Rimesse e rifugiati


Il 16 giugno è la Giornata mondiale delle rimesse familiari, mentre il 20 giugno è la Giornata mondiale del rifugiato. Due occasioni per farsi un’idea dell’ampiezza di questi fenomeni e per riflettere sulla vita delle persone che vivono lontano da casa e sul contributo che danno alle comunità di origine e di soggiorno.

Secondo le proiezioni diffuse lo scorso novembre dalla Banca Mondiale, le rimesse dei lavoratori migranti verso i paesi a medio e basso reddito avrebbero raggiunto nel 2021 i 589 miliardi di dollari, con un incremento del 7,3% rispetto al 2020, quando si erano attestate sui 549 miliardi. La ripresa del 2021, sottolinea la Banca, fa seguito alla tenuta osservata nei flussi del 2020, quando le rimesse si erano ridotte solo dell’1,7% rispetto all’anno prima, nonostante il pianeta si trovasse, a causa della pandemia da coronavirus, in una delle più profonde recessioni di sempre e le prime stime avessero indicato un possibile calo delle rimesse del 19,7%@.

Il fenomeno, si legge sul sito ufficiale della Giornata mondiale delle rimesse familiari, interessa un miliardo di persone, cioè circa una persona ogni otto, il 14% della popolazione mondiale: sono infatti 200 milioni i lavoratori migranti che inviano risorse e 800 milioni i loro familiari che le ricevono. Le famiglie beneficiarie usano tre quarti del denaro ricevuto per soddisfare bisogni primari: cibo, istruzione, cure mediche@.

Sempre secondo i dati presenti sul sito, il totale delle rimesse mondiali – considerando quindi tutti i paesi del mondo e non solo quelli a basso e medio reddito – sarebbe pari a 859 miliardi di dollari. La metà dei fondi inviati va alle aree rurali e per ottanta paesi queste risorse rappresenterebbero oltre il 3% del Pil.

Secondo le stime, che saranno poi corrette o confermate nel corso di quest’anno, i primi dieci paesi riceventi nel 2021 sono stati India (87 miliardi di dollari), Cina e Messico (53), Filippine (36), Egitto e Pakistan (33), Bangladesh (12), Vietnam e Nigeria (18) e Ucraina (16). Per alcuni paesi il peso delle rimesse sull’economia nazionale è decisivo: per Tonga, rappresenta il 44% del Pil, per il Libano il 35%, il 30% per il Kirghizistan.

Nel 2021, secondo i dati dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), l’aiuto pubblico allo sviluppo a livello globale è stato di 178,9 miliardi di dollari: un terzo delle rimesse verso i paesi a medio e basso reddito@.

Difficoltà di misurazione

Non è facile quantificare con precisione i volumi delle rimesse familiari. La difficoltà emerge già dal confronto fra il dato riportato dal sito della Giornata mondiale circa il totale delle rimesse planetarie, gli 859 miliardi di dollari citati sopra, e il totale dei flussi di rimesse indicati dalla Banca Mondiale, secondo la quale sarebbero pari a 751 miliardi di dollari.

Come osserva uno studio del Migration data portal, un portale sulla migrazione curato dall’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) insieme ad altri partner, fra cui l’Agenzia per la cooperazione tedesca, occorre innanzitutto chiarire che Fondo monetario internazionale e Banca Mondiale usano, per determinare il volume delle rimesse, i dati statistici relativi alla bilancia dei pagamenti nazionale fornita dalle banche centrali dei vari paesi. In particolare, a comporre le rimesse contribuiscono due voci: da un lato, i compensi percepiti dai lavoratori dipendenti nel paese ospitante, a loro volta composti dai redditi dei lavoratori migranti temporanei e del personale di ambasciate, organizzazioni internazionali e società straniere; dall’altro, i trasferimenti personali da un paese all’altro, fatti da privati in favore di privati@.

La categoria «compensi dei dipendenti» può contribuire a «sovrastimare in modo significativo le rimesse dei migranti se un paese ha una grande presenza delle Nazioni Unite e/o di un’ambasciata e ospita fabbriche di società transnazionali che impiegano un gran numero di lavoratori. Questi dipendenti possono essere contati come “non residenti” o migranti nel paese e i loro stipendi essere registrati come rimesse».

Quanto ai trasferimenti personali, la categoria comprende le transazioni che vanno da un paese all’altro, a prescindere dal fatto che a inviare o ricevere denaro sia un migrante: per questo, l’invio di somme anche consistenti di denaro da parte di investitori privati o delle diaspore per effettuare investimenti, acquisti o altre transazioni finanziarie possono finire nel computo, anche se è difficile immaginare che queste operazioni siano rimesse familiari.

