Padre Luca Bovio, missionario della Consolata in Polonia, ha compiuto diversi viaggi nel Paese in conflitto dall’inizio dell’invasione russa. Ogni volta per portare tutto l’aiuto che gli è possibile, anche grazie alla generosità di molti amici della Consolata.
A inizio novembre è stato a Fastow, vicino alla capitale Kiev, e a Kherson, sul fronte Sud della guerra.
«Ti auguro la pace dal cielo», è il saluto che spesso ci si scambia in Ucraina salutandosi alla fine di un incontro.
È un augurio con un significato concreto: ti auguro che nessun missile o drone cada dal cielo. In tempo di guerra, è un augurio essenziale.
Ma è anche un’invocazione: il Signore che sta nei cieli ci aiuti ad avere la pace.
Dal marzo 2022, quando compimmo il nostro primo viaggio nell’Ucraina invasa dalla Russia, siamo tornati nel Paese diverse volte. I Missionari della Consolata e la Chiesa polacca non smettono di portare il loro aiuto alle popolazioni colpite dal conflitto.
In questi ultimi mesi siamo tornati in Ucraina diverse volte. L’ultima pochi giorni fa. Un viaggio iniziato nella comunità dei Domenicani a Fastow, non lontano dalla capitale Kiev, proseguito a sud fino alla città di Kherson e conclusosi con il ritorno a Kiev.
A Fastow c’è una vivace comunità di Domenicani impegnati non solo nel guidare la parrocchia locale e alcune chiese limitrofe, ma anche, con l’aiuto di numerosi volontari, in molte opere sociali.
Tra queste, l’accoglienza di bambini che qui possono stare sotto un tetto sicuro e caldo, e ricevere istruzione.
Poco lontano è stato aperto un centro di riabilitazione con una nuova cappella benedetta domenica 3 novembre dal Nunzio apostolico.
Dopo aver partecipato alla giornata di festa, allietata anche da diversi cori, tra cui un coro di giovani non autosufficienti e un gruppo musicale di soldati, ci siamo diretti ancora una volta nella città di Kherson, posta a sud del Paese, sulla riva occidentale del fiume Dniepr.
In questi giorni la città celebra il secondo anniversario della liberazione, avvenuta l’11 novembre del 2022, quando, dopo una breve occupazione russa, è ritornata sotto il controllo ucraino.
Da quel momento non si può dire che la città viva in pace, anzi di fatto è un fronte di prima linea. Il fiume, in questo momento, determina il confine naturale tra i due eserciti: gli ucraini a ovest, i russi a est.
Le condizioni di vita in questo luogo sono difficili a motivo dei continui lanci che da una sponda all’altra si scambiano gli eserciti giorno e notte.
La città che contava quasi 300mila abitanti prima dell’invasione, si è vista ridotta a 30mila. Oggi si assiste a un timido ritorno, e oggi si calcola che in città vivano circa 70mila abitanti. Alcuni, infatti, nonostante il pericolo, hanno deciso di tornare non avendo la possibilità di vivere per un lungo periodo da altre parti.
Don Massimo con il suo vicario, anche lui don Massimo, e un catechista che vive con loro, Sergio, stanno nell’unica parrocchia latino cattolica della città, dedicata al Sacratissimo Cuore di Gesù, posta non lontano dalla riva del fiume.
Sono impegnati a tenere viva la piccola comunità cristiana che ogni giorno si ritrova nella chiesa per celebrare la santa Messa, ma anche nel distribuire aiuti umanitari.
Don Massimo si reca quasi ogni giorno nei villaggi attorno alla città per portare acqua potabile. Qui l’acqua è abbondante nel sottosuolo, tuttavia, a motivo della guerra, le falde sono inquinate. Le esplosioni di magazzini di fertilizzanti usati dai contadini hanno causato un doppio danno: la perdita dei concimi e l’inquinamento delle falde.
La fonte di acqua che si trova sotto la parrocchia è ancora pura, e con essa viene riempita una cisterna di 1000 litri che va settimanalmente nei villaggi.
Al mattino, passando i vari check point dei militari, arriviamo nel piccolo villaggio di Sloneczne dove lasciamo la cisterna.
Da Sloneczne ci dirigiamo verso la città e visitiamo la nuova lavanderia che i Domenicani hanno aperto affidandola ad alcune donne del posto.
Da poche settimane qui sono messe a disposizione 10 lavatrici e 10 asciugatrici dove chiunque, soldati compresi, possono gratuitamente lavare i panni.
Nel pomeriggio ritorniamo a visitare il piccolo ospedale di Bylozerka, per consegnare i medicinali che abbiamo portato.
Ritroviamo la giovane chirurga Natalia, l’unica rimasta a lavorare qui. È molto contenta di ricevere i medicinali che portiamo. Le condizioni di lavoro in questo piccolo ospedale che serve una grande regione, sono molto difficili. Ogni giorno il villaggio, e, a volte, l’ospedale stesso, sono colpiti dai droni o dall’artiglieria russi.
I segni delle esplosioni sono visibili. Tutte le finestre sono coperte con i sacchi di sabbia per attutire i colpi.
Delle quattro ambulanze disponibili prima della guerra, ne è rimasta una sola. Le altre sono state tutte distrutte.
Purtroppo, ha perso la vita anche una equipe medica che era a bordo di una di esse. Ultimamente è stata distrutta anche la caldaia dell’ospedale.
I medicinali che consegniamo erano esauriti. Tra questi, ci racconta Natalia, mancano anche gli antidolorifici. L’incontro con lei è breve. La stessa dottoressa ci incoraggia a tornare in città perché fra poco calerà il sole e potrebbero di nuovo iniziare le esplosioni.
Una volta tornati, riusciamo a fare ancora una breve passeggiata nei dintorni della Parrocchia in una città completamente al buio. I parchi sono tutti chiusi, ed è pericoloso attraversarli. Tra le foglie abbondanti che coprono i giardini e i marciapiedi in questa stagione autunnale, sono mischiate alcune mine a forma di foglia lanciate dai droni, pericolose perché difficili da riconoscere.
Notiamo la presenza di tanti cani randagi che girano per le strade deserte. Soprattutto nelle ore serali. È meglio evitarli. Il loro abbaiare è l’unico suono che si sente nel profondo silenzio di questa citta, alternato solo dai rumori degli spari che rimbombano da lontano.
Finita la visita a Kherson, torniamo a Kiev e da lì di nuovo in Polonia. Pensiamo che, nonostante la lunghezza del conflitto e la stanchezza che tutti sentiamo di avere, in primis coloro che abitano in Ucraina, la situazione richiede ancora molta preghiera e molto aiuto. E affidiamo questo Paese all’intercessione del nostro santo fondatore Giuseppe Allamano.
Luca Bovio, Imc
Ucraina nel cuore dell’estate
Padre Luca Bovio ha compiuto il suo settimo viaggio in Ucraina tra il 23 e il 28 luglio 2023. Partito da Kiełpin, in Polonia, ha toccato le città di Lutsk, Lubieszów, Kiev e Cherson (Fedorivka). Ecco la cronaca giorno per giorno.
Lutsk
23/07/2023. Questo viaggio si svolge nel cuore dell’estate e inizia con una prima tappa nella città di Lutsk, la prima che si incontra entrando dalla frontiera più a nord dalla Polonia.
Questa città, come del resto la regione chiamata Volyn, è la zona più lontana dal fronte. Per questo motivo più di 100mila rifugiati hanno trovato accoglienza qui.
I problemi non mancano, considerando che la zona è economicamente povera. Nella regione si trovano decine di villaggi medio piccoli abitati prevalentemente da contadini.
In questo territorio, fortemente influenzato dalla vicina Polonia, sono avvenuti scontri molto crudeli alla fine delle Seconda guerra mondiale.
La presenza dei cristiani cattolici è bassa. Più numerosi sono gli ortodossi. Quasi ogni nostro viaggio è iniziato da qui perché e la strada più diretta per entrare nel paese arrivando dalla Polonia.
Andiamo a conoscere il vescovo, mons. Vitalii Skomarovs’kyj. Qui la chiesa locale è impegnata nell’aiutare i rifugiati.
Lubieszów
24/07/2023. Di buon mattino ci mettiamo in viaggio insieme a don Paolo, il vicario del vescovo, in direzione nord, verso Lubieszów, a 130 km da Lutsk.
