Cina: Calcio, se Pechino porta il pallone
Acquisto di squadre europee e italiane. Ingaggi di giocatori e allenatori famosi. Il tutto mettendo sul piatto investimenti milionari. La Cina è entrata nel business del calcio con la forza della sua potenza economica. Cosa sta dietro un fenomeno che ha assunto proporzioni gigantesche? Una cosa è certa: la passione calcistica del presidente Xi Jinping non spiega tutto.
Il calcio moderno è un prodotto britannico della seconda metà del XIX secolo. Il calcio antico invece fu inventato nella Cina imperiale di qualche millennio fa, con il nome di cuju (??). A quei tempi non era visto come un gioco competitivo a squadre, ma solo come un tipo di allenamento adatto per i soldati. Tanta acqua è passata sotto i ponti da allora. Tuttavia il calcio, come noi lo abbiamo sempre inteso in Europa o in Sud America, non ha mai attecchito veramente né nella Cina antica né nella Cina moderna. Solo di recente, a partire dalla primavera del 2015, grazie alle politiche governative promosse da Pechino a favore del gioco del calcio e al diretto interessamento di grandi gruppi economici cinesi pubblici e privati, su tutti il gruppi Wanda, Suning, Alibaba, Evergrande, la passione del calcio giocato sembra cominciare molto lentamente a conquistare i cuori e le menti dei giovani cinesi.
Ma spendere non basta
Nel 1930 si ebbe la prima edizione del Campionato del Mondo di calcio. La grande Italia di Pozzo lo vinse nel 1934 e nel 1938. Poi fu la volta, molti anni dopo, degli azzurri guidati da Bearzot nel 1982 e di quelli allenati da Lippi nel 2006. Detto ciò, pensiamo che solo nel 2001 la squadra nazionale cinese è riuscita a qualificarsi alla fase finale di un Campionato del mondo, che in quell’occasione si tenne per la prima volta in Asia, diviso tra Giappone e Corea del Sud. Tuttavia, la nazionale cinese venne subito eliminata, perdendo le prime tre partite. Un altro dato: solo nel 2013 fu vinta la prima Coppa dei campioni asiatica da parte di una squadra professionista cinese, il Guangzhou Evergrande della città di Canton, nel Sud della Cina.
Il fenomeno calcistico cinese si sta sviluppando in parallelo alla crescita economica del paese e in conseguenza dell’introduzione nella Cina comunista dei primi istituti giuridici e delle prime pratiche proprie del capitalismo. Il calcio dei professionisti in Cina è stato quindi istituito solo nel 1994. Il primo contatto diretto tra calcio cinese e calcio italiano si ebbe nel 2000, quando il giocatore Ma Mingyu venne ingaggiato dalla squadra del Perugia. Ma solo nel 2004, con l’istituzione della Super League, il campionato di serie A cinese passò da attività di dilettanti a lavoro da professionisti.
In ogni caso, prima di poter affermare che il popolo cinese sia diventato un popolo di calciofili e aspiranti campioni del pallone passeranno probabilmente ancora molti anni. Oppure, nella peggiore delle ipotesi, tutto questo investire capitali e parlare di calcio potrebbe essere semplicemente un fuoco di paglia, come ad esempio fu del tentativo, portato avanti fra gli anni Settanta e Ottanta, di far appassionare gli statunitensi al gioco del calcio.
Nel frattempo, quest’anno il calciomercato cinese si è rivelato il quinto più ricco al mondo, dopo quelli relativi ai campionati inglese, tedesco, spagnolo, italiano, con un esborso da parte delle squadre cinesi di quasi 545 milioni di dollari, una cifra triplicata rispetto a un anno prima.
Un tifoso d’eccezione: Xi Jinping
Il presidente della Repubblica popolare, nonché segretario generale del Partito comunista cinese, Xi Jinping ha più volte ribadito che il grande sogno cinese di rinascita patriottica non è per nulla slegato dal gioco del calcio. A partire da una visita ufficiale in Corea del sud nel 2011, quando era ancora vicepresidente, prospettò al mondo un triplice obiettivo per la Cina: qualificarsi per un Mondiale, ospitare un Mondiale e vincere un Mondiale entro il 2050. Costruire le premesse per la vittoria della Coppa del Mondo di calcio entro il 2050 sarebbe la ciliegina sulla torta dei festeggiamenti previsti nel 2049 per l’anniversario dei cento anni della dichiarazione di indipendenza del paese, avvenuta sotto la guida di Mao Zedong nel 1949.
