Sostituzione etnica o necessità?


Per controllare l’immigrazione clandestina, c’è (anche) «Frontex», l’agenzia europea per le frontiere e le coste. La sua azione è antitetica a quella delle Ong le cui operazioni di salvataggio sono spesso ostacolate. Se non si vuole ragionare in termini di umanità e solidarietà, il dilemma pratico è tra chi vede i migranti come un pericolo e chi li considera una necessità.

Il 10 giugno 2016, sulla frontiera fra Bulgaria e Turchia, si svolse la cerimonia di inaugurazione della «Agenzia di controllo della frontiera europea», meglio nota come Frontex. Istituita nominalmente già nel 2004, inizialmente aveva funzione di consulenza. Con l’intensificarsi del problema migratorio venne trasformata in un corpo operativo dotato di uomini e mezzi per rafforzare le attività di controllo alle frontiere già svolto dalle singole polizie nazionali.

Il controllo dell’immigrazione clandestina e il rimpatrio dei migranti irregolari sono fra le sue funzioni principali. Funzioni che, ad oggi, svolge con la disponibilità di 750 milioni di euro annui, 2.500 uomini, venticinque imbarcazioni, otto velivoli e un’ampia strumentazione di vigilanza elettronica posta lungo i tratti di frontiera più battuti dai migranti. Da qui al 2027, il progetto è di raddoppiare il bilancio di Frontex e portare il numero di addetti a 10mila unità. Con grande gioia soprattutto delle imprese di armi e strumentazione elettronica che, con Frontex, fanno molti affari. Tra esse le multinazionali Airbus (Olanda), Leonardo (Italia), Thales (Francia) che offrono elicotteri, droni, sistemi di sorveglianza, ma anche imprese minori come Glock (Austria) e Mildat (Polonia) per il rifornimento di munizioni e armi leggere. Secondo l’organizzazione Corporate europe observer, tra il 2017 e il 2019, Frontex si è incontrata con 108 imprese per discutere l’acquisto di fucili, munizioni, dispositivi aerei e marittimi di sorveglianza, rilevatori di esseri umani.

Il «curriculum» di Frontex

Fra il 2020 e il 2022, Frontex è stata oggetto di numerose inchieste da parte di organi dell’Unione europea, perché accusata da prestigiose organizzazioni umanitarie e testate giornalistiche di respingimenti illegali e violazione dei diritti umani.

Ad esempio, secondo le ricostruzioni dell’agenzia giornalistica Lighthouse reports, fra il marzo 2020 e il settembre 2021, si sono verificati ventidue casi in cui Frontex ha collaborato con la polizia greca per rimettere gli immigrati in imbarcazioni di fortuna e respingerli in Turchia. Su un altro fronte, quello del Mediterraneo sud, le organizzazioni Human rights watch e Border forensics hanno documentato che, nel 2021, Frontex ha utilizzato la sua capacità di sorveglianza aerea per intercettare le imbarcazioni che trasportavano migranti e segnalare la loro posizione alla Guardia costiera libica affinché le respingessero in Libia.

Secondo l’Oim, l’Organizzazione  internazionale per le migrazioni, nel 2021 ben 32.425 migranti sono stati respinti sulle coste libiche in aperta violazione con la Convenzione di Ginevra sui rifugiati, secondo la quale «Nessuno stato contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche».

Un rapporto del 13 luglio 2023 delle Nazioni Unite conferma che in Libia «si registrano rapimenti, arresti arbitrari e sparizioni di cittadini e personaggi pubblici per mano di vari attori addetti alla sicurezza».

Onde e Ong

Un’altra strategia, ancora più subdola, utilizzata dall’Italia per ridurre gli sbarchi, è quella di lasciare i migranti in balia delle onde, ossia senza un sistema di protezione in caso di naufragio. Nel 2013 tale attività era svolta da Mare nostrum, ma con la sua chiusura non era più chiaro chi l’avrebbe svolta. Perciò il vuoto venne colmato da alcune organizzazioni umanitarie, fra cui Medici senza frontiere, Save the children, Sea eye, che si dotarono di imbarcazioni e velivoli per individuare le barche di migranti in difficoltà e trarli in salvo. Ma la scelta non piacque ai vari governi che si susseguirono, accusando le organizzazioni umanitarie di complicità con i trafficanti di esseri umani, fecero di tutto per sabotare la loro attività di salvataggio.