Se questi fattori portano a sovrastimare i volumi, ce ne sono altri che invece possono contribuire a sottostimarli: il Fondo monetario e la Banca Mondiale, spiega lo studio su Migration data portal, si concentrano sui fondi trasferiti attraverso i canali ufficiali, cioè le banche, mentre le piccole transazioni fatte tramite le agenzie come Western Union, le poste o i servizi via cellulare, come Sendwave legato a Mpesa per l’East Africa, non sempre sono inclusi, meno ancora lo sono i passaggi di fondi informali tramite parenti e amici. «Poiché questi trasferimenti non sistematicamente inclusi nella bilancia dei pagamenti possono avere volumi significativi, specialmente fra paesi del Sud del mondo, è possibile che i dati ufficiali sottostimino il fenomeno fino al 50%».

Nogales, Croci sul lato messicano del muro di confine con gli Usa in ricordo delle migliaia di morti nel disperato tentativo di passare il confine.

Costi alti per l’invio

Secondo quanto riportato da Ifad, il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo delle Nazioni Unite, in media i migranti inviano a casa una cifra compresa fra 200 e 300 dollari ogni mese o bimestre. Questa cifra, chiarisce Ifad, rappresenta solo il 15% di ciò che guadagnano, mentre l’85% rimane nei paesi ospitanti. Tuttavia, la cifra inviata può rappresentare fino al 60% del reddito familiare@.

I costi dell’invio dei fondi sono piuttosto elevati: in media il 6,4% della somma inviata nel secondo trimestre del 2021, con picchi fino all’8% nell’Africa subsahariana. Va un po’ meglio se si utilizzano i canali digitali, che nel primo trimestre dell’anno scorso hanno permesso di abbassare i costi fino al 5,1%. In entrambi i casi, comunque, i costi rimangono piuttosto lontani dalla soglia del 3% entro il 2030 indicata dall’obiettivo di sviluppo sostenibile 10c.

Le limitazioni di movimento imposte con i lockdown hanno fatto aumentare le transazioni digitali, che hanno raggiunto i 12,7 miliardi di dollari crescendo del 65% rispetto all’anno precedente.

Ma il principale ostacolo all’uso degli strumenti digitali continua a essere il fatto che questi necessitano di un conto corrente per essere attivati: moltissimi migranti e i loro familiari continuano a non avere conti correnti nei loro paesi d’origine.

Ai costi elevati si aggiungono poi in alcuni casi i rischi legati al mal funzionamento degli intermediari: lo scorso aprile il New York Times riportava una denuncia da parte dell’ufficio per la protezione finanziaria dei consumatori e del procuratore generale dello stato di New York ai danni della società di trasferimento fondi MoneyGram, accusata di aver danneggiato i consumatori ritardando inutilmente le transazioni, non effettuando i rimborsi delle commissioni richieste quando gli invii non venivano completati in tempo e omettendo di indagare e correggere gli errori commessi nei trasferimenti@.

Deep Sea slum, Nairobi. Punto Mpesa per trasferimento di soldi via cellulare.

Rifugiati in aumento

Secondo i dati aggiornati allo scorso novembre dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), c’erano nel 2021 nel mondo 48 milioni di sfollati interni, 26,6 milioni di rifugiati e 4,4 milioni di richiedenti asilo, per un totale di 84 milioni di persone: più o meno l’equivalente della popolazione della Germania.

Circa il 42%, cioè 35 milioni, sono bambini sotto i 18 anni. Due su tre di questi provenivano da cinque paesi: Siria, Venezuela, Afghanistan, Sud Sudan e Myanmar, mentre il 39% era ospitato in cinque paesi: Turchia (3,7 milioni), Colombia (1,7), Uganda (1,5), Pakistan (1,4) e Germania (1,2). Sono i paesi in via di sviluppo ad accogliere l’85% dei rifugiati e tre rifugiati su quattro sono ospitati nei paesi limitrofi a quelli di partenza.

Questi dati non potevano tenere conto della guerra e della relativa emergenza umanitaria e migratoria in Ucraina, che al numero dei profughi e richiedenti asilo ha aggiunto 5,3 milioni di persone fuggite nei paesi confinanti@ e 7,7 milioni di sfollati interni@ (dati del 19 aprile 2022, vedi sotto).

Un’altra grande crisi umanitaria del pianeta è quella dello Yemen, con 4,3 milioni di sfollati interni, dei quali il 79% sono donne e bambini, e oltre 23 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria. Nell’aggiornamento di aprile 2022, l’Alto commissariato riportava che per garantire assistenza a queste persone nell’anno in corso erano necessari 291,3 milioni di dollari, ma al 12 aprile solo 49,2 milioni erano stati messi a disposizione dai vari donatori dell’Unhcr@. Resta poi irrisolta anche la crisi siriana, con 6,7 milioni di sfollati interni e 6,6 milioni di rifugiati nel mondo, di cui 5,6 milioni accolti nei paesi confinanti con la Siria@.

