Cari missionari 76

Informazioni sbagliate?

Spettabile Redazione,
ho letto il fuorviante articolo del mese di maggio 2016 di Sabina Siniscalchi sulle disuguaglianze. Non voglio commentare quanto scritto ma ritengo che almeno i riferimenti a documenti citati debbano essere corretti.

Non sono andato a cercare «Finanza-Capitalismo» di Luciano Gallino ma ritengo impossibile che affermasse che «chi ha un capitale depositato di 28000 euro paghi 5600 euro senza muovere un dito!». Per fortuna un deposito in banca non costa niente anzi forse può rendere qualcosa e in ogni caso non è segno di grande ricchezza. Se si parlasse di utile da capitale e non di deposito sarebbe diverso. Il rapporto finanziario Fisac Cgil del 2015 non dice «che un dirigente percepisce un compenso medio pari a 4 milioni 326 mila euro all’anno», ma parla di top manager! Un dirigente medio è estremamente lontano da tale importo. Sarebbe opportuno che gli articoli venissero controllati da esperti per non dare informazioni sbagliate e devianti alla massa dei lettori. Cordiali saluti.

Vittorio Bosco
17/05/2016

Egregio sig. Bosco,
lei definisce il mio articolo fuorviante e le informazioni che foisco sbagliate e devianti, questo mi stupisce molto perché il grave fenomeno della crescita delle disuguaglianze, di cui il pezzo parla, è ormai riconosciuto e suscita la preoccupazione di tutte le istituzioni pubbliche e private, non solo per i costi umani e sociali che comporta, ma perché rappresenta un freno alla crescita economica. L’Ocse nei suoi tanti rapporti sulle crescenti disuguaglianze (growing inequalities) afferma che una delle cause del fenomeno è da ricercarsi nell’indebolimento dei sindacati e dei corpi sociali intermedi. La invito a riflettere sul fatto che una debolezza di pensiero si traduce in una debolezza di azione. Quanto alle citazioni, le confermo che quella attribuita a Gallino è pienamente corretta (v. anche pag. 24 di «La lotta di classe dopo la lotta di classe»), mentre mi scuso per l’errore di traduzione del termine top manager, laddove cito non virgolettato il rapporto Fisac Cgil. Cordiali saluti,

Sabina Siniscalchi

 

Mi permetto di aggiungere che un commento al testo di Gallino riporta «[…] mentre un redditiere con un capitale dello stesso importo […]», avallando così quello che giustamente lei interpreta come l’utile da capitale depositato. Non serve comunque fare una battaglia di cifre. Si trattasse anche solo di top manager iperpagati, questo non diminuisce il problema delle diseguaglianze crescenti (e della «scomparsa» della classe media). Ho qui davanti a me il numero 112, giugno 2016, della rivista «In dialogo», notiziario della Rete Radié Resch. Titola: «Sergio Marchionne | Nel 2015 ha guadagnato: 54 milioni e 543 mila euro. 150 mila al giorno. | Che senso ha?». In quest’ultima domanda è sintetizzato tutto il problema: «Che senso ha?».

Islam, dialogo e pace

Buongiorno,
da qualche tempo ho in corso con un amico di infanzia recentemente ritrovato una discussione a distanza sul tema in oggetto rispetto al quale siamo su posizioni divergenti. Il sottoscritto parrebbe un «utile idiota» rispetto alle tesi dell’altro. Vista l’importanza del tema e la mia impreparazione, che ho del resto confessato all’amico, vi chiedo come vecchio lettore della vostra ottima rivista se vorrete dare adeguato spazio ancora alla questione: il Corano è inconciliabile con l’idea della convivenza pacifica con popoli di altre religioni? Il musulmano moderato è fuori dall’Islam in quanto tale? Questa e altre domande fanno parte dello scambio di opinioni con il mio amico che è partito idealmente dalla lettura del vostro editoriale di maggio. Grazie dell’attenzione che darete alla presente. Cordiali saluti

Claudio Solavagione
14/05/2016

Caro sig. Claudio,
raccogliamo il suo invito, anche se non sarà un lavoro facile. Stiamo studiando seriamente un dossier o una serie di articoli sull’argomento, ma deve avere un po’ di pazienza. Indipendentemente da questo lavoro, c’è stato un avvenimento importante che fa ben sperare: la visita del grande imam sunnita di Al Azhar, Ahamad Muhammad Al-Tayyib, a papa Francesco il 23 maggio scorso. È stato un incontro positivo e incoraggiante in questi tempi difficili. Speriamo che una possibile visita del papa al Cairo possa consolidare il cammino iniziato.

