Il piccolo popolo di Batack


A Batack, villaggio nella zona centro occidentale del Camerun, la gente vive prevalentemente di agricoltura. Case di fango e bambù, e costruzioni dai tetti appuntiti in lamiera ondulata (in passato fatti di paglia) costellano il paesaggio come denti d’argento.

Elysée, uno dei giovani maestri della scuola elementare, mi accompagna con la sua motocicletta a fare visita al signor Tchapa, il presidente dell’associazione locale Covideba.

La sua residenza è un vero e proprio museo della cultura camerunense e africana: libri, statue, tappeti, quadri, antiche maschere tribali, reperti e testimonianze della cultura bamiléké.

Tchapa è una figura rappresentativa dell’intera comunità di Batack. Tutti i suoi sforzi sono volti a migliorare le condizioni di vita del villaggio e dei suoi abitanti che si definiscono Petit peuple de Batack.

Con la sua organizzazione è promotore di opere e progetti a favore dell’educazione scolastica, dell’agricoltura, dell’assistenza sanitaria.

Un uomo di grande umanità che, pur vivendo da solo, ha fatto della sua casa un luogo di riferimento per decine di persone con cui condivide spazi e risorse.

Il maestro Elysée

Il popolo bamiléké

Questa zona, ricca di montagne, altipiani e di una vegetazione lussureggiante che incornicia le strade rosso rame, è la casa del popolo Bamiléké, gruppo etnico organizzato in diverse chefferie (chiefdom in inglese, dominii o regni governati da un capo tradizionale, o chef, ndr) risultanti da un complesso movimento di migrazioni e conquiste avvenute nel XVIII secolo e in seguito alla penetrazione coloniale.

Quando i tedeschi raggiunsero la cresta dei monti Bamboutos, designarono la popolazione della zona con l’espressione Ba Mbu Léké, che significa le «popolazioni della valle».

I Bamiléké sono oggi raggruppati in sette dipartimenti (Bamboutos, Haut-Nkam, Hauts-Plateaux, Koung-Khi, Menoua, Mifi e Ndé) e in un centinaio di chefferie, di cui dieci di primo grado (Bandjoun, Bamougoum, Babadjou, Bana, Foto, Banka, Bangang, Bangangté, Batcham e Bafou).

Batack appartiene al dipartimento di Haut-Nkam segnato nel corso dei decenni da guerre tribali che hanno portato all’attuale configurazione delle chefferie.

Tipici villaggi mosernizzati con il tetto in lamiera invece del tradizionale tetto conico, sedi di chiefdom o Chefferie, dette in italiano dominio o capitanato.

Un mosaico di regni

Durante i nostri dialoghi serali, Tchapa mi racconta che nei territori del dipartimento di Haut-Nkam, molti membri dell’etnia Tikar arrivavano come cacciatori o guaritori e, in seguito, si univano in alleanze per soggiogare le popolazioni locali.

Tutta la regione è disseminata di chefferie, comunità locali guidate da capi depositari di un potere ancestrale, garanti dell’ordine, sia sul piano spirituale che sociale, culturale, amministrativo ed economico, delegati in questo dalle istituzioni pubbliche.

Lo chef di Batack è «Sa majesté Nguelieukam Deuna Christophe».

Povertà e diseguaglianze

Con un Pil pro capite di circa 1.500 dollari all’anno nel 2019, il Camerun si colloca a un livello medio basso sia in riferimento al reddito che all’indice di sviluppo umano.

A causa delle precarie condizioni alimentari e sanitarie, l’aspettativa di vita è di circa 59 anni. Quasi il 50% della popolazione vive con meno di tre dollari al giorno e lo sviluppo socioeconomico è fortemente influenzato da disuguaglianze persistenti, soprattutto nelle zone rurali come quella di Batack.

Anche la disuguaglianza di genere è importante.

Questi fattori portano a differenze anche nell’accesso alle opportunità educative.

L’assenteismo degli insegnanti e la corruzione nel ministero dell’Istruzione influiscono sulla qualità della scuola. Solo grazie a giovani insegnanti dediti come Elysée, le piccole comunità come Batack possono garantire l’istruzione ai bambini del villaggio.

L’accoglienza della comunità

Nonostante il contesto di povertà, l’accoglienza che l’intera comunità del villaggio mi riserva è emozionante.

