Le cause dell’autismo


Perché le sindromi autistiche sono in aumento? Da anni è stata dimostrata la responsabilità dell’inquinamento ambientale sulle modificazioni genetiche. Mentre non esiste alcuna correlazione tra autismo e vaccini.

Dopo aver visto (MC di marzo) le principali caratteristiche della patologia autistica, in questo articolo cercheremo di fare il punto della situazione per quanto concerne i risultati della ricerca scientifica sulle cause di questa malattia.

Inizialmente – lo abbiamo già ricordato – si pensava che l’autismo dei bambini fosse una conseguenza di comportamenti e stili educativi cattivi da parte dei genitori. Questo approccio alla malattia era esclusivamente di tipo psicologico. Si è poi capito che, in realtà, si tratta di un disturbo dello sviluppo biologicamente determinato. In un primo momento se ne sono ricercate le cause solo nell’inquinamento ambientale, senza considerare i fattori genetici, ma una ricerca pubblicata su Nature nel 2014 ha chiarito che nelle sindromi dello spettro autistico (Autistic Spectrum Disorders, Asd) sono coinvolti almeno un centinaio di geni con mutazioni spontanee, non trasmesse dai genitori. In realtà modificazioni genetiche e cause ambientali sono strettamente correlate. Del resto non si potrebbe pensare solo a una causa genetica perché i geni evolvono troppo lentamente per essere considerati gli unici responsabili del drastico aumento dell’autismo nel giro di un paio di generazioni. Se invece ragioniamo in termini di epigenetica (cioè dello studio delle modifiche che variano l’espressione genica pur non alterando la sequenza del Dna), allora possiamo capire la relazione tra l’inquinamento ambientale e l’insorgenza di questa sindrome. Secondo Ernesto Burgio, medico pediatra, ricercatore dell’European Cancer and Environment Research Institute e coordinatore del comitato scientifico Isde Italia (International Society of Doctors for Environment), «i geni hanno bisogno di qualcosa per sapere come lavorare» e «ciò che avviene nei nove mesi di gestazione può essere più importante di quanto avverrà nel corso della vita». Questi concetti sono stati chiariti da Patrizia Gentilini, medico oncologo ed ematologo nonché medico dell’ambiente (Isde), la quale afferma che «il genoma è qualcosa che continuamente si modella e si adatta a seconda dei segnali fisici, chimici e biologici con cui entra in contatto. L’epigenetica ci ha svelato che è l’ambiente che modella ciò che siamo, nel bene e nel male, nella salute e nella malattia. Questo vale sia per lo sviluppo del nostro cervello che per l’insorgenza dei tumori».

