Italia. Missione come ponte tra mondi


Il Festival della missione 2025 si terrà a Torino. Preceduto da eventi pre festival durante il 2025, si svolgerà tra il 9 e il 12 ottobre nelle piazze della città.
In un contesto globale nel quale le distanze tra persone e tra Paesi sembrano aumentare, così come i conflitti e le crisi ambientali, il tema della kermesse sarà «Il volto prossimo».
Non sarà una celebrazione della missione, ma un laboratorio di speranza nel quale ascoltare il racconto di molte esperienze di pace, resistenza e trasformazione.

Sarà Torino la città ospite del prossimo «Festival della Missione», occasione di riflessione e, soprattutto, di incontro con molti protagonisti della «Chiesa in uscita» nelle periferie del mondo.

Un evento che, come spiegano i promotori, non sarà solo una celebrazione della missione, ma un laboratorio di speranza e un invito a tutti ad aprirsi al mondo.

Dal 9 al 12 ottobre 2025, la terza edizione della kermesse promossa da Cimi (Conferenza degli istituti missionari italiani) e Fondazione Missio Italia, avrà come location l’area tra piazza Castello e piazza Carlo Alberto. Si interfaccerà con il programma del Festival dell’Accoglienza, evento diffuso promosso dalla Pastorale migranti dell’arcidiocesi di Torino tra settembre e ottobre, e avrà come tema di fondo «Il volto prossimo», collegandosi alla riflessione sul «Vivere per-dono» iniziata nella scorsa edizione del 2022 a Milano. Si inserirà, inoltre, nel contesto del Giubileo del 2025 promosso dal Papa con il tema «Pellegrini di speranza».

Festival della Missione 2022 a Milano. L’incontro «Missione tra vecchie e nuove vie». Da sinistra: p. Carlos Reynoso Tostado, saveriano; Elisabetta Grimoldi, laica saveriana; suor Dorina Tadiello, comboniana della comunità di Modica; il giornalista Paolo Affatato; i coniugi Marangoni della comunità di famiglie Bethesda di Padova; Fabio Agostoni, laico a Ginevra. @foto di Luca Lorusso

L’interrogativo sul volto del prossimo, e sul rendere prossimo il nostro volto all’altro, ha una sua urgenza particolare oggi, in un contesto globale nel quale le distanze tra persone e tra Paesi sembrano aumentare, così come i conflitti e le crisi ambientali.

Alla conferenza stampa di presentazione del Festival, tenutasi martedì 19 novembre presso l’Arcivescovado di Torino, sono intervenuti monsignor Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa, Agostino Rigon, direttore generale del Festival (insieme a Isabella Prati), e Lucia Capuzzi, giornalista di «Avvenire» e direttrice artistica dell’evento (insieme al regista e documentarista Alessandro Galassi).

Per loro, Torino, città con una forte vocazione missionaria che ha visto nascere le missioni salesiane di don Bosco e l’Istituto Missioni Consolata di san Giuseppe Allamano, canonizzato lo scorso 20 ottobre, diventerà il cuore pulsante di una riflessione universale.

Il legame tra il Festival della Missione e il Festival dell’Accoglienza, come sottolineato da monsignor Repole, sarà un’occasione per allargare gli orizzonti, connettendo l’attenzione ai più fragili (del secondo) con la prospettiva internazionale (del primo).

Agostino Rigon ha definito il Festival «una risposta al movimento dello Spirito e della storia», sottolineando l’urgenza di camminare insieme come Chiesa e società.

In un momento in cui le forze del mondo missionario sembrano ridursi, l’obiettivo dell’iniziativa non è solo quello di unire risorse, ma di costruire alleanze e ponti con realtà civili e religiose.

Tra piazza Castello e piazza San Carlo, ha aggiunto il direttore generale del Festival, si allestiranno «tavoli di ascolto» dedicati alla ricerca delle tracce del divino nella realtà contemporanea.

Il centro di tutto, ha spiegato Lucia Capuzzi, sarà la narrazione. Non la speculazione teologica sulla missione, ma il racconto dei protagonisti della missione.

Le storie saranno il fulcro del programma, coinvolgendo missionari e comunità di tutto il mondo per raccontare esperienze di annuncio, di pace, giustizia e trasformazione.

Tra i progetti più significativi che faranno parte degli eventi «pre festival», quelli che verranno organizzati in città nelle settimane che precederanno il Festival, vi sarà un focus su Haiti, paese «invisibilizzato» dai media internazionali e attualmente sconvolto da violenza e povertà, e un altro su una periferia come Brancaccio, a Palermo, dove la memoria di don Pino Puglisi continua a ispirare progetti di rinascita.