Adulti, donne e bambini, si privano di quel poco che hanno per donarlo a me in segno di ospitalità: un mango, una papaia, un ananas, arachidi, semi di mais, cibo a base di manioca.

Di episodi come questi ne ho vissuti molti negli ultimi anni in Africa come in Asia, ma ogni volta mi fanno pensare, come se fosse la prima, al divario tra la nostra società «iper connessa» e la generosità e la condivisione di cui sono capaci queste popolazioni.

Dan Romeo
www.iviaggididan.it

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Camerun. La speranza è nella scuola


A distanza di tre anni sono ritornato nel paese per documentare una risposta di pace a una situazione di guerra le cui prime vittime sono i bambini. Anche solo una scuola materna diventa segno di speranza in un futuro migliore.

Nel mio viaggio precedente sono stato a Yaoundé, la capitale, e Douala (vedi Mc 04/2020). Questa volta la mia destinazione è il villaggio di Batack nell’Ovest del paese, nella provincia di Bafang, nell’area francofona, a un’altitudine di circa 1.500 metri, in una regione montuosa dalla vegetazione lussureggiante. Andando per qualche chilometro più a Ovest mi sarei addentrato nell’area anglofona della regione, epicentro di conflitti e di violenza etnica. Visitando i villaggi, incontro molte famiglie di lingua inglese, spesso costituite solo da donne e bambini. Fuggite dalle aree di crisi, hanno trovato rifugio nelle province confinanti. Molte di queste madri mi riportano racconti di distruzione dei loro villaggi e di violenze fisiche di cui portano spesso i segni. Segni che per alcune di loro e per i loro bambini, saranno permanenti.

Cameroon – Aprile 2022 – Nord-Ovest – Batack – Bafang District

La crisi umanitaria

Nove regioni su dieci del Camerun sono colpite da crisi umanitarie ormai croniche, causate dalle violenze nel bacino del lago Ciad e nelle regioni del Nord Ovest, aggravate delle azioni di Boko Haram, e nel Sud Ovest, dove perdura il conflitto nella zona anglofona.

A complicare tutto questo si aggiunge anche la presenza, nelle regioni orientali del paese, di oltre 300mila profughi provenienti dalla Repubblica Centrafricana. Il tutto aggravato dal deficit di sviluppo strutturale e da vulnerabilità che sfidano costantemente la popolazione.

Anche la pandemia ha contribuito a complicare la situazione colpendo la popolazione con circa 120mila casi confermati e quasi due mila decessi alla fine di maggio 2022. Numeri lontani da quelli a cui siamo abituati in Europa e nel resto del mondo, ma anch’essi influenti sul peggioramento della generale condizione sanitaria del paese.

La Repubblica del Camerun è al 153° posto su 189 nella classifica dei paesi per l’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite (che misura, oltre al Pil, le disuguaglianze di istruzione, la speranza di vita e altri indicatori).

In questo contesto, il supporto umanitario delle Ong internazionali e, tra esse anche quelle italiane, è determinante.

Natura incontaminata e piste rosse

La difficoltà maggiore nel visitare l’area di Batack è quella degli spostamenti tra i villaggi. Una volta lasciata la strada principale, le uniche vie di comunicazione sono le piste di terra rossa che si snodano nel mezzo della vegetazione. A causa delle piogge intermittenti, queste piste diventano difficili e faticose da percorrere. I nuclei familiari vivono sparsi e isolati in quelli che si definiscono compound (pezzo di terra di proprietà di una famiglia dove sorge la casa, ndr) e quindi visitarli significa percorrere in ogni direzione tutto il versante della montagna. Muoversi con un mezzo diverso da una motocicletta è impensabile. Ringrazio Elysée, uno dei maestri della scuola elementare di Batack, che si è offerto di accompagnarmi con la sua moto.

La scuola materna di Batack

A Batack c’è una scuola materna realizzata grazie alla collaborazione tra la Ong Movimento Sviluppo e Pace e l’organizzazione locale Covideba, il Comitato per lo sviluppo del villaggio di Batack. Il progetto della scuola vuole dare una risposta concreta, anche se parziale e locale, a una situazione di necessità o, meglio, d’emergenza.