Il cervello vulnerabile

Si sa che il cervello in via di sviluppo, specialmente durante la vita intrauterina, è un organo delicatissimo ed estremamente sensibile alle sostanze tossiche ed inoltre è l’unico organo in cui è presente tessuto grasso. È evidente che per sostanze tossiche lipofile – come, ad esempio, pesticidi e diossine – il cervello rappresenta l’organo bersaglio ideale. L’inquinamento atmosferico è dato da svariati elementi con azione neurotossica, capaci di provocare stress ossidativo e disfunzioni mitocondriali nelle cellule. Nel 2006 fu pubblicato su Lancet l’articolo Developmental neurotoxicity of industrial chemicals di Grandjean P. e Landrigan P.J., contenente un primo elenco di 202 sostanze chimiche capaci di danneggiare il cervello in via di sviluppo tra pesticidi, solventi, metalli pesanti, diossine e altro. Successivamente oltre 1.000 sostanze hanno mostrato neurotossicità in esperimenti di laboratorio su animali. Secondo gli autori, già allora si poteva affermare che un bambino su sei avrebbe presentato danni documentabili al sistema nervoso e problemi funzionali e comportamentali tra cui deficit intellettivo, sindrome di iperattività, autismo, deficit dell’attenzione, dislessia, discalculia. Secondo Grandjean «i cervelli dei nostri bambini sono la nostra più importante risorsa economica e noi non abbiamo capito quanto essi siano vulnerabili, noi dobbiamo fare della protezione dei giovani cervelli il più grande obiettivo di salute pubblica; c’è una sola occasione per sviluppare un cervello». Numerose ricerche hanno confermato come l’esposizione a pesticidi organofosfati durante la vita fetale si associ ad esiti negativi nella sfera cognitiva, comportamentale, sensoriale, motoria e sul quoziente intellettivo. Alcuni studi inoltre hanno evidenziato un maggiore rischio di autismo per esposizione a particolato Pm2.5 proveniente dai motori diesel o per chi vive in prossimità di autostrade. In un recente studio caso-controllo del 2015 condotto sulla coorte (insieme di individi aventi sperimentato lo stesso evento, ndr) delle infermiere americane (116.430 di età 25-43 anni) residenti in 50 stati è stata indagata l’incidenza di figli con diagnosi di disordini dello spettro autistico nati fra il 1990 e il 2002. Sono stati identificati 245 bambini con Asd e 1522 controlli sani. Si è messo in relazione l’indirizzo materno durante la gravidanza con i livelli di Pm 2.5 registrati mensilmente e si è evidenziato un rischio molto aumentato e statisticamente significativo tra le mamme esposte ad inquinamento da polveri sottili durante la gravidanza, in particolare nel terzo trimestre. Proprio nell’ultimo trimestre della gravidanza inizia la sinaptogenesi, cioè la formazione delle sinapsi ovvero le giunzioni che mettono in comunicazione tra loro le cellule nervose. Questo è il processo che sembra risultare difettoso nei disordini dello spettro autistico. Gli autori dello studio sono giunti alla conclusione che «l’inquinamento dell’aria è un fattore di rischio dell’autismo e il miglioramento della qualità dell’aria potrebbe contribuire a ridurre l’incidenza dell’Asd e ridurre in modo sostanziale i costi economici per le famiglie e la società». In effetti i costi derivati dall’azione dell’inquinamento sul neurosviluppo sono enormi. Si calcola che negli Usa i costi per danni neurologici da piombo nei bambini ammonterebbero a circa 43 miliardi di dollari e per quelli da mercurio a 8,7 miliardi.

L’autismo e i metalli

Negli ultimi anni sono stati introdotti nell’ambiente diversi metalli di origine antropica con un aggravamento dell’inquinamento preesistente, come nel caso dell’incenerimento dei rifiuti. In questo caso i metalli maggiormente pericolosi rilasciati in atmosfera sono: cadmio, cobalto, cromo, arsenico, mercurio, manganese, rame, tallio, nichel, piombo e alluminio. In particolare, l’arsenico, un semimetallo a cui bisogna prestare particolare attenzione per la sua tossicità e cancerogenicità, è stato spesso trovato nei capelli dei bambini con Asd. Allo stato puro l’arsenico non pare essere tossico, ma lo sono tutti i suoi derivati, che rientrano nella composizione di pesticidi, di erbicidi e d’insetticidi. I metalli pesanti e i loro composti risultano tossici per le loro proprietà chimico-fisiche. Essi hanno proprietà lipofile, cioè si accumulano nel tessuto grasso. Sono importanti la loro concentrazione nei tessuti e i tempi di esposizione. La situazione più pericolosa è quella della prolungata esposizione a dosi minime. A livello tissutale, i metalli pesanti provocano stress ossidativi, inefficienza dei sistemi di detossificazione, blocco dei meccanismi di riparazione del Dna e variazione (modulazione) epigenetica dell’espressione genomica. Tali metalli si presentano come cationi e possono perciò interagire con le proteine e formare «addotti» (frammenti in genere cancerogeni) con il Dna. Le interazioni con le proteine sembrano essere le più importanti da un punto di vista patogenetico. Sono infatti state individuate diverse proteine bersaglio, tra cui quelle implicate nella riparazione del Dna. Lo stress ossidativo consiste nella formazione di radicali liberi capaci di danneggiare lipidi, proteine e acidi nucleici, per cui vengono danneggiate strutture cellulari fondamentali come la membrana cellulare. Secondo Maurizio Proietti, nei bimbi autistici sono stati spesso trovati metalli pesanti e squilibri di membrana mediante l’analisi minerale tessutale e il fat profile (analisi dei grassi). Ciò che si sa è che i metalli pesanti possono penetrare in tutti i tessuti, nelle cellule e negli organuli cellulari, compreso il nucleo, tanto nell’adulto quanto nel feto, alterando l’assetto epigenetico e l’espressione genica durante le diverse fasi dello sviluppo, oltre a interferire con i sistemi enzimatici. Ciò che non conosciamo sono i loro meccanismi d’interferenza sulla programmazione fetale, soprattutto nei tessuti ed organi deputati alla regolazione neuro-endocrina e metabolica.

