Noi e Voi, dialogo lettori e missionari


Versi di amore e di scienza

Mi è capitato di rileggere un articolo su un vecchio numero di
Missioni Consolata di aprile 2021. L’articolo riguardava un libro di poesie «Versi di amore e scienza». Interessante per alcuni aspetti però nell’articolo, a mio modesto parere, si confonde l’amore umano con l’amore divino. Si sostiene che l’amore non lascia scampo alla sua perdita con prima o poi la morte della persona amata. Perdita che l’autore ha direttamente sperimentato. [l’amore] divino è il Bene e non possiamo mai perderlo perché è dentro di noi. Un pezzetto di Bene c’è in ognuno, in qualche angolo del cuore anche solo in un ricordo materno. Il Bene c’è sempre in noi anche quando non lo pensiamo. Lo possiamo far rinascere quando compiamo azioni di bene. Ogni giorno dobbiamo scegliere tra fare bene o male. Se scegliamo il Bene, questo lo rendiamo presente in noi e in chi ci circonda. Il Bene non muore mai. Il Bene è verità, giustizia sociale, fratellanza, comprensione, laboriosità, sobrietà, sincerità, buona volontà, fare pace. Se ci fosse più giustizia più sincerità, ci sarebbe più pace in famiglia, sul lavoro, nella società ecc. Tante volte è difficile capire ciò che è veramente bene per noi ed anche per gli altri. Solo la preghiera, l’Eucarestia e l’insegnamento del Vangelo ci aiutano a capire ciò che è veramente Bene. Ci illuminano il cammino, se lo vogliamo, se li seguiamo sinceramente e con costanza. Gesù è il vero Bene, le sue parole, il suo insegnamento. In una parabola molto bella Gesù dice: «Io sono la luce del mondo». Nelle omelie durante la messa si parla tanto di amore, quasi in modo inflazionato mentre si parla poco del Bene. L’amore evangelico è il Bene. Il Bene è più forte del male e più bello del male. Ricevere e fare del bene ci fa star meglio.
Cordiali saluti

Enrica B., 24/05/2022

Buongiorno Enrica e grazie per la sua lettera che esprime una profonda fede. Il libro di poesie «Versi di amore e scienza» cerca di esprimere il vuoto e il dolore lasciato dalla perdita di una persona che si è stimata e amata e che, per la natura umana, non può essere colmato neppure con la consapevolezza (o speranza) di un ricongiungimento futuro. È l’amore umano, come giustamente osserva lei, che fisicamente trova espressione nel mondo quotidiano, nella percezione che due persone si trovino insieme contemporaneamente e fisicamente. Perché, alla fine, in questo mondo noi tutti abbiamo bisogno di tangibilità. Galileo, che era un fervente cristiano, affermava che: «È intenzione dello Spirito Santo d’insegnarci come si vada in cielo e non come vada il cielo».

Allo stesso modo nel libro non ho affrontato l’amore divino, perché, come si deduce anche dal titolo, ho voluto coniugare un sentimento astratto e insondabile della natura umana, con la scienza. Non tutti abbiamo il dono della fede e sull’eterna lotta tra Bene e Male si sono spese milioni di parole, sia di autori atei, che agnostici o religiosi. E penso convenga con me che è obiettivamente difficile per noi umani consolarci di una perdita fisica, sentimentale ed emotiva, rifugiandoci o sperando in qualcosa di astratto come il Bene. Ho usato il termine “astratto” non in senso dispregiativo, ma perché è da millenni che si proclamano buone intenzioni raggruppate nella parola Bene, ma è da altrettanti millenni che nessuna società ha mai portato il Bene a sconfiggere definitivamente il Male. E se è vero che ricevere e fare del bene ci fa stare meglio, è altrettanto vero che il bene non potrà mai colmare l’assenza fisica.

Piergiorgio Pescali, 31/05/2022

A-t salùt, Gabiàn!