Il Festival proporrà durante l’anno scolastico anche un programma educativo sulla pace, elaborato in collaborazione con il Centro studi Sereno Regis, che mira a mostrare i meccanismi della violenza e a promuovere la nonviolenza e giustizia riparativa. L’11 ottobre, in Piazza Castello, si terrà un grande evento dedicato alla pace.

Durante la conferenza stampa, per dare un assaggio di cosa sarà il Festival, sono intervenuti anche tre missionari per dare la loro testimonianza: suor Angela Msola Nemilaki, superiora generale delle Madri Bianche, le suore missionarie di Nostra Signora d’Africa, ha acceso i riflettori sul dramma della tratta di esseri umani. La religiosa ha raccontato la storia di Lulu, una giovane vittima di tratta e tortura. La missione, per suor Angela, è ridare dignità a chi se n’è visto privato, attraverso piccoli gesti di presenza e gentilezza, nella consapevolezza che, come affermato da papa Francesco, «solo aprendo il cuore agli altri scopriamo la nostra umanità».

Padre Dario Bossi, missionario comboniano in Brasile, ha parlato delle sfide globali legate al cambiamento climatico e del «razzismo ambientale», per cui capita sovente che le prime e principali vittime dei cambiamenti climatici siano i più poveri. «La missione oggi è costruire alleanze dal basso», ha detto, invitando a riflettere sul debito di giustizia che il Nord del mondo ha nei confronti del Sud.

Infine, Cristian Daniel Camargo, giovane missionario laico della Consolata e artista argentino, ha presentato il suo progetto «Murales por la Paz», una proposta artistica e teologica che invita comunità di tutto il mondo a dipingere insieme, costruendo pace e dialogo attraverso l’arte.

Dal 2018, il suo progetto «teo artistico» ha realizzato oltre 60 murales in luoghi come Colombia, Guatemala, Italia, Salvador e Argentina, e Camargo spera di proseguirlo in Kenya e Uganda, e poi di tornare in Italia nell’ottobre prossimo per partecipare al Festival della Missione.

«Se la Chiesa sparisse, è come se non ci fosse più cielo sulla terra», ha concluso monsignor Repole, citando il sociologo Hans Joas. Il Festival della Missione 2025 promette di essere uno «squarcio di cielo» su Torino, un’occasione per riflettere sulla dimensione umana e trascendente della missione, intrecciando storie di fragilità e speranza, per fare del mondo una sola famiglia.

Luca Lorusso

Il Festival della Missione 2022 a Milano si è tenuto prevalentemente all’aperto. La gran parte degli incontri sono stati alle Colonne di San Lorenzo. Anche il Festival 2025 a Torino si terrà negli spazi di piazza Castello e piazza Carlo Alberto in centro città. @foto di Luca Lorusso




Festival della Missione 2022. Svelare l’umano condivisibile


Quattro giorni di convegni, aperitivi missionari, mostre, laboratori, spettacoli. Cento ospiti, centoventi testimonianze, duecento volontari, trentamila partecipanti. Grandi quantità legate a grande qualità e profondità nell’affrontare temi cruciali. Per la vita della Chiesa e della società.

Arriviamo alle colonne di San Lorenzo, a Milano, nel pomeriggio di giovedì 29 settembre.

Sta per iniziare uno dei molti eventi in programma in questa piazza fino a domenica 2 ottobre nella cornice del secondo Festival della Missione. Il cielo è incerto se chiudersi o lasciare il campo a un sole intenso e caldo.

Qui c’è il cuore della movida milanese e, allo stesso tempo, il cuore storico della chiesa Ambrosiana. La basilica sorta tra il IV e il V secolo, infatti, è tra le più antiche della città, e oggi si trova in un contesto di vie molto affollate non distanti dal Duomo, disseminate di bar, locali e negozi.

Sul sagrato, nello spazio suggestivo tra la facciata della chiesa e le antiche colonne, è allestito un palco con megaschermo. L’immagine proiettata è quella di un gomitolo composto da fili di diversi colori dal quale ne esce uno rosso a comporre la parola «missione». È il logo del Festival: un globo terrestre che non presenta confini ma i colori intrecciati dell’umanità. Il tema dell’intero evento è «Vivere perdono»: un gioco di parole nel quale il dono è, allo sesso tempo, causa e fine del vivere.

Diverse file di sedie iniziano a riempirsi di persone attorno alla statua che troneggia al centro della piazza: l’imperatore Costantino, quello che firmò nel 313 d.C. il famoso editto di Milano che concesse libertà di culto ai cristiani.

