Un banchetto di nozze


C’è una festa oggi. Un banchetto di nozze. Dio si è invaghito dell’umanità e la chiama per condividere ciò che è suo, ciò che è.

Ha sentito il grido delle sue creature levarsi dalla Terra. Le ha guardate e le ha amate.

E ha mandato i suoi testimoni attraverso i secoli e i confini, per parlare al loro cuore e cambiare il pianto in danza, mostrare che la morte ha perduto il suo veleno, e la vita è viva per sempre.

Giuseppe Allamano è uno di loro. Ha sentito il Signore stare alla porta e bussare. Bussava da dentro perché gli si aprisse per uscire incontro ai popoli*. E quando Giuseppe ha aperto, molti uomini e donne si sono sparsi fino ai confini della Terra per invitare tutti alle nozze, e dire che Egli è con noi ogni giorno, fino alla fine del mondo.

Quei missionari sono andati in Africa, Americhe, Asia, Europa e, con Maria Consolata, ancora oggi rinnovano il segno dell’acqua mutata in vino.

Sono giunti fin nel cuore dell’Amazzonia, dove hanno incontrato e affiancato i popoli nativi che si oppongono al male della storia che li travolge.

Anche lì, come in tutti gli altri luoghi geografici ed esistenziali nei quali vivono, hanno portato la notizia delle nozze, e hanno celebrando la cena del Signore che realizza «il radunarsi escatologico del popolo di Dio»*.

Anche lì, dove la guarigione di un uomo in fin di vita ha mostrato in modo tangibile che la morte non ha l’ultima parola, che la vita non muore, l’umanità oggi può sentire di non essere abbandonata, ma consolata, sposata.

C’è una festa oggi. Una festa che non legge le sofferenze individuali e di interi popoli come incidenti da tralasciare, la croce come una parentesi da scordare. Ma come vita amata da trasfigurare, già qui e ora.

Grati per le opere che il Signore ha compiuto e compie,
buon mese missionario in questo ottobre che celebra Giuseppe Allamano santo

da amico, Luca Lorusso

*Cfr. Messaggio di papa Francesco per la giornata missionaria mondiale (Gmm) del 20 ottobre 2024, data della canonizzazione di Giuseppe Allamano, uno dei principali promotori dell’istituzione della Gmm stessa.

 




Il pastore bello


Il pastore conosce le sue pecore ed è conosciuto da loro.
Il mercenario non conosce le sue pecore e non si lascia conoscere.
Il pastore, se vede il lupo, si mette in mezzo tra il lupo e le pecore per proteggerle.
Il mercenario, se vede il lupo, manda avanti le pecore perché lo proteggano.

Il pastore dà la sua vita per le sue pecore (Gv 10,11-16), perché le sue pecore sono la sua vita, la sua gioia.

Il mercenario salva la propria vita. Non vorrebbe sacrificare le pecore, perché gli sono utili,
ma se è necessario per mettersi al sicuro, lo fa.

Quando il pastore è assunto in cielo, le sue pecore diventano pastore le une per le altre
e, tutte insieme, pastore per quelle che non sono ancora con loro.

Quando il mercenario muore, le sue pecore gareggiano per prendere il suo posto, il suo potere.
E calpestano le altre. Vogliono le altre con loro solo per se stesse.

Tu, Signore sei il nostro pastore. Non manchiamo di nulla.
Noi siamo le tue pecore, ci chiami per nome, ci custodisci, non lasci che nulla ci colpisca,
non lasci che moriamo in eterno.
Raccogli ogni minuto di ogni ora di ogni giorno delle nostre vite.
E tieni tutto con te.

Inviati come pastori,
raduniamo in Lui la vita nostra e di chi ci è affidato,

buona estate missionaria
da
amico

Luca Lorusso


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La Pentecoste di Maria


Il suo volto ti abita, Maria, ora che non puoi più toccarlo.
Lo vedi ogni momento.
È tranquillo mentre, neonato, si addormenta attaccato al tuo seno.
È sorridente a due anni tra le braccia di Giuseppe.
È serio tra i maestri nel tempio in adolescenza.
È il volto del tuo Signore, il viso bello di tuo figlio.

Lo scruti tra la folla che lo ama.
Lo contempli sporco di polvere e sangue.
Lo abbracci nell’orto degli ulivi, quando vi ordina di rimanere a
Gerusalemme per ricevere lì lo Spirito Santo, poco prima che venga elevato in alto e sottratto al tuo sguardo da una nube.

Erano quaranta giorni che stava con voi, e pronunciava parole di consolazione, e compiva prodigi. Ora ne sono trascorsi nove senza vederlo più, e tu custodisci tutto nel tuo cuore.