Già nel novembre 2006, la Harvard Medical School lanciò un appello per informare l’opinione pubblica con lo studio «Una pandemia silenziosa. Sostanze chimiche industriali stanno danneggiando lo sviluppo del cervello dei bambini in tutto il mondo». L’avvelenamento dei bambini sta diventando sistemico per la sempre maggiore presenza nell’ambiente non solo di metalli pesanti, ma anche di altre pericolosissime sostanze di origine antropica come pesticidi, diserbanti, insetticidi, Pcbs, diossine e altri, che vengono frequentemente ritrovati nella placenta, nel sangue del cordone ombelicale e nel latte materno. Nei capelli e nelle unghie dei bambini autistici si trovano spesso elevati livelli, oltre che di arsenico, anche di mercurio, piombo e alluminio, mentre sono bassi quelli di selenio, di zinco e di rame.

L’autismo e i vaccini: nessuna correlazione

Va detto che l’alluminio è comunemente usato come adiuvante nella preparazione dei vaccini da più di 70 anni. La sua funzione nel vaccino è indispensabile in quanto facilita la risposta immunitaria all’antigene presente nel vaccino. L’attribuzione ai vaccini di una responsabilità nell’insorgenza dell’autismo è tuttavia priva di fondamento perché, come abbiamo visto, probabilmente la malattia si origina ben prima della prima vaccinazione, cioè durante lo sviluppo fetale. Molte vaccinazioni sono state e restano fondamentali nella prevenzione di numerose e gravissime malattie. Purtroppo il nesso tra vaccini e autismo è stato sostenuto per anni, a partire dal 1998, anno in cui il medico britannico Andrew Wakefield, che venne in seguito radiato dall’Ordine dei medici, pubblicò su Lancet un suo articolo in proposito. Quella pubblicazione (successivamente ritirata) riuscì a influenzare negativamente il comportamento di molti genitori, i quali non fecero più vaccinare i figli. Finché Brian Deer del Sunday Times riuscì a smascherare la frode, perpetrata da Wakefield al fine di mettere in piedi un mercato di test diagnostici per l’autismo. Dopo sei anni di ricerche sulle cartelle cliniche usate dal medico per il suo studio, nel 2011 Deer pubblicò una contro-analisi scientifica sul British Medical Journal. La veridicità delle conclusioni di Deer è supportata da diverse ricerche scientifiche, tra cui quella pubblicata su Jama da Anjali Jain del Lewin Group, una società di ricerca e consulenza indipendente in campo sanitario. In questo studio condotto su quasi 96.000 bambini non è stata trovata alcuna correlazione tra il vaccino contro morbillo-parotite-rosolia (quello maggiormente incriminato come causa) e l’autismo, nemmeno nei soggetti più a rischio, cioè i bambini con un fratello autistico. Inoltre decine di studi hanno dimostrato che l’età d’insorgenza, la gravità, il decorso di questa malattia e la sua ricorrenza nelle famiglie non differiscono tra bambini vaccinati e non vaccinati.