Questa situazione è causata principalmente dalla scarsa capacità del sistema scolastico nazionale di creare infrastrutture per l’istruzione e di provvedere insegnanti qualificati sul territorio. Inoltre quelli assegnati dal governo a queste aree disagiate non trovano stimoli né strumenti per  svolgere il loro lavoro.

La mancanza di scuole e di insegnanti non aiuta certo i bambini nella loro formazione, anche perché le famiglie spesso non hanno la capacità di sostenere le spese dell’istruzione a causa della povertà. I minori sono esposti all’abbandono scolastico e, di conseguenza, costretti a lavorare per aiutare la famiglia.

I matrimoni precoci, la delinquenza giovanile, il consumo di droga, la prostituzione ne sono alcune delle conseguenze.

La spesa statale per l’istruzione in Camerun è relativamente bassa rispetto ad altri paesi africani, e la situazione di conflitto degli ultimi anni ha portato alla chiusura, alla distruzione o all’abbandono di molte scuole.

Nonostante questi problemi che affliggono la vita dei piccoli camerunesi, c’è speranza. I tassi di iscrizione all’università in Camerun sono aumentati del 22% negli ultimi 20 anni e l’alfabetizzazione media degli adulti è in costante crescita. Ne è un esempio l’Università di Bafang, che ho avuto modo di visitare, nella quale grazie al supporto di alcune Ong, verranno avviati progetti di formazione e innovazione tecnologica e di sviluppo sostenibile in ambiti come agricoltura, sanità, istruzione e formazione.

Dan Romeo
www.iviaggididan.it  Camerun /1 – continua)

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Camerun. Impresso nell’anima

Testo e foto di Daniele Romeo |


Ci sono viaggi che ti lasciano il segno nell’animo e che ti provano fisicamente. Viaggi che più di altri ti incidono emozioni e si fissano nella memoria. È quello che provo a raccontare con le foto scattate in Camerun nel febbraio 2019.

Per mesi e per una serie di conseguenze dovute al viaggio stesso, non ho avuto modo di visionare attentamente le tantissime immagini scattate attraversando il Camerun da Nord a Sud facendo la spola tra le due principali città del paese, Douala e Yaoundé, e decine di piccoli villaggi dell’interno.

L’obiettivo era quello di visitare e documentare gli ospedali, le comunità e i progetti umanitari gestiti dalle Ong con cui collaboro, per dare voce alle condizioni di vita e ai diritti violati di donne, bambini, anziani.

In particolare, le foto di queste pagine documentano la difficile situazione di un orfanatrofio gestito con tanta buona volontà ma pochi mezzi da una Ong locale, dal nome che richiama la «vedova di Sahrepta» (cfr 1Re 17) che nella sua povertà accoglie il profeta Elia. Questa Ong ha chiesto aiuto a una controparte svizzera per poter continuare a servire i bambini orfani in un paese travagliato.

Insicurezza

In Camerun c’è grande insicurezza a causa di gruppi armati che saccheggiano e distruggono case e causano molte vittime civili, costringendo la popolazione a sfollare verso le grandi città (vedi MC 3/2020 p. 19).

Tale insicurezza ha contagiato anche me che, pertanto, ho viaggiato con l’ansia che qualcosa potesse accadermi da un momento all’altro in quel territorio a tratti fortemente militarizzato.

In molti si trasferiscono in città dalle aree rurali. Sono in cerca di lavoro e di una vita migliore. Tuttavia, tanti finiscono per vivere in baraccopoli sovraffollate dove il pericolo di malattie come la malaria e il tifo è altissimo.

Douala è la capitale della provincia del litorale. Si trova sulle rive del fiume Wouri, a 30 km dalla costa atlantica meridionale del paese. È la città più grande con circa tre milioni di abitanti.

Bambini, prime vittime

I bambini sono la parte più colpita da questa situazione e di conseguenza la più vulnerabile della società. In Camerun i loro diritti sono fortemente minacciati. Migliaia di bambini non frequentano la scuola e non hanno accesso ai servizi sanitari. Oltre il 97% dei bambini di Douala è iscritto alla scuola elementare e, sebbene questo dato sia superiore alla media nazionale, molti non completano l’istruzione primaria. I bambini delle famiglie povere l’abbandonano, spesso, a causa delle difficoltà nel raggiungere la scuola o dei costi non sostenibili per libri, divise scolastiche e altre spese.

