Cooperazione e Covid-19, un primo punto sulla situazione

testo di Chiara Giovetti |


Il 5×1000, gli effetti sulle donazioni, le richieste del terzo settore al governo, le attività delle Ong in Italia e all’estero nel contrastare il Covid-19: una prima ricostruzione a tre mesi dall’inizio delle restrizioni.

Il 4 aprile 2020 l’Agenzia delle entrate ha pubblicato gli elenchi della destinazione del 5×1000 relativo all’anno fiscale 2018@. Gli 8.029 comuni e i quasi 57mila enti (volontariato, ricerca sanitaria e scientifica, associazioni sportive dilettantistiche, beni culturali e paesaggistici ed enti gestori delle aree protette) che partecipano alla ripartizione si divideranno un totale di 495 milioni di euro, secondo le scelte di 14.227.193 contribuenti che hanno optato per un’organizzazione o un ente precisi indicandone il codice fiscale, più altre 2.250.352 persone che hanno dato la preferenza soltanto alla categoria.

Circa tre scelte su quattro sono andate a enti del volontariato che sono in totale oltre 46 mila. Di questi, oltre 1.500 non hanno avuto nemmeno una firma e circa 2.500 riceveranno meno di cento euro: dal minimo di 1,47 euro del Consorzio sviluppo ambiente società cooperativa sociale di Roma, ai 99,94 euro dell’associazione il Sentiero onlus di Trento.

Al primo posto si conferma l’Airc, Associazione italiana per la ricerca sul cancro, alla quale le firme di quasi un milione e settecentomila contribuenti hanno portato 47 milioni di euro, che arrivano a 65 milioni totali per effetto della ripartizione proporzionale. Segue Emergency, con oltre 314mila firme e più di 11 milioni, in totale. Fino alla settima posizione, i beneficiari sono gli stessi dell’anno precedente, mentre all’ottavo e nono posto ci sono la Lega del Filo d’Oro e l’ospedale pediatrico Meyer di Firenze – che nel 2017 erano rispettivamente al nono e all’undicesimo posto -, mentre Unicef scende di due caselle collocandosi al decimo posto.

Al di là della posizione, se guardiamo gli importi raccolti dai primi dieci beneficiari, notiamo che le Ong Emergency, Medici Senza Frontiere e il Comitato italiano per l’Unicef, perdono complessivamente oltre 87mila preferenze e 3 milioni 250mila euro rispetto all’anno precedente.

Le difficoltà prima del Covid-19

Info-cooperazione, il blog di riferimento per chi opera nella cooperazione allo sviluppo, ha estratto dalla lista complessiva dell’Agenzia delle entrate i dati relativi a sessanta Ong@ per valutare meglio com’è andata per il settore, anche in prospettiva pluriennale. Il risultato dell’analisi è che le organizzazioni non governative prese in esame hanno ottenuto nel complesso circa 35 milioni di euro, ma solo 12 su sessanta hanno registrato un aumento rispetto all’anno precedente. La variazione fra il 2017 e il 2018 è negativa, con 88mila persone che hanno tolto la preferenza a queste Ong. Info-cooperazione propone una lettura abbastanza netta delle cause: «Inutile dire», si legge nell’articolo, «che uno dei fattori determinanti di questa flessione è la campagna mediatica e politica diffamatoria che le Ong stanno subendo da ormai tre anni. Il 2018 rappresenta sicuramente l’anno in cui lo scontro sulla questione migranti e salvataggi in mare ha toccato il suo apice».

Gli effetti della riduzione del sostegno popolare alle Ong avvenuta nel 2018 sono arrivati in un momento in cui la cooperazione allo sviluppo aveva già registrato un calo nei fondi messi a disposizione dalla legge di stabilità dell’anno precedente. Secondo una rielaborazione dei dati dell’Ocse realizzata dal network di Ong Cini e pubblicata dalla rivista Vita.it@, gli stanziamenti sono aumentati fra il 2015 e il 2017 ma la progressione si è fermata nel 2018. Secondo il Cini, nel 2019 l’aiuto si è svuotato ancora se si guarda alla composizione degli stanziamenti dell’Aiuto pubblico allo sviluppo italiano: dei circa 4,97 miliardi destinati nel 2019, oltre metà andavano al cosiddetto canale multilaterale, cioè servivano a onorare gli impegni presi dall’Italia con l’Unione Europea o con organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e le sue agenzie per finanziarne programmi e interventi. Un terzo delle risorse andavano poi a quella parte di cooperazione bilaterale rappresentata dall’aiuto ai rifugiati in Italia e solo un 12% restava a disposizione di interventi di cooperazione allo sviluppo o di assistenza tecnica nei paesi partner.

