Iran: più mondo meno cielo
La religione islamica e i suoi precetti vengono associati al governo. Per questo, appena possibile, gli iraniani trasgrediscono. Nella quotidianità, apparenza e realtà divergono in maniera sostanziale.
Teheran. Metrò: io sono ancora in piedi, con la borsa dei libri, il mio strumento del mestiere (sono insegnante). Molte delle giovani passeggere sedute davanti a me hanno lo sguardo fisso ai cellulari, qualcuna chiacchiera con la vicina, dorme, o si rifà il trucco. Magari prova la nuova matita per le labbra appena acquistata da una venditrice ambulante. Ci sono stuoli di venditrici e venditori che percorrono con le loro borse i vagoni del metrò. Il commercio è particolarmente attivo in articoli femminili, in cima quelli per il trucco. A vedere le quantità che se ne consumano, si ha l’impressione che l’Iran debba detenere il record delle vendite in questo settore. A volte le venditrici sono così numerose che devono aspettare il proprio tuo per reclamizzare la propria merce e passare con i borsoni, facendosi largo tra le passeggere in piedi.
Oggi sono particolarmente sfortunata, mi sa che mi faccio tutta la tratta in piedi, circa cinquanta minuti di viaggio. Meno male che siamo all’inizio della giornata e le forze sono fresche. Vedo liberarsi e subito rioccuparsi i posti intorno e dietro di me, ma non quelli davanti, che mi darebbero una sorta di diritto a sedermi. Però sono in buona compagnia. Un po’ più in là un’altra signora cinquantenne aspetta invano che le ceda il posto qualche signorina, poco cambia che sia vestita alla moda o porti l’islamico manto nero. Anche in Iran, e forse più che altrove, l’abito non fa il monaco. Questo non vuol dire che nessun posto venga mai offerto a persone più anziane. A me è successo molto raramente, ma ho notato che ciò accade più di frequente a signore in chador e più in carne di me. Chissà, forse è perché danno più nell’occhio. Ci sono volte, tuttavia, in cui la mancanza di attenzione verso le donne più anziane ha del sorprendente. Un mezzogiorno nel nostro vagone è entrata una signora ultrasessantenne. Persone di quest’età sono un’eccezione e si notano subito nella folla delle giovani. È rimasta parecchio tempo in piedi, visibilmente affaticata, prima che una madre quarantenne con la figlia adolescente, sedute davanti a lei, scendessero e le liberassero un posto. Nel frattempo molte signorine erano scese e altre avevano trovato posto lì intorno, ma nessuna si era offerta di far sedere l’anziana signora.
Quando vado al lavoro stare in piedi non mi pesa molto e quando too, dato che salgo quasi al capolinea, ho maggiori probabilità di sedermi. Nelle sere in cui c’è più ressa, però, so in partenza come andrà a finire, perché a fine giornata la stanchezza rende la competizione per quel bene così scarso ancora più agguerrita. Una sera che ero riuscita a sedermi, alla fermata successiva ho visto salire una ragazza con le stampelle accompagnata da un’amica. Ha percorso il corridoio tra le due file di posti, tutti occupati, ed è andata ad appoggiarsi nell’angolo tra i sedili e la porta. Mi sono guardata intorno: da parte delle passeggere nessuna reazione, io avrei potuto essere la madre di tutte loro, ma era impossibile non cedere il mio posto alla ragazza con le stampelle. Non perché sia particolarmente brava, ma perché non avrei potuto comportarmi in modo diverso. Se l’educazione, religiosa o meno, non si traduce in gesti elementari di attenzione verso gli altri, allora a che serve?
La forma e la sostanza
Come è noto, il rispetto per gli anziani, l’attenzione verso i deboli, sono valori insegnati da tutte le grandi religioni, sono i pilastri delle società tradizionali, e l’Iran non fa eccezione, anzi. In città, come in campagna, qui è ancora normale dare del «voi» ai genitori. Questi valori sono anche ufficialmente predicati. Quindi fa ancora più specie vedere con sempre maggior frequenza comportamenti che vanno esattamente in direzione opposta. Eppure, a pensarci, non è così strano. Il fatto che la religione sia associata a tutto ciò che è pubblico, ufficiale, governativo, ha incoraggiato il formalismo: si mostra ciò che non si è, si appare in un certo modo perché conviene, ripaga in termini di carriera, reputazione, o perché non si può fare altrimenti. È chiaro che ciò porta a uno svuotamento di contenuti: i valori diventano dei gusci vuoti da esibire quando la circostanza lo richiede, ma quando si è in metropolitana, per la strada, in qualsiasi situazione non ufficiale, o in ambito privato, ci si può permettere di ignorarli.
