Niger. Sempre peggio sicurezza e diritti

 

A un anno dal colpo di stato contro il presidente Mohamed Bazoum, il 26 luglio 2023, il bilancio del governo della giunta non è certo positivo. I militari presero il potere con la forza, motivando la loro azione con la necessità di sanare problemi di mal governo e riportare la sicurezza nel Paese.

Il Cnsp (Consiglio nazionale di salvaguardia della patria, la giunta), con alla testa il generale Abdourahamane Tiani, ha il controllo totale del paese. L’attività di partiti politici rimane sospesa, così come tutti gli organi democratici di governo, a livello nazionale e locale.
Il Cnsp ha imposto al contingente militare francese di partire, e recentemente, a quello Usa e tedesco, che devono lasciare il suolo nigerino entro fine agosto. Solo alcune centinaia di militari italiani (anche loro facevano parte della forza anti terrorismo ed erano stati chiamati dai francesi) rimangono nel paese, a spese dell’ignaro contribuente della penisola, e non è chiaro con quale incarico.

Sicurezza e diritti umani
In questo anno di governo militare, la situazione della sicurezza è peggiorata. È aumentato il numero degli attacchi da parte di gruppi armati, e anche quello delle perdite tra i soldati nigerini. I gruppi jihadisti hanno esteso il territorio sotto la loro influenza: sia nella zona di frontiera tra Niger e Benin, nella zona delle tre frontiere (Burkina Faso, Mali, Niger) e addirittura nel Sud Est, dove Boko Haram pareva domato.
La società civile denuncia un forte degrado della situazione dei diritti umani. Sono state ristrette tutte le libertà civili, politiche e la libertà di stampa e di espressione. Molti politici e personalità legate al governo democratico sono ancora imprigionate, senza un preciso capo d’accusa. Diversi giornalisti sono stati arrestati o hanno subito pressioni, altri sono costretti ad applicare l’auto censura.
Il generale Tiani, che inizialmente aveva parlato di una transizione di tre anni, non ha più proposto alcun programma o scadenza per un ritorno alla democrazia. Intanto, dopo la prima fase di sanzioni, la comunità internazionale si è piegata alla realpolitik. La Cedeao (Comunità economica regionale) ha tolto le sanzioni economiche a gennaio, mentre Banca mondiale e Fondo monetario internazionale hanno inviato esperti e ripreso a finanziare il paese a partire da giugno.
L’Unione europea ha invece mantenuto la sospensione della cooperazione, fatta eccezione di Italia e Spagna.

Nuovi e vecchi amici
Intanto, nel settembre scorso, Niger, Mali e Burkina Faso – anche questi ultimi due retti da giunte militari golpiste – hanno creato l’Alleanza degli stati del Sahel (Ass). Alleanza che a inizio luglio (durante un incontro dei tre capi di stato militari proprio a Niamey) è diventata una Confederazione che si contrappone alla Cedeao, vuole intensificare gli scambi commerciali e cambiare la moneta lasciando il franco Cfa. Una tendenza all’isolamento, questa, almeno nei confronti degli stati confinanti.
A livello globale, il Niger si sta rivolgendo ad altri partner. Ha negoziato un prestito di 400 milioni di dollari con la Cina (che sta sfruttando il petrolio nigerino del giacimento di Agadem), necessario per pagare altri prestiti. Mentre per far funzionare l’apparato statale si valuta necessaria una spesa di circa 100 milioni di euro all’anno).
Il primo ministro (de facto), Ali Mahamane Lamine Zeine, inoltre, a inizio anno ha visitato Teheran, Mosca e Ankara, per rafforzare il legami con i paesi che stanno sostituendo quelli occidentali nello scacchiere saheliano.
In particolare la Cina è interessata alla cooperazione sul petrolio, ed è in vista un investimento per una raffineria nella regione di Dosso, e un secondo oleodotto verso il Ciad. Il primo, ultimato e funzionante, è gestito dalla China national petroleum corporation (Cnpc) porta il greggio in Benin, ma è soggetto alle problematiche legate al rapporto non buono tra i due paesi.
La Russia interviene con una cooperazione militare in cambio di risorse, come già in Mali e Burkina Faso. In Niger c’è un particolare interesse per l’uranio, del quale il Paese è uno dei maggiori produttori mondiali.

Marco Bello




Burkina Faso. Il capitano Traoré si rielegge presidente

 

Le «assises nazionali» – incontro di rappresentanti della società burkinabè –, tenute il 25 maggio scorso, hanno approvato il prolungamento di cinque anni della transizione in corso.