L’arrivo del coronavirus e il Terzo Settore

Lo scorso 17 aprile l’Istituto italiano della Donazione ha diffuso i risultati di un primo monitoraggio dell’impatto della pandemia sulle donazioni di oltre 130 organizzazioni non profit nel primo trimestre 2020@. L’81% degli intervistati ha detto di ritenere che l’attuale emergenza abbia avuto un impatto sulle donazioni, mentre secondo il 9,5% non c’è stato nessun impatto e un altro 9,5% ha risposto di non saperlo ancora.

Fra chi ritiene che la raccolta fondi abbia subito modifiche a causa dell’emergenza, l’87,3% dice di aver ricevuto meno donazioni e il 12,7% di avere viceversa raccolto di più.

Guardando ai singoli settori, le organizzazioni che fanno cooperazione – circa il 15% del campione, cioè una ventina – hanno risposto di aver registrato un calo di donazioni nel 100% dei casi; le organizzazioni che si occupano di salute, sanità e ricerca hanno registrato una diminuzione dei fondi in nove casi su dieci, mentre una ogni dieci ha visto aumentare la raccolta. I dati sono simili per gli enti che lavorano nell’ambito dell’emarginazione, dell’assistenza e della cultura (91,90% di calo e 8,10% di aumento) mentre le fondazioni di comunità – cioè quegli enti non profit che nascono per rispondere a bisogni specifici di una comunità locale – sono decisamente in controtendenza: l’83,3% ha visto un incremento a fronte di un 16,7% che ha visto restringersi le proprie entrate per donazioni.

Sul totale del campione, a segnalare un calo del 100% è un po’ più di una su dieci organizzazioni interpellate, mentre un po’ meno di una su dieci riferisce una diminuzione dell’80%.

La conferenza stampa di presentazione del monitoraggio ha visto anche la diffusione di uno studio realizzato fra il 20 e il 24 marzo su un campione di 1.003 intervistati dall’istituto specializzato in sondaggi d’opinione Bva-Doxa, secondo il quale «il 24% della popolazione Italiana dichiara di avere fatto una donazione dall’avvio dell’emergenza coronavirus mirata all’ambito sanitario e ospedaliero».

Le richieste del Terzo Settore

Nel corso della stessa conferenza stampa Claudia Fiaschi, portavoce del Forum nazionale del Terzo settore, ha sottolineato come gli enti del terzo settore italiano abbiano dato prova, in questa emergenza, di una grande capacità di riadattarsi e di riorientare risorse e volontari sulle attività di contrasto alla epidemia e ai suoi effetti.

Tuttavia, ha continuato Fiaschi, il Terzo settore ha fatto tutto questo non senza difficoltà: «Chiaramente il Terzo settore è preoccupato. Arriveremo alla fine dell’emergenza con i serbatoi vuoti, perché quasi tutti gli enti lavoreranno senza flussi di donazioni. Avremo forse molti volontari, ma non è detto che avremo quelle organizzazioni che li organizzavano e ne rendevano così efficace ed efficiente l’impatto». Per questo la richiesta al governo è di prevedere anche per il Terzo settore tutto, non solo quello in forma di impresa sociale ma anche quello non commerciale, delle misure di sostegno al credito e alla liquidità.

L’anticipo dell’erogazione del 5×1000 è un’altra delle richieste avanzate dal Terzo settore nelle settimane successive alla diffusione del coronavirus Sars-Cov-2 e della malattia Covid-19. Diverse organizzazioni hanno infatti chiesto al governo di sborsare entro giugno non solo i fondi del 5×1000 relativi all’anno fiscale 2018 ma anche quelli del 2019, per un totale di circa un miliardo di euro già previsto nel bilancio dello stato.

Nell’iter finora seguito, infatti, il 5×1000 arriva nelle casse degli enti e organizzazioni beneficiarie due anni dopo rispetto a quando il contribuente ha fatto la propria scelta nella dichiarazione dei redditi (quindi nel 2020 arrivano i soldi del 2018). L’Agenzia delle entrate pubblica le liste dei beneficiari – quanto va a chi – di solito fra marzo e aprile e la liquidazione dei contributi arriva entro fine estate; ora le organizzazioni beneficiarie hanno chiesto e ottenuto di anticipare i tempi non solo per l’esborso dei fondi di quest’anno, ma anche dell’anno prossimo e per l’approvazione del decreto che riordini la disciplina del 5×1000 e ne snellisca appunto tempi e modalità di erogazione.