Oggi il tuo popolo celebra la Pentecoste, il memoriale della consegna a Mosè della Legge sul Sinai, del momento in cui Israele è diventato il popolo di Dio e il Signore suo Dio. La Città Santa è in fermento. Anche gli amici di Gesù lo sono. Si domandano che fare, cosa celebrare.

E all’improvviso viene dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempie la casa dove state tutti insieme. Vedi lingue come di fuoco che si dividono e si posano su ciascuno. Anche su di te. E tutti venite colmati di Spirito Santo (cfr. At 2,1-11).

A quel rumore, la folla multietnica di Gerusalemme si raduna. E tutti rimangono stupiti nel sentire gli apostoli parlare delle grandi opere di Dio nelle loro lingue native.

Oggi la Chiesa nasce dallo Spirito, e nasce missionaria. Nasce da una Legge scritta sul cuore, capace di parlare di vita piena ed eterna alla vita di ogni donna e ogni uomo.

Anche tu rinasci Maria.

Forse speravi che lo Spirito promesso ti avrebbe chiarito tutto. Quello che da più di trent’anni in qua è accaduto in te e attorno a te e che ancora oggi accade.

Invece hai ricevuto la chiarezza definitiva che, semplicemente, tutto sta in modo saldo nelle mani amorevoli del Padre, che tutto viene da Dio e a Dio torna. Anche tu, anche tutto ciò che hai meditato e mediterai nel tuo cuore.

Oggi sei consolata, Maria, sorella e consolatrice.

Consolati dal Consolatore,
buon cammino sulle strade del mondo,

da amico
Luca Lorusso

In questo inserto:

  • Bibbia on the road: Inni cristologici /1
  • Parole di corsa: Dio ha il suo piano per noi
  • Amico mondo: Laudate Deum, il creato chiama
  • Progetto Mongolia: Per i ragazzi di Zuunmod

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E si mise a sedere sulla cenere


Eccoti sul tuo trono, antico Re di Ninive. Siedi avvolto nel profumo mediorientale del tuo manto.
La citta su cui regni è come la tua vita. Tumultuosa, disarticolata. Traboccante di commerci e lingue, gesti umani e grugniti di bestie, piazze vivaci e vicoli ripugnanti, odori e polvere.

Ci vogliono tre giorni di cammino per attraversarla. Quando ci provi, ti stupisce.

A volte t’imbatti in misteriosi bastioni fortificati, e li aggiri. Non sai cosa celino, e si aprono solo pronunciando parole d’ordine che hai scordato.

Eccoti qui, sul tuo trono. Sei inquieto, ma non troppo. Amministri l’ordinario, pensi di avere tutto sotto controllo, o quasi.

Non ti accorgi, però, che il suolo trema e le nubi si addensano, non vedi che gli abitanti del tuo regno, uno dopo l’altro, si vestono di sacco e iniziano un digiuno.

Non ne prendi coscienza finché dentro te la fame non morde con insistenza. E allora la percepisci: c’è una voce che risuona per le strade. Chiede la tua presenza, e domanda di riportare alla memoria le parole d’ordine accantonate e lasciare da parte il resto.

Qualcosa di profondo sta avvenendo.

È la fine? O un’occasione?

Decidi che è un inizio, uno dei molti che già hai vissuto e che vivrai.

Qualcuno, un giorno, ricordando quanto accade in questo momento, scriverà a tuo riguardo: «Egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere» (Giona 3,1-10).

L’ordine che esce dalla tua bocca segue quanto già sta avvenendo: tutto ciò che vive e si muove nel tuo regno, uomini e bestie, si fermi, trattenga la voracità che l’acceca e lasci cadere la violenza che è nelle sue mani. Si liberi dalle false immagini che si è fatto di sé e del suo dio e invochi il Signore perché riporti tra le case la vita.

Chissà che il tuo ardente sdegno per te stesso, o Re, non si plachi, e che tutto quanto doveva morire ed essere lasciato andare non si trasformi in cenere su cui riposare.

Dall’alto di una croce, e dalla luce di un sepolcro, una Parola ti riaprirà.

Buon cammino verso la Pasqua, svincolati dai troni che ci bloccano e dai manti che ci coprono,

da amico

Luca Lorusso

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Il volto svelato


È arrivato il tempo, ed è ora, nel quale il veleno della morte
si tramuta in una bevanda dolce.
Il velo che copriva il volto dell’umanità, di ogni popolo,
di ogni famiglia, di ogni singolo è strappato.
Anch’esso tramutato in fragrante pane saporito.
Il mio volto illuminato dal Tuo.
Il Tuo volto di bambino che porta
a compimento la promessa.
Quella fatta fin dal primo giorno di vita sulla Terra:
«Eliminerà la morte per sempre» (Is 25, 6-10).
È arrivato il tempo in cui le lacrime del lutto
sono accarezzate via dalle dita dell’Amato,
dalla Parola dell’Amante, dal soffio dell’Amore.