Lubieszow è una cittadina di circa 10mila abitanti posta a soli venti km dal confine con la Bielorussia. Lo scopo di questo breve passaggio è quello di visitare una chiesa e il convento adiacente che il vescovo vorrebbe dare al nostro Istituto, per una possibile futura presenza di lavoro missionario.
La chiesa dedicata ai santi Cirillo e Metodio fu costruita dai Cappuccini nel XVIII secolo. Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale e l’inizio dell’occupazione russa, i frati dovettero abbandonare tutto e il convento divenne la stazione della polizia locale. La chiesa una palestra.
Dopo la caduta del muro di Berlino e il ritorno della democrazia in Ucraina, nel 1992, il complesso fu restituito alla diocesi locale. La comunità cattolica è oggi formata da circa trenta fedeli che la domenica partecipano alla santa Messa presieduta da un parroco polacco che vive a 60 km da qui.
L’intero edificio ha bisogno di importanti lavori di manutenzione, già iniziati con il cambio del tetto. Vedremo se in futuro il discernimento che faremo con i superiori ci porterà forse un giorno a lavorare in questo luogo.
Dopo questa breve visita, ci dirigiamo verso Kiev, che raggiungiamo con circa sei ore di viaggio per alloggiare in Nunziatura e riprendere il viaggio il giorno successivo in direzione di Cherson.
La sera faccio una passeggiata nel centro della città per sgranchire le gambe dopo le lunghe ore di viaggio e per gustare le bellissime chiese e palazzi illuminati.
Cherson
25/07/2023. La distanza che separa Kiev da Cherson è di quasi 600 km passando per la strada più diretta e sicura. Il GPS la mostra chiusa, ma in realtà è percorribile. Il viaggio ci regala dei paesaggi suggestivi. La giornata calda e soleggiata fa brillare intensamente le sconfinate distese di coltivazioni di girasoli che spesso incontriamo.
Sono abbastanza numerosi i grandi camion che viaggiano in direzione sud carichi di cereali e frumento per essere imbarcati nelle gigantesche navi cargo nel grande porto di Odessa e, da lì, partire per tutto il mondo.
Purtroppo, i magazzini portuali sono diventati ultimamente obiettivi sensibili e spesso sono stati colpiti causando la perdita di tonnellate di prodotti.
Anche il mancato accordo sul grano contribuisce a far lievitare i prezzi a livello mondiale di queste materie prime così importanti per sfamare tante povere popolazioni nel mondo.
Abbiamo con noi aiuti sanitari. In particolare, abbiamo raccolto pastiglie che disinfettano l’acqua. Il sei giugno a circa 100 km da qui in direzione nord fu fatta saltare la diga sul fiume a Kakhovka. L’esplosione della diga riversò l’acqua del bacino artificiale che travolse e allagò villaggi e città. A Cherson il parroco don Massimo ci indica le pareti delle case con il segno lasciato dall’acqua.
Sui fili della corrente sono rimaste appese delle scarpe trascinate dalla corrente.
Molte case sono state invase dall’acqua e quelle più fragili distrutte, come quella che abbiamo visitato. Il proprietario, che ci mostra ciò che rimane e che prova a salvare, è ospitato in parrocchia.
Cherson è una città disabitata. Prima del conflitto contava circa 300mila abitanti. Oggi si stima che ve ne siano tra i 20 e i 25mila.
Nella zona più lontana dal fiume al mattino ci sono pochi negozi aperti e qualche mercato. Vicino al fiume, dove abitiamo, non si vede quasi nessuno per tutto il giorno. I mezzi pubblici, dove è possibile, svolgono ancora il loro servizio. Accanto a ogni stazione dell’autobus è stato posto un bunker: nel caso di improvvise esplosioni, la gente può così trovare un rifugio.
Già nel primo pomeriggio le strade dell’intera città si svuotano e i mezzi si fermano. Dalle nove di sera alle cinque del mattino c’è il coprifuoco. Durante la notte c’è il divieto di accendere la luce nei piani più alti dei palazzi. Sono tuttavia molto poche le persone che abitano su quei piani ritenuti troppo pericolosi.
26/07/2023. La mattina visitiamo l’ospedale pediatrico della città accompagnati dalla dottoressa responsabile. Ci racconta che prima della guerra qui nascevano annualmente circa 1.500 bambini. Oggi 20, 22 al mese.
Arriviamo poco dopo la nascita di un bambino. Tutte le attività dell’ospedale sono state trasferite al piano terreno.
Il quarto piano è stato colpito da un razzo. Lo visitiamo rapidamente arrivando fino al balcone più alto dell’edificio da cui si vede la città.
Facciamo diverse foto ma ci viene chiesto di non pubblicarle perché c’è il divieto di salire fino lassù.
La sala parto è una semplice stanza con l’occorrente. A fianco un’altra stanza attrezzata dell’essenziale: è la sala operatoria.
Ci affacciamo durante un intervento in corso.
Scendiamo nelle cantine dove si trovano i locali più sicuri. Qui ci sono delle brandine con i sacchi a pelo. Durante gli allarmi questo è il luogo di riparo. A fianco si sta lavorando per organizzare una vera sala operatoria.
All’esterno dell’ospedale vediamo un grande generatore di corrente ancora imballato, arrivato come dono umanitario. La dottoressa ci racconta che sarebbe molto utile, ma purtroppo non ci sono i cavi di collegamento. Ci impegniamo a interessarci della cosa per attivare la macchina.
La parrocchia del Sacro Cuore, dove abitiamo, è uno dei pochi centri di distribuzione di aiuti agli abitanti. Il giorno precedente al nostro arrivo è stata organizzata la distribuzione. Circa mille persone hanno ricevuto cibo.
Questa distribuzione è rischiosa. Ogni assembramento costituisce un potenziale obiettivo. È sufficiente che questa informazione arrivi dalla parte opposta del fiume e si potrebbero avere conseguenze gravi. Per questo motivo il giorno e l’ora della distribuzione non sono mai gli stessi.
In questo momento gli aiuti arrivano abbastanza regolarmente. Senza di essi sarebbe difficile sfamare i cittadini.
Oltre a quella della parrocchia in città è stata aperta anche una mensa organizzata dai Domenicani che, pur non vivendo qui, assicurano il cibo e ciò che occorre per la distribuzione. Ogni giorno vengono preparati mille pasti. Si possono consumare sul posto oppure una rete di volontari li consegna nelle case.
Anche la parrocchia greco cattolica della città, guidata dai padri Basiliani, è impegnata nella distribuzione degli aiuti.
Fedorivka
Nel pomeriggio di questa intensa giornata ci rechiamo in un villaggio fuori città, Fedorivka, a poche decine di chilometri a nord di Cherson.
Fedorivka è uno dei tanti villaggi colpiti dall’inondazione avvenuta a causa della distruzione della diga. Per arrivare qui occorre passare diversi check point dei militari.
Ne vediamo alcuni passare su una macchina. Hanno appena abbattuto un drone, e i resti caduti lontano sono ancora visibili e fumanti nei campi.
Siamo accolti nel villaggio dal responsabile con la sua moglie.
Portiamo un generatore di corrente perché qui gli abitanti hanno mediamente solo due ore di elettricità al giorno, un tempo insufficiente per tenere carichi i telefonini. Il generatore sarà messo a disposizione nella chiesetta del villaggio.
Siamo accompagnati a visitare l’abitato. Ci raccontano che l’acqua dell’inondazione, qui è rimasta per quasi tre settimane, perché il terreno è pianeggiante e quindi non favorisce il deflusso.
Molte case e fienili sono stati trascinati via insieme agli animali. Sacchi di cereali custoditi nei magazzini sono marciti. Chi è rimasto prova ora salvare il salvabile.
In questi villaggi è ancora vietato bere l’acqua dai pozzi a causa dell’inquinamento delle falde.
In tutti i campi attorno al villaggio persiste un cattivo odore di marciume. Per questo si cercano alternative come autopompe (una purtroppo si è guastata), acqua in bottiglia, pastiglie disinfettanti.