Che cosa stanno facendo le Ong

Diverse Ong di ambito sanitario si sono attivate per dare il proprio contributo alla lotta alla pandemia non solo nei paesi nei quali lavorano ma anche in Italia: solo per citarne alcune, Medici con l’Africa Cuamm che ha donato un respiratore e altra attrezzatura medica all’ospedale Covid di Schiavonia, in provincia di Padova@; Medici senza frontiere ha, fra le altre cose, contribuito alla messa in sicurezza di diverse Rsa delle Marche e messo a disposizione degli ospedali del lodigiano i propri team di medici per attività di formazione, telemedicina e prevenzione@ Emergency contribuisce con l’ospedale da campo a Bergamo e il progetto Domiciliarità all’interno di Milano Aiuta, rete di servizi – ad esempio il trasporto di beni di prima necessità per anziani o persone in quarantena – che il comune di Milano ha messo in piedi per affrontare l’emergenza.

Altre Ong sono invece impegnate in programmi di formazione, assistenza psicologica, facilitazione dello studio a distanza e altre attività nell’ambito sociale: l’Associazione delle Ong italiane (Aoi) ha raccolto sul proprio sito tutte le iniziative portate avanti in Italia e nel mondo dai propri soci@.

Anche nel mondo delle organizzazioni della cooperazione allo sviluppo c’è preoccupazione per la riduzione delle risorse: le reti di rappresentanza delle Ong (Aoi, Cini e Link 2007) hanno avanzato una serie di proposte@  dirette all’Agenzia italiana per la Cooperazione per garantire lo svolgimento dei progetti già in corso, come l’incremento fino al 30% dei contributi alle iniziative già approvate, e per sostenere le organizzazioni, ad esempio non richiedendo la quota di cofinanziamento dei progetti.

Le Ong stanno comunque tentando di usare questo momento per una riflessione sul proprio ruolo, come testimonia il dibattito in videoconferenza del 22 aprile 2020@ fra Monica Di Sisto dell’associazione Fairwatch, Massimo Pallottino, capo del desk Asia Oceania di Caritas Italiana e portavoce della Coalizione Italiana contro la Povertà – Gcap, e Francesco Petrelli di Oxfam Italia e portavoce di Concord Italia, piattaforma italiana della rete di Ong in Europa per lo sviluppo e l’emergenza.

Massimo Pallottino ha evidenziato, in particolare, la necessità di resistere alla tentazione di comportarsi come se si trattasse di un’emergenza come le altre, solo un po’ più grave: «Siamo in un vero e proprio tornante della storia», ha detto Pallottino, invitando poi a concentrarsi su quattro sfide in particolare, derivanti dagli effetti della crisi su diseguaglianze e povertà, sull’ambiente, sulla democrazia e sul rischio di un possibile rafforzamento dei sovranismi.

Francesco Petrelli ha segnalato che nei prossimi due, tre mesi ci si aspettano perdite in redditi da lavoro pari a 3.400 miliardi di dollari a livello globale e che mezzo miliardo di persone (l’8% della popolazione mondiale) rischia di venire spinta sotto la soglia di povertà@. Dei due miliardi di persone che lavorano nell’economia informale, solo una su cinque ha accesso a qualche forma di sussidio. «C’è bisogno nuovamente di una vera stagione di efficaci politiche pubbliche» e di riconoscimento del ruolo dellostato, ai cui servizi – come il sistema sanitario pubblico – ci siamo rivolti in un momento di emergenza come questo.

Monica Di Sisto rilevava poi come «in tutti i paesi d’Europa si ascoltino, in consessi pubblici e trasparenti, i responsabili e rappresentanti della società civile  per discutere sul che fare, mentre in Italia questo non succede».

Chiara Giovetti




Usati e calpestati

testo di Gigi Anataloni, direttore MC |


Scrivere in questi giorni non è facile. La realtà è così complicata che vorrei tanto poter semplicemente tacere. Però un dramma come quello dei profughi siriani non può lasciare indifferenti, anche se siamo confusi dal coronavirus che sta contagiando il mondo. Mi viene inoltre da pensare che ci sia un virus più pericoloso del Covid-19, un virus che attacca cuore, occhi e orecchie, e mina l’umanità che è in noi nel nome della paura, della sicurezza e del potere. Ha contagiato Erdogan, Trump, Putin, i governanti d’Europa, i dirigenti delle multinazionali, i politici nostrani primatisti o opportunisti, i politici africani corrotti, i «giocatori» di borsa e chiunque non vede altro che il proprio interesse. Anche noi, gente comune, siamo a rischio di contagio.

