e sviluppare le relazioni economiche con l’esterno»12 ha indotto Kim Jong Un a continuare con la realizzazione dell’idea avuta da Jang Song-taek (marito della sorella di Kim Jong Il e, quindi, zio di Kim Jong Un e da questo fatto prima imprigionare e poi fucilare, ndr) nel 2013 di creare tredici nuove «Zone ad economia speciale» (Zes).

La più redditizia e sviluppata è (era) il Kaesong Industrial Complex (Kic), creata nel giugno 2000 e chiusa temporaneamente dalla Corea del Sud nel febbraio 2016 in risposta al lancio del satellite Kwangmyongsong-4 e al presunto (ma mai avvenuto) test termonucleare. La Kic ospitava 123 compagnie sudcoreane che davano lavoro a 55.000 nordcoreani con un introito, per le casse di Pyongyang, di 90 milioni di dollari annui e un giro di affari di 1,2 miliardi di dollari, pari al 4,1% dell’intero Pil nordcoreano.

Da allora gli sforzi nordcoreani sono rivolti alla Zes di Rason, nel Nord Est del paese, in cui operano aziende cinesi e russe.

Dopo l’esecuzione di Jang Song-taek e la purga della fazione «cinese» (dicembre 2013), la Corea del Nord guarda con sempre maggiore interesse alla Russia come possibile partner commerciale e politico, non disdegnando, al tempo stesso, altri mercati come l’Iran o l’Africa. Il Mansudae Art Studio, il principale centro di produzione artistica nordcoreano, solo nel 2016 ha costruito statue e monumenti in 15 paesi africani.

Alla ricerca continua di investitori, ogni anno la Corea del Nord organizza viaggi di affari per imprenditori europei interessati a credere nel mercato nordcoreano, ma senza destare grandi interessi.

Dopo le recenti dure prese di posizione da parte di Pechino nei confronti di Pyongyang per via dei test missilistici e soprattutto del test termonucleare dello scorso 3 settembre, quest’ultima non ritiene più sufficientemente affidabile il vecchio alleato. Il simbolo del gelo che si è venuto a formare tra i due paesi lo trovo a Sinuiju, la città al confine cinese da dove passa la ferrovia che collega la Corea del Nord con Dandong e dove transita il 70% del commercio tra i due paesi. Qui mi siedo sulle sponde del fiume a guardare il Nuovo Ponte sullo Yalu che avrebbe dovuto rafforzare i legami economici sino-coreani. Costato 350 milioni di dollari e iniziato nell’ottobre 2011, la sua costruzione è stata sospesa nel 2013, subito dopo la fucilazione di Jang Song-taek. I suoi piloni si stagliano contro il cielo sorreggendo un inutile campata significativamente vuota perché i nordcoreani non hanno terminato la strada di raccordo con l’autostrada verso la capitale. La Cina, con un commercio bilaterale di 5,29 miliardi di dollari13, continua ad essere il principale partner commerciale della Corea del Nord, ma la Risoluzione 2270 delle Nazioni Unite che impone sanzioni economiche a Pyongyang ha indotto il governo cinese a ridurre del 75% le importazioni di carbone, la principale fonte di entrate economiche della nazione.

La Russia, che condivide con la Corea del Nord 17 chilometri di confine con solo un ponte ferroviario, sembra abbastanza restia ad entrare nel mercato coreano, ed obiettivamente non potrà mai sostituirsi alla Cina. Il commercio bilaterale tra le due economie è solo di 83,8 milioni di dollari (quasi interamente importazioni di prodotti russi)14 e recentemente è stato inaugurato il primo traghetto passeggeri che unisce la Corea del Nord con Vladivostok. I rapporti tra le due nazioni sono comunque migliorati da quando, nel 2012, la Russia ha cancellato il 90% degli 11 miliardi di dollari di debiti contratti da Pyongyang con l’ex Urss e creato il ministero dello Sviluppo dell’Estremo Oriente, divenuto il principale interlocutore di Mosca con il governo di Kim Jong Un. Al tempo stesso la Russia ha alzato a 50.000 la quota di permessi concessi a lavoratori nordcoreani nelle proprie industrie tessili, edili e di pesca nelle regioni di Amur, Khabarovsk e Primosky (per confronto, la Cina ha emesso 933.000 visti per lavoro a cittadini nordcoreani).

La guerra (1950-1953) e l’unificazione

Più complicati sono i rapporti con la Corea del Sud, nonostante tra i due stati esistano scambi commerciali che ammontano a 2,34 miliardi di dollari annui, pari all’8,8% del Pil della Corea del Nord15.

Seoul si sente minacciata dai test missilistici e nucleari nordcoreani: in caso (improbabile) di guerra sarebbe il Sud a subirne le maggiori conseguenze.