Chiara Giovetti


Ucraina, rimesse e rifugiati

Secondo i dati disponibili sul sito dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, al 26 aprile erano 5.317.219 le persone che avevano lasciato l’Ucraina dallo scoppio della guerra, il 24 febbraio. Di questi, 2,9 milioni si erano spostati in Polonia, 793mila in Romania, 627mila in Russia, 507mila in Ungheria, 437mila in Moldavia, 360mila in Slovacchia e poco meno di 25mila in Bielorussia@.

Su una popolazione totale di 44 milioni di persone, a fine aprile 24 milioni avevano urgente bisogno di assistenza umanitaria e protezione. Secondo le proiezioni dell’Unhcr i rifugiati potrebbero arrivare a 8,3 milioni a dicembre 2022@.

A metà 2020 gli ucraini che vivevano al di fuori del paese erano 6.139.144, di cui 2.778.617 uomini e 3.360.527 donne, più o meno equamente divisi tra Europa e Federazione russa. L’Unione europea ne ospitava circa 833mila, di cui quasi 290mila in Germania, 272mila in Polonia e poco meno di 250mila in Italia@.

La Banca mondiale riporta i dati più recenti della banca nazionale ucraina, secondo i quali le rimesse dei lavoratori ucraini verso il paese avevano superato nel 2021 i 19 miliardi e rappresentavano il 12% del Pil, cioè tre volte tanto il valore dell’investimento diretto estero. La stima per il 2022 è che i trasferimenti aumentino dell’8%: è infatti probabile che la quota di rimesse dei lavoratori ucraini dalla Russia, già diminuita dal 27% al 5% negli ultimi sei anni, subisca un ulteriore, drastico calo a causa della guerra, ma venga più che compensata dalle rimesse provenienti dalla Polonia e dagli altri paesi che ospitano lavoratori ucraini@.

C.G.


Le giornate mondiali Onu, storia

La Giornata mondiale dei diritti umani è la prima delle giornate mondiali stabilite dalle Nazioni unite: si celebra il 10 dicembre e fu approvata dall’Assemblea generale Onu nel 1950, per commemorare la proclamazione, il 10 dicembre 1948, della Dichiarazione universale dei diritti umani. Tale Dichiarazione è a tutt’oggi il documento più tradotto nel mondo: oltre 500 lingue. Per capire il peso di questa giornata è forse utile ricordare che fu stabilita cinque anni dopo la fine di una guerra che aveva causato decine di milioni di morti e aveva visto, appunto, i diritti umani violati e negati con una sistematicità, un’ampiezza e una ferocia forse mai viste prima nella storia dell’umanità.

Queste giornate, precisa il Centro regionale di informazione delle Nazioni Unite, «sono un’occasione per informare le persone su questioni importanti, per mobilitare le forze politiche nell’incanalare le risorse per risolvere problemi globali e per celebrare e rafforzare i successi dell’umanità».

Le giornate mondiali vengono proclamate dall’Assemblea generale su proposta degli stati membri e, in alcuni casi, dalle agenzie specializzate dell’Onu che vogliono portare l’attenzione su un tema specifico di propria competenza: ad esempio, la giornata mondiale per la libertà di stampa (3 maggio) è stata introdotta dall’Unesco e in seguito adottata dall’Assemblea generale.

Di solito, per ogni giornata mondiale viene predisposto un sito, o almeno una pagina web, dai quali è possibile scaricare materiale informativo e di sensibilizzazione e anche trovare gli eventi organizzati nel proprio paese e nel mondo in occasione della ricorrenza.

Fra le giornate mondiali più note e celebrate vi sono la Giornata internazionale della donna, l’8 marzo, quella della Terra, il 22 aprile e la Giornata internazionale della pace il 21 settembre.

Vi sono, inoltre, giornate indette da altre organizzazioni: il 16 giugno, ad esempio, è la giornata del bambino africano, una ricorrenza osservata dall’Unione africana e dai suoi membri@.

 

 




Bambini al centro


Giugno, per noi mese della Consolata, si caratterizza per avere tre «giornate mondiali» dedicate ai bambini: il 4 giugno, quella dedicata all’infanzia vittima di violenza, il 12 giugno contro il lavoro minorile e il 16 giugno, la giornata che ricorda i bambini africani. Tutto questo nella cornice di altre giornate mondiali significative: per l’ambiente il 5 giugno, per gli oceani l’8 giugno, quella contro la desertificazione il 17 giugno, poi contro la violenza sessuale nei conflitti il 19 giugno, e la giornata mondiale del rifugiato il 20. Temi tutti di drammatica attualità, come dimostra la terribile guerra in Ucraina e il sempre più grave degrado dell’ambiente di cui è segno, per esempio, la siccità che attanaglia il nostro e tanti altri paesi causando una estesa crisi alimentare.