La direzione è quindi tracciata e tutti devono agire uniformandosi a questa linea politica. Il calcio non è solo un passatempo per il pubblico o un business fruttuoso per gli investitori e gli sponsor, ma in Cina diventa un fatto politico e sociale di fondamentale importanza. Si tratta del grande sogno del rinascimento cinese.
Nei soli ultimi due o tre anni, tra campagna acquisti di giocatori, acquisto di squadre di calcio estere – tra cui Manchester City, Wba, Aston Villa, Birmingham, Wolverhampton, Atletico Madrid, Espanyol, Granada, Sochaux, Auxerre, Nizza, Lione e le italiane Inter e Milan -, e l’ammodernamento delle infrastrutture, si sono già spesi diversi miliardi. E siamo solo agli inizi. Ma coloro che ne hanno saputo approfittare più di altri sono i cosiddetti immobiliaristi. Cioè tutti quegli imprenditori che si sono arricchiti con la speculazione edilizia, la quale ha come controparte le realtà governative ad ogni livello. Infatti i terreni in Cina sono statali e per renderli edificabili servono i permessi amministrativi. Così gli immobiliaristi sono tra gli imprenditori più ricchi, ma anche quelli più dipendenti dai rapporti con la politica. Non stupisce quindi che nella China Super League, il campionato di serie A in corso, 11 squadre su 16 abbiano proprietari i cui affari sono riconducibili anche al settore immobiliare.
Lippi e gli altri: tanti stranieri, pochi nativi
Nel 2011 per le squadre di calcio cinesi si aprì il mercato degli acquisti all’estero. Il primo giocatore straniero ad essere ingaggiato fu il centrocampista argentino Dario Conca, che giocava nella serie A brasiliana, il quale venne acquistato dalla squadra cinese del Guangzhou Evergrande con un ingaggio milionario. Ovviamente le immense disponibilità valutarie, anche in valuta estera, che caratterizzano ancora oggi l’economia cinese, da quel momento cominciarono ad essere investite nel nascente mondo del calcio cinese. Così un solo anno più tardi, nel 2012, anche Marcello Lippi, di fronte all’offerta di parecchi milioni, accettò di fare l’allenatore del Guangzhou Evergrande, riportando diverse vittorie sia in campionato che nelle coppe, come la vittoria, ricordata sopra, nella Champions League asiatica nel 2013. Attualmente Lippi allena la nazionale cinese.
Altri giocatori e tecnici italiani lo hanno seguito nella nuova avventura. Parliamo tra i primi di Gilardino, Cannavaro e Diamanti. Nel 2016 un altro importante allenatore italiano, Alberto Zaccheroni, approda al massimo campionato cinese nella squadra del Beijing Guoan. Ai cinesi serviva avere in casa buoni esempi di calcio giocato e altrettanti buoni modelli tecnici e tattici, da cui imparare e prendere spunto per migliorare le prestazioni sul campo. I campioni e gli allenatori stranieri ingaggiati a suon di milioni da parte loro non hanno deluso le aspettative. Così nel mondo del calcio cinese si è avviato un volano positivo fatto di investimenti, di ingaggi e di buoni giocatori e tecnici venuti dall’estero, brasiliani, francesi, italiani, africani, giapponesi, sudcoreani. Tra i tanti, troviamo anche Oscar, Hulk, Alex Teixeira, Jackson Martinez, Ramires, Gervinho, Guarin, Burak Y?lmaz, Lavezzi, Tevez, Felipe Scolari e l’italiano Pellè. Tuttavia quello che ancora manca non è tanto la bravura degli stranieri, ma la qualità dei nativi. Insomma alla Cina manca un numeroso e forte vivaio di giocatori giovani nati e cresciuti in Cina.