La riunione, che era prevista della durata di due giorni, con lo scopo di fare un bilancio del lavoro della giunta militare, ha votato in tutta fretta una nuova «Carta», che mantiene al potere il capitano Ibrahim Traoré, l’uomo forte del momento. Traoré non sarà più il «Presidente di transizione», ma il «Presidente della nazione», che è il nome ufficiale della carica elettiva. Resterà in carica fino al 2029 e potrà candidarsi a future elezioni.

Il capitano ha preso il potere il 30 settembre 2022, deponendo con la forza un altro militare, Paul-Henri Sandaogo Damiba, che aveva sua volta fatto un golpe nel gennaio dello stesso anno ai danni del presidente eletto Roch Marc Christian Kaboré.

Escluse le voci critiche

Alle assises, che dovrebbero raggruppare le diverse forze della società burkinabè per trovare un consenso durante un periodo crisi, in questo caso non sono stati invitati svariati movimenti della società civile, associazioni, sindacati con voci discordanti da quelle del regime.

Il giornalista Newton Ahmed Barry denuncia ha dichiarato ai microfoni di Radio France intérnationale che l’incontro non era dunque per riflettere, ma per dare ufficialità a un prolungamento della giunta al potere e che il Burkina è gestito da un regime militare, e non è più in una transizione.

In effetti, le voci non allineate con il regime sono messe a tacere. Come nel caso dell’avvocato Guy Hervé Kam, noto esponente del movimento della società civile, arrestato segretamente e tenuto nascosto per quattro mesi. Finalmente lo scorso 30 maggio, i suoi avvocati hanno potuto visitarlo in cella e capire il controverso capo di accusa.

Consenso popolare

Nonostante la deriva autoritaria del regime di Traoré e la stretta sui diritti civili, il presidente gode di una grande popolarità tra la popolazione.

Il pretesto della presa del potere con la forza era stata la situazione di grande insicurezza causata da gruppi jihadisti attivi in gran parte del Paese.

Il regime di Traoré, affiancato da milizie civili chiamate «Volontari della patria», difficilmente controllabili, non ha tuttavia migliorato le cose.

Campione di sfollati

Il Consiglio norvegese dei rifugiati (Nrc) ha pubblicato un rapporto nel quale classifica gli spostamenti di popolazione nel mondo a causa dei conflitti. Il Burkina Faso, nel 2023 per il secondo anno consecutivo, si trova al primo posto, seguito da Camerun, Repubblica democratica del Congo, Mali, Niger, Honduras, Sud Sudan, Centrafrica, Ciad e Sudan.

In Burkina si contano circa due milioni di persone sfollate interne, con oltre 707mila spostamenti solo nel 2023 (un incremento del 61% rispetto al 2022), su una popolazione di circa 23 milioni. I rifugiati burkinabè in altri paesi sono tra il 60 e i 150mila. Gli abitanti in fuga dagli attacchi degli islamisti sono dunque in aumento.

L’Alto rappresentati dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, Volker Türk, il 31 maggio scorso, si è detto molto preoccupato sottolineando un incremento del 65% (tra novembre 2023 e aprile 2024) delle uccisioni di civili nel Paese. Vittime causate, oltre che dai gruppi armati jihadisti, anche dalle forze di sicurezza e dai Volontari della patria. Turk chiede un’inchiesta internazionale indipendente sulle violazioni e gli abusi, e che lo Stato assicuri la protezione dei propri cittadini.

Intanto il ministro degli Affari esteri della Russia, Sergej Lavrov, nella sua tourné africana, è stato il 5 giungo scorso a Ouagadougou dove ha incontrato il presidente Ibrahim Traoré, fresco di conferma fino al 2029. Traoré aveva partecipato al summit Russia-Africa del luglio 2023, dove si era distinto per un discorso zeppo di demagogia. Diversi accordi di tipo militare e tecnico sono, da allora, stati firmati tra i due paesi, compreso l’invio di istruttori russi per l’esercito, arrivati nel novembre scorso. L’ambasciata di Russia a Ouagadougou è stata riaperta nello stesso periodo, a sottolineare relazioni sempre più strette. Tratto questo che il Burkina Faso ha in comune con Mali e Niger, con i quali ha creato, nel settembre dello scorso anno, l’Alleanza degli stati del Sahel.