«La Corea del Sud deve prima di tutto divincolarsi dalla sudditanza americana. Solo allora il suo presidente avrà il potere di decidere il destino del popolo sudcoreano», mi spiega So Mi-yeon, la onnipresente (e obbligatoria) guida che mi accompagna durante la visita in Nord Corea ripetendo un mantra, quello della colonizzazione statunitense, ancora in voga nei libri di testo nordcoreani. Secondo Pyongyang, infatti, la penisola coreana è divisa in due non tanto perché vi sono due governi indipendenti e ostili tra loro, ma perché – come ha scritto il Rodong Sinmnun, il giornale del Comitato Centrale del Partito dei Lavoratori – il Sud sarebbe occupato da un «gruppo di fantocci sudcoreani che si comportano in modo avventato» succubi di Washington. I vari governi che si sono susseguiti nel Nord, guidati da Kim Il Sung, Kim Jong Il e oggi da Kim Jong Un, sarebbero i soli e legittimi rappresentanti del popolo coreano. Tra Pyongyang e Seoul non esiste ufficialmente belligeranza, ma un armistizio (quindi non un trattato di pace) tra Pyongyang e Washington. Gli sforzi della Corea del Nord per portare gli Stati Uniti al tavolo delle trattative si concentrano principalmente su questo punto: trasformare l’armistizio del 27 luglio 1953 in un vero e proprio trattato di pace. L’elezione di Moon Jae-in a presidente della Repubblica di Corea, salutata con ottimismo da quasi tutti i governi della regione a partire dalla Cina, è invece guardata con cautela dal Nord: «La Dprk e la Corea del Sud dovrebbero aprire un nuovo capitolo per migliorare le relazioni tra loro rispettandosi reciprocamente e stringendosi le mani come partner per giungere all’unificazione», scrive il Rodong Sinmnun, punzecchiando il nuovo inquilino della Casa Blu (nome della residenza del presidente della Repubblica della Corea del Sud, ndr) proprio sul tema apparentemente più propagandato da lui stesso: quello del dialogo tra Nord e Sud e della futura potenziale unificazione della penisola: «Se il governo sudcoreano insiste sulla proposta della “unificazione dei due sistemi” – una proposta assolutamente ingiusta – e decide di incamminarsi lungo la via della guerra, l’unica cosa che (Seoul, ndr) affronterà sarà la morte e una spaventosa distruzione». Pyongyang ha sempre osteggiato l’unificazione politica tout court, che vede come un tentativo di assimilazione del Nord da parte del Sud, preferendo ad essa una più soffice e meno traumatica via federale da realizzarsi in un lungo periodo di transizione durante il quale l’economia dei due paesi si integrerebbe mantenendo però un sistema politico e ideologico bicefalo. La soluzione proposta dal Nord potrebbe, nel giro di diversi decenni, livellare l’immenso abisso oggi esistente tra le due economie che vede il Pil pro capite della Corea del Sud sopravanzare quello del Nord di 20 volte (un nordcoreano produrrebbe ogni anno un Pil di 1,33 milioni di won contro i 25 milioni di won del collega sudcoreano), mentre in termini assoluti, il Pil del Sud è 38 volte quello del Nord (tabella a pag. 36).

Questo sistema di «due paesi una economia» si innesta sulla richiesta fatta dal Nord a Moon Jae-in di ridiscutere i confini del 38° parallelo e quelli marittimi. Su queste premesse il dialogo tra i due paesi sembra irto di ostacoli: le differenze di vedute, pur non essendo insormontabili, sono comunque ampie e quandanche Moon e Kim dovessero inaugurare una nuova versione della Sunshine Policy («politica alla luce del sole») c’è sempre l’incognita delle forze conservatrici (sia del Nord che del Sud) e dell’ambiguità politica di Washington e di Pechino. La Cina difficilmente perdonerà la Corea del Nord di aver dato l’occasione agli Stati Uniti di dispiegare il Thaad («Terminal High Altitude Area Defense», sistema antimissile statunitense, ndr) a pochi chilometri dalle sue coste dopo che lo stesso Giappone lo aveva rifiutato qualche anno addietro. Il Pentagono, da parte sua, non si azzarderebbe mai a scatenare una guerra suicida nella regione nordorientale asiatica sapendo anche che i suoi due alleati sono assolutamente contrari ad azioni di forza.

La politica del «byungjin»

Se nessuno vuole provocare una guerra, allora perché Kim Jong Un ha accelerato il programma missilistico e nucleare, strettamente legati tra loro? Nel 2012 la costituzione della Corea del Nord venne emendata con la dichiarazione che la Dprk era uno stato nucleare16. Il 31 marzo 2013 il Grande Leader ha inaugurato una nuova linea di sviluppo per il paese: la byungjin, o pyongjin («sviluppo parallelo»), che andava a sostituire la politica della songun («prima i militari») che aveva contraddistinto il governo di Kim Jong Il.

Il nuovo indirizzo economico-ideologico di Kim Jong Un intendeva perseguire una politica di sviluppo economico e sociale sostenuta dal programma nucleare: «Le forze nucleari della Dprk rappresentano la vita della nazione e non potranno mai essere abbandonate sino a quando le minacce nucleari e imperialiste esisteranno sulla terra… Solo quando lo scudo nucleare di autodifesa sarà completato, sarà possibile frantumare le ambizioni imperialiste Usa di annettere la penisola coreana con la forza per rendere i coreani dei moderni schiavi»17.