La missione in piazza

La prima edizione del Festival della Missione si è tenuta a Brescia nel 2017 (cfr MC dicembre 2017, p. 14). Un’occasione di festa, incontro e scambio missionario così entusiasmante da convincere i due organismi promotori, la fondazione Missio e la Cimi (Conferenza degli istituti missionari italiani di cui fanno parte 14 istituti ad gentes: 6 femminili e 8 maschili), a organizzarne, cinque anni dopo, una seconda edizione.

In entrambe le manifestazioni, sia a Brescia che a Milano, la missione si è fatta presente in piazza, tra la gente.

Ma perché portare in strada la missione e i «suoi» temi?

Di certo perché «la ricchezza delle esperienze missionarie è ricchezza per tutti» – come ha detto don Giuseppe Pizzoli, direttore della fondazione Missio, alla conferenza stampa di presentazione del 19 settembre -, e quindi vale la pena portarla tra la gente, raccontando le storie di persone che nel mondo vivono «per dono», come ha aggiunto Lucia Capuzzi, giornalista di «Avvenire» e direttrice artistica del Festival, parafrasando il tema della quattro giorni.

Di certo per «far crescere la missione nella società italiana», nella convinzione che «la fede si rafforza donandola e non difendendola» – come ha chiosato in quella stessa sede padre Fabio Motta, missionario del Pime e rappresentante della Cimi -.

Ma anche per portare in superficie e porre all’attenzione di tutti, cristiani e non, alcune «tracce dell’umano condivisibile: gli spazi, i valori, le sfide, i sogni che ci accomunano tutti come esseri umani», come ci dirà Agostino Rigon, direttore generale del Festival, che sentiremo dopo la sua conclusione.

I linguaggi della missione

Quando abbiamo deciso di partecipare al Festival e abbiamo letto il programma degli eventi sul sito festivaldellamissione.it, siamo stati colpiti dalla varietà di temi e di ospiti. Il mondo missionario vuole comunicare con la città attraverso i linguaggi che gli sono propri: quelli della testimonianza, della Scrittura, della fede, della spiritualità, della teologia; ma anche tramite quelli (che non gli sono estranei) dell’economia, della politica, dell’ecologia integrale, dei diritti umani, dell’etica, della giustizia.

Forse perché impegnati quotidianamente a confrontarsi faccia a faccia con i poveri, gli ultimi, gli scartati di ogni latitudine, con i conflitti, le conseguenze dei cambiamenti climatici e dello sfruttamento indiscriminato della terra, i missionari non possono fare a meno di domandarsi (e domandare) il perché, e di denunciare quali sono i meccanismi che schiacciano nella marginalità la maggior parte della popolazione mondiale (la «violenza strutturale», direbbe Johan Galtung, o le «strutture di peccato», secondo Giovanni Paolo II).

Storie di «semplici» missionari

Dato che diverse iniziative del Festival si terranno in contemporanea, a malincuore siamo costretti a scegliere.

Parteciperemo ad alcuni incontri nei quali «semplici» suore, famiglie, sacerdoti missionari racconteranno le loro esperienze in terre lontane (o vicine).

Ascolteremo, ad esempio, suor Dorina Tadiello, sorella comboniana, già missionaria in Uganda, a Roma e Verona, che da due anni fa parte della comunità intercongregazionale di Modica, provincia di Ragusa, composta da sacerdoti e suore di diversi istituti religiosi che condividono la vita e la fede per fare accoglienza di persone migranti.

Sentiremo le parole appassionate di don Dante Carraro, medico cardiologo dall’87, sacerdote dal ‘91, e dal 2008 direttore dell’Ong Medici con l’Africa Cuamm, con la quale viaggia spesso in Angola, Etiopia, Mozambico, Tanzania, Sierra Leone, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana e Uganda.

E poi la testimonianza ricca e colorata di Chiara Bolzonella e suo marito Mauro Marangoni che, con tre anni di missione fidei donum in Kenya alle spalle e cinque figli, hanno fondato nel padovano, assieme ad altre tre famiglie, la comunità Bethesda per condividere il Vangelo nella forma dell’accoglienza e dell’animazione spirituale.

Di giustizia, diritti, vangelo e altro

Parteciperemo poi ad altri eventi nei quali sentiremo parlare di giustizia riparativa dalla ministra Marta Cartabia (che verrà in seguito sostituita nel nuovo governo da Carlo Nordio) con il prof. Adolfo Ceretti, grande promotore della restaurative justice in Italia come all’estero; di «economia che uccide» dall’ex presidente del consiglio Mario Monti con suor Alessandra Smerilli, figlia di Maria Ausiliatrice, insegnante di Economia politica e Segretaria del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale del Vaticano. Ascolteremo Patrick Zaki in collegamento dal Cairo parlare di diritti umani e della sua situazione di attivista sotto processo nel suo paese; il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana, condividere riflessioni sull’annuncio della Parola; il leader indigeno Adriano Karipuna denunciare la situazione di violenza e devastazione subita dal suo popolo e dalla foresta Amazzonica.