Migliaia di bambini vagano per le strade abbandonati al loro destino per tante cause diverse: morte dei genitori, case distrutte, violenza famigliare, disturbi mentali, povertà.

Spesso sono gli stessi bambini che devono trovare il modo di sostenere la famiglia. A Douala se ne possono vedere molti che raccolgono rifiuti o vendono oggetti per strada. Alcuni cadono nella rete criminale dello sfruttamento sessuale.

Non ci si può abituare

Documentare le condizioni dei bambini abbandonati al loro destino è una costante nel mio lavoro. Nonostante questo, non mi ero mai trovato di fronte a condizioni di vita così estreme da farmi sentire in imbarazzo a fotografare e desideroso di conservare solo la memoria del cuore.

Però nessuna descrizione, nessun racconto può narrare meglio di un’immagine lo stato in cui migliaia di bambini vivono la loro quotidianità negli orfanotrofi. I loro occhi, i loro volti, i loro sorrisi segnati da un destino infausto. Solo pochi di loro riusciranno ad avere, un giorno, una vita diversa, lontana da violenze, povertà, fame, malattie.

Migliaia di bambini, da pochi mesi di vita fino all’adolescenza, vengono accolti in luoghi fatiscenti. O in comunità gestite da singole persone o piccoli gruppi di volontari locali con il supporto, a volte, di organizzazioni umanitarie o piccole associazioni internazionali.

Le immagini raccontano le loro storie e i luoghi in cui trascorrono le loro giornate, seguono un percorso scolastico precario regolato da una disciplina ferrea rafforzata da punizioni corporali, vivono in condizioni igieniche discutibili e vengono curati alla bell’e meglio. Luoghi però dove almeno una volta al giorno trovano un pasto.

Le loro stanze sono fatte di muri screpolati, letti a castello, ammassi di vestiti e oggetti di ogni tipo, scarpe, specchi, rifiuti, e odori acri e intensi. Impossibile negare loro un abbraccio, un sorriso, una carezza. Il loro desiderio di sperimentare relazioni nuove li porta a correre verso di te per accoglierti, abbracciarti, sorriderti. Tu rappresenti, putroppo solo per qualche ora, uno spiraglio a cui aggrapparsi per fuggire da un mondo, quello dell’orfanotrofio, fatto di affetti instabili e di privazioni relazionali.

Daniele Romeo
www.iviaggididan.it




Camerun: Uniti, ma divisi

testo di Enrico Casale |


Un conflitto continua a mietere vittime nelle due regioni anglofone del Camerun. Dalle proteste del 2016 alla guerra separatista iniziata nel 2017. Mentre si parla di cambiare la forma dello stato.

La guerra continua. Nel silenzio dei media internazionali. In Camerun si sta combattendo un conflitto sottotraccia, ma non per questo poco letale. Negli ultimi tre anni sono morte almeno tremila persone (ma la stima è per difetto), in migliaia hanno lasciato le proprie abitazioni e almeno 40mila camerunesi hanno cercato rifugio all’estero, in particolar modo in Nigeria. Lo scontro vede opposte le forze armate e la polizia legate al governo francofono di Yaoundé e i movimenti indipendentisti delle regioni anglofone. La crisi è esplosa nel 2016, ma ha radici profonde, che sono da ricercare nel colonialismo e nelle sue politiche.

Pullmini bruciati al bus terminal di Buea. (© – / AFP)