Che migranti o rifugiati o stranieri provengano dalla Siria, dall’America centrale o dalla Libia, non cambia molto: sono tutti carne da macello, numeri da usare in campagna elettorale. Alla spregiudicatezza di Erdogan, alla furbizia di Putin e alla pavidità dell’Europa, fanno da controcanto la boriosa sicurezza di Trump e la cieca ostinazione di Maduro. E così si costruiscono nuovi muri, gabbie e campi per contenerli, si dispiega l’esercito, si penalizza chi soccorre, mentre i trafficanti «lavorano» indisturbati.

Aggiungi a tutto questo la tracotanza di Bolsonaro nell’arraffare l’Amazzonia, la violenza dei fanatici dell’Isis e dei gruppi jihadisti che terrorizzano il Medio Oriente e l’Africa, la mancanza di scrupoli delle multinazionali che per il controllo delle materie prime fanno affari con politici corrotti e gruppi armati di ogni genere in Nigeria, Centrafrica, Mozambico, Sudan e tanti altri paesi, tra cui il Congo Rd (che sta pagando con milioni di morti), sotto lo sguardo impotente delle Nazioni unite e il tacito consenso delle grandi nazioni industrializzate. Aggiungici la corsa agli armamenti che non conosce sosta, il water grabbing e il land grabbing per avere il controllo e il monopolio di risorse essenziali come acqua e cibo, e l’uso spregiudicato dello strumento del debito per mantenere nazioni, pur tra le più ricche di risorse, in condizioni di perenne sudditanza e povertà, e il quadro sarà quasi completo.

Lo so, quando elenco queste cose mi lascio prendere la mano, perché il silenzio dei poveri è assordante, e qui da noi (nel Nord del mondo), soprattutto di questi tempi monopolizzati dalle notizie «virali», di loro non si parla, se non marginalmente.
Il modo in cui i rifugiati siriani sono usati nella battaglia per il controllo del petrolio (e dell’acqua) tra Turchia, Russia, Europa, Usa e paesi tutti del Medio Oriente è vergognoso. Usati e calpestati, senza ritegno, come merce di scambio e ricatto. Come usati e calpestati sono i lavoratori di tante fabbriche in Cina, Bangladesh e altre nazioni dell’Asia, ma anche in Etiopia e altri paesi africani. Usati e calpestati come coloro che scappano dal Centro America e Venezuela, o come i popoli indigeni dell’Amazzonia, dell’India o della Papua Nuova Guinea.

In questi giorni di virus, in un contesto di cambiamenti climatici e guerre (anche economiche) per procura, stiamo vivendo una situazione del tutto nuova. Siamo «costretti» a vivere davvero una «quaresima» che mette a nudo la nostra fragilità. Quando leggerete queste righe, forse (ma proprio forse) il peggio sarà già passato, almeno da noi, e qualcuno riderà, triste consolazione, di altri paesi che ci hanno trattato come degli «untori». Ma «il peggio» sarà davvero passato solo se avremo saputo «leggere i segni dei tempi» e colto l’opportunità di guarire dai mali che ci affliggono dentro, per rialzarci e rinnovare il nostro impegno a vivere in modo responsabile, solidale e fraterno in questo mondo.

Questa «quaresima» forzata può essere un tempo di grazia, nel quale ascoltare dalla nostra «stanza interiore» la Parola del Dio di Gesù Cristo, di un Padre che non minaccia, non ricatta e non punisce, ma invita a diventare davvero noi stessi, più umani secondo la misura del Figlio dell’Uomo, che ha fatto dell’amore, del perdono, del servizio, della mitezza e della gratuità lo stile della sua vita.

È stato bello in questi tempi vedere tanti gesti di amore, servizio e solidarietà da parte di medici, infermieri, volontari e persone ordinarie, giovani e anziane. È il volto luminoso di questa nostra Italia. Un bel segno di speranza per tutti, e di resurrezione. Buona Pasqua.

Lesbo | © Valentina Tamborra

Per un aggiornamento su Lesbo:

AYS Special from Lesvos: COVID-19 and an island bursting at the seams
A special report is written by Joel Hernàndez, who serves as the Head of Advocacy and Development at Refugee Trauma Initiative, an NGO providing psychosocial support to displaced families in Greece.