Buon Avvento e buon Natale
perché sia il tempo nel quale svelare
il nostro volto autentico
da amico.

Luca Lorusso


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Perderci e ritrovarci


Sono qui di fronte a te. Dopo una notte di lavoro lunga e infruttuosa.

Ora è l’alba, e tu ti sei presentato alla mia fame per offrirmi un buon cibo preparato da te (Gv 21).

Ricordo di noi due. Ti avevo cercato per molto tempo senza trovarti, e, quando tu mi hai trovato, ho scoperto che anche tu mi cercavi. Da sempre.

Ricordo di avere più volte rischiato di perderti, e che tu mi perdessi. Di avere sentito che, perdendo te, avrei perso anche me. Paura di rimanere senza un nome da pronunciare, senza un volto che chiamasse il mio nome.

Non ti ho mai perso fino a quella sera, quando mi hai detto: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi» (Gv 13,36). Quando ti ho chiesto di tenermi con te e di poter morire per te, e di perdermi per te, e tu non hai voluto.

Mi sono perso in me, allora, e non ti ho più riconosciuto. A chi mi domandava se fossi tuo amico, rispondevo di no. E non mentivo: davvero ti guardavo nel cortile di Anna e stentavo a dire di te che tu mi amavi e che io ti amavo.

Ti ho perso mentre venivi innalzato e io rifiutavo di vederti così lontano, diverso, distinto da me, così altro. Totalmente te.

Mi avevi chiamato a una prossimità intima. Ora mi chiamavi a un distacco, a una distanza che ti rivelava per ciò che sei, che mi svelava per ciò che sono.

Una distanza ancora più intima che suggerisce quanto non sia automatico, necessario o inesorabile che io e te ci amiamo.

Una trascendenza che ci chiede di sceglierci. Di nuovo. Ancora.

Lo capisco ora, masticando questo pesce arrostito.

Meraviglia!

Mentre tu sei totalmente tu e io sono totalmente io, mi chiedi se ti scelgo, mi dici che mi scegli. «Pasci le mie pecore» e, come il primo giorno, «seguimi», perché mi prendi con te e dove tu sei sarò anche io.

Buon mese missionario, in intima prossimità e alterità con Lui, da amico

Luca Lorusso

 




Opere tutte

Come mai quegli uomini non bruciano? Gettati nella fornace ardente, le fiamme non li consumano. E cantano.
Cerco di comprendere le parole che pronunciano: benedicono il loro Dio. E domandano a ogni cosa, ogni essere, ogni uomo, di fare altrettanto: «Benedite, opere tutte del Signore, il Signore, lodatelo ed esaltatelo nei secoli» (Dn 3, 57).

Come possono esaltare un qualsiasi dio le acque, i cieli, le stelle, il sole, i venti, il freddo e il caldo, la luce e le tenebre, i monti e le colline? E le creature che germinano sulla terra, i mostri marini, gli uccelli dell’aria, gli animali tutti, selvaggi e domestici?

Certo, i figli dell’uomo sì, potrebbero lodare il loro Dio.

E, per lo stupore che provo, sono tentato anche io, abituato a dominare ogni cosa con il mio potere, di sentirmi creatura capace di gratitudine verso un altro. Verso l’Altro che, creando tutto, ha creato anche me, amando tutto, ama anche me.

Li osservo, mentre lodano il loro Dio che li sta salvando dalla fiamma.

E, ascoltando la loro lode, lo vedo con i miei occhi: sotto forma di angelo, tra le fiamme, assieme a loro.

Io che sono re, signore di tutto ciò che il mio sguardo può contenere, non andrei mai tra le fiamme per i miei servi. Lui sì. E forse lo farebbe anche per me.

«Lodate il Signore perché egli è buono, perché il suo amore è per sempre». Perché il suo amore è per sempre, e per ogni creatura, dall’acqua al pesce, alla mia nostalgia di Lui; dalla pietra all’abisso che egli penetra con il suo sguardo, al mio cuore.

Buona immersione estiva nelle opere del Signore,
buona benedizione di Lui e della vita abbondante che ha messo in te,
da
amico

Luca Lorusso

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Un gemito inesprimibile


Com’è possibile sperare ancora, Signore? Ci guardiamo attorno e vediamo l’intera creazione che geme e soffre le doglie del parto. E insieme a essa, gemiamo anche noi (Rm 8).
Cosa sperare ancora, in questo tempo che pare uccidere il futuro? Su questa Terra scossa da crisi ambientali, pandemie, conflitti armati, disastri naturali, carestie di umanità?

Possiamo attenderci ancora la salvezza? Una qualsiasi salvezza?

Il mondo attende la rivelazione dei figli di Dio. Ma cosa riveleranno?