Il primo giro di vite si ebbe nel 2017 per mano di Marco Minniti, ministro dell’Interno del governo Gentiloni e proseguì nel 2019 per mano di Matteo Salvini (oggi vicepresidente del consiglio dei ministri, ndr) che fece introdurre multe fino a un milione di euro per quelle navi che fossero entrate nelle acque territoriali italiane senza averne ottenuto il permesso. In seguito, le sanzioni vennero ammorbidite, ma l’attività di salvataggio delle Ong rimane ancora oggi fortemente osteggiata, come mostra il divieto dei salvataggi multipli introdotto dall’attuale governo Meloni, o l’abitudine di assegnare porti di sbarco molto lontani dai luoghi d’intervento.

Clandestini

Mettere piede nel territorio di un paese ricco è la prima sfida di ogni migrante che viaggia come fuggitivo. Ma subito dopo si pone il problema di rimanerci. In Italia, ad esempio, può rimanerci solo chi riceve una qualche forma di risposta positiva alla domanda di asilo (qui sopra una riproduzione del modulo, ndr) avanzata per motivi politici, sociali, razziali, sessuali.

Nel 2022 in Italia si sono registrati 120mila arrivi irregolari per l’88% via mare e il 12% via terra. Nello stesso anno sono state presentate 84mila richieste di asilo, ma quelle accolte sono state meno della metà (48%). In altre parole, due terzi degli arrivati nel 2022 non sono stati autorizzati a rimanere in Italia. E mentre alcuni sono rimpatriati con la forza, i più restano nel nostro paese come irregolari senza alcun tipo di permesso. Senza documenti, senza residenza, senza assistenza sanitaria, senza possibilità di svolgere un lavoro alla luce del sole, sono costretti a vivere come clandestini. Il loro numero in Italia è stimato in mezzo milione e sono una vera manna per caporali, imprese criminali e imprese sommerse, alla ricerca di mano d’opera che, non potendo vantare alcuna tutela legale, può essere sfruttata e tartassata in ogni modo possibile.

Intanto, in Inghilterra, il governo ne aveva studiata un’altra per sbarazzarsi alla radice dei richiedenti asilo. Aveva annunciato di avere stipulato un accordo con il Rwanda che, in cambio di denaro e altri benefici, sarebbe stato disposto a prendersi un certo numero di richiedenti asilo inviati dall’Inghilterra. Ancora una volta i migranti sarebbero stati trattati come pacchi da spedire da una parte all’altra del globo (come vorrebbe fare anche il governo Meloni con i trasferimenti in Albania, ndr). Fortunatamente, nel giugno 2023 la Corte d’appello britannica ha dichiarato il Rwanda un paese non sicuro e ha annullato la decisione del governo. Ma questo ultimo è intenzionato a rivolergersi alla Corte suprema, per cui non è ancora detta l’ultima parola.

Costruire la paura

Nel 2021, mentre in tutta Europa continuava la campagna di terrorismo per convincerci che eravamo sotto la minaccia di un’invasione migratoria che ci avrebbe sommerso, cambiando totalmente narrativa ci veniva chiesto di spalancare le nostre porte a chi fuggiva dall’Ucraina. Una disponibilità che dovevamo avere senza se e senza ma, non importa quanti ne sarebbero arrivati. Allora capimmo che non è una questione di numeri, ma di colore della pelle.

Sensazione confermata anche da altre dichiarazioni successive, come quella del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida il quale, nel corso di una conferenza sulla denatalità, affermò che «non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica».

L’esperienza con gli ucraini dimostra che, se si vuole, l’accoglienza si può fare e anche bene. Al contrario, se non si vuole, l’accoglienza non si fa e quella poca realizzata è fatta male. In Italia, di partiti che hanno incluso l’accoglienza dei migranti nel proprio programma di governo non ce ne sono, mentre ce ne sono di quelli che hanno basato la propria campagna elettorale sulla costruzione della paura verso i migranti della rotta balcanica e mediterranea. E dopo averli dipinti come dei barbari che vogliono prendersi ciò che è nostro, hanno promesso muri, blocchi navali, respingimenti. Oggi quelle forze politiche le abbiamo al governo e non potendo fermare i flussi, cercano di fare la faccia cattiva ostacolando i salvataggi e rendendo più difficile la permanenza di chi arriva (articolo a pagina 27, ndr).

Non garantiscono sufficienti strutture di prima accoglienza e organizzano quelle esistenti sempre più sotto forma di carceri; riducono e depotenziano i centri di accoglienza per richiedenti asilo; demoliscono le esperienze di accoglienza di tipo inclusivo; sguarniscono gli uffici che devono rilasciare i permessi di soggiorno. E dopo avere organizzato la disorganizzazione, gridano al caos emergenziale per alimentare nella popolazione l’avversione verso i migranti.

Anziani e forza lavoro

Una situazione non solo cinica e disumana, ma anche assurda perché il Documento di economia e finanza del 2023, redatto dal governo Meloni, afferma che  di immigrazione l’Italia ne ha bisogno come il pane, addirittura per ridurre il peso del debito pubblico.