Retaggio coloniale

Il Camerun diventa colonia tedesca nel 1884 con il nome di Deutsche Kolonie Kamerun. La sconfitta degli Imperi centrali nella Prima guerra mondiale, impone alla Germania un duro scotto in termini economici e territoriali. Le colonie africane di Berlino sono suddivise tra le nazioni vincitrici: l’Africa Tedesca del Sud Ovest (l’attuale Namibia) al Sudafrica; la parte principale dell’Africa orientale tedesca alla Gran Bretagna (l’attuale Tanzania) e una piccola parte al Belgio (gli attuali Ruanda e Burundi). Il Camerun e il Togoland sono infine spartiti tra la Francia e l’Impero britannico: dell’ex Camerun Tedesco i 4/5 sono assegnati alla Francia così come i 3/5 del Togoland, mentre all’Impero britannico vanno i 2/5 del Togoland e 1/5 del Camerun. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, anche in Camerun nascono i primi movimenti indipendentisti. Il partito «Unione delle popolazioni del Camerun» si schiera apertamente per il distacco dalla potenza coloniale, ma viene bandito negli anni Cinquanta e duramente represso. Nel 1960 il Camerun francese diventa però indipendente con il nome di Repubblica del Camerun sotto la guida del Presidente Ahmadou Ahidjo. In quel frangente, la parte meridionale del Camerun britannico si stacca unendosi al Camerun francofono per formare la Repubblica federale del Camerun. Successivamente il paese cambia nome, perde la sua caratteristica federale e, nel 1972, diventa Repubblica unita del Camerun e, poi, nel 1984, Repubblica del Camerun.

(© STRINGER / AFP)

Lingua e petrolio

«Siamo intervenuti tardi, non quando era necessario farlo – ha recentemente dichiarato in un’intervista al canale Equinoxe Tv il cardinale camerunese Christian Wiygham Tumi -. Il problema doveva essere affrontato nel 1972, quando il paese cambiò perdendo la sua connotazione federale e assumendo il nome di “repubblica unita”». Questa svolta è stata il segno della progressiva centralizzazione della politica e dell’amministrazione. Ciò ha significato anche uno spostamento del baricentro decisionale verso le élite francofone.

La scoperta di grandi giacimenti petroliferi nella penisola di Bakassi e la vittoria della disputa con la Nigeria ha inasprito ulteriormente le tensioni latenti tra le regioni di lingua inglese e il governo centrale. Yaoundé ha infatti affidato lo sfruttamento dei giacimenti a grandi multinazionali, in particolare Perenco (anglo-francese), Total (francese), Shell (anglo-olandese) e ExxonMobile (statunitense), ma i profitti non sono stati equamente redistribuiti tra la popolazione. Anzi, la presenza di queste abbondanti riserve di idrocarburi ha reso ancora più stringente il controllo di Yaoundé su quelle regioni. Anche perché l’economia del Camerun dipende in larga parte dall’attività estrattiva, che rappresenta il 40% del Pil nazionale.

Regioni in fiamme

La scintilla che porta all’incendio scoppia nel 2016. Nelle due regioni anglofone, gli insegnanti e gli avvocati organizzano scioperi e manifestazioni in strada. Protestano contro l’invio di giudici e insegnanti francofoni che, a loro dire, non avrebbero la preparazione adeguata per gestire i processi secondo la common law (il diritto consuetudinario di matrice britannica in vigore nelle due regioni) e non sarebbero in grado di seguire i programmi scolastici incentrati sulla lingua inglese. In un primo momento, il governo di Yaoundé si mostra disponibile a negoziare, ma poi il numero dei manifestanti aumenta progressivamente e le loro richieste si fanno più ambiziose, fino a invocare una maggiore autonomia per le due regioni. Di fronte a queste richieste, già da tempo avanzate dai nazionalisti anglofoni, il governo reagisce. Nelle due regioni anglofone vengono inviati reparti delle forze armate e rinforzi delle forze dell’ordine. I militari e gli agenti usano la violenza e ricorrono agli arresti di massa. La situazione degenera rapidamente. Come spesso accade in queste situazioni, la violenza chiama violenza. In seno ai gruppi separatisti, nascono formazioni armate che non solo reagiscono duramente alla repressione, ma si spingono, nel settembre 2017, a chiedere la secessione dal Camerun delle regioni anglofone, e la nascita dello Stato indipendente di Ambazonia (da Ambas Bay, la regione a Ovest della baia del fiume Mungo). Questi gruppi non sono più composti da compassati avvocati e insegnanti, ma da milizie bellicose che, secondo l’International Crisis Group, contano tra i due e i quattromila combattenti. Negli scontri sia le forze separatiste sia i militari commettono atrocità soprattutto nei confronti dei civili.