Ci salveranno dalla morte? Saranno in grado di guarire le ferite che da troppo tempo aspettano di essere rimarginate? Oppure ci chiederanno di rassegnarci, in attesa dell’aldilà?

Questo ti domandi mentre cerchi nelle tenebre i segni di un’alba che tarda. E senti un soffio che ti lambisce il cuore, un canto che ti abbraccia, una preghiera insistente che intercede per te. È un gemito inesprimibile. Ti tenta con l’invito di sostituire l’angoscia con la pace.

La speranza è quella di non morire? O quella di vivere? Di resistere alla morte, o di attraversarla scoprendola abitata, iniettata di Lui.

Se Lui ti salva, ti salva dalla morte, o nella morte?

Quello che speriamo, non lo vediamo. Ciò che il nostro cuore teme ingombra la visuale, e ciò che desidera pare impossibile.

Hai sentito dire che le ferite possono diventare feritoie. Cosa puoi vedere se ci guardi attraverso? Vedi Lui e il suo amore da cui ha origine ogni cosa e nel quale tutto è ricapitolato e custodito. La vita eterna già oggi.

E fiumi di acqua viva sgorgano dal tuo seno (Gv 7,38).

Buon cammino nello Spirito, da amico

Luca Lorusso


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Il tuo sguardo io cerco


È arrivato di corsa, affannato. Aveva una domanda che lo agitava: come faccio a non morire? Negli occhi la determinazione di ottenere una risposta e la convinzione di avere a suo vantaggio una vita ineccepibile, fin dalla giovinezza (cfr Mc 10,17-31).

Hai fissato lo sguardo su di lui. Ne hai contemplato la verità. E lo hai amato, cogliendone la miseria. «Una cosa sola ti manca», gli hai detto per indicargli la salvezza annidata proprio lì, nella grazia di avere una falla.

E gli hai offerto una via di uscita da sé: te.

Non mi ha stupito che, al tuo invito di lasciare tutto, il tale sia tornato sui suoi passi. Mi ha stupito, però, l’immagine del cammello che non passa nella cruna di un ago, e il tuo sguardo, questa volta fisso su di me: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio».

«Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito», ho detto allora per eludere quei tuoi occhi che mi mettevano a nudo.

«In verità io vi dico – hai aggiunto -: voi fate bene molte cose, mi seguite, avete lasciato tutto. Siete primi. Siete ricchi di opere giuste e sante.

Ora, però, i primi saranno ultimi e i ricchi saranno rimandati a mani vuote.

Sì, i primi saranno ultimi perché possano essere ristabiliti primi dal Padre, e i ricchi saranno rimandati a mani vuote perché abbiano la gioia di ritrovare la fame, e con essa i beni di cui essere ricolmati.

La vita eterna, infatti, non è un premio o una conquista, ma una realtà
donata dal Padre».

Mi guardavi ancora. «Nessuno è buono, se non Dio solo». E mi sono detto: il centuplo sei tu, la vita eterna è la tua vita in me e la mia in te. Lasciare tutto, allora, non è più lasciare qualcosa di mio per ricevere altro, ma lasciare che ogni cosa mia rimanga ciò che è: un tuo dono per me.

Buon cammino di Quaresima, a mani vuote, da amico

Luca Lorusso

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«I giovani avranno visioni»


Avverrà: ci sarà un tempo nel quale i bambini profeteranno, i giovani avranno visioni, gli anziani faranno sogni.
Allora la promessa realizzata sarà visibile, comunicabile, esperibile. E l’eternità sarà la durata dell’amore, e l’amore sarà origine e orizzonte della vita.

Sarà un tempo nel quale non mancheranno i segni del sangue e del fuoco, e nuvole di fumo saliranno al cielo come grida dal fondo di un pozzo, o di un rifugio antiaereo. Il sole si muterà in tenebra e la luna in sangue (cfr. At 2,17-21; Gl 3,1-5).

Nuove stragi d’innocenti si aggiungeranno a quelle passate. La speranza vacillerà, assieme alla fiducia nell’amore.

E avverrà: in quegli ultimi giorni, che saranno gli ultimi disperati, lo Spirito condurrà nel cuore di ciascuno la certezza della vita amata che non muore, dell’esistenza custodita e ricapitolata in Dio, salvata, guarita, unificata in quel piccolo adagiato in una mangiatoia, in quell’uomo che cammina nella polvere del mondo portando nei piedi i segni di un chiodo.

Avverrà, ed è già avvenuto. Saranno giorni, ed è già oggi, nei quali la morte non sarà meno dolorosa, ma non sarà l’ultima parola, la tenebra non sarà meno fitta, ma non sarà definitiva, e tutti i figli di Dio narreranno ai loro fratelli la gioia.

In attesa operosa della luce,

buon Avvento e buon Natale da amico.

Luca Lorusso

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