Portiamo del cibo a una coppia di anziani. La signora che ci accompagna ci racconta che durante il tempo dell’occupazione nella loro casa furono nascosti sei soldati ucraini in fuga. Quando arrivarono le forze speciali russe che li cercavano, la signora li nascose in un locale e diede loro il rosario dicendo: «Che ci crediate o no, usatelo!». I russi chiesero dei soldati. La signora disse che non li aveva visti e quelli se ne andarono. Allontanatisi i soldati russi, quelli ucraini poterono scappare a piedi fino a Mikolajow.
Tornati in città, trascorriamo la serata in parrocchia dopo aver fatto una breve passeggiata nei dintorni. Il quartiere è deserto e per tutta la notte si intensificano i colpi che spesso ci svegliavano insieme al suono delle sirene.
27-28/07/2023. Il viaggio di ritorno lo facciamo senza difficoltà, coprendo la lunga distanza che ci separa da casa in due giorni. Anche il passaggio della frontiera avviene con poche ore di attesa.
Come dopo ogni viaggio, anche questa volta ritorniamo con tanti ricordi. Abbiamo la consapevolezza che il conflitto sarà ancora lungo e per questo ci sentiamo sfidati, insieme a tante persone vicine a noi, a non stancarci nel portare consolazione e pace.
padre Luca Bovio
Il viaggio in immagini
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Grazie da Chernihiv – Ucraina
Parrocchia dello Spirito Santo
Chernihiv-Ucraina
10.05.2022
A nome della nostra comunità di Chernihiv vorremmo ringraziarvi i benefattori della rivista MIssioni Consolata per aver aiutato le persone colpite dalla guerra.
Lo scorso 2022 non è stato un periodo facile per tutta l’Ucraina, compresa la nostra parrocchia. Lo scoppio della guerra che ha coinvolto anche la nostra regione a nord del paese vicino al confine con la Bielorussia, ha presentato molte sfide alla nostra comunità. Dalla fine di febbraio ad aprile, il nostro monastero guidato da noi Oblati, è stato luogo di rifugio per i parrocchiani e i residenti della città ospitati nei sotterranei del nostro monastero e della nostra chiesa. Qui le persone hanno ricevuto aiuti materiali e spirituali. Durante il bombardamento della città c’erano circa 80 persone nelle nostre cantine. Gli Oblati sono rimasti con la gente fino alla fine.
Dopo il ritiro delle truppe russe dal distretto di Chernihiv, il nostro monastero è diventato, tra l’altro, un luogo dove chiunque chiedesse aiuto umanitario poteva ottenerlo. Ci siamo recati nei quartieri più danneggiati della città e dintorni per sostenere le popolazioni particolarmente colpite dalla crudeltà della guerra. Tutto questo è stato possibile grazie agli aiuti umanitari di varie organizzazioni ecclesiali e non e anche con fondi propri. Il nostro monastero ha anche cercato di aiutare coloro che non sono stati raggiunti dagli aiuti umanitari. Abbiamo visitato le case delle persone, comprando loro i prodotti o le medicine necessarie. In diversi casi, siamo stati coinvolti nella ricostruzione di case fatiscenti acquistando materiali da costruzione. Il nostro aiuto, oltre al valore materiale, è stato principalmente di natura spirituale. Pregando insieme alle persone, abbiamo voluto dare loro un segno di solidarietà viva e di speranza. Dal settembre 2022, abbiamo ripreso la distribuzione dei pasti: “le cene del martedì e del giovedì”. A causa della situazione finanziaria molto difficile degli abitanti della città, il numero di persone che venivano al monastero per un pasto è aumentato il martedì: sono circa 70 le persone donne e uomini che ricevono un cibo caldo. A questo scopo i parrocchiani si sono uniti con grande impegno cucinando un pasto caldo.
Abbiamo anche in programma di aprire un centro di aiuto psicologico in parrocchia, perché molte persone sono ferite e hanno bisogno di aiuto psicologico.
Ancora una volta, desideriamo ringraziarvi per la vostra gentilezza e assicurarvi un ricordo orante per tutti i nostri benefattori. Benvenuti a Czerniców!!!
Padre Sergiy Panchenko OMI
Parroco della parrocchia dello Spirito Santo
E l’Est è venuto da noi
Da quindici anni in Polonia per l’animazione missionaria e per «guardare a Est», dallo scorso 24 febbraio (2022) padre Luca Bovio si trova coinvolto nell’emergenza Ucraina. Prima nell’accoglienza dei profughi, poi in una rete di solidarietà che porta sollievo alla popolazione in guerra e offre una testimonianza di pace.
«È stata come un’ondata. In pochissimi giorni sono arrivate in Polonia prima centinaia, poi migliaia di persone». Padre Luca Bovio, missionario della Consolata milanese, classe 1970, in Polonia dal 2008, ci racconta in collegamento da Varsavia l’inizio del conflitto in Ucraina dal suo punto di osservazione polacco.
«Giorno dopo giorno i numeri crescevano. Il telefono ha preso a squillare non stop.
Un giorno mi chiama una donna, appena entrata in Polonia. Parla ucraino. Io dico che non capisco, allora mi passa un volontario che traduce: “Guardi, questa signora con figli ha avuto il suo numero dall’Italia. Le vuole chiedere se può chiamare sua sorella, per dirle che sono arrivati in Polonia, che sono salvi”. Allora chiamo l’Italia. La donna che risponde, alla notizia si mette a piangere per la gioia. Poi mi dice: “Padre, però adesso mi dovete aiutare a farli arrivare a Milano”.
In quel momento tutti gli ucraini avevano i mezzi pubblici gratuiti. Mi viene in mente che a Cracovia ho un amico parroco che ha vissuto in Ucraina e ora sta vicino alla stazione. Lo sento: “Dario, per favore, puoi accoglierli tu?”.
Così la famiglia arriva a Cracovia. Don Dario scrive il loro nome su un cartello per trovarli tra le migliaia di persone che scendono dal treno. La famiglia lo vede, e lui li accoglie nella sua canonica.
Siamo nella prima ondata, loro devono arrivare in Italia, ma non hanno nessun documento. Allora chiamo l’ambasciata italiana a Varsavia che li aiuta. Li facciamo venire a Varsavia. Ricevono il visto. Sono contentissimi. Però, scopriamo che il volo costa 1.500 euro. In quel momento c’è un volontario accanto a me. Sentendo la storia dice: “Non preoccuparti, glielo pago io”. Ha preso i biglietti, e la famiglia quella sera stessa è arrivata a Milano».
Missione in Polonia
Padre Luca, prima di raccontarci l’ultimo anno segnato dalla crisi ucraina, parlaci della tua missione in Polonia.
«Io ho fatto parte del primo gruppo dei Missionari della
Consolata arrivati nel paese nel 2008. Siamo da quindici anni in Polonia, da dieci a Kiełpin, nella cittadina di Łomianki, a pochi km a Nord Ovest di Varsavia.
Nel 2022 abbiamo aperto una seconda comunità a Białystok, una città di 300mila abitanti a 50 km dal confine bielorusso.
La nostra presenza qui è legata all’animazione missionaria, cioè al tentativo di avvicinare la chiesa polacca alla missione e la missione alla Polonia.
Lo facciamo in molti campi, ma in particolare collaborando con le pontificie opere missionarie (Pom) polacche di cui io sono segretario nazionale. Questa struttura ci aiuta a entrare nella chiesa locale e nazionale, a presentarci come missionari e quindi a creare link, collegamenti a diversi livelli: ad esempio, formativo, spirituale, predicando nelle chiese, incontrando fedeli, giovani, seminaristi, ma anche a livello caritativo attraverso i tanti progetti che la chiesa polacca sostiene nel mondo intero, soprattutto nelle comunità Imc in Africa e Asia».
Come sono composte le vostre due comunità?
«A Kiełpin siamo in quattro: io, padre Noé Moreno, mozambicano, arrivato poche settimane fa dall’Italia, e due seminaristi, Lucien Sakimato del Congo, e
Titus Maina del Kenya. Fin dall’inizio è stato con me anche padre Ashenafi Abebe, etiope, che da gennaio è a Roma.
A Białystok ci sono due giovani missionari: padre Juan Carlos Araya Carmona, argentino, e padre Ditrick Sanga, tanzaniano.
La nostra comunità interculturale colpisce molto qui in Polonia, dove la presenza di stranieri è piuttosto limitata. Siamo in sei, di sei paesi diversi e tre continenti.