Il cardinal Christian Wiyghan Tumi chiacchiera con il leader storico dell’ opposizione, John Fru Ndi, durante una sessione degli incontri  di dialogo promossi dal presidente Biya, in Yaounde, Cameroon, il 30/09/2019. (© Stringer / AFP)

Violenza continua

A tre anni dall’inizio delle tensioni, le violenze non si fermano. «Molte case sono state bruciate e scontri armati continuano ogni giorno – ci racconta una fonte locale che vuole rimanere anonima -. Alcune persone sono rimaste uccise. Le pattuglie di polizia spaventano la popolazione, soprattutto gli anziani che non hanno mai vissuto una simile atmosfera di tensione».

L’economia e la vita sociale delle regioni anglofone sono bloccate. «I continui scontri – prosegue la fonte – rendono impossibili le attività della società civile. Anche in campo economico le difficoltà sono crescenti da quando la maggior parte delle imprese ha cessato di operare in loco. Le due province vivono di agricoltura, ma anche coltivare i campi è complicato. Molti contadini sono stati uccisi mentre lavoravano».

Nel mirino è entrata anche la Chiesa cattolica. «Negli ultimi mesi si sono registrati molti rapimenti di sacerdoti – continua la nostra fonte -. Ciò ha costretto Andrew Nkea Fuanya, il vescovo di Mamfe, a chiudere tre parrocchie nella sua diocesi. George Nkuo, vescovo di Kumbo, è stato rapito. Non solo le autorità religiose, ma anche i civili vengono rapiti quotidianamente per essere liberati dietro riscatto. Detto questo, va aggiunto che gran parte della popolazione preferisce i miliziani alla polizia. I vescovi chiedono che si apra un dialogo inclusivo attraverso il quale le parti si confrontino senza pregiudizi. Di fronte alle costanti minacce, soprattutto da parte dei separatisti, la Chiesa cattolica cerca di avvicinare i ragazzi per educarli ai valori della vita».

© Stringer / AFP

Stato federale?

Di fronte a questa crisi, la comunità internazionale non è rimasta immobile. A gennaio 2019, gli Stati Uniti hanno diminuito gli aiuti militari al Camerun facendo riferimento alle gravi violazioni dei diritti umani perpetrate nelle regioni anglofone. A maggio, sempre gli Usa, hanno promosso il primo vertice del Consiglio di sicurezza dell’Onu incentrato sul conflitto anglofono. E, a luglio, la Camera dei rappresentanti di Washington ha adottato la risoluzione n. 358 che chiede al governo del Camerun di ricostituire il sistema federale per tentare di risolvere la crisi. Sempre a luglio, la Svizzera, che da secoli ha adottato un sistema federale ed è un altro partner importante del Camerun, ha avviato un tentativo di mediazione indicando al presidente camerunese Paul Biya proprio il modello svizzero incentrato sui cantoni che nei secoli ha garantito la convivenza tra comunità linguistiche diverse. Anche sul fronte interno le cose stanno cambiando. L’opinione pubblica moderata francofona è sempre più incline all’idea di uno stato federale, da tempo invocato dai moderati anglofoni.

Le pressioni internazionali e nazionali hanno portato all’inizio di ottobre alla convocazione di un dialogo nazionale inclusivo per affrontare la situazione. Nell’incontro si è parlato di uno statuto speciale per le regioni anglofone, dell’immediato rilancio di alcuni progetti come la costruzione di infrastrutture: aeroporti e porti marittimi nelle due regioni, dell’integrazione degli ex combattenti nella società e del ripristino del vecchio nome, Repubblica unita del Camerun. Come segno di distensione, poi, il presidente Biya ha ordinato di fermare i procedimenti giudiziari contro più di 300 prigionieri, tra cui il leader dell’opposizione Maurice Kamto del Crm (Camerun renaissance movement).

Un provvedimento, quello dell’amnistia, non ritenuto sufficiente dai separatisti che continuano a chiedere la liberazione di tutti i prigionieri reclusi dal 2016, compresi i dieci leader condannati all’ergastolo lo scorso agosto.

Nonostante il dibattito in corso, la violenza continua. «I civili continuano a essere uccisi senza pietà e le abitazioni degli anglofoni vengono bruciate – conclude la nostra fonte -. La vita è davvero difficile perché a soffrire è soprattutto la gente comune. Il governo pensa ancora di poter decidere da solo. La soluzione migliore è solo un dialogo inclusivo che vada alla radice della crisi e trovi una soluzione una volta per tutte».

Enrico Casale

(© ALEXIS HUGUET / AFP)