Ieri, 6 giugno, ci ha lasciato Ermes Rinaldi, da quasi sessant’anni gestore, con la moglie Bruna, dell’omonima trattoria di via Ganaceto a Modena. Su quel locale si è scritto tanto, come anche di Ermes, della Bruna, e delle tante specialità della loro cucina, rigorosamente modenese, dispensate ai clienti amici, che ogni giorno provavano a entrare. Sì, perché il posto era piccolissimo, ed Ermes chiudeva il sabato sera e la domenica.

Tante volte invitò a pranzo me e mia moglie Marisa (naturalmente chiarì subito che avremmo poi pagato…). Però, noi lavoravamo fino alle 14.30, compreso il sabato, e lui non accettava prenotazioni, men che meno telefoniche. E allora gli dicevo: Ermes, può mai essere che per venire a magiare da te dobbiamo prendere un giorno di ferie? E allora ci spiegò il perché di quello strano orario: quando negli anni ‘50 iniziò a lavorare come garzone, la trattoria che poi diventò sua, era frequentata esclusivamente da operai e da povera gente, che di sera, e di domenica, mangiavano a casa. E lui ha mantenuto la tradizione. Questo lo raccontò in Kenya, durante un viaggio fatto con Romolo Levoni (vedi MC 1-2/2017, p. 5) e altri amici per portare un po’ d’aiuto, di solidarietà e di amicizia ai Missionari della Consolata di Torino, che da oltre un secolo si occupano delle tante povertà di quel paese.

D’altra parte, due personalità come Ermes e Romolo erano destinate a incontrarsi e collaborare. Siamo stati con loro in «giro» per il Kenya nel 2009 e nel 2011, e posso assicurarvi che ognuno era un vulcano d’idee e d’iniziative. Ricordo solamente le migliaia di pezzi di gnocco, fritti e venduti da Ermes e dai suoi amici, in piazza della Pomposa, il cui ricavato era interamente versato all’associazione G.R.G. (Gruppo Resurrection Garden), fondata da Romolo
Levoni nel 1991 col compianto padre Ottavio Santoro per portare aiuto ai bambini del Kenya.

Penso di avere scattato decine di fotografie di Ermes attorniato da bambini, che per lui era inconcepibile, soffrissero ancora la fame, la miseria, la mancanza di medicine e di scuolain questo mondo così progredito. Come aveva sofferto lui quando era bambino. Insomma, un omone col cuore d’oro, innamorato della sua Bruna. Così lo ricordo e lo saluto, con quel nome «Gabiàn» che affibbiava a tutti quelli che frequentavano il suo locale. Ma, attenzione, se gabiàn nel gergo modenese indica una persona scimunita, sciocca, per lui era esattamente il contrario: Gabìan erano i suoi migliori amici, quelli a cui più teneva. E allora caro Ermes, ti saluto, «a-t salùt, Gabiàn».

Marco Ghibellini, a nome del Grg, Modena, 18/06/2022

Abba Paolo con noi

Celebrazione a Riva di Vallarsa nel primo anniversario della morte di abba Paolo Angheben con eucarestia presieduta da padre Daniele Giolitti

Otto maggio 2021. Quanto lontano era da noi abba (padre) Paolo Angheben, missionario della Consolata in Etiopia, quando la sua vita terrena nulla poté contro la malattia, mentre quanto vicino a noi oggi, riuniti nella celebrazione ad un anno dalla sua morte, l’abbiamo sentito; presenza viva, non solamente spirituale all’aprirsi delle testimonianze, spontanea linfa che sorreggeva una narrazione di vita dedicata agli altri, alle sue missioni, all’Africa. La santa messa domenicale, nel giorno della ricorrenza del patrono di Riva di Vallarsa (Trento), è stata il contenitore nonché il motore per quanti hanno dovuto attendere un anno per esternare la personale vicinanza alla persona che tutto aveva dedicato agli altri: più di 40 anni in Etiopia, costruttore ispirato, consigliere sagace, supporto spirituale e materiale, trascinatore di uomini e donne, profondo conoscitore del mondo africano, in particolare di quello giovanile.