L’obiettivo era molteplice: concentrandosi solo sul programma nucleare la ricerca avrebbe subito un’accelerazione consentendo al tempo stesso di diminuire il budget della Difesa del 2-3% rispetto alla politica della songun dato che sarebbero state finanziate solo quelle attività correlate agli studi e ai test atomici. Il taglio ai militari avrebbe permesso a Kim Jong Un di rafforzare il proprio potere all’interno del Partito eliminando gli elementi ostili. L’eventuale successo dei programmi nucleari e missilistici ad esso connesso, avrebbe permesso a Kim Jong Un di elevare il prestigio internazionale del paese proponendosi, inoltre, come nazione guida per quegli «stati paria» impossibilitati a promuovere simili progetti. Infine, i ritorni finanziari dovuti al risparmio sulle spese militari e sui ricavi delle eventuali commesse derivate dalle ricerche avrebbe consentito di allocare più risorse per i programmi di sviluppo economico e sociale.

Quasi tutti gli obiettivi della byungjin sono stati raggiunti: dopo aver indebolito e allontanato (più con le cattive che con le buone) l’opposizione, Kim Jong Un ha completato – nel giugno 2016 – la scalata al potere sciogliendo la potentissima Commissione di difesa nazionale, di cui Jang Song-taek era vice presidente, per formare la nuova Commissione degli affari di stato, l’organo più importante della Corea del Nord che presiede la sicurezza interna ed esterna della nazione e di cui lo stesso Kim Jong Un è presidente. Con questa mossa il leader nordcoreano, oltre che essere presidente del Partito dei lavoratori (il segretario generale eterno è Kim Jong Il, morto nel 2011), Comandante supremo delle forze armate e presidente della Commissione centrale militare del Partito dei lavoratori, è de facto presidente dello stato (il presidente eterno è Kim Il Sung, morto nel 1994).

La trasformazione degli organi di stato ha consentito a Kim Jong Un di circondarsi di uomini a lui fedeli. Due dei tre vicepresidenti della Commissione degli affari di stato, il vice maresciallo Hwang Pyong-so e il primo ministro Pak Pong-ju, sono stretti collaboratori e sostenitori delle riforme volute dal Grande Leader, mentre il terzo, Choe Ryong-hae, ritenuto un cane sciolto e meno legato al presidente, è comunque isolato.

I test e la prima bomba termonucleare

I successi in politica interna di Kim Jong Un si sommano a quelli in campo militare. Dal suo insediamento il programma missilistico, atto a dotare le Forze armate nordcoreane di un missile balistico intercontinentale capace di trasportare una testata atomica, ha fatto passi da gigante, siglando la quasi definiva conclusione lo scorso 3 settembre 2017 con il sesto test nucleare che, a differenza degli altri, ha confermato il possesso della bomba termonucleare negli arsenali di Pyongyang.

Se Kim Jong Il aveva voluto il programma nucleare per consentire alla Corea del Nord di sopravvivere al disastro energetico e all’isolamento economico, la volontà di Kim Jong Un di dotarsi di armi nucleari è dovuta, oltre che per recuperare prestigio interno nei confronti dei militari, anche alle considerazioni fatte osservando la fine riservata ai suoi «colleghi» oltreoceano dalle potenze Occidentali.

Secondo la visione del Grande Leader la caduta in disgrazia di dittatori con cui la famiglia Kim aveva tessuto stretti rapporti di cooperazione (Gheddafi, Saddam Hussein, Assad) è stata favorita dalle loro «debolezze» nell’accettare le condizioni richieste da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. Oltre che inutile sarebbe quindi dannoso per la leadership nordcoreana privarsi della minaccia nucleare. La byungjin, quindi, è la chiave che chiude la cassaforte del potere di Kim Jong Un. Gli scienziati e i tecnici nordcoreani stanno oggi lavorando su tre fronti intrecciati tra loro: quello missilistico, quello nucleare e quello termonucleare.

Il programma missilistico sarà completato solo quando dalle basi di lancio nordcoreane partirà un vettore potenzialmente capace di raggiungere il territorio statunitense (obiettivo raggiunto lo scorso 28 luglio con il razzo Hwasong-14), ma, al tempo stesso, capace di trasportare una ogiva nucleare.

Sul fronte nucleare, dopo i cinque test svoltisi tra il 9 ottobre 2006 e il 9 settembre 2016, i ricercatori nordcoreani lo scorso settembre sono riusciti a miniaturizzare l’ordigno, creando un’arma potente e sufficientemente leggera da poter essere trasportata da un razzo. Dopo l’annuncio fatto il 6 gennaio 2016 dalla Kcna (Korean Central News Agency, l’agenzia di stampa nordcoreana)18 che la Corea del Nord avrebbe fatto scoppiare la sua prima bomba termonucleare (la bomba all’idrogeno o bomba H), rivelatosi un bluff, ora il paese asiatico ha effettivamente testato la tanto temuta bomba H. L’effetto sismico generato dall’esplosione sotterranea attorno al sito di Punggye-ri il 3 settembre sarebbe stato provocato da una bomba di circa 120 kilotoni, tra le 6 e le 10 volte più potente dell’ultimo test nucleare avvenuto il 9 settembre 2016. È esattamente la potenza che dovrebbe avere una bomba termonucleare rispetto a quella di una normale bomba a fissione dato che la più semplice bomba termonucleare, quella a singolo stadio, avrebbe una potenza detonante pari a circa sei volte quella di una pari bomba nucleare.