Parteciperemo, tra le altre cose, al laboratorio sull’agenda 2030 e a una sfilata di moda «etica».

Faremo anche un aperitivo missionario e visiteremo una delle mostre allestite in diversi luoghi della città.

non solo Numeri

Nell’arco dei quattro giorni del Festival più di cento ospiti si alterneranno sul palco in trenta eventi e convegni, centoventi missionari «testimonieranno» la loro esperienza agli «aperitivi» organizzati in ventisette bar e bistrot del centro, saranno coinvolte dieci piazze, quattro musei, ci saranno otto mostre, undici percorsi artistici con visite guidate in basiliche e chiese, quattordici presentazioni di libri e incontri con gli autori, sei proiezioni di documentari, cinque spettacoli, dieci laboratori per bambini, ragazzi e giovani, un torneo di calcetto, una serata di racconto e sfilata di moda. I partecipanti saranno circa 30mila.

Semi di futuro

Guardandoci attorno, mettiamo a fuoco alcuni volti di missionari conosciuti, alcune famiglie, molti giovani, veli di suore.

C’è un gruppo un po’ chiassoso che si infila nell’edificio dell’oratorio della parrocchia di San Lorenzo. Lì è stata allestita «Casa Missione»: stanze con tavoli e sedie, una macchinetta per il caffè, il bagno, un fasciatoio, un luogo per riposare nelle pause tra una conferenza e la proiezione di un documentario, e magari mangiarsi un panino facendo due chiacchiere con qualche sconosciuto che diventerà presto un volto amico.

Ci avviciniamo a uno dei gazebo del Festival per la registrazione. Uno dei duecento volontari ci consegna il libretto con l’elenco di tutte le proposte. Abbiamo la conferma che a molte non potremo partecipare, ma siamo consolati dalla promessa di ritrovare, in seguito, molti dei contenuti del Festival sul web. Alcuni degli incontri ai quali non potremo partecipare li potremo fruire a casa, andando sul canale Youtube
@FestivaldellaMissione.

Il volontario ci sorride e, prima che noi ci allontaniamo, ci consegna una bustina di carta contrassegnata con il logo e i colori della kermesse. «Vivere per dono» c’è scritto. Dentro alla bustina si sentono rotolare alcuni semi di piante a sorpresa. È l’auspicio di questo secondo Festival della Missione: essere un seme da piantare nella terra con la fiducia che qualcosa di buono e bello spunterà.

Luca Lorusso

Fare rete per dire la missione

A distanza di qualche settimana dal Festival, abbiamo sentito alcuni dei protagonisti del dietro le quinte per raccogliere impressioni «a freddo»: Agostino Rigon, direttore generale del Festival, padre Piero Masolo, direttore operativo, ed Elisabetta Grimoldi, del consiglio direttivo.

Elisabetta Grimoldi

Elisabetta è una laica missionaria saveriana, promotrice del coordinamento dei laici missionari legati ai diversi istituti ad gentes in Lombardia e, tra le altre cose, membro del Suam (l’organo della Cimi per l’animazione missionaria). È manager per un’azienda multinazionale. Si fa chiamare Betty: «Da qualche anno sono nel comitato dei laici lombardi legati agli istituti missionari di cui fanno parte anche le Famiglie missionarie a Km0 e i laici fidei donum. Già da tempo lavoravamo in rete, poi il Festival ci ha spronato a farlo ancora di più. Io sono stata scelta come rappresentante dei laici a livello nazionale, e, durante la preparazione, con Emanuela Costa (Famiglie missionarie Km0) e Claudia Del Rosso (di Missio), abbiamo cercato di aprire i confini della rete coinvolgendo realtà come il Mato Grosso, la Papa Giovanni XXIII e altre».

Le chiediamo cosa le è piaciuto di più del Festival. «Il dono dell’accoglienza, i legami creati tra tante reti. Il fatto che le relazioni proseguono ancora oggi. Questo significa che la rete non aveva come unico fine quello dell’evento. C’è desiderio di continuare assieme. Poi mi sono piaciuti i contenuti, e il fatto che ci fossero tante realtà a costruirli. Infine, il tentativo di intercettare chi è fuori dal mondo missionario e dalla Chiesa».