Fin qui, sembrerebbe non esserci niente di nuovo. Ogni giorno, da mesi ormai, prima per la pandemia, ora per la guerra, siamo martellati da così tante brutte notizie che il dramma dei bambini abusati e sfruttatti passa in secondo piano. Ma non possiamo accettare di vedere solo quanto è lo show del momento. Occorre reagire e rileggere la realtà con occhi nuovi e ascoltarla «con l’orecchio del cuore», come ci diceva papa Francesco per la giornata delle comunicazioni sociali.

Oggi si parla molto di bambini, ma si cerca davvero il loro «bene essere»? Faccio alcuni esempi di realtà che mi interrogano o lasciano perplesso: la polemica sull’utero in affitto da rendere illegale a livello mondiale; le reazioni caustiche contro chi si è permesso di stanziare fondi pubblici per evitare che delle donne siano costrette ad abortire. L’accettazione passiva della denatalità che colpisce drasticamente il nostro paese e la riluttanza della nostra classe dirigente a varare una vera politica di sostegno alle famiglie. Che dire delle polemiche sul doppio cognome e sulla registrazione dei figli di coppie dello stesso sesso? E dell’attaccamento morboso a cani e gatti, trattati come bambini, spesso senza accettarne la vera natura di animali con i loro ritmi e anche la loro libertà? Esempi discutibili, naturalmente, ma dov’è l’interesse e l’amore vero per i bambini?

Due delle giornate che celebriamo questo mese, si focalizzano su due aspetti importanti della vita dei bambini di tutto il mondo: la violenza e lo sfruttamento nel lavoro. Avrei voluto far scrivere questo editoriale a padre Ramón Lázaro che in Messico, ogni giorno, ha a che fare con la violenza sui piccoli: dall’abuso sessuale all’abbandono, dall’uccisione di uno dei genitori all’asservimento lavorativo, dalla mancanza di educazione scolastica alla carenza di cure sanitarie, dai matrimoni combinati in tenera età alla pedofilia. Pesanti i dati sulla diffusione e degenerazione si quest’ultima offerti dall’Associazione Meter Onlus di don Fortunato Di Noto, una depravazione in crescita sui social – sempre più estesa anche agli adolescenti – che travolge anche bambini nei primi anni di vita, abusati perfino dai loro stessi genitori.

Assieme a padre Ramón, molti gli altri missionari e missionarie danno la vita per offrire nuova dignità e amore ai bambini. Penso ad esempio a fratel Domenico Bugatti, 75enne, tornato al centro Gajien per i bambini a Isiro, nel Nord del Congo Rd, zona nella quale i bambini sono usati nelle miniere di coltan e altri minerali, controllate da bande armate in combutta con faccendieri senza scrupoli. Penso al coraggio di padre Franco Sordella nel ricostruire la Faraja house (la casa della Consolazione) in Tanzania, dove non gli mancano certo gli ospiti (vedi a pag. 5). Non posso dimenticare la Familia ya ufariji di Nairobi, dove dal 1994 si accolgono ragazzi di strada. E l’impegno di questi mesi dei nostri confratelli in Polonia per i profughi dell’Ucraina, tra cui tantissimi bambini. Diciamo grazie a questi missionari e ai tanti altri che, senza rumore, stanno facendo meraviglie di amore.

Non c’è niente di più bello al mondo che restituire il sorriso a un bambino e fargli sperimentare la bellezza di essere amato davvero. Non potrò mai dimenticare il sorriso di quella bimba di Loyangallani, in Kenya, quando d’impeto è riuscita a leggere una parola nuova sulla lavagna nella sua classe di esclusi dalla scuola regolare. Apparentemente una cosa da niente, ma per lei era un segno di riscatto e la promessa di una nuova dignità, senza dover essere data sposa a soli dodici anni.

La violenza sui piccoli e lo sfruttamento dei bambini sono purtroppo una realtà drammatica, alimentata anche dal nostro stile di vita, dalla smaterializzazione dei fatti operata dai social, per cui tutto, anche la sofferenza, diventa spettacolo. Le giornate che andremo a celebrare non sono la soluzione a questi problemi, ma certamente diventano l’occasione per conoscere, approfondire, riflettere e vincere la nostra apatia e indifferenza cambiando mentalità e mettendoci all’opera.

Gigi Anataloni