Atteso che la popolazione anziana crescerà portandosi dietro un aumento spese, e che le nascite diminuiranno restringendo la forza lavoro, il solo modo per ridurre l’impatto del debito pubblico è tramite il lavoro degli immigrati, i soli capaci di fare aumentare Pil, contributi sociali e gettito fiscale.

Cosa va detto alla gente

Quello che dunque va fatto rispetto alla questione migratoria è un’operazione verità. Alla gente va detto che, senza migranti, la vecchia e infertile Europa è destinata al declino. Va detto che l’unico modo per salvarla è attraverso i migranti che, secondo il citato Documento di economia e finanza 2023, solo per l’Italia, dovrebbe essere nell’ordine di 280mila nuovi arrivi all’anno di qui al 2070.

Chiarito che abbiamo bisogno degli immigrati, dobbiamo fare anche scattare l’umanità che è in noi e il dovere di solidarietà a cui ci richiama la Costituzione. Per cui dovremmo organizzarci per accogliere chi fugge, per favorire una coesistenza sociale e culturale che potrebbe arricchire tutti; dovremmo creare corridoi umanitari che mettano fine alle traversate della morte; dovremmo attivare la collaborazione internazionale per mettere in salvo i migranti che si trovano intrappolati in situazioni violente come succede in Libia.

In una parola, dovremmo togliere la questione migratoria dalle grinfie dei trafficanti di esseri umani e dei trafficanti della politica. Dovremmo riportare il fenomeno nelle nostre mani per gestirlo con spirito di umanità, solidarietà e lungimiranza.

Francesco Gesualdi
(seconda parte – fine)

 




Le migrazioni non sono il problema, ma la soluzione


L’opinione pubblica, alimentata da discorsi d’odio di matrice partitica e suprematista, dipinge le migrazioni più come rischio per la sicurezza del mondo, che come risorsa.
In realtà, coloro che si spostano non sono il problema del mondo. Il problema sono alcune delle cause per cui lo fanno, tra cui – non è inutile ricordarlo spesso – spiccano gli squilibri economici mondiali, i cambiamenti climatici, le guerre, le persecuzioni e le violenze…Proviamo allora a fare un po’ di chiarezza su alcuni aspetti che accompagnano il dibattito attuale sulle migrazioni.

Cominciamo innanzitutto dalle “parole” usate per definire la realtà migratoria.
Il 16 agosto 2023, la Corte di Cassazione italiana ha sancito che i migranti “richiedenti asilo” non devono essere definiti né irregolari, né clandestini, perché il diritto alla libera manifestazione del pensiero, anche come partito politico, non può essere equivalente o addirittura prevalente, sul rispetto della dignità personale degli individui.
Ora, e senza scomodare la magistratura, se il termine “clandestino” affibbiato ai “richiedenti asilo”, esprime un chiaro contenuto spregiativo con valenza fortemente negativa e lesiva della dignità personale degli individui in questione, perché continuare a definire “clandestini” anche tutti quei migranti che fuggono la fame, la siccità, le inondazioni, le carestie dei loro Paesi di origine?

I sempre numerosi partigiani delle “distinzioni stigmatizzanti” replicheranno che questi migranti, che in più di centomila sono sbarcati sulle coste italiane dal primo gennaio fino a metà agosto 2023 (doppiando e triplicando le cifre del biennio precedente, incuranti del colore del governo e delle roboanti dichiarazioni, promesse e inganni elettorali), non hanno seguito le vie legali d’ingresso in Italia e nell’Unione europea. E sono quindi “irregolari perché senza documenti”. Ma perché definirli sempre e solo “clandestini”? Se non per ingenerare e alimentare la paura di chi li vede arrivare e legittimare decreti e misure poco interessate alla dignità umana?
In realtà, non si può non considerare che, dal 22 ottobre 2022 (inizio dell’attuale governo in Italia) ad oggi, tramite i cosiddetti “canali di accesso legale” (reinsediamento, corridoi umanitari, evacuazione umanitarie) solo 1.042 persone sono potute arrivare in Italia, e solo se afghani, siriani, eritrei, sudanesi, etiopi. Dalla Libia, invece, sono potute arrivare solo 101 persone… Numeri chiaramente insufficienti a rappresentare l’alternativa, sicura e legale, alle pericolose traversate del Mediterraneo su imbarcazioni sempre più precarie.