Padre Piero Masolo

Padre Piero Masolo è un missionario del Pime (Pontificio istituto missioni estere), sacerdote dal 2008, è stato sette anni in Algeria. Lavora al centro missionario della diocesi di Milano. La sua funzione di direttore operativo del Festival ha aiutato a raccordare «la macchina» organizzativa con il territorio. Gli chiediamo se, secondo lui, l’obiettivo dei promotori di far incontrare i tanti soggetti del mondo missionario tra loro e di comunicarsi al di fuori è stato raggiunto. «Sì. I feedback sono positivi. Intanto le 30mila presenze sono già un dato importante. Poi dobbiamo tenere conto anche del grande lavoro fatto nel “pre Festival”. Volevamo che il tutto fosse un percorso e non un evento: è il percorso che può dare frutto. Oggi, ad esempio, molte persone in diocesi ci chiedono di aiutarli a trasformare in realtà quotidiana l’atmosfera di incontro del Festival. Si cammina». Chiediamo quali sono le ricadute positive per la chiesa missionaria di quanto fatto: «Uno: non è vero che la missione è una ciliegina sulla torta. È, anzi, quel filo rosso del logo che tiene assieme il gomitolo. La Chiesa è missionaria, oppure non è. È lo spirito con il quale appartenere alla Chiesa. Questo penso che sia stato recepito da chi ha seguito il Festival. Due: l’evento dice anche che uniti non si è insignificanti. A volte noi missionari ci lamentiamo di non venire ascoltati. Ok, ma noi come ci proponiamo? Il Festival ha provato una modalità nuova di proporre la missione a tutti, e mi pare ci sia riuscito».

Agostino Rigon

Agostino Rigon è il direttore generale del Festival. Ha alle spalle sei anni di Messico e molti anni di lavoro missionario in Italia. È l’attuale direttore dell’ufficio missionario di Vicenza. «Il desiderio dal quale è nato il Festival era triplice. Uno: superare l’autoreferenzialità dei soggetti missionari, vincere la fatica di interfacciarci tra di noi e con il mondo. Il secondo desiderio era quello di aiutare lo svelamento dell’umano condivisibile: non volevamo che il Festival fosse un’occasione per parlarci addosso, volevamo, invece, portare in evidenza gli spazi, i valori, le sfide che ci accomunano tutti come umani. Per questo il Festival ha ascoltato anche voci estranee al mondo ecclesiale. Terzo: mettere in luce la bellezza del Vangelo come dono per la vita del mondo. Attraverso il racconto delle storie di molti missionari, mostrare che ci sono ragioni di vita che ispirano uomini e donne a vivere e a servire l’umanità».

Questo triplice desiderio si è realizzato? «Io direi di sì. Non come obiettivo raggiunto, ma per i passi avanti fatti. Ad esempio, la Cimi e Missio non avevano mai lavorato insieme con tanta corresponsabilità e convergenza di visione, e mai avevamo creato una tale rete di alleanze con cui parlare dell’umano condivisibile».

Anche ad Agostino domandiamo cosa è piaciuto di più della manifestazione: «La sinodalità: nel consiglio direttivo eravamo decine di soggetti diversi e ho visto che tutte le cose fatte con un’intesa comune sono state quelle più belle. La sinodalità intesa come esperienza di relazioni e corresponsabilità molto pratica e concreta.

Un altro aspetto è “la contaminazione”: abbiamo visto che è possibile condividere valori e sfide, sogni e speranze con molte più persone di quante immaginassimo. A volte ci consideriamo un’isola che lavora controcorrente, invece c’è una moltitudine di gente che condivide tante cose e ha sete e fame di fare sistema e impegnarsi con altri».

E adesso cosa si fa? «È un discernimento che spetta a tutti, non solo agli organizzatori del Festival. Sono stati proposti metodi, idee, occasioni, ma poi bisogna che ciascuno li faccia propri».

Il prossimo Festival? «L’idea è di fare il Festival ogni 3 anni, ogni volta in una sede diversa. Il prossimo potrebbe essere nel centro Italia o al Sud… ma è tutto da verificare».

L.L.

Un laboratorio sinodale

I quattro giorni del Festival della Missione di Milano, che hanno visto la partecipazione di 30mila persone, non sono stati «solo» un evento, ma l’apice di un percorso che, cominciato nel 2020 con la sua ideazione e progressiva attuazione in una serie di iniziative «pre Festival», prosegue ancora oggi con il «post Festival».

Promosso da Fondazione Missio (Cei) e Cimi (Conferenza istituti missionari in italia) e realizzato dall’Arcidiocesi di Milano in rete con più di 70 partner, sia ecclesiali che laici, tra istituzioni, sponsor, diocesi lombarde, media, enti formativi, associazioni, Ong, fondazioni, il Festival è stato, ed è ancora, un laboratorio di «sinodalità».

Padre Piero Masolo, missionario del Pime, direttore operativo del Festival, fa un elenco di diciannove ambiti nei quali la «sinodalità» della rete messa in campo dagli organizzatori si è espressa nei mesi scorsi, a volte a livello nazionale.