È stata invece osservata una correlazione tra il rischio di sviluppare l’autismo e altri disturbi del neuro-sviluppo nella prole e le condizioni metaboliche della madre in gravidanza come il diabete (malattia autornimmune che può essere scatenata da inquinanti ambientali in soggetti predisposti), l’ipertensione e l’obesità. È stato osservato che le madri obese sono più soggette delle normopeso ad avere figli autistici, quindi tra le forme di prevenzione dell’autismo va inclusa anche l’alimentazione della gestante.

Rosanna Novara Topino
(terza puntata – continua)

 




Convivere con l’autismo


È un disturbo del cervello e della mente che può manifestarsi in forme molto diverse. Si stima che nel mondo le persone autistiche siano 60 milioni. Per le famiglie dei 500 mila autistici italiani le difficoltà sono tante.

Nel 2007 le Nazioni Unite hanno indetto per il 2 aprile la Giornata Mondiale della consapevolezza sull’autismo. Questa celebrazione annuale ha lo scopo di sensibilizzare la popolazione su una sindrome in aumento e ancora difficile da comprendere e nel contempo di sollecitare le istituzioni a migliorare i servizi e l’assistenza alle persone colpite e alle loro famiglie. In questo numero di MC parleremo delle caratteristiche note della malattia, mentre nel prossimo articolo vedremo quali possibili implicazioni può avere l’inquinamento ambientale sulla sua insorgenza e, più in generale, sullo sviluppo del cervello umano.

Il disturbo autistico

Fino a qualche decennio fa si pensava che l’autismo fosse una conseguenza del rifiuto del figlio da parte della madre in sua attesa, per cui si sottoponevano a inutili sedute psicologiche sia la madre che il bambino. Le conoscenze attuali ci permettono di dire invece che l’autismo è un disturbo dello sviluppo biologicamente determinato, i cui sintomi compaiono nei primi tre anni di vita. È provato che questa patologia è associata a un disturbo dello sviluppo tanto del cervello (con alterazione delle strutture e delle funzioni nervose) che della mente (con alterazioni dello sviluppo psico-cognitivo ed emozionale).

Secondo il DSM IV-TR (Diagnostic Statistical Manual IV, redatto dall’American Psychiatric Association), il manuale dei disturbi mentali in uso presso gli specialisti, si tratta di una disabilità permanente, che perdura per tutta la vita. Le caratteristiche del deficit variano nel corso dello sviluppo di ogni individuo ed inoltre le manifestazioni della malattia possono essere molto diverse da bambino a bambino, andando da una lieve a una grave sintomatologia, tanto che si preferisce parlare di «Disturbi dello spettro autistico» o di «Disturbi pervasivi dello sviluppo». In realtà in questa categoria i clinici comprendono anche la sindrome di Asperger (che qualcuno considera una forma di autismo ad alto funzionamento, senza ritardo mentale), la sindrome di Rett, o altri disturbi (si veda la tabella). Circa il 50% degli autistici presenta ritardo mentale e il 30-40% epilessia.

Le principali aree di compromissione sono tre e riguardano l’interazione sociale, la comunicazione verbale e non verbale e il comportamento.

L’interazione sociale del soggetto autistico è caratterizzata dalla compromissione, dal ritardo o dall’atipicità dello sviluppo delle competenze sociali soprattutto nelle relazioni interpersonali. Il bambino mostra scarso interesse a relazionarsi con gli altri, tende all’isolamento e può mostrare un’apparente indifferenza emotiva agli stimoli o, al contrario, ipereccitabilità. Inoltre può esserci difficoltà a instaurare un contatto visivo.

La comunicazione dell’autistico è compromessa sia a livello verbale che non verbale. Si stima che circa il 25% degli autistici non sia in grado di comunicare verbalmente, mentre coloro che riescono a utilizzare il linguaggio spesso si esprimono in modo bizzarro, ad esempio con parole fuori contesto o con ecolalia, cioè con molteplici ripetizioni della stessa parola.