La nostra semplice presenza, penso parli molto più di quanto possiamo dire dall’ambone.
Il nostro auspicio è di dare una testimonianza di fraternità, mostrare il volto di una chiesa universale».
L’Ucraina
Nell’ultimo anno hai fatto quattro viaggi in Ucraina, ma la prima volta ci eri stato nel 2018. In un tuo articolo su quell’esperienza hai scritto: «L’Ucraina è il paese che offre più opportunità per approfondire la conoscenza dell’Est e allacciare nuovi contatti».
«L’Imc ci ha mandati in Polonia con due obiettivi: quello dell’animazione missionaria, e poi quello di “guardare a Est”. In una prospettiva futura, nei tempi che il Signore conosce, da questa base polacca si potrebbe fare un passo ulteriore verso l’Europa orientale. Questo giustifica i viaggi che ho fatto negli anni passati in Bielorussia, nelle repubbliche baltiche e in Ucraina.
Nel 2018 sono stato a Leopoli, la prima città importante oltre il confine a Sud. È una città con molti elementi linguistici e culturali polacchi.
La guerra era già iniziata quattro anni prima: in Donbass nel 2014. Infatti, ricordo diverse chiese con foto di soldati sugli altari.
Scrivevo quelle parole nel mio articolo perché l’Ucraina ha tanti punti storici, culturali e religiosi comuni con la Polonia, molte potenzialità su cui lavorare.
Ora, è successo quello che non avremmo mai immaginato: noi volevamo andare a Est, e l’Est è venuto da noi».
A Leopoli nel 2018 hai trovato una chiesa molto «polacca».
«I cattolici in Ucraina sono una netta minoranza rispetto alla cristianità presente nel paese: la chiesa ortodossa nella sua totalità e nelle sue diverse espressioni è maggioritaria. Poi ci sono i greco cattolici (ortodossi, ma in comunione con Roma).
Il cattolicesimo, in effetti, è presente in Ucraina soprattutto attraverso la chiesa polacca».
24 Febbraio 2022
Ci racconti i primi giorni dell’aggressione russa?
«Sono stati sconcertanti. Nessuno si aspettava un attacco su scala così grande.
In pochissimi giorni sono iniziate ad arrivare in Polonia decine di migliaia di persone. Oggi si contano un milione e mezzo di profughi ucraini registrati. Chi è arrivato non ha trovato resistenze qui in Polonia. Mi ha colpito l’empatia di tantissime famiglie semplici che si sono date da fare per accogliere.
Ricordo immagini molto forti: treni carichi di persone, file di donne e bambini che aspettavano. Sono stato al confine a fine marzo, e i volontari raccontavano che gli ucraini stavano tre o quattro giorni in attesa, a piedi, nel freddo, prima di poter entrare in Polonia. C’erano donne che partorivano in coda.
Dall’altra parte vedevi polacchi che arrivavano al confine con pulmini o auto e mettevano fuori un cartello: “Varsavia, 5 posti”, “Danzica, 15 posti”, per portare i rifugiati a quelle destinazioni. Oppure mamme e papà polacchi che portavano i propri passeggini alla stazione. Li lasciavano lì per chi ne aveva bisogno. Ho visto una solidarietà straordinaria.
In questo contesto, la parrocchia di Łomianki con cui collaboriamo è stata una delle prime ad accogliere, anche grazie agli ucraini residenti qui da tempo (quella ucraina è la più grande comunità straniera in Polonia: prima della guerra contava già un milione e mezzo di persone, ndr).
In poche settimane sono arrivate nella cittadina, che conta meno di 30mila abitanti, più di 2.500 ucraini, tutti ospitati dalle famiglie nelle proprie case».
Anche voi avete ospitato in casa vostra. C’è qualche storia che ti è rimasta impressa?
«Una è quella di Piotr, un papà con una figlia di 12 anni, provenienti dal Donbass. È una storia particolare, perché quasi tutte le famiglie che arrivano sono composte da donne con figli, dato che gli uomini non possono uscire dal loro paese.
Lui era un professore. È stato in casa da noi per tre settimane.
Ci ha raccontato la sua storia: la suocera, anziana e invalida, non può scappare. Allora lui e la moglie prendono la difficile decisione: la moglie dice, “io rimango con mia mamma, tu prendi nostra figlia, vai in Polonia e poi da mia sorella in America”. Lui e la figlia prendono un taxi. Tra un bombardamento e l’altro arrivano al confine. Ma lui teme che non lo facciano passare. Tanto che scrive il numero di telefono sul braccio della figlia nel caso li separino.
Prima di partire, lui e la moglie hanno firmato un documento nel quale spiegano la loro storia.
I soldati, leggendo, capiscono e li lasciano passare.
Ora sono negli Usa. Ricordo bene la bambina. Era veramente triste. Non esprimeva emozioni. Parlava solo con il papà».
La vostra azione di aiuto e accoglienza è stata sostenuta anche dall’Italia, vero?
«Fin dall’inizio, in molti, singoli, parrocchie, gruppi, comunità Imc, in Italia ed Europa, si sono messi in moto per mandare aiuti: denaro, cibo, medicinali, vestiti.
Molte persone si sono messe in viaggio per dare una mano. Penso, ad esempio, a Clara da Torino. Un’infermiera che ha preso un mese di ferie per stare qui con noi; ma anche a una dottoressa dal Sudafrica, e poi un torinese che lavora in Canada.
Tra i tanti gruppi, mi viene in mente l’associazione Eskenosen, fondata da Mauro Magatti e Mino Spreafico: per l’inverno hanno lanciato la campagna “Scaldiamo Charkiv” (città a Est, poco distante dal confine russo), raccogliendo fondi per fornire stufe alle abitazioni. Hanno lavorato bene, e la risposta è molto buona. Poi, come fanno anche altri gruppi, hanno accolto molti ucraini con progetti di inserimento nel territorio in Italia.
Ecco, una cosa importante che non ho ancora detto è questa: attraverso di noi, tante persone sono arrivate in Italia e in altri paesi (cfr. MC 10/2022, ndr). Questo fa parte del nostro
“essere link”, così come succede quando ci sono gruppi che raccolgono aiuti, ma poi non sanno a chi darli. Grazie alla rete di contatti che noi abbiamo in Ucraina possiamo garantire che tutti gli aiuti arrivano sul posto».
Com’è andata dopo le prime settimane di emergenza?
«Il flusso di ucraini in arrivo e le presenze hanno iniziato a diminuire. Molti lasciavano la Polonia per andare in altri paesi, o per tornare in Ucraina. Le persone rimaste hanno cercato un po’ di autonomia iniziando a lavorare.
La pressione si è allentata e allora la nostra attenzione si è spostata dall’emergenza qui in Polonia all’Ucraina».
Tra le persone accolte c’erano anche africani.
«Sì. Città come Leopoli, Kiev, Charkiv, sono città universitarie con molti studenti stranieri. Con lo scoppio della guerra sono usciti dal paese anche loro.
A Łomianki abbiamo avuto una famiglia nigeriana, due giovani con una bimba piccola. Lei era incinta. Sono stati ospitati dai nostri vicini di casa per qualche settimana. Ora sono in Germania».
E famiglie miste ucraine-russe.
«Sì: il tessuto sociale dei paesi ex sovietici prevede questo “mescolamento”. Non sorprende che in molte famiglie ci siano genitori, nonni o bisnonni di una o dell’altra nazione.
Questa condizione delle famiglie rende ancora più difficile la comprensione del conflitto».
I viaggi
Nell’ultimo anno hai fatto quattro viaggi in Ucraina.
«Esatto. Nel primo viaggio a fine marzo siamo stati sul confine. Siamo entrati in Ucraina a piedi, per metterci in coda con i migranti in attesa di passare in Polonia e per ascoltare i volontari.
Era la fase in cui iniziavamo a spostare gli aiuti verso l’Ucraina.
Vicino all’ufficio delle Pom dove presto il mio servizio, c’è un altro ufficio che si occupa degli aiuti per la chiesa polacca che si trova nei paesi dell’Est. Il suo direttore, don Leszek Krzyża, conosce bene l’Ucraina. Per cui, in forza della nostra amicizia, abbiamo messo assieme i suoi tanti contatti nel paese con i molti aiuti che riceviamo noi missionari dall’Italia e da altrove.