Per quanto poi possa valere la mia esperienza personale, in Kenya posso dire di aver sperimentato le due facce opposte dell’Islam: da una parte una radicalizzazione sempre più evidente, dall’altra una bellissima e duratura amicizia con alcune famiglie musulmane con cui conservo ancora legami profondi. Quando le persone riescono a incontrarsi cuore a cuore, con semplicità e umanità, allora non conta religione, ideologia, casta o razza. La tragedia scoppia quando sulle persone prevale lo stereotipo, il pregiudizio o l’ideologia, sia essa politica che religiosa.

E a questo proposito mi viene da pensare che gran parte dei guai nostri con l’islamismo più radicale – diventato una minaccia mondiale – sono frutto di una politica dissennata che ha visto alleati i fondamentalisti cristiani d’America con i fondamentalisti wahabiti dell’Arabia Saudita per far crollare le «dittature» – religiosamente tolleranti – di Saddam Hussein (Iraq), Muhammar Gheddafi (Libia) e Assad (Siria). Quegli stessi fondamentalisti che sostengono ora Trump e la sua agenda piena d’intolleranza, gli stessi che continuano a finanziare in tutto il mondo le sette cristiane più integraliste che dividono le comunità in Africa e in America latina per lasciar spazio, nella divisione, agli interessi delle multinazionali che sfruttano senza controlli (vedi RD Congo e Amazzonia sia dell’Ecuador che del Brasile). Senza dimenticare la passività, divisione e confusione della politica estera dell’Unione europea che tollera (o permette e favorisce?) in paesi come il Kosovo e l’Ucraina la crescita e il prosperare di organizzazioni fondamentaliste, incubatori di foreign fighters e terroristi.

Musulmano Ucciso per salvare cristiani

Aiuto, qualcosa mi è sfuggito, leggo diversi giornali quotidiani tutti i giorni, ma non ho letto, se non in piccolissime recensioni sulla morte, il 18/01/16, di Salah Farah. Ho letto di Valeria Soresin, morta nell’attacco al Bataclan a Parigi, ho letto su Giulio Regeni morto misteriosamente in Egitto. Tutto ciò è molto giusto. Ho guardato in internet il cognome Salah: ho visto pagine su Abdelham Salah, terrorista, ma ancora di più su Mohamed Salah, calciatore della Roma, e del suo infortunio. Ho guardato vari programmi d’informazione e denuncia, ma mai si è parlato di Salah Farah. È solo un vero eroe dimenticato, Salah è l’insegnante keniota che ha difeso con la sua vita  dei cristiani da una morte certa, dicendo ai terroristi che cristiani e islamici sono tutti uguali e che dovevano uccidere tutti. Quindi, secondo me dovrebbe essere considerato un eroe sia per i cristiani che per i mussulmani. Ma nessuno ne parla, come per vergogna: il mondo islamico forse perché ha salvato dei cristiani, il mondo occidentale, forse perché nero, povero e non biondo. Io penso che meriterebbe almeno il Nobel per la pace, magari togliendolo a qualche potente, che ha reso il mondo molto pericoloso. Ora chiudo e vi incito a farvi promotori per una colletta per la sua numerosa famiglia che viveva solo con il suo stipendio.
Saluti

Stefano Graziani
08/05/2016

Ho fatto una rapida ricerca, e, a parte quattro testate, in Italia se ne è parlato poco o niente. Noi stessi abbiamo riportato solo quanto avvenuto il 21 dicembre sulla pagina Facebook della rivista. Il fatto a cui si riferisce il nostro lettore è l’agguato del 21 dicembre 2015 teso dagli Al-Shabab a un pullman diretto a Mandera, una cittadina del Kenya all’stremo Nord-Est del paese, ai confini con la Somalia. «L’uomo, al momento dell’assalto di un gruppo di uomini armati, appartenenti ai miliziani sunniti somali di al-Shabaab, si trovava a bordo di un autobus insieme a un gruppo di passeggeri cristiani e musulmani. Quando gli assalitori hanno intimato al gruppo di viaggiatori di dividersi fra musulmani e cristiani, Farah insieme ad altre persone si è rifiutato, sapendo che i cristiani sarebbero stati massacrati una volta individuati. L’insegnante musulmano si era rivolto agli uomini armati sfidandoli e dicendo loro: “Uccideteci tutti oppure lasciateci andare”. I miliziani, prima di lasciare che il bus proseguisse il suo tragitto per Mandera, avevano ucciso due delle persone a bordo e ne avevano ferite altre tre» (The Post Internazionale del 22/01/2016). «“Appena abbiamo parlato hanno sparato a un ragazzo, e a me”. Dopo quasi un mese in ospedale, Salah non ce l’ha fatta» (Avvenire del 21/01/2016). Salah Farah era un insegnate di 34 anni, padre di cinque figli.