Un po’ alla volta questi aspetti, che uscivano dalle interviste che venivano riprodotte, costruivano e materializzavano la sua figura, animavano la voce che entrava nei cuori dei presenti, che ne veniva assimilata, cullata dalle musiche africane del coro Sacra Famiglia, per l’occasione intervenuto in forze.

Ognuno dei presenti aveva mantenuto un rapporto personale con lui: fosse un gesto, una parola, una discussione, un segreto, una confessione, un religioso ma anche laico confronto; un rapporto mai sopito, mai dimenticato, ma accantonato, nell’intesa, anche certezza, di poterne intraprendere la naturale prosecuzione al momento del suo ritorno in Italia.

Padre Daniele Giolitti, confratello di abba Paolo e concelebrante quel giorno, nel parlare di lui ha mosso i ricordi e le testimonianze che, scritte da più mani, hanno reso palesi le sue opere, la sua umanità e la vicinanza assoluta alle parole del Vangelo, primaria fonte di ispirazione delle Lectio Divinae da lui curate.

Le testimonianze rimbalzavano nel cuore dei presenti, colmavano quella sorta di vuoto fra noi e lui; parole che hanno quasi evocato la sua ieratica figura e che, impersonate in più voci, hanno trasmesso all’assemblea la serenità e umana accettazione della sua dipartita, nel rimpianto però di non averlo potuto salutare, di non averne assimilata tutta la sua carica spirituale, di non aver compreso a fondo quanto la sua presenza fisica ci mantenesse sulla retta via.

Lo stralcio di testimonianza che segue, esprime quanto abba Paolo avesse toccato il cuore di chi ricorreva a lui per una parola, un consiglio, un parere disinteressato. Un po’ quello che è stato per noi.

«Quando padre Paolo è partito per l’Etiopia, nel 2001, ho pianto tanto.
Non mi davo pace.
Ho cercato, senza trovarlo, un sostituto.
Dopo la sua morte ho di nuovo pianto tanto, ma senza la disperazione del primo distacco.
Penso che abbia compiuto la sua missione. Penso che abbia dato tutto ciò che poteva dare, fino alla fine.
Ringrazio per averlo conosciuto e frequentato».

Ciao abba Paolo.

Lucio Angheben e gli altri fratelli di padre Paolo

Celebrazione a Riva di Vallarsa nel primo anniversario della morte di abba Paolo Angheben con eucarestia presieduta da padre Daniele Giolitti

 




Noi e Voi, dialogo lettori e missionari

Proibire le armi nucleari

Un forte appello a Governo e Parlamento dai Presidenti e dai Responsabili nazionali di

Acli, Azione cattolica italiana, Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, Movimento dei Focolari Italia, Pax Christi, Fraternità di Comunione e Liberazione, Comunità di Sant’Egidio, Sermig, Gruppo Abele, Libera, Agesci, Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana), Meic (Movimento ecclesiale di impegno culturale), Argomenti 2000, Rondine-Cittadella della Pace, Mcl (Movimento Cristiano Lavoratori), Federazione Nazionale Società di San Vincenzo De Paoli, Città dell’Uomo, Amici di Raoul Follerau, Associazione Teologica Italiana, Coordinamento delle Teologhe Italiane, Focsiv (Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario), Centro Internazionale Hélder Câmara, Centro Italiano Femminile, Csi (Centro Sportivo Italiano), La Rosa Bianca, Masci (Movimento adulti scout cattolici italiani), Fondazione Giorgio La Pira, Fondazione Ernesto Balducci, Fondazione Don Primo Mazzolari, Fondazione Don Lorenzo Milani, Comitato per una Civiltà dell’Amore, Movimento Cattolico Mondiale per il Clima, Federazione Stampa Missionaria Italiana (a cui è associata MC), Rete Viandanti, Noi Siamo Chiesa, Beati i Costruttori di Pace, Fraternità francescana frate Jacopa, Comunità Cristiane di Base, Associazione delle Famiglie Italiane.