Anche se si tratta di un punto di osservazione molto particolare, le impressioni raccolte durante i miei viaggi in metrò mi sono sembrate degne di nota proprio perché si sono concentrate sul comportamento delle donne in un ambito protetto da altri sguardi (sono vagoni destinati solo a loro, tanto che alcune rimangono a capo scoperto) e dove, quindi, esse si sentono abbastanza libere di mostrarsi quali sono. Anche in strada, tuttavia, un altro ambito dove l’anonimato è quasi sempre garantito, si possono vedere scene interessanti. Gioi fa, ad esempio, dalla vetrina di un negozio ho assistito alla lite di due fidanzati, impossibile non sentire quello che si stavano dicendo. Lui aveva scoperto che lei se l’intendeva con un altro e ora alla suocera, che era presente, spiegava perché non aveva più intenzione di chiedere la mano della figlia. Questa, montata in furia nel vedersi rifiutata, dopo aver chiesto alla madre di tenerle la borsetta, si è messa a tempestare di pugni il fidanzato. Qualcuno dentro il negozio sarebbe voluto andare in aiuto del giovane, ma poi si è optato per la neutralità.
Certo, un simile comportamento fa più impressione in una donna. Una scena a ruoli invertiti sarebbe apparsa più prevedibile. Ma dobbiamo cominciare ad abituarci a questo sconvolgimento di ruoli anche in Iran. In compenso, tra i ragazzi si manifesta una vanità molto femminile. Li vedi per strada, compiaciuti del proprio aspetto, pantaloni attillati, depilati, profumati, freschi di parrucchiere, naso rifatto, palestrati. Il culto del muscolo, e spesso del muscolo facile, fa prosperare le palestre e l’industria degli integratori alimentari.
La propaganda del regime e l’Islam
Anche in Iran, dunque, il Mondo trionfa e il Cielo attrae sempre meno. C’è una fuga dai valori tradizionali e questo vuoto, come da noi, è riempito dai facili pseudo valori dei soldi, del successo, della bellezza fisica, e da tutti gli oggetti di consumo: macchine, vestiti, cellulari e via dicendo, che «riempiono» la vita dei nostri giovani e meno giovani. Questa fuga sembra aver subito un’accelerazione negli ultimi anni, dovuta anche al fatto che questi valori sono associati al regime illiberale che li propaganda e che ha fallito nell’obiettivo di renderli attraenti. Più ci si allontana dai giorni della rivoluzione, dagli anni della guerra con l’Iraq, più si approfondisce il solco tra il discorso ufficiale e il sentire della gente. Si fugge da ciò che è percepito come imposto. Questa posizione è espressa molto bene nella frase che ho sentito più volte ripetere dai miei studenti iraniani: «L’Islam è la religione degli arabi, non la nostra». Salvo poi tacere su quale sia la loro. Alludono al fatto che l’Islam è arrivato in Iran con le scimitarre dei guerrieri arabi. L’antica religione iranica è lo zoroastrismo e i simboli a essa collegati, in effetti, sono tornati di moda e sono esibiti, ma ciò non vuol dire che chi porta al collo il faravahar alato (il simbolo dello zoroastrismo, ndr) abbia idea di che cosa esso rappresenti, o creda nell’insegnamento di Zoroastro.
Le mode e le evasioni del nostro occidente secolarizzato trovano terreno fertile tra i giovani iraniani, che escogitano il modo di praticarle nonostante i divieti. A parte il consumo di stupefacenti, uno dei più alti al mondo, quello di alcolici è cresciuto moltissimo ed è ormai cosa ordinaria nelle città. Li si produce in casa, o li si compra sottobanco. Come qualcuno osservava, in Occidente devi scomodarti ad andare fino al negozio, qui fai una telefonata e in dieci minuti ti recapitano tutto quello che vuoi al domicilio. Le nuove mode sono rapidamente importate. Ad esempio, per rimanere in argomento, ho recentemente scoperto che è arrivata quella delle feste di divorzio. Ma ci sono anche mode locali, dettate dalle circostanze della vita in Iran, come quella di bere alcolici durante i viaggi in macchina, lontani da occhi indiscreti; meglio farlo di sera, quando è più difficile capire quello che avviene all’interno dell’abitacolo.
Se, dunque, non si vede differenza tra i giovani cresciuti in uno stato teocratico e quelli cresciuti in paesi laici, in quell’Occidente secolarizzato che in Iran è ufficialmente indicato come la fonte di tutti i mali, allora viene spontaneo chiedersi: «Oh Repubblica islamica, dov’è la tua vittoria?».
Maria Chiara Parenzo
(seconda parte – fine)