Botswana. Alternanza dopo 58 anni
Le elezioni dello scorso 30 ottobre in Botswana sono state un terremoto politico. Per la prima volta nella sua storia, il Partito democratico del Botswana (Bdp) – al governo dall’indipendenza ottenuta nel 1966 dai britannici – ha dovuto cedere il potere. A vincere è stato l’Ombrello per il cambiamento democratico (Udc), il principale movimento di opposizione presente nel Paese.
Si è trattato di una svolta storica, soprattutto se letta attraverso i numeri: il Bdp, che mai aveva perso la maggioranza in Parlamento, ora è addirittura la quarta forza dell’Assemblea nazionale. Il partito è crollato dai 38 seggi del 2019 a soli quattro, perdendo anche la presidenza del Paese. E così si è aperto uno scenario inedito, nel quale si è verificata una transizione di potere pacifica, a conferma della reputazione di good governance di cui gode il Botswana. A prendere il posto del presidente uscente, Mokgweetsi Masisi, è stato il leader dell’Udc, Duma Boko.
Ma perché il Bdp è crollato in modo così netto? Le ragioni sono molte e profondamente interconnesse. C’entrano, ad esempio, il sistema elettorale, le difficoltà economiche, la disoccupazione e la disuguaglianza crescenti.
Anche se l’ex partito di governo ha ottenuto il 30% del consenso popolare (secondo solo al 37% dell’Udc), è appena il quarto raggruppamento parlamentare. Il motivo è da ricercare nel sistema elettorale, il first-past-the-post di tradizione anglosassone che privilegia la governabilità a scapito della rappresentanza. Infatti, nei collegi uninominali, in cui è suddiviso il territorio nazionale, l’unico seggio in palio è assegnato al candidato che ha ottenuto la maggioranza dei consensi, anche solo di un punto percentuale. Dunque, in tanti casi, i voti che il Bdp ha ricevuto non si sono tradotti in vittorie individuali e in seggi parlamentari.
In realtà, il sistema elettorale botswano non ha fatto altro che certificare un declino che era già iniziato da tempo. D’altronde, negli ultimi anni, il Bdp trasmetteva sempre di più la sensazione di tenere più al potere che alla crescita del Paese. Infatti, mentre tra i cittadini cresceva la percezione di essere governati da un sistema corrotto e poco trasparente, molti indicatori economici e sociali avevano imboccato una traiettoria discendente.
L’economia, ad esempio, è ancorata alla produzione di una sola commodity, i diamanti che rappresentano oltre l’80% delle esportazioni del Paese e contribuiscono a più del 50% del Pil. Finora, i tentativi di diversificazione economica sono stati molto limitati. Così, quando lo scorso anno il prezzo dei diamanti sul mercato internazionale è crollato, il Botswana ha risentito del colpo: nel 2024, secondo il Fondo monetario internazionale, il Pil è cresciuto solo dell’1% (a differenza del 2,3% registrato nel 2023 e soprattutto del 5,5% del 2022).
Con il rallentamento dell’economia, sono sempre più forti le preoccupazioni per disuguaglianza e disoccupazione, due problematiche che storicamente attanagliano il Botswana. Anche se il Paese non raggiunge i tassi del Sudafrica (primo al mondo in entrambe le classifiche), si colloca comunque tra gli Stati con le percentuali più elevate nella regione.
Oltre il 27% della popolazione è senza lavoro. Ma è se ci si concentra sulla disoccupazione giovanile che il dato diventa ancora più preoccupante: il 34% dei giovani tra 15 e 34 anni è disoccupato. Al contempo, cresce anche la disuguaglianza: con un indice di Gini pari allo 0,53, il Botswana è tra i Paesi più iniqui dell’Africa australe, non lontano dallo 0,63 del Sudafrica (l’indici Gini misura la disuguaglianza della distribuzione di reddito, il volore 0 indica equidistribuzione, quello 1 che tutto il reddito è percepito da una sola persona, ndr).
A fare da contraltare ai pochi che possiedono molto, c’è infatti un’ampia fetta della popolazione (più del 60%) che vive con meno di 6,85 dollari al giorno, la soglia della povertà individuata per i Paesi a medio alto reddito (gruppo in cui le Nazioni Unite annoverano anche il Botswana). Cifre considerevoli e frutto anche degli scarsi investimenti sul piano sociale, dall’istruzione alla salute. Nel Paese, ad esempio, si registra uno dei tassi di mortalità materna più alti al mondo tra gli Stati a medio alto reddito: 175 decessi ogni 100mila nati vivi.
L’opposizione ha risposto a tutto ciò con la promessa di ricostruire l’economia, creare posti di lavoro, e combattere la corruzione (di cui il Bpd stesso è stato più volte accusato). Oltre a puntare sulla diversificazione della produzione, Boko e i suoi alleati hanno promesso di aumentare il salario minimo mensile da 3.400 pula (la moneta nazionale) a 4mila (circa 300 dollari). Ma anche di creare 450-500mila nuovi posti di lavoro (una quantità abbastanza significativa per una popolazione di 2,5 milioni di persone) in diversi settori.
Promesse che, stando al risultato delle elezioni, hanno fatto presa tra la popolazione. Ora sta ai nuovi leader del Paese cercare di sviluppare delle politiche sociali ed economiche realmente alternative a quelle del vecchio regime.
Aurora Guainazzi