L’Italia ratifichi il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari

Il 22 gennaio 2021, al termine dei 90 giorni previsti dopo la 50esima ratifica, il «Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari» è diventato giuridicamente vincolante per tutti i Paesi che l’hanno firmato.

Questo Trattato, che era stato votato dall’Onu nel luglio 2017 da 122 Paesi, rende ora illegale, negli Stati che l’hanno sottoscritto, l’uso, lo sviluppo, i test, la produzione, la fabbricazione, l’acquisizione, il possesso, l’immagazzinamento, l’installazione o il dispiegamento di armi nucleari.

Il nostro Paese non ha né firmato il Trattato in occasione della sua adozione da parte delle Nazioni Unite, né l’ha successivamente ratificato. Tra i primi firmatari di questo Trattato vi è invece la Santa Sede.

In Italia, nelle basi di Aviano (Pordenone) e di Ghedi (Brescia), sono presenti una quarantina di ordigni nucleari (B61). E nella base di Ghedi si stanno ampliando le strutture per poter ospitare i nuovi cacciabombardieri F35, ognuno dal costo di almeno 155 milioni di euro, in grado di trasportare nuovi ordigni atomici ancora più potenti (B61-12).

Il nostro Paese si è impegnato ad acquistare 90 cacciabombardieri F35 per una spesa complessiva di oltre 14 miliardi di euro, cui vanno aggiunti i costi di manutenzione e quelli relativi alla loro operatività.

Le armi nucleari sono armi di distruzione di massa, dunque, in quanto tali, eticamente inaccettabili, come ci ha ricordato anche papa Francesco in occasione della sua visita in Giappone domenica 24 novembre 2019, a Hiroshima. «Con convinzione desidero ribadire che l’uso dell’energia atomica per fini di guerra è, oggi più che mai, un crimine, non solo contro l’uomo e la sua dignità, ma contro ogni possibilità di futuro nella nostra casa comune. L’uso dell’energia atomica per fini di guerra è immorale, come allo stesso modo è immorale il possesso delle armi atomiche, come ho già detto due anni fa. Saremo giudicati per questo. Le nuove generazioni si alzeranno come giudici della nostra disfatta se abbiamo parlato di pace ma non l’abbiamo realizzata con le nostre azioni tra i popoli della terra».

Il 22 gennaio 2021 autorevoli esponenti della Chiesa cattolica di tutto il mondo, tra i quali il cardinal Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, e mons. Giovanni Ricchiuti, arcivescovo della diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti e presidente di Pax Christi Italia, hanno sottoscritto a loro volta un appello in cui «esortano i Governi a firmare e ratificare il Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari», sostenendo in questo «la leadership che papa Francesco sta esercitando a favore del disarmo nucleare». Altri vescovi italiani si sono espressi pubblicamente in questa direzione e anche numerose sedi locali delle nostre associazioni e dei nostri movimenti hanno fatto altrettanto.

A tutti questi appelli, unendoci convintamente alla Campagna nazionale «Italia ripensaci», che ha registrato una vasta e forte mobilitazione su questo argomento, aggiungiamo ora il nostro e chiediamo a voce alta al Governo e al Parlamento che il nostro Paese ratifichi il Trattato Onu di Proibizione delle Armi Nucleari.

La pace non può essere raggiunta attraverso la minaccia dell’annientamento totale, bensì attraverso il dialogo e la cooperazione internazionale.

«La pandemia è ancora in pieno corso; la crisi sociale ed economica è molto pesante, specialmente per i più poveri; malgrado questo – ed è scandaloso – non cessano i conflitti armati e si rafforzano gli arsenali militari. E questo è lo scandalo di oggi».