Nel cuore del programma nucleare

Mentre ci spostiamo verso Chongjin da Wonsan, attraversiamo la città di Hamhung. Qui c’è la Hungnam Chemical Fertilizer Complex, una fabbrica di produzione agricola costruita negli anni Trenta dai giapponesi che oggi avrebbe anche un impianto per la produzione del Litio-6, metallo necessario per la produzione del trizio, componente fondamentale nella bomba a idrogeno.

Il Litio-6 è un isotopo contenuto nel litio naturale, elemento abbastanza abbondante in natura, ma perché lo si possa utilizzare nel programma nucleare occorre arricchire questo isotopo portandolo dal 7,56% al 40-95%. Nella fabbrica agricola di Hamhung esisterebbe un impianto di arricchimento per aumentare la percentuale di Litio-6. La General Precious Metal, azienda nordcoreana del gruppo Green Pine Associated Corporation, avrebbe cercato di vendere Litio-6 ad alta purezza online19.

Da diversi anni la Hungnam Chemical Fertilizer Complex è chiusa alle visite, ma riesco ad ottenere un permesso per visitare l’impianto di ricerca nucleare di Yongbyon. Qui, in mezzo ai campi coltivati, centinaia di scienziati, tecnici, lavoratori si occupano di realizzare l’incubo peggiore degli Stati Uniti: la bomba nucleare miniaturizzata. Subito mi viene mostrato il luogo dove sorgeva la torre di raffreddamento dell’acqua proveniente dal reattore, distrutta nel 2008 sulla base degli accordi nucleari con gli Stati Uniti20. Fu l’unico segno dato dal governo nordcoreano di rispettare i punti dell’intesa: pochi mesi dopo, il 14 aprile 2009, dopo l’ennesimo rifiuto di permettere le verifiche sullo stato di smantellamento dell’impianto di arricchimento di uranio per usi militari, il governo nordcoreano espulse dal sito di Yongbyon tutti i tecnici stranieri.

Nel 2009 Kim Jong Il aveva autorizzato la costruzione di un secondo reattore ad acqua leggera (Lwr) da 30 MWe21, ma i lavori, terminati esteriormente, non sono mai stati completati, quindi l’unico reattori oggi funzionante è il piccolo e vecchio reattore di grafite ad acqua pesante da 5 MWe. Ogni due anni le 8.000 barre di uranio, pari a circa 50 kg di combustibile nucleare, vengono estratte e lasciate per 5 mesi nelle apposite piscine di raffreddamento per poi essere processate nel laboratorio di radiochimica, situato poco distante dal reattore, su una penisola lungo l’ansa del fiume Taeryong.

Con un processo simile a quello utilizzato negli Stati Uniti, il Purex, plutonio e uranio vengono separati in circa 3-6 mesi di lavorazione per ottenere il plutonio-239, elemento base per la costruzione di bombe nucleari. L’ultimo periodo di attività del laboratorio risale all’estate 2016 e ad ogni ciclo si produrrebbero tra i 5,5 e gli 8 kg di plutonio, sufficienti per 2,5 bombe.

Poco distante il famoso impianto di arricchimento di uranio, avviato con l’aiuto di Abdul Qadeer Khan, padre della bomba nucleare pakistana, nel settembre 2009, solo cinque mesi dopo l’espulsione dei tecnici stranieri. Dal 2013 la potenza dell’impianto è stata raddoppiata ed oggi si stima che sia in grado di produrre uranio Wgu (Weapon Grade Uranium) necessario per la produzione di bombe nucleari a nucleo composito, molto più leggere rispetto a quelle tradizionali. Estrapolando i dati sopracitati è possibile fare una stima dell’arsenale nucleare in possesso dalla Corea del Nord: il paese sarebbe in grado di produrre tra le 3 e le 5 bombe nucleari ogni anno, avrebbe separato circa 33 kg di plutonio-239 e prodotto 175-645 kg di uranio Wgu (175 kg con 2.000 centrifughe; 645 con 4.000 centrifughe). Questi numeri portano ad una cifra di 13-30 bombe nucleari a disposizione del paese a cui si devono detrarre le bombe utilizzate nei cinque test sino ad oggi svolti (agosto 2017).