Per citarne solo alcune, ricordiamo le proposte didattiche che hanno raggiunto 64mila studenti nelle scuole dell’interland milanese nell’anno scolastico 21/22; i progetti di giornalismo a livello universitario; i gemellaggi internazionali tra gruppi di ragazzi del Nord e del Sud del mondo; la proposta di un song contest rivolto ad adolescenti e giovani, sfociato nel concerto del 2 ottobre a Milano; il cosiddetto «cantiere festival», cioè l’organizzazione di eventi, conferenze, serate, testimonianze, spettacoli, momenti di preghiera, di dialogo interconfessionale e interreligioso, giornate di spiritualità da parte dei centri missionari diocesani, degli istituti missionari, di altre congregazioni religiose, monasteri, gruppi di tutta Italia; i percorsi di giustizia riparativa per i detenuti di Agrigento e Campobasso, e sul dialogo islamo-cristiano nelle carceri di Busto Arsizio e di San Vittore a Milano.

Dal «pre Festival», a fine settembre si è passati al Festival. Dai quattro giorni di Milano, si è passati ora al «post». Succederà presto, anche se non sappiamo ancora quando, che dal «post» si passerà a un nuovo «pre» che ci accompagnerà a un nuovo percorso.

L.L.

 




Noi e Voi

Ricordando Daniele dal Bon

Dal Bon Daniele

Daniele arrivava in redazione sempre senza preavviso. Bussava alla porta della mia stanza e si
affacciava con la testa chiamandomi per nome e cognome. «Posso salutarti?». Già sapevo che non sarebbero stati pochi minuti.

Scarmigliato, occhiali abbassati sul naso, borsa a tracolla, Daniele non badava minimamente al suo aspetto esteriore. Mai. «Cosa ne pensi di… ?», trovato l’argomento di discussione non si schiodava facilmente e spesso ripeteva più volte la domanda o la risposta ricevuta. Lui era così, anche nel blog, nelle email, su YouTube o nei suoi libri autoeditati.

Certamente, tra gli argomenti di gran lunga favoriti c’erano la fotografia e il volontariato (in Italia, Africa e America Latina), passioni a cui ha dedicato l’intera sua esistenza. E, naturalmente, c’era il Nicaragua: le sue diapositive del periodo sandinista (mitico per molti di noi) sono conservate nell’archivio di questa rivista.

All’inizio di gennaio, appena conosciuta la sua dipartita (avvenuta il 31 dicembre 2021), i social sono stati sommersi da ricordi commossi di una miriade di amici e conoscenti.

Quasi a confermare una delle citazioni con cui Daniele spesso terminava le sue email, quella del teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer: «Il primo servizio che si deve al prossimo è quello di ascoltarlo».

Paolo Moiola
06/01/2022

Daniele Dal Bon è stato un frequentatore assiduo del nostro Centro di Animazione di Via Cialdini 4 fin dai primi anni ‘80. Buon fotografo, ha offerto molte volte le sue foto alla rivista diventandone un collaboratore regolare dal 2001 al 2007. Nel nostro archivio ci sono migliaia di sue foto del Sud America, Africa e Asia e su argomenti specifici come migranti, comunità etniche a Torino, Rom, volontariato e tanti altri temi sociali. Era diventato il fotografo ufficiale dell’Ufficio migranti della diocesi di Torino e di tante altre organizzazioni.

Teneva un blog, sul quale aveva raccolto tutto il suo itinerario esistenziale. L’ultimo messaggio (pubblicato per lui da amici il 3 gennaio 2022) dice: «Carissimi, questo non è un addio, ma un arrivederci. Ora sono insieme a mia mamma, mio papà e mia sorella e sappiate che sto bene e continuo a fotografare ogni giorno. Non vi preoccupate se non riceverete più mail, messaggi, articoli o telefonate da parte mia, anche se non sarò più presente fisicamente agli eventi e agli incontri voi pensatemi e ricordatevi di me».

Manifestazione a Torino


Finalmente sepolto nel Resurrection Garden

Padre Ottavio Santoro, IMC, è stato fondatore e architetto del Resurrection Garden di Karen, Nairobi, Kenya, un sereno giardino per la meditazione spirituale. Proprio in quel giardino è stato traslato il 16 dicembre durante una solenne cerimonia presieduta dall’arcivescovo Philip Anyolo dell’arcidiocesi di Nairobi.

Padre Santoro è nato il 1° luglio 1933 a Martina Franca in provincia di Taranto. È arrivato in Kenya come missionario della Consolata nel 1959, lì ha lavorato nella parrocchia di Kiriani nella diocesi di Muranga. Tra il 1963 e il 1965 è stato vicerettore del Seminario minore San Paolo a Nyeri e insegnante a Kerugoya. Nel 1965 è partito per gli Stati Uniti e nel 1969 è tornato in Kenya (vedi MC 5/2016 p. 5-7).