Ultimo minuto, nota del direttore

Quando ho scritto questo editoriale agli inizi di marzo, ho peccato di ottimismo. La situazione che stiamo vivendo è ancora piena di tante incognite e l’epidemia è diventata una pademia. Ma se ho peccato di ottimismo, non ho certo sbagliato ad avere speranza. E quanto stiamo vivendo, la generosità di tantissime persone e i gesti di incredibile bellezza e gratuità che vengono fatti, confermano tale speranza.

Come missionari e missionarie della Consolata siamo vicini ai nostri famigliari, parenti, amici e benefattori coinvolti in questa pademia. Molti di noi sono nativi delle regioni più colpite. Ciascuno di noi, anche lo scrivente, piange i suoi. Ci sentiamo uniti a tutti e a ciascuno, offrendo soprattutto la nostra preghiera, il nostro partecipato silenzio, le nostre lacrime.
E siamo anche solidali con i nostri confratelli e le nostre consorelle che in Africa, Asia e America latina si trovano ora ad affrontare la pandemia con persone che spesso vivono in condizioni di estrema povertà e disagio sociale.

Che la beata Leonella, infermiera che ha curato per tutta la sua vita, e la beata Irene, che ha scelto di dare la sua vita per gli ammalati di peste, ci siano vicine in questo tempo difficile. Uniti nelal preghiera e nell’affetto.




Coronavirus. Tessere alleanze contro l’angoscia

di Luca Lorusso su amico.rivistamissioniconsolata.it


La paura nasce da un pericolo che vedo. La paura è utile perché mi avvisa che c’è da fuggire o da combattere.
L’angoscia nasce da un pericolo che non vedo. Non so dove fuggire. Non so come combattere.

La diffusione del Covid-19 provoca angoscia, perché non so da dove arriva, non so come difendermi.
Perché forse ce l’ho anche dentro di me. Mi fa intuire che il «male» può abitare pure in me, io stesso ne posso essere veicolo, oltre che vittima.

Una scorciatoia per neutralizzare l’angoscia (con il suo nemico sfuggente e indeterminato) è trasformarla in paura individuando un nemico contro il quale convogliare le mie energie.
Che il nemico sia reale o del tutto immaginario, o una via di mezzo, non importa.
Il nemico mi serve per non sentirmi perso, per avere l’illusione che l’esistenza, in fondo, è un oggetto abbastanza chiaro, lineare, dominabile, risolvibile.

Così, in questi giorni, sentendo montare l’angoscia dentro di me, sto cercando il nemico: prima era «il cinese», oggi, a seconda dei momenti e dei punti di vista nei quali mi pongo, sono «le frontiere aperte» e «l’assenza di sovranità», oppure «la finanza e le lobby internazionali», «i governi Pd-Pdl che hanno tagliato la sanità», «l’industria bellica degli Usa per distruggere la Cina… o quella cinese per distruggere l’Occidente», «l’Europa» e «l’asse franco tedesco che vuole mettere in ginocchio l’Italia», «gli allarmisti», «gli irresponsabili che non stanno a casa», «le multinazionali del farmaco», e così via.

Provare a gestire l’angoscia mi pare una pratica sana, ma la gestione non è semplice, né scontata, né spontanea.

Il primo passo forse può essere quello di rendermi conto che l’angoscia c’è, poi quello di capire da dove proviene (dall’incertezza, dalla strutturale precarietà dell’esistenza, dall’illusione del controllo…), poi quello di accettare sia l’angoscia che la precarietà dell’esistenza e l’assenza di controllo, infine quello di capire che non sono solo, che posso attraversare il male insieme agli altri, e che tutto sta dentro un quadro più ampio, di cui non vedo i confini, un quadro amato e sostenuto da Qualcuno.

Cedere alla tentazione d’individuare un nemico contro il quale scagliarmi, rischia di distrarmi dalla lotta più importante, che non è quella contro chi m’immagino voglia darmi la morte, nemmeno quella contro la morte, ma quella contro il terrore della morte. Non è la lotta contro la fragilità della condizione umana, ma quella contro il rifiuto della fragilità. E io so che il terrore, il rifiuto, la disperazione possono colpirmi più duramente se mi distraggo. La lotta più importante è quella interiore per accettare e accedere a ciò che sono e a ciò che l’umanità è. È quella per tessere e ritessere alleanze: con tutti e con tutto. È quella per rimanere aperto all’altro, accompagnato dall’Altro.

di Luca Lorusso