La situazione sanitaria

«Sappiamo che all’estero si domandano se sia giusto spendere soldi per il programma nucleare, mentre il popolo langue in un paese che fatica a ritrovare il benessere economico raggiunto negli anni Sessanta e Settanta», azzarda un fisico che lavora a Yongbyon mentre ci salutiamo. «Il fatto è che la Dprk è stata costretta a optare per la ricerca nucleare per proteggere il suo stesso popolo dalla prepotenza degli Stati Uniti». La frase del fisico nordcoreano mi torna in mente quando in seguito visito alcuni ospedali lontani dalle case di cura modello che vengono propinate alle delegazioni in visita. «La condizione sanitaria è problematica nei centri più isolati e nelle province più povere, dove non arrivano gli aiuti internazionali, le Ong hanno difficoltà a operare dove il sistema di assistenza sociale del governo è assente», mi dice un operatore della Croce Rossa Internazionale della provincia di Nord Hamgyong.

Qui, nella città industriale di Chongjin, i medici dell’ospedale provinciale lamentano la mancanza di medicine e di anestetici, ma la situazione si fa drammatica quando ci spostiamo verso Hoeryong, una cittadina di circa 120.000 abitanti posta al confine con la Cina dove nacque Kim Jong Suk, prima moglie di Kim Il Sung e madre di Kim Jong Il. Nel piccolo e fatiscente ospedale locale i pazienti sono ammassati in stanze prive di riscaldamento (in inverno la temperatura scende sotto zero), e i famigliari devono accudire i parenti portando loro coperte, lenzuola, cibo. Le medicine, quando si trovano, sono a pagamento e i medici sono costretti a ricorrere alla medicina tradizionale, più un palliativo che un rimedio. La corrente, così come in molte città nordcoreane lontane dai flussi turistici, arriva solo tre o quattro ore al giorno. Il sistema sanitario nordcoreano, però, si sta riprendendo: dal 2013 le malattie che uccidono maggiormente non sono più quelle trasmissibili, ma quelle cardiovascolari o tumori, un indicatore che, nonostante tutto, evidenza i progressi ottenuti. Tra il 2001 e il 2011 i casi di malaria sono crollati da 300.000 a meno di 25.00022, mentre i casi di Tbc sono scesi da 150 per 100.000 abitanti nel biennio 1996/97 a 27 per 100.000 abitanti nel 201223.

Anche la mortalità infantile al primo anno di vita è scesa dal 57,81 per mille nel quinquennio 1995-2000 a 21,99 nel quinquennio 2010-201524. Ancora alta, se comparata con i paesi dell’area25, ma inferiore a quelle di Cambogia, Myanmar, Pakistan, India, Indonesia.

La questione dei diritti umani

Alla situazione sanitaria fa il paio quella, estremamente dibattuta e spinosa, dei diritti umani. In mancanza di dati ufficiali, l’Undp non inserisce la Corea del Nord in alcuna classifica dell’indice di sviluppo umano26, mentre Amnesty International e Human Rights Watch continuano a registrare abusi ai danni dei cittadini nordcoreani da parte del loro stesso governo27. Lo stato asiatico ha replicato che «non ci sono diritti umani standard che ogni paese può accettare» perché «gli standard dei diritti umani internazionali non devono copiare gli “standard” di particolari paesi e neppure deve essere chiesto di seguire questi “standard”»28.

Nonostante organizzazioni umanitarie e agenzie delle Nazioni Unite abbiano più volte chiesto alla Corea del Nord il permesso di condurre inchieste e indagini in loco, Pyongyang ha sempre negato a loro accesso al paese29. Il Rapporto della commissione d’inchiesta sui diritti umani nella Dprk dell’Human Rights Council delle Nazioni Unite si è, quindi dovuto basare sulla testimonianza di 80 persone fuggite dalla Corea del Nord e rifugiate in Corea del Sud, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti30. Questo metodo ha, in un certo senso, falsificato il rapporto in quanto basato su testimonianze non completamente verificabili e prive di contraddittorio. Non per questo, però, le numerose prove, documenti di vario genere e video, oramai in possesso dalle organizzazioni internazionali lasciano dubbi sulla durezza con cui il regime soffoca ogni tentativo di opposizione interna. Il sistema songbun, che durante il periodo di Kim Il Sung era alla base della società nordcoreana dividendo i cittadini in classi sociali basate sulla fedeltà al regime e decidendo il luogo in cui la famiglia doveva vivere e a quale carriera scolastica e lavorativa potevano aspirare, oggi è meno discriminante31. L’importanza sempre crescente del denaro ha soppiantato il songbun, mentre, dalla prima decade del 2000, i reati di una persona non ricadono più sulla famiglia e sul parentado. Questo significa che solo chi compie una violazione viene punito (a differenza di quanto accadeva nel passato quando la colpa veniva espiata in forma collettiva e, in caso di reati politici, l’intero nucleo famigliare era spedito nei kwanliso, i campi di prigionia riservati agli oppositori del governo). Vi sarebbero tra le 80 e le 120.000 persone detenute in quattro kwanliso ed un numero indeterminato nei kyohwaso, i campi per reati comuni32.