I viaggi li abbiamo fatti assieme io e lui per capire a chi portare gli aiuti, cercando di non concentrarci in un solo luogo, ma di rispondere a tante richieste che arrivano da tutto il paese.
Nel secondo viaggio, a luglio, siamo arrivati a Kiev, visitando tra l’altro anche quei luoghi come Bucha in cui sono avvenuti dei massacri. È stata un’esperienza molto forte che mi ha fatto toccare con mano la crudeltà di questo conflitto.
Anche a novembre siamo tornati a Kiev, e poi, da Kiev siamo andati a Charkiv, la seconda città per grandezza dell’Ucraina, a soli 30 km dal confine russo.
Lì ho visto il senso di insicurezza che la popolazione vive costantemente. Sono sempre sotto attacco. Per questo motivo la città è sempre al buio, al pomeriggio spengono tutte le luci per non dare riferimenti visibili a russi.
I viaggi hanno lo scopo di incontrare le persone alle quali mandiamo gli aiuti. Attraverso la collaborazione con i vescovi locali in Ucraina, con i direttori delle Caritas, con religiosi e religiose, laici, persone che vivono sul posto, siamo in continuo contatto con le esigenze della gente.
Per l’inverno, una stagione già difficile di per sé, e resa ancora più difficile dai bombardamenti sulle centrali elettriche, uno dei nostri obiettivi è stato quello di portare generatori, pannelli di legno per chiudere le finestre rotte delle abitazioni, vestiti.
Con l’ultimo viaggio di gennaio, abbiamo iniziato ad andare anche più a Sud, per aiutare posti come Odessa, Mykolaiv, Kherson. Quest’ultima è stata liberata a novembre, ma è ancora sotto attacco da parte dei russi. Quindi vive una situazione umanitaria difficilissima. Anche lì cerchiamo di far arrivare tutto ciò che può portare un po’ di sollievo».
La chiesa in Ucraina si sta dando molto da fare.
«Sì, è una testimonianza davvero bellissima e coraggiosa: religiosi, diocesani, suore, laici, famiglie. Molti sono di origine polacca, ma hanno deciso di restare. Sono sempre lì, notte e giorno, e rischiano la vita: a fine gennaio, ad esempio, un sacerdote e una suora della Caritas di Charkiv sono stati feriti mentre portavano aiuti in un villaggio vicino al confine.
La loro è la testimonianza di una chiesa che non scappa, non è lontana, non si perde in parole, ma, nella concretezza di questa realtà, offre sostegno».
Durante i viaggi hai avuto modo di parlare della guerra con molte persone.
«Parlo con molti. Non capiscono il perché del conflitto, sono stanchi. La speranza è che finisca presto, ma che finisca con un’integrazione delle componenti russe e ucraine, non con la separazione. La guerra non unisce, separa. Quello che si spera invece è che, finita la guerra, inizino dei percorsi di riconciliazione. Perché altrimenti non ci saranno i presupposti per far durare la pace. Basterà un fiammifero per far scoppiare un altro problema».
Sfide inattese
Tu come hai vissuto questo impegno non previsto?
«La vita missionaria offre sempre sorprese inaspettate. Mai avrei immaginato di trovarmi in una situazione del genere. Però, di fronte a queste sfide cerco di rispondere dicendo eccomi, mi metto in gioco, quel poco che posso fare, lo faccio volentieri.
È un’esperienza che porterò per sempre con me nella mia vita di missionario».
Questa esperienza dell’Imc in Polonia cosa può dare al resto dell’istituto?
«Un istituto ad gentes risponde alle sfide che il mondo gli mette davanti, e credo che il nostro lo stia facendo, pur con tutte le sue fatiche e contraddizioni. In tutto il mondo, siamo in posti sfidanti. Non soltanto in Ucraina. Quello che vivo io in rapporto all’Ucraina, lo vivono tanti miei confratelli in altri contesti.
Sicuramente il tema dell’Est Europa, cruciale già oggi per il mondo intero, in futuro lo sarà sempre di più. Quindi credo che, se come Missionari della Consolata vogliamo essere sulle frontiere di quello che sta accadendo, sulle sfide più impegnative, non possiamo non esserci anche in questo contesto.
Un sogno dell’Imc è di fare un passo ulteriore a Est.
Ora si sta realizzando in questa forma. Vedremo in futuro quali saranno gli ulteriori possibili passi che si potranno fare».
Luca Lorusso
Come i Magi, portando doni
Le celebrazioni del Santo Natale avvengono rispettivamente il 25 dicembre per i cattolici e il 7 gennaio per le chiese ortodosse e i greco cattolici. Tra queste due date don Leszek Krzyża ed io siamo stati nuovamente in Ucraina per portare aiuti umanitari e incontrare le comunità.
Dall’Italia sono partiti due grandi tir con destinazione rispettivamente Odessa e Karkhiv per un totale di oltre 35 tonnellate di aiuti, raccolti con un progetto realizzato dall’Associazione Eskenosen di Como, il gruppo SOS emergenza Ucraina Cantú, la Caritas della comunità pastorale San Vincenzo di Cantù, la parrocchia di Rebbio-Como e il sig. Francesco Aiani e alcuni amici di Milano grazie ai quali sono state raccolte tavole di legno per chiudere le finestre degli edifici bombardati, e anche generatori di corrente elettrica, cibo, medicine oltre a una cospicua somma devoluta per acquistare sul posto piccole stufe casalinghe. Noi stessi abbiamo trasportato sulla macchina sei piccoli generatori e scatole di medicinali. Il programma del viaggio è stato creato giorno dopo giorno tenendo conto dei continui combattimenti in alcune zone del paese e rispondendo ai tanti inviti, ma anche ricevendo in diretta garanzie e suggerimenti sulle strade da percorrere. I nostri spostamenti sono stati sempre seguiti dall’Ambasciata italiana a Varsavia così come dalla Nunziatura apostolica in Ucraina.
1° gennaio
Il primo dell’anno arriviamo a Leopoli in serata. Leopoli è una grande città vicina al confine polacco. Qui vivono centinaia di migliaia di profughi provenienti dalle regioni più colpite. Purtroppo, anche qui sono avvenuti bombardamenti soprattutto sulle centrali elettriche della città e provincia. Don Leszek Krzyża, direttore dell’ufficio aiuto alla chiesa nell’Est presso la Conferenza episcopale polacca, con cui viaggio, ha contatti in tutto il paese. Telefoniamo alle Suore Francescane di frate Alberto (Fratelli Albertini e Suore Albertine), una congregazione polacca, per chiedere ospitalità per una notte. La notte trascorre tranquilla.
2 gennaio
Al mattino ci raggiunge Rika Itozawa assistente di don Leszek, che era già in Ucraina da qualche giorno in un orfanotrofio visitato nei viaggi precedenti. Prima di lasciare la città le suore ci mostrano il complesso in costruzione che prevede una nuova parrocchia e una casa di accoglienza per giovani madri coi loro bambini. Molte sono le donne che soffrono non solo a motivo della guerra, ma anche per gravi problemi familiari. Qui fra poco potranno trovare conforto e iniziare una nuova tappa di vita. A fianco di questo centro, sempre in città, incontriamo i fratelli della stessa congregazione che quotidianamente distribuiscono cibo ai senza tetto e ai rifugiati (foto 1). Li salutiamo lasciando un’offerta e anche un nuovo tabernacolo comprato in Polonia per la nuova cappella.
Lo stesso giorno il nostro viaggio continua in direzione di Kiev. Raggiungiamo la capitale in serata accolti nella Nunziatura Apostolica. Kiev si trova nel centro del paese ed è il crocevia per tutte le direzioni delle città più importanti. Fino la notte precedente al nostro arrivo a Kiev sono stati lanciati molti razzi e droni, quasi tutti intercettati dalla contraerea. Infatti, la difesa ultimamente è molto migliorata e le percentuali degli abbattimenti sono molto alte. Purtroppo, i detriti non si possono controllare e a volte causano danni. Su uno di questi lanciato la notte di Capodanno c’erano scritti ironicamente gli auguri di buon anno. A sera facciamo un breve giro della città. (foto 2).
