Profumo di banane
T-shirt bianca, capelli corti, faccia pulita. Dice: «Oggi abbiamo fatto la storia, le famiglie ecuadoriane hanno scelto il nuovo Ecuador, hanno scelto un paese con sicurezza e lavoro. […] Andiamo verso un paese di realtà dove le promesse non rimangono nella campagna elettorale e la corruzione viene punita». Un discorso per nulla sorprendente: più o meno, le parole sono quelle che dicono tutti i candidati subito dopo aver saputo della loro vittoria. Sorprendente è invece l’oratore, vincitore non previsto alla vigilia delle elezioni.
Con i suoi 35 anni, Daniel Noboa, imprenditore e politico di centrodestra, sarà il più giovane presidente dell’America latina, battendo anche il cileno Gabriel Boric (37). È figlio di Álvaro Noboa, l’uomo più ricco dell’Ecuador, a capo di un impero di banane e cioccolato (marchio «Bonita») e di oltre cento imprese, per cinque volte candidato alla presidenza del paese. Daniel è sposato con Lavinia Valbonesi, giovane influencer di padre italiano. Al secondo turno delle elezioni (domenica 15 ottobre), Daniel Noboa ha sconfitto Luisa González, candidata di centrosinistra sponsorizzata da Rafael Correa, presidente dal 2007 al 2017, oggi esiliato in Belgio. Il neoeletto, che succede al banchiere Guillermo Lasso, si troverà a governare un paese in gravi difficoltà.
Fino a poco tempo fa, l’Ecuador – 17 milioni di abitanti (con il 7,7% di indigeni) – era una regione (relativamente) tranquilla dell’America Latina, continente noto per ospitare i paesi con i più alti tassi di omicidio al mondo (El Salvador, Venezuela, Guatemala, Haiti). Da cinque anni la situazione è radicalmente mutata. Stretto tra Perù e Colombia, i due maggiori produttori mondiali di coca, l’Ecuador è diventato crocevia del narcotraffico, affare gigantesco gestito da gruppi internazionali e bande locali.
L’esplosione di violenza è stata di tale portata da spingere decine di migliaia di ecuadoriani a lasciare il paese e tentare di emigrare negli Stati Uniti, formando parte di un’ondata migratoria che sta mettendo in gravi difficoltà l’amministrazione Biden. Alla criminalità organizzata si deve, tra l’altro, l’assassinio – avvenuto a Quito lo scorso 9 agosto – di Fernando Villavicencio, giornalista investigativo e autorevole candidato alla presidenza.
Due giorni prima delle elezioni avevamo chiamato Quito per raccogliere un commento di José Ignacio López Vigil, fondatore e responsabile di Radialistas Apasionadas y Apasionados, associazione senza scopo di lucro che produce programmi radiofonici per molte emittenti popolari dell’America Latina. E il nostro interlocutore era stato esplicito e molto duro. «Entrambi i candidati – ci aveva spiegato – sono pessimi. L’unico per il quale valeva la pena votare, Fernando Villavicencio, è stato assassinato dalla mafia e dai narcotrafficanti. Luisa González è un’evangelica pro-vita, un burattino di Correa. Il suo progetto è l’amnistia per l’ex presidente e la ricandidatura di questo farabutto nel 2026. Daniel Noboa è il figlio di un papà miliardario. Neoliberista. Non serve al paese. Detto questo, tra i due preferisco quest’ultimo».
Paolo Moiola