Questa iniziativa, avviata il 25 aprile 2021, viene chiusa idealmente il 2 giugno 2021 con lo slogan «Per una Repubblica libera dalle armi nucleari».

seguono le firme dei  40 presidenti o segretari delle associazioni firmatarie e quelle di molti altri gruppi o associazioni che aderiscono
Già pubblicata il 27 maggio scorso, quando anche la Federaziane della Stampa missionaria ha aderito

 


Ricordando Abba Paulos

Paolo p Angheben

L’8 maggio scorso padre Paolo Angheben è deceduto ad Addis Abeba (Etiopia) dopo una breve e improvvisa malattia di Covid-19. Per giorni le sue condizioni sono state seguite con affetto e preghiera sia dalla gente della sua missione, Gighessa, che dai tanti amici con cui ha condiviso il suo cammino missionario e sacerdotale. Nato nel 1946 a Riva di Vallarsa (Tn), ha fatto i voti come missionario della Consolata nel 1968 alla Certosa di Pesio (Cn), ordinato sacerdote al suo paese nel 1974, è subito stato mandato in Etiopia, dove è rimasto fino alla morte eccetto i sei anni passati in Certosa di Pesio dal 1994 al 2000. I superiori avevano già pianificato il suo rientro in Italia, ma una chiamata più impellente lo ha invitato a far festa con i santi, in compagnia del beato Allamano e di tanti altri missionari che lo hanno preceduto.

L’irripetibilità di un incontro

La notizia della morte di padre Paolo Angheben mi ha profondamente addolorata per la sua grandezza come uomo, come sacerdote e come missionario che ha donato la sua vita alla popolazione dell’Etiopia, curandone tutti gli aspetti, da quello esistenziale a quello religioso e vocazionale.

Ho incontrato padre Paolo Angheben una sola volta nell’estate del 1999 alla Certosa di Pesio, ma tale incontro ha lasciato una traccia indelebile nella mia vita. Stavo trascorrendo lì alcuni giorni di riposo, invitata da padre Francesco Peyron, per ridefinire il cammino della fede e recuperare energie in vista della ripresa del mio lavoro, dedicando del tempo alla preghiera e alla meditazione, in un contesto caratterizzato da semplice e calorosa accoglienza, in compagnia di molte persone con percorsi di fede diversificati, con le sante Messe celebrate in orario preserale frequentate da tutti gli ospiti in modo attivo, con un cielo azzurro terso di giorno e stellato di notte, un paesaggio con piante verdi rigogliose e i profili delle Alpi Marittime all’orizzonte.

Fin dal primo giorno avevo notato come padre Paolo avesse incontri frequenti e accogliesse con  un largo sorriso, regalando disponibilità e sapienza. Ho scambiato con lui qualche considerazione su come la fede debba incarnarsi nella quotidianità rispondendo al desiderio di Dio che ogni uomo si salvi e si santifichi, in quanto da Lui desiderato. Abbiamo anche riflettuto sulla non linearità di tale percorso, contrastato a volte dalla individuale fragilità e a volte dagli eventi esterni. È rimasto indelebile in me il confronto con un uomo di profonda fede, consapevole della complessità di tale scelta in ogni situazione, in particolare nell’ambito missionario in cui si intrecciano la promozione umana e l’annuncio della Parola di Dio; conservo in me il dono di aver vissuto un incontro irripetibile con una persona di grande umanità, singolare eleganza e particolare dignità.

Milva Capoia
18 maggio 2021

2019-07-14 salita al Marguareis, padre Paolo Angheben

Testimonianze dall’Etiopia

Traduciamo qui alcuni commenti ricevuti dall’Etiopia nei giorni successivi all’annuncio della morte di padre Paolo.