In Kenya l’hanno onorato come un eroe e ci sono state preghiere di cordoglio da parte di tutti i gruppi religiosi ed è stata lanciata sui social media una colletta per aiutare la sua famiglia.

Resta comunque il fatto che spesso sui media non tutte le morti hanno lo stesso valore. La lista potrebbe essere lunga, dalla Nigeria alla Somalia, dalla Siria all’Iraq, non ultimo l’ennesimo massacro di civili avvenuto agli inizi di maggio nel Beni (una provincia della Repubblica democratica del Congo vicina all’Uganda) per mano di un gruppo di miliziani qaedisti ugandesi, uno dei 23 gruppi che si contendono il controllo del territorio a Est del Congo e le sue enormi risorse. Noi stessi abbiamo saputo del fatto solo perché vi sono state vittime tra i membri della famiglia allargata di un nostro missionario. Eppure non è una cosa da poco, oltre 1100 persone indifese, soprattutto donne e bambini, sono state uccise in quell’area negli ultimi tre anni e migliaia e migliaia costretti a fuggire dalle loro case.

E chi ha riportato che «è morta (il 20 maggio) suor Veronica Rackova, religiosa delle Suore Missionarie dello Spirito Santo (Ssp), la medico missionaria slovacca ferita gravemente in un agguato stradale in Sud Sudan il 16 maggio»? Ricordate l’assordante silenzio sul massacro delle quattro suore di Madre Teresa in Yemen all’inizio di marzo? Perfino papa Francesco, con la sua abituale franchezza, si sentì in dovere di stigmatizzare l’indifferenza dei media.

Notizie di questi drammi si trovano sull’informazione di «nicchia», come le agenzie missionarie, le riviste specializzate e quelle di ong e gruppi interessati a questi problemi, e qualche volta anche nelle pagine intee della grande stampa. Ma occorre avere un occhio attento, capace di andare oltre l’anestetizzante informazione di «prima pagina».

Avanti con MC

Caro padre
faccio riferimento alla lettera pubblicata su MC aprile 2016 (lettrice di Bologna), per incoraggiarvi a continuare nell’attività di stampa, spedizione e diffusione della rivista. In data odiea ho provveduto ad effettuarvi un piccolo bonifico che vorrete utilizzare per inviare la rivista a chi ne ha bisogno e trova in essa un utile strumento di informazione e formazione, soprattutto sulla chiesa missionaria ed in particolare di quella dei missionari della Consolata. Buon lavoro!

Email firmata
11/04/2016

A giorni vi faccio avere una piccola donazione per la vostra bella rivista. A volte mi chiedo se possa essere realizzabile una piccola campagna nelle mie tre parrocchie per far conoscere la rivista e favorire una cultura alternativa sui veri problemi del mondo… Forse sarà un’illusione, ma sarei lieto, magari per il mese missionario, di studiare con voi qualcosa. Se avete suggerimenti…

Don D.
17/05/2016

Grazie di cuore a tutti gli amici che ci sostengono e ci incoraggiano a continuare il nostro servizio in questi tempi duri. Come sapete questi ultimi sei anni hanno visto chiudere riviste missionarie una dopo l’altra. Altre stanno davvero lottando per la sopravvivenza proprio in questi tempi. Cose che vi abbiamo già detto altre volte. In MC stiamo facendo il possibile e l’impossibile per «fare bene il bene», convinti che se questa è un’opera voluta da Dio, Lui ci provvederà sempre la forza e i mezzi per andare avanti. Se non è opera sua, meglio chiudere.

Appello per lo ius soli

Agli immigrati di seconda generazione, nati e cresciuti in Italia, deve essere riconosciuto il diritto di cittadinanza. Lo sostengono le riviste missionarie e le associazioni per i diritti dei migranti. Che chiedono sia presentato quanto prima al Senato, per la sua definitiva approvazione, il disegno di legge sullo ius soli.