La pena di morte è praticata in luoghi sia pubblici che segreti33 ed è indirettamente confermata anche dalla stessa Corea del Nord, la quale afferma che «le pene (per i crimini e atti pericolosi che violano il potere dello stato, il sistema socialista e la legge e l’ordine, ndr) vanno dalla pena di morte, la rieducazione attraverso il lavoro per un periodo indefinito, la rieducazione attraverso il lavoro per un periodo definito e la disciplina attraverso il lavoro. Pene addizionali sono la privazione del diritto al voto, la confisca delle proprietà, multe, privazione o sospensione di una licenza»34. Il governo nordcoreano difende la scelta di imporre la pena capitale affermando che essa «non costituisce una violazione del diritto alla vita […]. Mantenere o abolire la pena di morte in un paese non può essere un criterio in base al quale si possa giudicare se uno stato protegge o meno i diritti umani»35.

La Corea del Nord avrebbe anche rapito cittadini di 12 nazionalità diverse, tra cui circa 480 sudcoreani. Il Giappone ha ancora un contenzioso con Pyongyang per il rapimento di 17 cittadini giapponesi da parte dei servizi segreti nordcoreani tra il 1977 e il 198336. Il governo ha ammesso 13 rapimenti permettendo a cinque rapiti di far ritorno in Giappone con le rispettive famiglie.

Fatiche e problemi del giovane Kim

La Corea del Nord di Kim Jong Un sta cambiando. A chi afferma che il paese è retto da una dittatura si può rispondere che è vero così come è vero che i suoi cittadini non vivono in un paradiso. Ma sono anche finiti i tempi in cui la figura di Kim Il Sung era esente da ogni critica. Kim Jong Il è sopravvissuto perché era il figlio di Kim Il Sung ed ha vissuto «di rendita» sul mito del padre. Kim Jong Un ha la fortuna di assomigliare al nonno (cosa spesso sottovalutata fuori dal paese, ma importantissima in Corea del Nord), ma sa benissimo che questa somiglianza e la sua parentela non lo potranno proteggere per molto.

La sua giovane età lo ha costretto a ritagliarsi un posto nella leadership. Ecco il perché di tante esecuzioni e di tanti allontanamenti. Kim Jong Un ha anche dovuto smantellare la politica del songun che aveva contraddistinto la linea paterna, per formare un governo più tecnocrate e economico di quanto fosse quello Kim Jong Il, dominato dai militari.

La politica di Kim Jong Un è decisamente fuori dagli schemi, non solo della Corea del Nord. E paradossalmente il giovane leader si è mostrato molto più duro con i dirigenti del regime e del partito che con il popolo. D’altra parte, chiunque abbia visitato il paese durante le tre fasi del potere della famiglia Kim può facilmente testimoniare che la vita dei nordcoreani è decisamente migliorata da quando è salito Jong Un al potere.

Piergiorgio Pescali

 

Piovono… «bufale»

Periodicamente i media internazionali riportano con molta enfasi notizie riguardanti brutali o «curiose» epurazioni in Corea del Nord. Spesso, anche se non sempre, queste informazioni si rivelano essere delle «bufale» o, nel migliore dei casi, delle esagerazioni. Perché queste notizie riescono a farsi largo nei media internazionali? Generalmente gli articoli sono riadattamenti di pezzi originali pubblicati sulla stampa sudcoreana che, anche se non ancora confermati, trovano ampio seguito in tutto il mondo. La principale ragione per cui queste bufale vengono pubblicate – anche da parte di quelle redazioni che ancora controllano attentamente la veridicità delle notizie – verte sulla quasi totale mancanza di conoscenza del paese Corea del Nord.

Un’altra ragione può essere trovata in una precisa volontà da parte dell’editore e della direzione, di dare in pasto ai lettori notizie sensazionalistiche. Pochi giornalisti spendono il loro tempo a verificare e ad avere conferme delle notizie: essere i primi a dare l’informazione è ora più importante che appurarne la veridicità.

Anche la necessità politica di mostrare alcune nazioni, come, appunto, la Corea del Nord, in modo negativo così da rispecchiare il facile stereotipo del folle tiranno, del popolo affamato, di una società crudele e cinica, rientra nei motivi di questo tipo di divulgazioni.

È, infine, molto più difficile (e destabilizzante) presentare ai propri lettori una visione reale della Corea del Nord (molto differente dagli stereotipi generalmente utilizzati) piuttosto che continuare a scrivere di un paese che il lettore comune vuole sentirsi raccontare.

Quasi tutti i media che pubblicano notizie in seguito rivelatesi false, non fanno alcuna ammenda. E questo non solo perché perderebbero credibilità verso i loro aficionados, ma principalmente perché ai lettori stessi non interessano le rettifiche. Semplicemente non le leggono o non credono ad esse.

Di seguito alcune tra le più famose bufale riguardanti esecuzioni di nordcoreani che, al tempo della loro diffusione, hanno suscitato scalpore e che sono state utilizzate per biasimare il governo di Pyongyang. Da notare che quasi nessun giornale, Tv, radio, sito di informazione ha pubblicato una rettifica dopo che queste notizie sono state dichiarate ufficialmente false.