È stato un «grande uomo» dalla mente visionaria e dalle capacità creative. Come amministratore regionale dell’istituto in Kenya e Uganda ha anzitutto realizzato la ristrutturazione e l’ampliamento della casa regionale a Westlands, Nairobi.

Padre Ottavio, abile amministratore, è ricordato come l’uomo che ha coordinato la costruzione dei primi edifici dell’Università Cattolica dell’Africa Orientale (Cuea) dal 1986 al 1994. È anche il cervello che ha gestito la costruzione del Tangaza university college, in particolare la sezione di teologia, dove studiano quasi tutti i religiosi del Kenya, e la vicina Allamano House di Karen, che è il seminario di formazione per teologi della Consolata.

Visita da Giovanni Paolo II in Kenya – al Resurrection Garden con padre Santoro e cardinal Otunga

Era legato da profonda amicizia con il compianto Servo di Dio Maurice cardinale Otunga. Con lui ha sviluppato e attuato l’idea di costruire per la Chiesa del Kenya un giardino (prendendo spunto dai sacri monti tipici di molte parti d’Italia) che potesse essere utilizzato per la preghiera e la mediazione. Padre Ottavio, con la benedizione del cardinale Otunga, ha dato la sua saggezza e la sua forza a questo progetto, dando vita al giardino che poi ha diretto e curato fino alla sua morte il 18 novembre 2015.

Fu allora sepolto nel cimitero dei Missionari della Consolata al Mathari, Nyeri. Tuttavia, il desiderio di far tornare i suoi resti a «casa sua», al Giardino della Resurrezione, era vivo fin da allora.

«Il compianto padre Santoro mancherà ai Missionari della Consolata, ai suoi familiari, agli amici, ai cristiani dell’Arcidiocesi di Nairobi e a tutta la Chiesa del Kenya. Sarà ricordato come un amministratore spirituale, innovativo, altruista, amichevole, generoso, ospitale, impegnato e un missionario caritatevole», ha detto Michael, un giovane che ha potuto compiere i suoi studi grazie alla generosità del missionario pugliese.

Tradotto e adattato da Catholic Information service Africa (Cisa)
Nairobi, 17/12/2021

Tumulazione di padre Santoro Ottavio nel Resurrection Garden da lui fondato e costruito.


Festival della Missione

Nel 2022, dal 29 settembre al 2 ottobre, l’Arcidiocesi di Milano accoglierà il 2° «Festival della Missione», promosso dalla Fondazione Missio e dalla Cimi (Conferenza degli istituti missionari presenti in Italia).

Cos’è

Il Festival è un tempo e uno spazio di festa, riflessioni, esperienze in cui narrare la fede così com’è vissuta nelle periferie. I fatti, ma anche e soprattutto ciò che di invisibile, misterioso e prezioso già sta nascendo: un modo nuovo per un nuovo mondo, fondato sulla fratellanza umana e l’amicizia sociale, in cui riconoscerci tutti fratelli e sorelle.

Come si sviluppa

Il FdM è stato lanciato il 25 ottobre 2021 e si sviluppa su due anni sociali (2021/2022 e 2022/2023) in tre fasi: un prima, un durante e un dopo Festival.

Abbiamo costruito un percorso che vorremmo armonioso e fecondo: cerchiamo di preparare il terreno perché possa ricevere e custodire i molti semi che saranno gettati in vista del e durante il Festival, da cui raccogliere in seguito i frutti.

Dove si svolge

Le giornate del Festival si svolgeranno principalmente a Milano, alle Colonne di San Lorenzo, ma gli eventi e le iniziative pre e post Festival interesseranno il territorio, le parrocchie, gli oratori, gli istituti missionari, i monasteri e anche le carceri, di tutte le diocesi italiane che desiderano partecipare a questo percorso, rimodulato secondo il proprio contesto.

Qual è il tema

Vivere per dono è il titolo scelto per il Festival: tre parole dense di significato, che fanno da filo conduttore per tutte le iniziative promosse e organizzate, e da nucleo di riflessione per quelle di confronto e formazione.