In sintonia con la campagna «L’Italia sono anch’io», sostenuta da numerose organizzazioni della società civile, noi rappresentanti della stampa missionaria e di associazioni impegnate per i diritti degli immigrati, chiediamo al Parlamento italiano di portare a termine senza ulteriori dilazioni l’iter di riforma della legge che estende il diritto di cittadinanza agli stranieri nati nel territorio italiano. In modo particolare ci rivolgiamo alla presidente della Commissione affari costituzionali, Anna Finocchiaro, affinché stabilisca quanto prima la data per presentare al Senato il disegno di legge, già approvato in prima lettura alla Camera dei deputati il 13 ottobre 2015, per la sua definitiva approvazione.

La vigente legislazione, fondata su legami di sangue, garantisce il diritto di cittadinanza a nipoti di un nonno o nonna italiani, anche senza mai aver messo piede in Italia. A maggior ragione riteniamo giusto e doveroso che lo stesso diritto venga riconosciuto agli immigrati di seconda generazione, nati e cresciuti nel nostro paese, che oggi sono costretti ad attendere fino alla età di 18 anni prima di poter ottenere la cittadinanza. A tale obiettivo mira la riforma della legge 91 del 1992 che assicura ai figli di immigrati nati in territorio italiano da almeno un genitore con permesso di soggiorno di lungo periodo (ius soli temperato) o a seguito di un percorso scolastico (ius culturæ), il diritto a diventare cittadini.

L’approvazione della nuova legge – ne siamo certi – darà un segnale importante a oltre 1 milione di giovani di origine straniera che vivono in uno stato di precarietà esistenziale, che si sentono italiani di fatto, ma non lo sono per la legge. Grazie a questa normativa più della metà di costoro, con un genitore in possesso di un permesso di lungo soggiorno, potrebbero già beneficiare della riforma. L’accesso alla cittadinanza è l’unica via in grado di consentire ai figli di immigrati di essere considerati alla pari, nei diritti e nei doveri, rispetto ai loro coetanei, figli di italiani.

Come cittadini e cittadine italiane riteniamo l’approvazione della nuova legge sulla cittadinanza agli stranieri un atto di giustizia che il nostro Parlamento è chiamato a compiere per rimediare a una discriminazione che penalizza i nostri fratelli e sorelle immigrati di seconda generazione.

Questo documento è stato firmato in data 12 maggio 2016 dai direttori delle riviste aderenti alla «Federazione della stampa missionaria italiana» (Fesmi) e dai responsabili di altri organismi solidali e impegnati nel mondo dei migranti, rifugiati e nomadi. Il testo è stato pubblicato sui siti delle varie riviste (della Fesmi), su Avvenire e Vita (e su Famiglia Cristiana) e consegnato alla presidente della Commissione affari costituzionali, all’inizio di giugno. (Nella rivista è scritto così. perché questo era il piano, ma la realtà è più difficile e si sta ancora lavorando per riuscire a consegnare il testo a chi di dovere).

Nel documento si usa l’espressione «immigrati di seconda generazione» per adeguarsi al linguaggio della legge attuale, ma tale termine non ha senso. Bambini nati in Italia da genitori che qui vivono e lavorano da tempo, non possono essere considerati migranti. Eccetto che anche noi vogliamo introdurre il termine «alieno», lo stesso stampato sulla mia carta d’identità locale quando vivevo in un paese d’Africa.




Cina la storia aiuta il dialogo


Il rapporto tra Cina e gesuiti è antico. Una società di produzione cinese realizza film sulla vita di alcuni gesuiti famosi. Il successo è grande: l’audience raggiunge numeri a 9 cifre. Dopo un decennio (di film) i tempi sono maturi per un progetto ambizioso. Che potrebbe contribuire a migliorare i rapporti Cina – Chiesa cattolica.

La Cina sta riscoprendo la sua storia. E lo sta facendo attraverso i gesuiti. Negli ultimi anni, i film televisivi su Paolo Xu Guangqi, Johann Adam Schall von Bell, Giuseppe Castiglione e Ferdinand Verbiest, tutti missionari gesuiti, sono diventati veri casi mediatici con audience che in Europa non riusciamo neppure a immaginare. Questa riscoperta è frutto di una collaborazione tra le autorità di Pechino e la stessa Compagnia di Gesù. Una collaborazione che va avanti da più di un decennio con risultati che, all’inizio, sembravano impensabili.