Marco Bello




Sahel. Le mosse dei golpisti (e della Russia)

Lo scorso 28 gennaio, le televisioni di Mali, Burkina Faso e Niger hanno trasmesso simultaneamente una dichiarazione congiunta con la quale i leader militari dei tre Paesi – saliti al potere tra il 2021 e il 2023 grazie a colpi di stato – hanno annunciato l’intenzione di abbandonare la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao/ Ecowas). I tre Paesi hanno giustificato la decisione sostenendo che l’organizzazione fosse ormai uno strumento nelle mani dell’Occidente e avesse tradito gli ideali dei padri fondatori e lo spirito del panafricanismo.

La Cedeao
La Cedeao è stata fondata nel 1975 con l’obiettivo di rafforzare la cooperazione economica tra i quindici Stati membri. Successivamente, di fronte alla diffusa instabilità nella regione a causa di conflitti e tensioni politiche, le sue prerogative sono state ampliate. Tra i suoi obiettivi sono stati inclusi il mantenimento di pace e sicurezza e le è stata attribuita la possibilità di dispiegare forze militari.
Nel 2001, la Cedeao ha adottato il Protocollo supplementare su democrazia e buon governo, un documento che sancisce i principi democratici che i Paesi membri devono rispettare. Su tutti, il non coinvolgimento dei militari nella vita politica e il rispetto dei limiti costituzionali dei mandati presidenziali.
Tuttavia, l’atteggiamento della Cedeao di fronte alle numerose crisi dell’Africa occidentale è stato ambivalente. In alcuni casi, ha mobilitato le sue forze militari, intervenendo militarmente per ripristinare la pace e la sicurezza (come durante le guerre civili in Liberia e Sierra Leone). In altri casi, non si è opposta a evidenti violazioni della democrazia, come nel 2020 in Guinea in occasione della contestata terza rielezione di Alpha Condé.

L’uscita di Mali, Burkina Faso e Niger
La decisione di Mali, Burkina Faso e Niger di lasciare la Cedeao non giunge inaspettata. Da quando i militari hanno preso il potere accusando i governi civili di essere incapaci di contrastare l’insicurezza causata dalla diffusione del jihadismo, si è assistito a un crescendo di tensioni tra i tre regimi e l’organizzazione.
Di fronte al timore di un’ulteriore diffusione dei colpi di stato in Africa occidentale, la Cedeao ha reagito chiedendo il rispetto dei principi democratici. Se nel caso dei golpe a Bamako e Ouagadougou, l’organizzazione aveva imposto sanzioni e sospeso i Paesi, dopo quello a Niamey (luglio 2023), ha minacciato l’intervento militare. Accusando la Cedeao di essere uno strumento nelle mani dell’Occidente, Mali e Burkina Faso hanno annunciato il loro supporto al Niger e dichiarato che un’azione dell’organizzazione sul suolo nigerino sarebbe stata un attacco anche nei loro confronti.
Dunque, si è acuita la frattura con i tre Paesi golpisti che, a settembre 2023, hanno annunciato la creazione di un loro blocco militare, politico ed economico – l’Alleanza degli Stati del Sahel (Aes) – prima di dichiarare anche l’intenzione di uscire dalla Cedeao. Una dimostrazione dell’esistenza di profonde fratture all’interno dell’organizzazione e dell’apertura di spazi per lo sviluppo di nuovi schemi di alleanza che guardano ad altri partner come la Russia.

Le debolezze della CedeaoLa nascita dell’Aes e l’annuncio dell’uscita di Mali, Burkina Faso e Niger dalla Cedeao mostrano la debolezza politica e militare del blocco dell’Africa occidentale, spesso incapace di agire per assicurare la stabilità della regione.
Dal 2012, con la diffusione del jihadismo, si è registrato il fallimento della maggior parte delle missioni occidentali di contrasto al terrorismo e la Cedeao stessa non è riuscita a garantire pace, sicurezza e democrazia nell’area. Ha così contribuito a creare terreno fertile per i colpi di stato in Mali, Burkina Faso e Niger e a spingere questi regimi verso nuovi alleati come i mercenari Wagner.

C’è spesso la percezione che l’organizzazione – che non dispone di strutture finanziarie e militari indipendenti – non abbia una reale strategia unitaria, ma prenda o meno posizione a seconda degli interessi e della volontà di coinvolgimento dei Paesi leader (in particolare, la Nigeria).
Perché l’uscita di Mali, Burkina Faso e Niger dalla Cedeao diventi effettiva è necessario un anno, ma intanto la loro decisione è un altro duro colpo a un’organizzazione sempre più fragile e dimostra quanto la Cedeao sia in difficoltà.

Aurora Guainazzi