3 gennaio – Odessa
La mattina dopo, ristorati e riposati, partiamo per il Sud, destinazione Odessa, che raggiungiamo dopo poche ore di viaggio. La città che si affaccia sul Mar Nero è ricca di storia e di cultura, ed è il porto principale da cui partono gigantesche navi container che trasportano tonnellate di cereali per tutto il mondo. Da quando è scoppiata la guerra queste navi sono rimaste a lungo bloccate nel porto e questo ha innescato una gigantesca crisi con il rialzo dei prezzi in tutto il mondo. La zona del porto e la spiaggia sono minate, non sono accessibili e non si possono fotografare. Odessa deve difendersi dal tentativo di occupazione, vero obiettivo che garantirebbe il totale controllo del traffico marittimo. La nostra visita è breve. Incontriamo il vescovo locale mons. Stanislav Šyrokoradjuk, a cui lasciamo due generatori di corrente e una somma di denaro per gli aiuti da acquistare sul posto (foto 3). Qui deve arrivare a giorni uno dei due tir provenienti dall’Italia con un carico di generatori e di assi di legno. Vediamo solo velocemente la piazza centrale dove al posto della statua della zarina Caterina II oggi sventola la bandiera ucraina (foto 4). Questa città, infatti, come le altre vicine sulla costa, come Mykolaiv e Kherson, sono state costruite dai russi e ancora oggi la lingua più parlata qui è il russo. Queste premesse però non sono bastate alla popolazione locale per accettare l’occupazione, al contrario ci si difende con tutte le forze.
Da Odessa ci muoviamo per raggiungere in serata Mykolaiv, che è anche sulle sponde del Mar Nero. Sono molti i camion che incontriamo durante il viaggio che termina dopo due ore. Ci accoglie un confratello di don Leszek, don Alessandro, giovane prete ucraino parroco del Santuario di san Giuseppe, una delle due chiese cattoliche della città. Con don Alessandro vivono due suore benedettine. Questa zona e duramente provata dalla mancanza di corrente e di acqua. Il danneggiamento della struttura idrica obbliga l’uso della acqua salata marina che a causa dell’acidità del sale rovina spesso le condutture. Durante la notte suonano le sirene di allarme senza conseguenze. Qui è la quotidianità.
4 gennaio – Kyselivka
Il giorno successivo don Alessandro ci accompagna nel villaggio di Kyselivka, dove c’è la chiesa a lui affidata oltre al santuario dedicato a Maria Immacolata. Il villaggio di Kyselivka si trova a 40 km chilometri da Mykolayiv nell’oblast di Kherson. Lo spettacolo che incontriamo è desolante: tutto qui è distrutto. (foto 11) Dopo un’occupazione durata qualche settimana i russi sono indietreggiati per alcuni chilometri e da lì hanno lanciato in continuazione missili che hanno devastato tutto, chiesa compresa. Passeggiamo tra le rovine delle case incontrando solo cani magri e spaventati che scappano al vederci. La chiesa, che don Leszek venti anni fa aveva rinnovato, oggi è un ammasso di rovine essendo stata colpita da quattro razzi (foto 5-6). Un quinto razzo inesploso lo troviamo nei pressi. Avvertiamo i soldati presenti di modo che si adoperino per mettere in sicurezza il luogo. Sono tanti i colpi inesplosi così come le mine lasciate e che gli artificieri fanno brillare bonificando la zona (foto 12-13). In questo villaggio vivono pochissime persone che incontriamo con le suore e don Alessandro. Lasciamo a loro un generatore e dei vestiti invernali. (foto 7-8) Poi siamo invitati per una cena durante la quale cantiamo i tradizionali canti natalizi. Incontriamo una bambina sorridente che si avvicina. Ai piedi ha un solo pattino a rotelle. Le chiediamo dove sia l’altro pattino e lei ci risponde divertita: «a casa». (foto 9) Siamo accompagnati a vedere gli effetti dell’esplosione di un magazzino di concime altamente combustibile, il razzo che lo ha colpito a provocato un cratere largo decine di metri. (Foto 10)
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La sera concludiamo la giornata con una cena. Ci raggiunge il parroco di Kherson, la città sul fiume a poche decine di chilometri da Mykolayiv. Don Massimo è un giovane sacerdote diocesano parroco dell’unica chiesa cattolica di Kherson. La città liberata a novembre si trova sulla sponda sinistra del fiume Dnieper (o Dnipro), lì dove il fiume sfocia nel mar Nero. Dopo la liberazione l’esercito russo si è ritirato sulla sponda opposta del fiume e da lì continua incessantemente e colpire la città e i dintorni.
Don Massimo ci racconta di quando la vigilia di Natale due razzi hanno colpito la sua chiesa uno entrando dal tetto il secondo nella cantina. In chiesa cerano le donne che stavano preparando le feste natalizie. Miracolosamente i razzi non sono esplosi. Tuttavia, vediamo la preoccupazione del parroco nel diffondere questa notizia nel web con filmati che potrebbero essere vista dagli occupanti. Ci spiega infatti che se non è successo questa volta potrebbe accadere nuovamente con esiti ben peggiori. Anche a lui doniamo un generatore di corrente e un’offerta.
5 gennaio
Il mattino dopo ci rimettiamo in viaggio per attraversare il paese da Sud a Est con direzione Karkhiv. La strada che ci consigliano passa per le città di Krzywy Róg e di Dnieper, lasciando sulla destra la linea del fronte che passa per Zaporizhzhia.
Il viaggio è tranquillo. Ci fermiamo per un saluto a Krzywy Róg presso la comunità dei Salettiani. In questa città di miniere lunga ben 50 km, è stata aperta una mensa con l’aiuto della Protezione civile italiana che ha inviato una cucina. (foto 14)
La pausa è breve. Riprendiamo il viaggio per arrivare a Dnieper, la città che dà il nome al più grande fiume ucraino. Qui pranziamo presso la comunità dei frati Cappuccini. Sono molto ospitali. La città è senza energia elettrica. Neanche i semafori funzionano e questo rende il traffico caotico. Ci raccontano che da tempo stanno aspettando un generatore che mai arriva. Cogliamo l’occasione per lasciarne uno a loro dalla nostra macchina. Grande è la soddisfazione per questo dono, infatti l’unica illuminazione erano le lampadine di Natale collegate a delle normali batterie stilo. (Foto 15)
In serata, stanchi per il lungo viaggio sotto una pioggia battente, arriviamo a Kharkiw o meglio ci ritorniamo dopo due mesi. Siamo ospitati da don Wojciech, sacerdote polacco direttore diocesano della Caritas locale. Qui è previsto l’arrivo del secondo tir di aiuti umanitari.
6 gennaio
La mattina del 6 gennaio concelebriamo in cattedrale la messa dell’Epifania, festa che esprime l’università della salvezza portata da Gesù omaggiato dai Magi (foto 16). Tra i fedeli presenti c’è anche un soldato. Durante il pranzo con il vescovo locale siamo interrotti da alcune lontane esplosioni che solo il vescovo sente e che ci fa notare, essendo lui abituato da mesi. Con un mezzo sorriso, ci dice qui è la quotidianità. La città si trova a soli 30 km dal confine con la Russia.
Nel pomeriggio siamo accompagnati in macchina nei villaggi vicino al confine con persone che hanno l’autorizzazione a portare aiuti umanitari. Rapidamente la temperatura scende in poche ore fino a -20°. Lungo la strada che si dirige verso il confine vediamo i resti dei combattimenti. I russi infatti erano arrivati fino alla periferia della città per poi essere respinti al di là del confine. Il nostro autista, un volontario della Caritas, ci racconta molti dettagli. Tra questi ci mostra con orgoglio la foto del figlio pilota dei caccia ucraini, morto a 24 anni a soli due mesi dal matrimonio. Il papà lo ricorda senza emozionarsi mostrandoci le sue foto, facendo trasparire l’orgoglio per suo figlio che è stato premiato come eroe nazionale per aver evitato la caduta sulla città del suo aereo colpito, rinunciando a salvarsi la vita catapultandosi.(foto 17-18-19) (20-21-22)
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Visitiamo due famiglie tra le pochissime che ancora qui abitano. Ci raccontano che sono senza corrente dal febbraio scorso. Per scaldarsi usano una stufetta di ghisa mentre una batteria della macchina fornisce un minimo di energia per una lampadina (foto 23 e 24). Ci mettiamo alla ricerca di persone rimaste da sole nelle case. Per trovarle osserviamo se dai camini esce del fumo, segno della presenza in casa di qualcuno. Troviamo un uomo che dopo alcuni minuti apre la porta in risposta al nostro clacson e riceve così del cibo in scatola e, cosa importante, lascia il suo numero di telefono per mantenere un contatto coi volontari.