Produzioni orientali

Tutto ha inizio alla fine degli anni Cinquanta con la nascita della Kuangchi Program Service, la società di produzione cinematografica dei gesuiti a Taiwan. «La Kuangchi Program Service – spiega Emilio Zanetti, gesuita italiano, che vi lavora – è la più vecchia società di produzione televisiva di Taiwan. È stata creata dai gesuiti nel 1958 e, da sempre, produce programmi educativi e di valore sociale. Nel 2003 i vertici dell’azienda sono entrati in contatto con la Jiangsu Broadcasting Corporation, la più grande società pubblica di produzione televisiva della Cina continentale. Allora il Presidente di Kuangchi era un laico ed era amico della presidentessa della Jiangsu. Dall’incontro è nata l’idea di produrre una pellicola su Matteo Ricci (1552-1610), gesuita, figura molto nota e apprezzata in Cina. L’idea piaceva a tutti, però è apparsa subito irrealizzabile, non tanto per motivi tecnici, ma di opportunità politica. Le autorità di Pechino non avrebbero apprezzato un film su Ricci che era uno straniero e un missionario cattolico (sebbene fosse anche un apprezzato scienziato). Si è così deciso di girare una pellicola su Paolo Xu Guangqi, amico cinese e collaboratore di Ricci, che si era convertito al cristianesimo. In questo modo, si poteva parlare in indirettamente anche del più noto gesuita italiano».

Il governo siamo noi

All’inizio delle lavorazioni, il gesuita Jerry Martinson, allora vicepresidente della Kuangchi, si preoccupa della censura e chiede ai funzionari della Jiangsu: «Ma siete sicuri di voler parlare di cristiani? Che cosa dirà il governo?». Gli rispondono: «Padre, non ci sono problemi: il governo siamo noi». A sottolineare che la Jiangsu è una struttura pubblica che si muove in piena sintonia con le autorità di Pechino. E, se c’è l’avallo della Jiangsu, dal punto di vista politico non ci sono problemi perché loro sanno come scrivere la sceneggiatura, sanno quali punti possono essere affrontati e quali è meglio evitare. «Con il film su Paolo Xu Guangqi – continua Zanetti -, i gesuiti sono entrati nei media cinesi dalla porta principale, cosa che risulta impossibile per qualsiasi altra organizzazione religiosa. Il fatto di essere gesuiti ci ha certamente favoriti perché la Cina e la Compagnia di Gesù hanno una relazione storica, fatta di rispetto e apertura dell’uno verso l’altro».

Audience da capogiro

La pellicola su Paolo Xu Guangqi va in onda nel 2005 su Cctv (China Central Television), la radiotelevisione pubblica cinese. E qui c’è la prima grande sorpresa: l’audience supera i cento milioni di telespettatori. Un risultato insperato, che stimola i gesuiti di Taiwan a rilanciare. L’occasione arriva nel 2006. L’allora Presidente cinese Hu Jin Tao va in visita ufficiale in Germania e nel suo discorso cita Johann Adam Schall von Bell (1592-1666), un gesuita tedesco che, come Ricci, visse e lavorò alla corte degli imperatori cinesi e fu la personalità occidentale che riuscì a raggiungere il più alto grado nella gerarchia dei mandarini (funzionari imperiali). Quando la presidentessa di Jiangsu viene a sapere che Hu Jin Tao ha parlato di Schall von Bell, contatta la Kuangchi proponendo di realizzare un film sul gesuita tedesco. E anche questo film riscuote un ottimo successo di pubblico.

«I buoni risultati raggiunti con Xu Guangqi e Schall von Bell – ricorda Zanetti – hanno convinto Martinson che era possibile insistere su questa strada. Nel 2009, quindi, ha lanciato l’idea di produrre, sempre in collaborazione con la Jiangsu, un film su Giuseppe Castiglione.

In Occidente, Matteo Ricci, Johann Adam Schall von Bell e il belga Ferdinand Verbiest (1623-1688) sono molto conosciuti. Castiglione, invece, è sconosciuto non solo in Europa, ma nel suo stesso paese, l’Italia (a parte una ristretta cerchia di esperti di arte).