L’immaginazione risulta povera e stereotipata. Il bambino autistico difficilmente riesce a fare un gioco simbolico o di immaginazione. I suoi comportamenti sono ritualistici e ripetitivi e caratterizzati da scarsa flessibilità ai cambiamenti della routine quotidiana e dell’ambiente circostante, al punto da avere reazioni abnormi, come perdita di controllo, rabbia, aggressività nel caso in cui qualcosa cambi. Anche le posture e certe sequenze di movimenti possono risultare stereotipati.

Oltre alle tre principali aree di compromissione, la cui osservazione permette di porre la diagnosi di autismo, ci sono altri sintomi che da soli non bastano per fare questa diagnosi, ma che spesso sono presenti come la ipersensibilità agli stimoli sensoriali, le condotte autolesive e le aree di abilità. Ad esempio la capacità di contare un impressionante numero di oggetti in pochissimo tempo o di memorizzare l’elenco telefonico, come faceva il protagonista di Rain Man, film del 1988, che per la prima volta portò il problema dell’autismo sul grande schermo, mirabilmente interpretato da Dustin Hoffman nella parte del malato di autismo e da Tom Cruise, il fratello minore che se ne prendeva cura (in foto).

Più maschi che femmine

Per quanto riguarda la diffusione dell’autismo, non ci sono prevalenze geografiche o etniche, ma si tratta di una patologia ubiquitaria. C’è invece una prevalenza di sesso, poiché i maschi sono colpiti circa quattro volte più delle femmine. La stima di prevalenza più attendibile attualmente sembra essere di 10 casi su 10.000 bambini in età scolare. Secondo il Centers for disease control and prevention (cdc.gov), su dati 2012 riferiti a bambini di 8 anni, 1 su 68 è affetto da disordine autistico (aprile 2016). Confrontando questi dati con quelli del passato, si può dire che attualmente l’autismo è 3-4 volte più frequente di 30 anni fa. Molti studiosi pensano però che, più che un reale incremento della malattia, questa disparità di dati con il passato sia dovuta alla migliore capacità diagnostica di oggi, all’allargamento dei criteri diagnostici, all’abbassamento dell’età alla diagnosi, alla maggiore sensibilizzazione degli operatori e della popolazione in generale verso questo disturbo. Attualmente negli Stati Uniti le persone interessate sono circa 3,5 milioni. Nel mondo le persone autistiche sono circa 60 milioni e si stima che, in Italia, siano circa 500.000 (0,86% circa della popolazione), anche se tuttora nel nostro paese non esistono dati ufficiali.

Oltre al miglioramento della capacità di diagnosticare l’autismo, molti esperti imputano l’aumento del numero dei casi registrati negli ultimi trent’anni a cause genetiche ed epigenetiche. In NPJ Genomic Medicine sono stati pubblicati i risultati di uno studio condotto da S. Scherer all’Hospital for Sick Children di Toronto, in cui sono stati esaminati i campioni di Dna di 200 famiglie con un figlio autistico. In particolare sono state ricercate le mutazioni de novo, cioè quelle non ereditate dai genitori, ma insorte casualmente nel corso della vita nelle cellule germinali. È stato osservato che il 75,6% di tali mutazioni interessa gli spermatozoi e che la loro frequenza subisce un notevole incremento con l’aumentare dell’età del padre. Per quanto riguarda gli ovociti materni, le mutazioni de novo si presentano sotto forma di ammassi (cluster) dovuti a polimorfismi del Dna (variazioni nel numero delle copie di geni), che di solito vengono eliminati spontaneamente dal cromosoma materno. Le mutazioni de novo correlate allo spettro autistico riguardano in particolare geni coinvolti nella trasmissione sinaptica, nei meccanismi dell’espressione dei geni e nell’organizzazione della cromatina. Un’altra interessante ricerca condotta dagli scienziati del Centre national de la recherche scientifique di Marsiglia, mediante la risonanza magnetica nucleare effettuata su bambini di due anni di età, ha evidenziato nell’«area di Broca» del cervello (l’area che presiede alle funzioni del linguaggio e della comunicazione) una minore presenza di materia grigia nei cervelli dei bambini autistici, rispetto ai controlli normali. Questa ricerca ha il merito di avere dimostrato che un marcatore specifico dell’autismo è presente nel cervello già in tenerissima età. Da qui l’importanza fondamentale di una diagnosi precoce, che permetta l’avvio di interventi mirati capaci di sfruttare la neuroplasticità del cervello del bambino, in modo da attivarne le potenzialità, che rimarrebbero sopite con interventi tardivi.