Nel febbraio 2016 l’agenzia sudcoreana Yonhap riportò l’esecuzione di Ri Yong Gil, capo di Stato maggiore dall’agosto 2013. Nel luglio 2016 Ri Yong Gil vivo e vegeto, apparve nella Tv di stato nordcoreana. Nel maggio 2016 venne anche eletto membro del Comitato centrale del Partito dei lavoratori di Corea.

Stessa sorte venne riservata a Hyon Yong-chol, ex ministro della Difesa, la cui prima uccisione da parte dello stato venne divulgata nell’aprile 2015 dai Servizi segreti nazionali (Ssn) della Corea del Sud (nella comunicazione si precisò che la sua esecuzione avvenne usando quattro cannoni di artiglieria antiaerea). Ragione della presunta condanna fu l’appisolamento durante un discorso di Kim Jong Un (stando alle accuse addebitate, sembra che gli ufficiali nordcoreani soffrano particolarmente di ipersonnia). Il 13 maggio 2015, gli stessi Ssn annunciarono di non poter confermare l’esecuzione. Nello stesso giorno diversi siti occidentali riportarono, forse non ricordando di averla già pubblicata in precedenza, la notizia della morte (la seconda) di Hyon Yong-chol. In alcuni altri paesi, tra cui l’Italia, alcune fonti di informazione annunciarono la notizia (la terza esecuzione) solo nel successivo ottobre, riportandola come se fosse accaduta pochi giorni prima.

Nel 2015 il Korea Times dichiarò che il vice maresciallo Ri Yong-ho, capo di Stato maggiore dal 2009 al 2012, era stato condannato a morte e ucciso nel 2012. Nel gennaio 2016 lo stesso Ri Yong-ho venne ripreso dalla stampa nordcoreana assieme a Kim Jong Un durante un test nucleare. Qualche sito (specialmente occidentale) confuse (e confonde ancora oggi) il vice maresciallo Ri Yong-ho con Ri Yong Gil o con il suo omonimo attuale ministro degli Esteri nordcoreano.

Anche Hyon Song-wol, ex fidanzata di Kim Jong Un, venne data per morta nell’agosto 2013 dal giornale sudcoreano Chosun Ilbo perché accusata di pornografia. Song-wol, però, riapparve nel maggio 2014 sugli schermi della televisione nordcoreana. Il professore giapponese Toshimitsu Shigemura, della Waseda University, a suo tempo ipotizzò che l’ex fidanzata del leader nordcoreano fosse stata uccisa per volere della moglie di Kim Jong Un, Ri Sol-ju.

Le notizie infondate riguardano anche i metodi di esecuzione: nel 2014 il Chosun Ilbo scrisse che l’uccisione di O Sang-hon, vice ministro del ministero della Pubblica sicurezza e nipote di Jang Sung-taek, fu compiuta utilizzando lanciafiamme bruciando il malcapitato ancora vivo. Qualche giorno prima i giornali di tutto il mondo scrissero che lo stesso Jang Sung-taek fu ammazzato dandolo in pasto a 120 cani affamati, senza rendersi conto che la fonte da cui proveniva la notizia era un giornale di satira.

Falsi anche gli articoli che annunciavano la condanna (a volte a morte, a volte ai lavori forzati) di alcuni ufficiali, rei di aver mostrato poca emozione e di non aver pianto in modo adeguatamente commosso durante il funerale di Kim Jong Il.

Infine, anche lo sport non viene risparmiato dalla disinformazione: per ben due volte (2010 e 2014) l’intera nazionale di calcio nordcoreana sarebbe stata incarcerata in campi di rieducazione per non essere stata in grado di raggiungere i vertici in competizioni internazionali. Naturalmente, anche queste, si rivelarono delle bufale. Mai rettificate.

Piergiorgio Pescali


  • Piergiorgio Pescali Giornalista e scrittore, laureato in fisica, storia e filosofia, si occupa di Estremo Oriente, in particolare di Sud Est Asiatico, Giappone e penisola coreana. Dal 1996 visita con regolarità la Corea del Nord. Da anni collaboratore di MC, suoi articoli e foto sono stati pubblicati da Avvenire, Il Manifesto, Panorama e, all’estero, da Bbc e Cnn. Dal 2010 cura per Asia Maior (asiamaior.org) il capitolo sul Myanmar.Ha pubblicato: Indocina, Edizioni Emil, Bologna 2010; ll custode di Terra Santa. A colloquio con Pierbattista Pizzaballa, Add Editore, Torino 2014; S-21. Nella prigione di Pol Pot, La Ponga Edizioni, 2015. Il suo blog è: www.pescali.blogspot.com.
  • A cura di: Paolo Moiola, giornalista redazione MC.
  • Avvertenza – Piergiorgio Pescali ha scritto questo dossier privilegiando l’analisi rispetto alla cronaca. Tuttavia, gli avvenimenti raccontati sono aggiornati fino al 3 settembre 2017. Ove fosse necessario, la redazione di MC si riserva di tornare con altri articoli su questi temi. (pm)