In Cina, è in assoluto il gesuita più noto. Anch’io pensavo che Castiglione fosse un artista minore che, grazie alla fortuna, si era fatto un nome in Cina. Mi sbagliavo. Castiglione, nato a Milano, è rimasto 51 anni nella Città proibita e, in quel periodo, ha dato vita a quasi 550 progetti artistici. Ha realizzato dipinti di imperatori, delle loro mogli e concubine e di animali (famosi i quadri sui cavalli). Ma ha anche progettato i padiglioni occidentali dell’antico palazzo d’estate dell’imperatore». Castiglione rappresenta una svolta per la storia dell’arte in Asia perché ha introdotto le tecniche del chiaro-scuro e della prospettiva. Tecniche che ha inserito in una tradizione artistica millenaria, miscelando elementi occidentali e orientali con un gusto e una sapienza unici. Ai suoi tempi, gli imperatori invitavano moltissimi artisti occidentali a corte, ma solo pochi riuscivano ad avere successo. La memoria di Castiglione è talmente viva nei cinesi che il film, e qui è la seconda grande sorpresa, ha un successo enorme: nell’aprile 2015 raggiunge un’audience di seicento milioni di telespettatori.

I tempi sono maturi

Grazie al successo ottenuto dal film su Castiglione, il governo di Pechino si convince a fare un passo avanti e a mettere in programma una serie televisiva su Matteo Ricci. «Stavamo realizzando il film sul pittore gesuita Castiglione – spiega Zanetti -, quando Martinson è andato a Nanchino a parlare con il direttore della divisione documentari della Jiangsu Broadcasting Corporation. E questi gli ha detto: “Adesso i tempi sono maturi per realizzare un film documentario su Matteo Ricci”. Martinson ha colto la palla al balzo e gli ha risposto: “Va bene, noi siamo pronti!”». Le restrizioni sulle tematiche che riguardano gli stranieri e i religiosi sono cadute ed è possibile affrontare anche un tema delicato come quello di Ricci, missionario cattolico, straniero.

Così, quando nel 2015 le riprese del film su Roberto Castiglione terminano, la Kuangchi Program Service inizia a raccogliere fondi per un film sul gesuita di Macerata. «Nel settembre dello scorso anno ho iniziato a raccogliere fondi in Italia e in Germania – ricorda Zanetti -, poi mi sono recato negli Stati Uniti, infine a Taiwan e nella Cina continentale. È stato un lavoro non facile, ma all’inizio del 2016 ho messo insieme il budget necessario. A febbraio il direttore della televisione di Nanchino mi ha dato il via libera per partire e a marzo, gli autori hanno iniziato a scrivere la sceneggiatura».

Quattro pilastri

La sceneggiatura seguirà quattro blocchi tematici, che sono i pilastri della vita e dell’azione di Ricci. Il primo, che si intitolerà «Stringendo amicizie», tratta dell’amicizia tra persone e tra culture, valore portante del messaggio ricciano. La seconda «Oriente che incontra Occidente», riguarda l’amicizia di Ricci con Xu Guangqi. La terza si intitolerà «Curando i mali della Cina», perché Ricci e Xu Guangqi hanno lottato per migliorare il sistema agricolo, per superare la malnutrizione, per difendere l’impero, per minimizzare le perdite provocate dai disastri naturali e per massimizzare le risorse. La quarta «Sincronizzati con il mondo», riguarderà lo sforzo di Ricci per modificare il calendario, semplificandolo e rendendolo conforme a quello occidentale; nel campo della geografia, famoso il planisfero di Ricci con la Cina al centro invece dell’Europa; e della matematica, con gli elementi delle geografia euclidea tradotti da Ricci in cinese.

«Il flusso narrativo – conclude Zanetti – dipenderà dalla sensibilità di Gao Wei, il regista che curerà la realizzazione del film. Probabilmente userà la tecnica del flashback: Ricci anziano ricorda alcuni momenti della sua vita. Ma molto dipenderà anche dalle decisioni che verranno prese in fase di montaggio. Le riprese prenderanno il via a fine giugno, inizio luglio. Il film parla di Matteo Ricci e dei gesuiti in Cina, sarebbe interessante se nel documentario ci fosse anche una testimonianza di Papa Francesco che è gesuita e ha espresso più volte la volontà di recarsi in Cina e di riprendere le relazioni diplomatiche con Pechino. Un sogno? Forse, ma ogni tanto anche i sogni diventano realtà…».

Enrico Casale