Diagnosi e terapie

Fino a non molto tempo fa la diagnosi di autismo veniva posta tra i due e i quattro anni, ma attualmente gli specialisti ritengono che già intorno ai 18 mesi, quando i genitori si rendono conto che qualcosa non va, sia fondamentale sottoporre il bimbo a visita specialistica. Un esempio di grande recupero dalla malattia è rappresentato dalla dottoressa Temple Grandin, che – pur essendo autistica – è riuscita a conseguire un dottorato in zootecnica presso l’Università dell’Illinois e ha una carriera internazionale nell’ambito delle apparecchiature zootecniche. La Grandin, autrice di Emergence: Labeled Autistic (1986), sostiene che il suo recupero è avvenuto grazie all’intervento di insegnanti esperti a partire dai due anni e mezzo.

La scarsa conoscenza dei meccanismi biologici alla base dell’autismo è chiaramente un grosso limite per una terapia mirata, soprattutto in considerazione dei diversi gradi di disturbo dello spettro autistico. Questo implica l’indispensabilità di espandere la ricerca. Attualmente gli interventi a disposizione per migliorare la qualità della vita dei soggetti autistici sono di tipo farmacologico (limitati di solito ai momenti di maggiore instabilità) e di tipo abilitativo comprendenti diverse metodologie come le tecniche di analisi del comportamento, le tecniche di apprendimento basate sul rinforzo per migliorare le capacità cognitive e adattative, il gioco come tecnica di apprendimento, per migliorare gli aspetti emotivi relazionali. È fondamentale che i piani d’intervento siano personalizzati, così come lo è una stretta collaborazione e cornordinazione tra la famiglia del soggetto autistico, il servizio di neuropsichiatria infantile e la scuola.

L’Italia e la legge 134

Come si affronta il problema dell’autismo in Italia? Pur essendo noto da anni alla scienza, alla medicina e alla società, in Italia la prima legge dedicata specificamente a questo problema è la n. 134 emanata il 18 agosto 2015, contenente «Disposizioni in materia di diagnosi, cura e abilitazione delle persone con disturbi dello spettro autistico e di assistenza alle famiglie». Questa legge, che stabilisce le linee guida per i servizi, la formazione degli operatori sanitari, la definizione di équipe territoriali, la promozione dell’informazione e della ricerca, le buone pratiche terapeutiche ed educative e la cornordinazione dei vari interventi, rischia di rimanere però solo sulla carta poiché all’art. 4 si dice che «Dall’attuazione della presente legge non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Le amministrazioni interessate alla relativa attuazione vi provvedono con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente». In tal modo spesso solo le famiglie più abbienti possono fare curare efficacemente i propri figli autistici, rivolgendosi a centri privati. Oltretutto non sempre l’offerta privata è sicura poiché il rischio di incorrere in terapeuti improvvisati, in questo campo, è elevato. Inoltre la legge si disinteressa degli autistici adulti, che al compimento dei 18 anni perdono ogni diritto ad essere seguiti gratuitamente da medici specializzati e da insegnanti di sostegno, rischiando di retrocedere nelle abilità acquisite. Per loro è prevista al massimo l’indennità di accompagnamento. Insomma, l’autismo è per sempre, ma la legge italiana non lo sa. Anche se forse qualcosa si muove. I nuovi Livelli essenziali di assistenza (Lea), varati lo scorso 12 gennaio, recepiscono la citata legge n. 134 del 2015, per la diagnosi precoce, la cura e il trattamento individualizzato dei disturbi dello spettro autistico. Speriamo sia la volta buona.

Rosanna Novara Topino
(seconda puntata – continua)