Allo stesso tempo, se nelle traversate della morte c’è una “clandestinità” evidente questa non è dei migranti che, salvati da Guardia costiera o da organizzazioni umanitarie, sono identificabili e identificati nei diversi centri di permanenza, ma è quella dei trafficanti che non sono solamente gli scafisti di turno – scelti spesso tra gli stessi migranti e obbligati a condurre le imbarcazioni per evitare un sicuro naufragio – ma anche e soprattutto i criminali e i loro complici operanti nelle guardie di costiera e di frontiera dei Paesi di partenza o di transito.

Perché allora quando le politiche nazionali e comunitarie parlano di lotta senza quartiere all’immigrazione clandestina non troviamo misure capaci di colpire i veri trafficanti (cui invece si donano motovedette ben armate per contrastare i flussi di migranti o denaro sonante per riportare a terra i migranti e disperderli nei deserti tra Libia e Tunisia) ma solo dispositivi contro gli stessi migranti, chiamati scientificamente “clandestini” per giustificare la crudezza dei mezzi utilizzati?
Perché, con oltre 2.000 morti tra i migranti che da inizio 2023 hanno tentato di raggiungere l’Europa via Mediterraneo, la politica continua ad ostacolare l’opera di soccorso delle navi umanitarie, anche dopo che la teoria del “pull factor” (fattore di attrazione) è stata smascherata come una chiara menzogna ideologica?
Perché continuare a predire espulsioni e rimpatri forzati di quei migranti che non avrebbero diritto a rimanere solo perché fuggono da Paesi incapaci di dare loro vita e arrivano in Europa senza documenti? E tutto questo sapendo che nel 2023 sono stati effettuati solo 2.561 rimpatri, e che per effettuare rimpatri forzati nei Paesi di origine servono difficili e complicati accordi bilaterali, considerando anche che alcuni di essi, come Tunisia e Libia, hanno già dichiarato di non voler in nessun modo caricarsi dei migranti di altri Paesi transitati o partiti dalle loro coste.

Perché, inoltre, invece di eliminare le cause delle migrazioni, tutte forzate per un motivo o l’altro, ci si ostina a voler bloccare (con tutti i mezzi, anche poco leciti) la partenza dei migranti, offrendo ai governanti, in genere poco o per niente democratici dei Paesi di partenza e transito (Libia, Tunisia, Egitto…), denaro e investimenti che hanno poche o nessuna probabilità di servire allo sviluppo socioeconomico di quei Paesi e dei loro abitanti?
In questa prima parte del 2023 sono stati inaugurati “innovativi” accordi di cooperazione tra Unione Europea-Italia e alcuni Paesi di origine e transito dei migranti, fondati su una “vera” cooperazione paritaria tra Paesi del Nord e Paesi africani e non sull’endemico rapporto neocoloniale che da sempre caratterizza le relazioni euro-africane. Tali buone intenzioni sarebbero sicuramente più efficaci se non evidenziassero alcune contraddizioni che ne minano la reale volontà politica. In effetti, l’obiettivo dei Paesi del Nord è chiaramente quello di bloccare “quanto prima” i migranti e non certamente la sviluppo dell’Africa e il benessere degli africani che richiede ingenti investimenti economici e strutturali, in favore delle popolazioni locali (e non dei loro governanti, corrotti e autoritari), tempi lunghi e soprattutto, almeno nelle fasi iniziali del processo di emancipazione economica e sociale, non arresta le migrazioni, ma le incentiva.

Se la paura-ossessione dei migranti continua a dettare la politica italiana e comunitaria verso le migrazioni, diventa sempre più difficile assumere consapevolmente il fatto che la storia dell’uomo è basata sulla migrazione. Non si tratta, certo, di ignorare il modello di Stato nazione, attualmente predominante, ma è arrivato il tempo di ripensare ai criteri con cui decidiamo dove è consentito vivere a qualcuno, considerando che molti dei luoghi relativamente sicuri in cui vivere sul nostro pianeta, cioè le latitudini settentrionali, sono luoghi che soffrono di una crisi demografica elavorativa e sono destinazione di massicce migrazioni che possiamo prevedere, pianificare e gestire oppure rischiare di subire.
In tale prospettiva, solo una cooperazione “disinteressata” (vale a dire più interessata al “bene comune” che agli “interessi di parte”) tra attori locali, regionali e internazionali potrà individuare risposte capaci di superare gli squilibri socioeconomico-ambientali che cambiamenti climatici, fragilità locali e movimenti migratori vivono e vivranno in futuro. E continuare a corteggiare le dittature africane e i Paesi ultranazionalisti europei non è certo la strada più efficace per intraprendere scelte condivise, solidali e rispettose dei diritti umani.

Scalabriniani.net – Congregazione Scalabriniana
Centro Studi Emigrazione Roma | CSER
Roma, 21 agosto 2023