  1. 1. «Abba Paulos, hai ricevuto da Dio il dono di essere guida spirituale; ora il Signore ti ha ripreso a stare nella sua gloria. Ora che sei alla presenza di Dio, intercedi per noi».
  2. «Abba Paulos è stato un buon esempio di sacerdote missionario. Avendo visto la sua semplicità, mi piace ricordare il versetto “lasciate che i bambini vengano a me, perché di essi è il Regno dei cieli”».
  3. «Abba Paulos, manchi tanto a tutti noi qui in Etiopia. Tu sei stato il nostro padre spirituale, il nostro punto di riferimento quando ci sentivamo aridi spiritualmente e avevamo bisogno di essere ricaricati. Sei stato un’icona di vero missionario che ha assunto la vita, la cultura, la lingua di coloro ai quali sei stato mandato. Noi sacerdoti e l’intera comunità cattolica dell’Etiopia sentiamo fortemente la tua mancanza, ma è incoraggiante e di conforto aver avuto un prete santo come te in mezzo a noi. Noi crediamo davvero che tu abbia “combattuto la buona battaglia, terminato la corsa, conservato la fede” e che riceverai la “corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, ti darà quel giorno” (cfr 2 Tim 4,7-8)».
  4. «Abba, tu sei stato per noi molto di più di quanto tu abbia creduto. Noi di Gighessa siamo frutto del tuo lavoro e della tua fatica. Tu hai fatto la tua parte fino alla fine. Rimani nei nostri cuori sempre. Riposa in pace. Rimarrai nel cuore di molte persone. Tu hai segnato il cuore, la mente e anche il lavoro di molti. Che la tua partenza ci renda ancora più determinati a continuare il tuo lavoro».

dal gruppo «Abba Paulos»

 


Nadim e Afghanistan

Gentile redazione,
l’articolo di Simona Carnino è bellissimo (MC 04/2021). I protagonisti della storia dovrebbero essere i primi in corridoi umanitari. Che cosa pensare di Civil society human rights network? Che conclusione tirare? Che ogni persona onesta e coraggiosa deve arrendersi e scappare da lì?

Il giovane Nadim ha tentato e si è arreso. Auguriamo ogni fortuna in Germania a questa famigliola. E cosa pensare dell’Afghanistan? Probabilmente che resti il peggior posto del mondo (e che da lì non esca più nessuno?).

Carlo May

Abbiamo passato l’email all’autrice dell’articolo. Ecco la sua risposta.

Gentile Carlo,
grazie per il suo messaggio e anche per la simpatia dimostrata per Nadim, Fawkia e Tamkin. Leggo sgomento e sensibilità tra le sue righe e la necessità di avere una risposta non filtrata. Per questo motivo, ho tradotto il suo messaggio in inglese e l’ho mandato a Nadim. Provo a tradurle di seguito la sua risposta.

«Ciao Carlo, grazie per il messaggio, che mi ha reso il giorno migliore. Presto l’Afghanistan vivrà tempi ancora più bui. Gli Stati Uniti sono andati in Afghanistan per i propri interessi personali e molti conflitti si sono generati proprio a causa loro. Però ora la ritirata delle truppe Usa dall’Afghanistan non genererà un miglioramento, perché si creeranno nuovi conflitti interni e a nessuno interesserà nulla.

Il Civil society human rights network continua a lavorare, ma gli attivisti rischiano la vita. Se guardi i ranking internazionali, l’Afghanistan è sempre agli ultimi posti per diritti umani, denutrizione ecc., ma è ai primi posti per corruzione. Credimi se ti dico che appena l’Afghanistan sarà un po’ più sicuro e io potrò combattere per i diritti umani, tornerò subito là».

Simona Carnino
21/05/2021


Errori

Guardando all’ultimo numero, proprio in queste pagine, trovate diversi errori, sfuggiti (questa volta come altre) nonostante l’impegno nelle correzioni. Non è grande consolazione trovarne anche in altre pubblicazioni con più personale e mezzi di noi. Diventano un invito all’umiltà e a prendere coscienza dei nostri limiti.

Vi riporto qui il testo che abbiamo su un quadretto appeso in redazione, regalo di una tipografia tanti anni fa.

«L’errore tipografico è una cosa maligna, | lo si cerca e perseguita, ma esso se la svigna. | Finché la forma è in macchina si tiene ben celato, | si nasconde negli angoli, par che trattenga il fiato. | Neppure il microscopio al scorgerlo è bastante, | prima; ma dopo esso diventa un elefante. | Il povero tipografo inorridisce e freme | e il correttor colpevole il capo abbassa e geme, | perché se pur dell’opera tutto il resto è perfetto, | si guarda con rammarico soltanto a quel difetto».