Il giorno successivo arriva il tir con gli aiuti spediti dall’Italia e dalla Polonia. Una gioia per il giorno di Natale. La temperatura e molto rigida. L’autista polacco Michele è riuscito ad arrivare in tempo prima del nostro rientro in Polonia. Sono pochi gli autisti che arrivano fino a Karkhiv. (foto 26)
Dopo questo possiamo finalmente metterci sulla strada del ritorno passando solo a salutare le suore Orionine che fuori città si occupane di giovani mamme.
Sul tragitto, una inaspettata sorpresa. Incontriamo tre bambini che passano di casa in casa cantando i canti natalizi, tradizione presente in diversi paesi del centro Est Europa. Ci fermiamo per dargli della cioccolata. Ci sorridono e ci ringraziano. (Foto 27) Siamo noi a ringraziarli per portare l’annuncio della buona novella in situazioni così difficili.
Il viaggio di ritorno prenderà due giorni a motivo della lunghezza e dei controlli. L’ultima notte la trascorriamo di nuovo in nunziatura a Kiev dove il personale ci attende per la cena che consumiamo in allegria. (foto 28) Le suore che qui lavorano, di rito greco cattolico, cantano i canti tradizionali di Natale.
Alla fine di questa lunga cronaca mi sento di ringraziare il Signore per averci guidato, le tante persone che ci hanno sostenuto con la loro preghiera e le loro offerte. La pace purtroppo e ancora lontana. Per questo senza scoraggiarci continuiamo a pregare per la pace e a costruirla attorno a noi. (Foto 29)
padre Luca Bovio, IMC
A Charkiv, un Natale speciale
Con padre Luca Bovio a Kharkiv in Ucraina il 6 e 7 gennaio 2023, per celebrate il Natale secondo il rito greco-cattolico e ortodosso.
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Ed ecco alcuni semplici video che aiutano a vivere con padre Luca questi momenti speciali.
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I ringraziamenti del direttore della Caritas di Kharkiv.
Con l’avvicinarsi dell’inverno, con don Leszek e Rika, un gruppo ormai ben collaudato e affiatato, mi metto in viaggio per l’Ucraina per portare aiuti e raccogliere testimonianze. Con l’auto piena di aiuti umanitari e con i permessi della Caritas passiamo la frontiera senza grandi difficoltà. Appena entrati in Ucraina ci colpisce immediatamente la mancanza di luce, non solo di quella naturale per le giornate ormai molto corte, ma anche e soprattutto di luce elettrica. Le strade sono buie. Ci raccontano che il 40 % della produzione di energia in tutto il paese è fuori uso a seguito degli ultimi attacchi avvenuti alle centrali elettriche nel mese di ottobre. Il carburante e i generi alimentari, invece, si trovano senza difficoltà, soltanto a prezzi raddoppiati.
Trascorriamo la prima notte nella città di Lutsk, a meno di due ore dal confine con la Polonia. Siamo ospitati dal vescovo della diocesi, S.E. Vitalij Skomarovs’kyj. Durante la cena ci racconta circa la situazione attuale dalla sua diocesi. Lutsk, pur trovandosi lontano dai territori dei conflitti che avvengono ad Est e a Sud del paese, è stata colpita le scorse settimane per danneggiare la centrale elettrica causando così la perdita parziale di corrente. Oltre a questo, il problema più grande che qui si deve affrontare è l’accoglienza dei profughi arrivati dall’Est del paese. Ogni settimana presso il centro della Caritas della diocesi vengono distribuiti aiuti per oltre 300 nuclei familiari. Grazie alla generosità di diversi benefattori possiamo lasciare una somma che aiuterà l’acquisto di generi alimentari e di beni di prima necessità.
Il giorno successivo, di buon mattino, ci mettiamo in macchina per raggiungere la capitale Kiev, dove, negli ultimi giorni, il numero degli attacchi è diminuito. A differenza di luglio, quando arrivammo qui l’ultima volta, notiamo un minor numero di controlli stradali. La città mostra ancora le ferite degli attacchi precedenti ai palazzi e alle infrastrutture. Facendo una passeggiata alla sera vediamo nel centralissimo parco della città il nuovo ponte distrutto da un razzo poche settimane fa. Gli abitanti della città vivono normalmente, ci racconta il nunzio apostolico, mons. Visvaldas Kulbokas, che gentilmente ci ospita. La corrente elettrica è collegata solo per poche ore al giorno e i grandi quartieri della città devono fare a turno per riceverla. Sono tantissimi i palazzi popolari molto alti, a volte di 30 piani, dove vivono migliaia di persone. La mancanza di energia interrompe l’uso degli ascensori obbligando a raggiungere a piedi il proprio appartamento. Il giorno successivo, prima di lasciare la città, visitiamo brevemente una parrocchia in costruzione dei padri Pallottini.
Dopo alcune ore di viaggio e dopo esserci assicurati sulla situazione raggiungiamo Charkiw, la seconda città per grandezza dell’Ucraina. La città è all’estremo Est del paese a soli 30 km dal confine con la Russia. Prima dello scoppio del conflitto, Charkiw contava più di 3 milioni di abitanti, oggi poco più di un milione. Qui gli attacchi sono quasi ininterrotti da febbraio e la città, così come la provincia, mostra tutte le sue ferite.
Arriviamo in serata avvolti da una nebbia molto fitta. La città è completamente al buio non solo a motivo del razionamento elettrico, ma anche e soprattutto per non dare riferimenti agli aggressori che sono stati respinti fino al loro confine a soli 30 km. A settembre erano arrivati a soli 10 km dal centro città per essere poi respinti di nuovo dietro al confine. Don Wojciech, sacerdote polacco che lavora qui da 6 anni, è il direttore diocesano della Caritas, attraverso la quale gli aiuti vengono distribuiti alla popolazione.
Dopo l’arrivo siamo accompagnati da due volontari della Caritas in una zona popolare della città pesantemente colpita. In quei palazzi vivono centinaia di persone nelle cantine. Lì le incontriamo. Scendendo una scaletta illuminata dalla torcia del telefonino, incontriamo le prime famiglie che qui vivono da ormai otto mesi. Sono nuclei familiari grandi, composti dai nonni, dai genitori e da bambini, a volte anche molto piccoli. I locali sono scaldati o dai tubi del sistema principale di riscaldamento ancora intatto, oppure da alcune stufette a legna. I letti sono costruiti sopra dei bancali di legno usati per le merci e ammorbiditi da materassi o da coperte. Quello che colpisce è la semplicità con cui vivono queste persone che riescono a sorridere incontrandoci e ringraziano continuamente per tutto quello che facciamo. Una tra queste ci dice: «Padre ci sono persone che stanno peggio di noi». Siamo guidati per i corridoi delle cantine. Su ogni porta con un gessetto ci sono scritti i cognomi e il numero della famiglia che in quella cantina vive. Una cantina è attrezzata con un wc rialzato da dei bancali e serve per decine di famiglie.
Una famiglia ci spiega che nella propria cantina hanno l’accesso a internet grazie a un vicino che abita al pian terreno e che ha messo il router in una posizione favorevole affinché il segnale arrivi. Un’altra cantina è organizzata come spazio di incontro per i bambini. Chi vive in queste condizioni in varie parti della città sono coloro che hanno la casa completamente distrutta o gravemente danneggiata. Una signora ci spiega che il suo appartamento al sedicesimo piano è del tutto senza finestre distrutte dall’onda d’urto delle esplosioni. Se anche le finestre fossero intere o riparate, lei sceglierebbe comunque di stare in cantina perché i piani alti dei palazzi sono quelli più esposti alle esplosioni.
