Antartide. Da bianca a verde

C’è muschio in Antartide e non è una buona notizia. Di norma, il continente del Polo sud – esteso 14 milioni di chilometri quadrati (più dell’intera Europa) – dovrebbe ospitare soltanto neve, ghiaccio permanente e roccia.

Oggi non è più così, e anche in questo caso la responsabilità è del cambiamento climatico. Gli scienziati se ne sono accorti monitorando l’Antartide con le immagini satellitari. Per tradurla in numeri, negli ultimi cinque anni la zona coperta da vegetazione è passata da 0,863 chilometri quadrati a 11,947, aumentando di 14 volte. La vegetazione (in gran parte, piante di muschio) ha guadagnato 40 ettari all’anno. Gli studiosi non hanno dubbi sulle cause: il surriscaldamento antropogenico.

Fino a un paio di anni fa, l’Antartide suscitava meno preoccupazioni dell’Artico (dove le temperature stanno aumentando molto più velocemente rispetto alla media globale). In epoca recente, la situazione è peggiorata. Nel 2023, il ghiaccio marino antartico – ovvero quello che si forma quando l’acqua congela nell’oceano – ha registrato la più bassa estensione estiva di sempre, con solo 2,06 milioni di chilometri quadrati di copertura.

«Poiché il ghiaccio è di colore chiaro – si legge sul sito di Copernicus, il programma di osservazione terrestre dell’Unione europea -, riflette la luce solare incidente nell’atmosfera, un processo noto come “effetto albedo“. Questo impedisce alla maggior parte del calore di essere assorbito dall’oceano. Tuttavia, quando la copertura del ghiaccio marino diminuisce a causa del riscaldamento globale, l’acqua superficiale assorbe più calore. Questo porta a un circolo vizioso, un “ciclo di feedback”, in cui il riscaldamento porta allo scioglimento dei ghiacci marini, il quale porta a un ulteriore riscaldamento».

In parole povere, il fenomeno potrebbe aggiungere molto più calore al pianeta, interrompendo il ruolo dell’Antartide come regolatore delle temperature globali. Quasi ciò non bastasse, la diminuzione dei ghiacci marini produce una serie di conseguenze a catena: aumento del livello degli oceani, mutamenti nella crescita del plancton e, quindi, della catena alimentare marina, apertura di nuove rotte di navigazione e, dunque, di nuove invasioni umane.

L’Antartide non è che uno dei tanti esempi del cambiamento climatico e delle sue drammatiche conseguenze. Però, a dispetto di queste evidenze, i sostenitori del negazionismo non rinsaviscono. Anche in Italia.

Un esempio tratto dalle prime pagine di due quotidiani nazionali dello scorso 9 ottobre. Su La Verità si leggeva: «Al Nord mai così freddo da 30 anni. Caldaie accese in anticipo… Il surriscaldamento globale non si è palesato e ha beffato Beppe Sala. Che di fronte al brusco calo termico degli ultimi giorni, che ha mandato in soffitta il refrain sull’autunno “più caldo di sempre”, si è arreso e ha detto ai milanesi di accendere i caloriferi». Sullo stesso tema, il quotidiano Libero scriveva: «Anche quest’anno a Milano patiremo un po’ più di freddo perché il sindaco Sala ha deciso di abbassare di un grado l’asticella dei termostati – 19 gradi invece dei 20 previsti per legge – in nome del solito ambientalismo. Ci saranno due gradi di tolleranza, ma oltre non si andrà per buona pace della litania green».

Il negazionismo usa spesso il «meteo» come sinonimo di «clima», commettendo un grave errore concettuale e scientifico. A quanto pare, però, il metodo è efficace per dare origine alle fake news di cui il negazionismo si nutre.

Paolo Moiola




Mondo. Clima, meno ventisei

Difficile capire quanto valga l’accordo raggiunto a Dubai (Emirati arabi uniti) lo scorso 13 dicembre. Di sicuro, l’enfasi del sito ufficiale della Cop28 è fuori luogo: «We united. We acted. We delivered» (Ci siamo uniti. Abbiamo agito. Abbiamo raggiunto).

La conferenza mondiale sul clima, svoltasi in casa dei produttori di petrolio, ha deciso che, entro il 2050 (cioè tra 26 anni), i combustibili fossili dovranno essere usciti di scena. La frase centrale – da molti definita «storica» – recita così: «Uscire dai combustibili fossili nei sistemi energetici, in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere lo zero netto entro il 2050 in linea con la scienza» (punto 28, lettera d).

Certamente, davanti a dati sempre più drammatici (il 2023 è stato l’anno più caldo di sempre, la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera è a livelli mai visti, l’Artico è in grandissima sofferenza, eccetera), quella data pare troppo lontana, i fondi del «Loss and damage» (perdite e danni causate dai cambiamenti climatici) per i paesi più poveri sembrano un’inezia ed esagerati i sorrisi compiaciuti di Sultan Al Jaber (presidente della Cop28 e petroliere) e di gran parte dei delegati.

La Commissione delle Conferenze episcopali dell’Unione europea (Comece) ha commentato: «Accogliamo con favore il difficile accordo raggiunto sull’eliminazione dei combustibili fossili, ma siamo preoccupati per il reale impegno delle parti ad attuarlo in modo efficace». Detto questo, una lettura pessimistica degli accordi non conviene a nessuno perché può indurre all’inazione e fare un favore ai tanti negazionisti climatici, palesi od occulti.

La riunione appena conclusa si è tenuta in un paese petrolifero e così sarà anche per la prossima. Nel 2024 la Cop29 si terrà, infatti, in Azerbaijan, cioè in un altro paese produttore di petrolio e gas. La Cop30 sarà invece in Brasile, paese che a gennaio 2024 entrerà come osservatore nell’Opec, l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio.

L’attivista indiana di soli 12 anni sul palco della Cop28 con il suo cartello di protesta.

Nel frattempo, da oggi al 2050, tutti sono tenuti a contenere l’aumento della temperatura della Terra in un grado e mezzo rispetto all’epoca preindustriale. In primis, spetta agli stati con le loro politiche, ma anche ai giornalisti con il racconto della verità scientifica e ai singoli cittadini con le loro scelte quotidiane. Tutto difficile, ma – lo speriamo in tanti – non impossibile.

La speranza si può forse intravvedere tra le righe dell’accordo di Dubai, ma è certamente più visibile nell’esempio e nell’intraprendenza di Licypriya Kangujam, attivista indiana di soli 12 anni che, saltata sul palco della Cop28, ha alzato al cielo il suo cartello scritto a mano: «Basta combustibili fossili. Salviamo il nostro pianeta e il nostro futuro».

Paolo Moiola