Scuola calcio, campi e corruzione
Nonostante i cospicui investimenti, la mancanza di talenti cinesi si fa sentire in modo negativo nel calcio cinese, soprattutto durante le partite della nazionale, che, dopo il 2 a 2 con la Siria (giugno 2017), è già praticamente eliminata dalla corsa di qualificazione al Campionato del mondo del 2018, che si terrà in Russia. Per ovviare alla mancanza di talenti tra le fila dei giovani cinesi, il vicepresidente della Federazione calcistica cinese, Wang Dengfeng ha dichiarato che è operativo un piano nazionale per legare l’attività calcistica ai piani di educazione dei giovani studenti nelle scuole, con l’annuncio della creazione entro il 2025 di cinquantamila scuole di calcio o meglio veri e propri collegi super attrezzati e con partnership straniere, ognuno dei quali sarà in grado di formare un migliaio di nuovi giocatori; col fine di portare a cinquanta milioni il numero di giocatori di calcio in Cina, di cui almeno centomila di livello. Si procederà anche alla costruzione di 70 mila nuovi campi sportivi nelle contee sparse per tutto il paese.
Dove girano molti soldi però la corruzione è in agguato. La Cina in questo non fa certo differenza rispetto a tutti gli altri paesi. Per combattere i fenomeni devianti legati allo scambio di «favori» e di mazzette, il presidente Xi Jinping già dal suo insediamento, come vertice politico della Repubblica popolare cinese, ha dichiarato la caccia aperta alle cosiddette «tigri», cioè gli alti funzionari corrotti nel partito e nell’amministrazione; alle «mosche», i medi e piccoli funzionari corrotti e infine alle «volpi», cioè tutti quelli che sono scappati all’estero col maltolto.
Buchi di bilancio e nuove regole
Anche il sogno, legato alla diffusione del gioco del calcio nel paese, rischiava di trasformarsi in un incubo. Infatti come un treno, che sta per deragliare, i denari spesi negli acquisti all’estero e negli ingaggi dei giocatori stranieri sono cominciati ad apparire davvero eccessivi, anche per le ricche tasche cinesi. Il calcio non è diverso da qualsiasi altro settore economico e dovrà uniformarsi alle stesse limitazioni e agli stessi controlli delle autorità governative. Così di fronte a un buco complessivo di 670 miliardi di dollari, non si può far altro che constatare che a fronte di miliardi di investimento ancora non si producono utili. Ognuna delle sedici squadre che partecipano alla Super League ha, in media, una perdita finanziaria di 74 milioni di dollari. La responsabilità di tutto ciò è anche da ascrivere all’incapacità dimostrata dalle squadre di fidelizzare i tifosi e di sviluppare il settore del merchandising. Su queste basi l’Amministrazione generale dello sport cinese ha dettato nuove regole, imponendo, oltre a un tetto per le spese durante il calcio mercato, anche il limite di cinque stranieri in squadra, di cui solo tre schierabili durante la partita, e due giovani cinesi con meno di ventitré anni, uno dei quali da schierare dal primo minuto. Una stretta governativa è stata data anche all’esportazione dei capitali fuori dalla Cina, creando anche difficoltà alle normali transazioni per l’acquisto di squadre e giocatori.
Tuttavia, come ricorda Pan Gongsheng, vice governatore della Banca centrale cinese, le autorità governative non hanno deciso di bloccare i capitali finalizzati al potenziamento del settore calcistico, ma hanno semplicemente cercato di razionalizzare il settore sotto l’aspetto finanziario e di sensibilizzare gli imprenditori legati al calcio sulla fondamentale prospettiva di avere un modello di bilancio sostenibile sul medio-lungo periodo. Ma anche evitare che, con la scusa degli investimenti, si nascondano capitali all’estero, creando fondi neri fuori dalla possibilità di controllo della pubblica amministrazione.
Una tradizione non si costruisce a tavolino
Il calcio non fa parte della tradizione cinese. Il governo sta tentando di farne un’industria prima ancora che una consuetudine popolare. La strada si prospetta lunga e tortuosa. La ricchezza non sempre va a braccetto con il genio calcistico. Per vedere i primi campioni cinesi dovremo aspettare almeno una generazione e non è detto che provengano dalle accademie del calcio progettate dai burocrati di stato.
Gianni Scravaglieri
(cinaforum.net)