Dopo questa toccante visita, conclusasi con abbracci e con la promessa che non li avremmo dimenticati, andiamo a trovare un parroco in un quartiere periferico della città. Ci racconta che nella sua parrocchia c’erano circa mille cattolici. Ora solo 4 o 5 vengono ancora per la Messa domenicale, tutti gli altri sono scappati. Nelle sale della parrocchia vivono alcuni anziani che qui si sentono più al sicuro che nelle proprie case. Nel garage ci mostra i resti di alcuni razzi caduti nei pressi della chiesa che per fortuna non è stata seriamente danneggiata. Ci fa vedere un mucchio di schegge affilate come rasoi delle bombe a grappolo. Colpiscono tutto nei dintorni dell’esplosione.
La notte, nonostante le allerte che arrivano sui telefonini, trascorre tranquilla e finalmente il giorno successivo alla luce del giorno possiamo vedere la città coi nostri occhi. Siamo accompagnati dal giovane vescovo Pavlo Hončaruk. I grandi palazzi centrali della città sono quasi tutti senza finestre a motivo delle esplosioni. Alcune sono riparate con dei pannelli di legno, altre sono distrutte e senza vetri.
Ci dirigiamo rapidamente nei villaggi fuori città in direzione Sud Est. Raggiungiamo un villaggio, Korobochkyne, accompagnati da una troupe televisiva polacca che avendo saputo della nostra presenza ci ha raggiunto per fare delle registrazioni. Andiamo in una scuola pesantemente colpita. La direttrice ci dà il benvenuto e ci mostra i danni dell’edifico. Ci racconta che i soldati russi hanno portato via anche le scarpe degli alunni più grandi lasciando solo quelle piccole. Alla domanda di che cosa più urgente ha bisogno, ci risponde che i suoi bambini possano ritornare al più presto nel paese e a scuola. Oltre alla distruzione degli edifici il problema più grande, ci spiegano due soldati, è quello delle mine. Nei campi attorno alla città sono state collocate molte mine che rendono impossibile e molto pericoloso ogni tentativo di coltivazione. Riceviamo un appello affinché l’esercito si possa occupare della messa in sicurezza del territorio. Ora capiamo inoltre perché nei campi tantissimo granoturco e frumento sono rimasti non raccolti.
Nel pomeriggio abbiamo ancora la possibilità di vedere in città dove vengono distribuiti gli aiuti dalla Caritas. La fila di persone è impressionante. Ci raccontano che mediamente in un pomeriggio distribuiscono aiuti a più di 2000 persone, 30mila in due settimane. Per aiutare il numero più grande possibile di persone la distribuzione è regolarizzata con un sistema di tagliandi per cui i beneficiari possono ritirare i beni una volta ogni due settimane. Ognuno riceve 1 kg di pasta, latte, conserve di carne. I bambini in fila sono invitati a fare dei disegni e per questo ricevono cioccolata, caramelle e quaderni. Non solo gli anziani ricevono questi aiuti, ma anche adulti rimasti senza lavoro, una vera piaga lasciata dalla guerra. Tra questi un insegnante ci dice che con vergogna deve ricevere questo aiuto per sopravvivere, ma preferirebbe lavorare e pagare di tasca sua la spesa. Sono 4 i punti di questo tipo organizzati dalla Caritas nella città Charkiw.
Alla fine della giornata ritorniamo a Kiev prima delle 23.00 appena in tempo per evitare il coprifuoco che dura fino alle 5 del mattino.
Il penultimo giorno del nostro viaggio lo viviamo in una casa di bambini orfani gestita dalle suore Benedettine in un villaggio nel centro ovest del paese di Balyn. Per raggiungerli passiamo vicino alle città di Zytomyr e di Vinnica. Nella casa vivono 9 bambini dai 3 ai 12 anni senza genitori oppure con difficolta che non permettono loro di vivere in un normale clima familiare. L’attesa per il nostro arrivo è trepidante. Riceviamo durante il viaggio video e messaggi dai bambini che ci incoraggiano a raggiungerli al più presto. Alla sera siamo accolti con una grande festa. Una squisita cena preparata dalle suore, e il dono di bellissimi vestiti ricamati a mano secondo la cultura tipica di quelle regioni, fanno da contorno alla compagnia festosa e rumorosa dei bambini.
Il giorno dopo rientriamo in Polonia, per fortuna senza essere fermati a lungo alla frontiera (la volta scorsa furono ben dieci ore di attesa). Durante il viaggio abbiamo ricevuto tante altre richieste di aiuto tra queste alcune dalla città di Kherson liberata pochi giorni fa. L’inverno e solo all’inizio ma siamo sicuri che tanti di voi continueranno ad aiutare. Qualcuno ci ha detto: «Padri, avete degli ottimi angeli custodi che vi hanno sempre protetto durante questo viaggio». È vero lo abbiamo avvertito. Tuttavia, agli angeli custodi ci proteggono ancora di più quando qualcuno li prega e per questo ringraziamo anche per le tante preghiere che non sono mancate e che non mancheranno.
Carissimi tutti,
un caro saluto e un doveroso ringraziamento per il continuo sostegno che continuate a dimostrarci. Dopo il viaggio che ho fatto questa estate in Ucraina e di cui vi ho relazionato, continuiamo a organizzare i progetti di aiuto sia per profughi sia per le persone che vivono nelle zone in cui ancora si combatte. Se le temperature estive facilitavano relativamente le condizioni di vita, l’arrivo imminente dell’autunno e ancor piu dell’inverno, rendono più complicata una situazione che di per sé è già molto difficile. Come sapete dai mass media il conflitto in Ucraina continua senza pause e sconti da mesi, anzi in alcune zone da anni (dal 2014). Tutti purtroppo sono concordi con il fatto che durerà ancora a lungo.
Aiuto ai frati francescani
In queste settimane siamo impegnati in diversi progetti di sostegno, molte infatti continuano ad essere le richieste di aiuto che riceviamo. Nei pressi di Zaporizia (o Zaporizhzhya), la località di cui molto si parla a motivo della presenza della piu grande centrale atomica europea messa a rischio dai continui attacchi, una comunità di frati francescani (Albertini) di origine polacca distribuisce quotidianamente più di mille pasti alla popolazione locale. Il loro sforzo è grande e la preoccupazione maggiore è quella di garantire le scorte alimentari per un lungo periodo e per un numero così grande di persone. Pochi giorni fa siamo riusciti a spedire loro un buon carico di scatolame a lunga conservazione aquistato in Polonia e già giunto sul luogo. Siamo già d’accordo di ripetere l’acquisto a ottobre.
Pannelli di legno per Charkow
Charkow, la seconda città per grandezza a poche decine di chilometri dal confine russo, è sotto bombardamento ininterrotto dallo scorso febbraio. Le notizie e le immagini che riceviamo dal direttore locale della Caritas, don Wojtech, sono eloquenti. Uno dei tanti progetti di aiuto specialmente con l’arrivo delle basse temperature, consiste nell’acquisto di pannelli di legno che possono sostiutire le finestre della case rotte per la deflagrazione delle esplosioni. Sono molto numerosi gli edifici colpiti. Spesso le onde durto dell’esplosioni distruggono i vetri delle finestre delle abitazioni. Per questo motivo viene messo del nastro adesivo sulle finestre ancora sane, per contenere dopo un eventuale esplosione le schegge che arriverebbero dappertutto. I pannelli di legno sono un’economica alternativa che proteggono minimamente dal vento e dalle precipitazioni di pioggia o di neve le abitazioni colpite. Sempre in questa città stiamo acquistando dei generatori di corrente elettrica indispensabili negli ospedali.
In questo contesto, i tentativi e gli sforzi di vivere e di ritornare a una certa normalità non mancano. Nella stessa città di Charkow, così come altrove, i bambini, con l’inizio del nuovo anno, ritornano nelle scuole o perlomeno in luoghi sicuri dove si possono tenere delle lezioni. Abbiamo ricevuto la richiesta per l’acquisto sul luogo di circa 300 zaini scolastici.
Grazie per l’aiuto
Questi sono solo alcuni esempi di progetti che attualmente stiamo organizzando, senza dimenticare l’aiuto costante dato alle famiglie che ormai da mesi risiedono vicino a noi qui in Polonia. Prevedo di recarmi in Ucraina all’inizio di novembre per poter portare ancora aiuti e per continuare a testimoniare una realtà che speriamo tutti, finisca al piu presto. Grazie di cuore a nome dei numerosi beneficiari per tutto quello che fate. Che il Signore vi benedica e ci renda suoi strumenti di pace. Perghiamo per la pace costruiamo la pace.