Note

 (1)   Andrei Lankov, Remittances from North Korean Defectors, East Asia Forum, 21 aprile 2011; Sonia Plaza, Is It Possible to Send Remittances to North Korea?, World Bank, 28 luglio 2011.
(2)   A luglio 2017 il cambio ufficiale si assestava a 130 won per dollaro, mentre il cambio al mercato nero era di 8.500 won per dollaro. Siti internazionali per trovare il valore ufficiale della valuta nordcoreana: www.xe.com; www.oanda.com.
(3)   Institute for Far Eastern Studies, Two Years after DPRK’s Currency Revaluation, Seoul, 8 dicembre 2011.
(4)   I prezzi si riferiscono al cambio non ufficiale di 8.500 won per dollaro, la cui quotazione è esposta anche all’interno del grande magazzino.
(5)   North Korea’s 7th Party Congress, discorso di Kim Jong Un, 6 maggio 2016.
(6)   FAO, Special Alert n. 340 – Prolonged dry weather threatens the 2017 main season food crop production, 20 luglio 2017.
(7)   Courtland Robinson, Famine in slow motion: A case study of internal displacement in North Korea, Refugee Survey Quarterly, 19(2), 113-127.
(8)   Woo-Teak Jeon, Shi-Eun Yu, Young-A Cho, Jin-Sup Eom, Traumatic Experiences and Mental Health of North Korean Refugees in South Korea, in Psychiatry Investigation 5, n. 4, 2008, pp. 213-220; Joanna Hosaniak, Jessica Jinju Pottenger, Pukhan Inkwon Simin Yonhap, Homecoming Kinsmen or Indigenous Foreigners? The Case of North Korean Re-Settelers in South Korea, Life and Human Rights Books, Seoul, 2011; Jun-Hong Kim, A Study on the Mental Health Outcomes of North Korean Male Defectors: Comparing with General Korean Males and Searching for Health Policy Implication, Journal of the Korean Medical Association 54, n. 5, 2011, pp. 537-548.
(9)  Report of the Dprk Association for Human Right Studies, 13 settembre 2014, cap. 2.
(10-11) Ministero dell’Unificazione della Corea del Sud, 2014 Statistics on North Korean Arriving in South Korea.
(12) Kim Jong Un, Speech at the North Korea’s 7th Party Congress, 6 maggio 2016.
(13) The Observatory of Economic Complexity, North Korea Economy, 2015; l’export nordcoreano in Cina è pari a 2,34 miliardi di dollari, mentre l’import è di 2,95 miliardi di dollari.
(14) The Observatory of Economic Complexity, North Korea Economy, 2015; l’export nordcoreano in Russia è pari a 5,58 milioni di dollari, mentre l’import è di 78,2 milioni di dollari.
(15) Ministero dell’Unificazione della Repubblica di Corea, Inter-Korean Exchanges and Cooperation, Seoul, 2014; l’export nordcoreano in Sud Corea è pari a 1,206 miliardi di dollari, mentre l’import è di 1,136 miliardi di dollari.
(16) Socialist Constitution of The Democratic People’s Republic of Korea, Preamble, p.2, Pyongyang, Juche 103 (2014).
(17) Kcna, Report on Plenary Meeting of WPK Central Committee, 31 marzo 2013.
(18) Kcna, DPRK Proves Successful in H-bomb Test, 6 gennaio 2016.
(19) United Nations, Report of the Panel of Experts established pursuant to resolution 1874 (2009) S/2017/150, 27 febbraio 2017, p. 15/326.§
(20) Joint Statement of the Fourth Round of the Six-Party Talks, Beijing, 19 settembre 2005.
(21) Kcna, Dprk Foreign Ministry Declares Strong Counter-Measures against Unsc’s Resolution 1874, 13 giugno 2009.
(22) United Nations Dpr Korea, Fighting Malaria and Tbc in Dpr Korea – A Partnership Approach, 10 agosto 2015.
(23) Who, Estimated Tubercolosis (TB) Cases and Death, 1990-2012, 12 agosto 2015.
(24) Unicef, Infant mortality rate, 9 settembre 2015.
(25) Mortalità al primo anno di vita in Sud Corea; 2,91 ‰, Cina 11,65‰, Giappone 2,2‰, Unicef, Infant mortality rate, 9 settembre 2015.
(26) Undp, Human Developmen Report 2016.
(27) Amnesty International, Annual Report – North Korea 2016/2017; Human Rights Watch, World Report 2017 – North Korea.
(28) Report of the Dprk Association for Human Right Studies, 13 settembre 2014, cap. 1.
(29-33) Human Rights Council, Report of the commission of inquiry on human rights on the Democratic People’s Republic of Korea, 7 febbraio 2014, cap. 2.
(34) Legge per i crimini adottata dal Comitato Permanente della Suprema Assemblea Popolare, Decisione n. 6, Articolo 27, §28, 15 dicembre 1990.
(35) Report of the Dprk Association for Human Right Studies, 13 settembre 2014, cap. 2.
(36) Ministero degli Affari Esteri del Giappone, Abuctions of Japanese Citizens by North Korea, 2012.