Concretamente…

Animazione missionaria: trovate sul sito tre schede, scaricabili, per organizzare incontri formativi del gruppo missionario parrocchiale o della commissione missionaria di zona. Per info:
missionaria@diocesi.milano.it

Catechesi: trovate fiabe e giochi dal mondo raccolte ne I Racconti del Beijaflor, pubblicato da Itl e disponibile nelle librerie cattoliche o su piattaforme online. Trovate il video di una fiaba turca, Kelolan e lo scoiattolo sul canale YouTube del Festival e il testo nella scheda della Giornata Missionaria Ragazzi scaricabile dal sito. Per informazioni: scuola@festivaldellamissione.it

Adolescenti e giovani: per ragazzi e giovani dai 16 ai 30 anni proponiamo un Song Contest. Sei un cantante, un gruppo, un cantautore? Hai una canzone che racconti la tua storia o una storia che parta dalle periferie della società? Inviaci la tua canzone. Tra i brani ricevuti, verranno scelti 10 finalisti che registreranno in uno studio professionale e parteciperanno al concerto finale a Milano il 2 ottobre 2022. Scarica il regolamento e i moduli per l’iscrizione, da effettuare entro il 15 marzo. Firma e invia la tua canzone (testo + mp3) a musica@festivaldellamissione.it

Laudato Si’: vi suggeriamo la visione di Anamei, un documentario su una terra devastata come l’Amazzonia ma anche sulla profezia di speranza che lo stesso papa ha voluto far conoscere al mondo con il Sinodo del 2018. Può essere usato per proiezioni in teatri e sale parrocchiali, e per incontri sull’ecologia integrale. Per vedere il documentario è necessario scrivere a: laudatosi@festivaldellamissione.it e chiedere la password.

Potete trovare informazioni su:
www.festivaldellamissione.it




Vivere perDONO

In preparazione, il secondo Festival della Missione,
in programma a Milano dal 29 settembre al 2 ottobre 2022, all’insegna del

Vivere perDONO

Consapevoli della complessità del tempo che stiamo vivendo, crediamo sia maturo il momento per seminare quell’«immaginazione creativa» e quell’«audacia missionaria» tante volte evocata da papa Francesco: «Questo è il tempo propizio per trovare il coraggio di una nuova immaginazione del possibile, con il realismo che solo il Vangelo ci può offrire».

Per questo siamo ragionevolmente convinti di non dover «abbassare la guardia», lasciandoci abbattere o fossilizzare dalla pandemia, ma scegliamo di vivere il Festival della missione (FdM) come un’opportunità propizia per «riprendere fiato», per «dare voce», per «gridare sui tetti» che Dio è sempre con noi, che ci accompagna nella storia, che custodisce le sue creature e i suoi «messaggeri del Vangelo» e che ama tutti i popoli indistintamente, essendo loro «più preziosi della pupilla del suo occhio».

Per questo ci rimettiamo in movimento e ci affidiamo allo Spirito che, come diceva l’amato cardinal Martini, «arriva prima di noi, lavora più di noi e meglio di noi. A noi non tocca né seminarlo, né svegliarlo, ma anzitutto riconoscerlo, accoglierlo, assecondarlo e seguirlo».

Questa iniziativa vorrebbe diventare uno «spazio di vita» in cui offrire tempi di riflessione e di coinvolgimento attorno agli sviluppi futuri della missione (evangelizzazione e promozione umana) e al ruolo delle nostre missionarie e dei nostri missionari italiani all’estero, più di 5mila, oggi più che mai protagonisti nella cooperazione internazionale del nostro paese.

 

Il logo scelto per il FdM (realizzato da Raffaele Quadri) ha al centro un gomitolo con i suoi fili colorati che si srotolano dal basso. La sua forma a sfera richiama alla mente il nostro mondo. A definirlo però non sono i contorni delle nazioni, ma i colori «fondamentali» dei continenti. Il gomitolo, con suoi fili, richiama anche altre «idee di fondo». Infatti il mondo reale oggi:

  • supera decisamente i confini politici territoriali in cui i popoli si riconoscono;
  • è essenzialmente interconnesso e interdipendente;
  • è palesemente plurale e cosmico.

Ed è molto di più rispetto a quello che possiamo effettivamente dire per definirlo o per contenerlo.

Nel logo, la missione, è simbolicamente e indissolubilmente legata al destino del mondo, soprattutto di chi, nelle nostre realtà, viene scartato e costretto all’«invisibilità». Ecco il perché dello srotolarsi dal basso, facendo partire i nostri sguardi dal Sud e dalle periferie della storia.

La missione svolge sempre un ruolo di svelamento (ben simboleggiato dallo srotolarsi del gomitolo) continuo e mai completo, perché sempre in cammino al passo con l’umanità.

 

Il FdM vorrebbe offrirsi a tutti come momento di incontro e di confronto, nel tentativo di raggiungere una maggiore comprensione di sé stessi, di noi e del presente, condividendo la speranza che batte nel cuore, negli sguardi e in quella vita resa più umana da uomini e donne, missionari e missionarie che hanno il coraggio di essere «noi».

Ci saranno avvenimenti pre festival e post festival.

Ufficio stampa FdM

Per informazioni:

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