Urbanizzazione e sicurezza alimentare

 

Nel mondo soffrono la fame tra i 690 e i 783 milioni di persone. In Africa una persona ogni cinque. In Asia una ogni 12. L’obiettivo della «fame zero» entro il 2030 appare irraggiungibile.

Fame zero entro il 2030. È questo il secondo obiettivo dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite.

Man mano che passano gli anni, però, la speranza di riuscire a raggiungerlo entro i tempi previsti è sempre più risicata e un recente report dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao) lo conferma. Nel 2022, il 9,2% della popolazione mondiale (tra 690 e 783 milioni di persone) era in una condizione di fame, ovvero non consumava la quantità minima di cibo necessaria per disporre dell’energia essenziale per una vita attiva e salutare.

Una percentuale in crescita rispetto al 7,9% registrato nel 2019. Cosa che rende evidente l’impatto negativo sul settore agroalimentare della pandemia da Covid-19 – che ha causato un rallentamento dell’economia mondiale – e del conflitto in Ucraina – che ha reso difficile reperire beni alimentari di prima necessità e ha provocato un’impennata dell’inflazione fino al 9% (2022).
Persistono inoltre altri fattori destabilizzanti come cambiamento climatico, conflitti e diseguaglianze.

Ricerche complementari al report sono scese nel dettaglio, analizzando i livelli di fame nel mondo dal punto di vista geografico e temporale.
Dalla comparazione dei loro risultati emerge come l’Africa registri i valori più elevati del pianeta: nel 2022, il 19,7% degli abitanti del continente (282 milioni di persone) soffriva la fame. Ma non solo. Sempre in Africa si è verificato l’incremento maggiore dell’insicurezza alimentare, cresciuta di più del 4% in soli due anni tra il 2020 e il 2022.

Considerando i valori assoluti, invece, è l’Asia a raccogliere più della metà della popolazione mondiale in condizione di fame: 402 milioni di persone (l’8,5% degli asiatici, in leggero calo rispetto all’8,8% del 2021).

Basandosi sui dati raccolti nelle diverse aree del mondo, la Fao stima che entro il 2030 la fame nel mondo si ridurrà, ma non si azzererà, dato che coinvolgerà ancora 600 milioni di persone. La maggior parte dei progressi dovrebbe avvenire in Asia con un dimezzamento dei valori, mentre al contrario in Africa si prevede un ulteriore incremento dell’insicurezza alimentare che dovrebbe arrivare a coinvolgere 300 milioni di persone.

Significativa è la decisione degli autori del report di studiare la correlazione tra la sicurezza alimentare – e, nello specifico, l’accesso a una dieta sana – e il fenomeno epocale dell’urbanizzazione. Infatti, se nel 1950 viveva nelle città il 30% della popolazione mondiale, nel 2021 la cifra era salita al 57% e le stime per il 2050 prevedono il 70%. In particolare, Africa subsahariana e Asia meridionale sono le due regioni dove le città stanno crescendo più rapidamente, con tassi tre volte superiori alla media mondiale.

Il report evidenzia come l’espansione delle città – combinata a fattori come l’aumento di reddito e di opportunità lavorative fuori casa, oltre al cambiamento degli stili di vita – stia profondamente influenzando il sistema agroalimentare. Da un lato, si assiste a una modificazione della dieta della popolazione mondiale; dall’altro, la catena produttiva diventa sempre più lunga e complessa.

Cresce la domanda di latticini, carne e pesce, ma anche quella di cibi già pronti, altamente processati, ad alto contenuto energetico ma privi di nutrienti. I sistemi agroalimentari devono quindi produrre e distribuire quantità sempre maggiori di beni. La catena produttiva si allunga, creando una profonda interconnessione tra aree rurali, periurbane e urbane: il sistema agricolo non si basa più sul piccolo mercato locale, ma guarda alle città. Ne deriva una catena sempre più complessa, caratterizzata da una produzione maggiore in termini quantitativi e qualitativi – grazie a migliori input e tecnologie provenienti dalle città – e da forme di processazione e trasporto più efficienti e articolate.

Tendenzialmente, secondo gli autori del report, la relazione tra urbanizzazione e sicurezza alimentare è positiva: man mano che la popolazione si sposta nelle città, si riducono gli indici di fame. Tuttavia, persistono ostacoli all’accesso a una dieta sana, come ad esempio l’inflazione – che negli ultimi anni ha eroso il potere d’acquisto della popolazione mondiale, spingendola verso cibi più economici – e i «deserti alimentari» – aree spesso periferiche dove i prodotti alla base di una dieta sana sono difficilmente reperibili.

Dunque, la strada verso l’eliminazione della fame nel mondo resta ancora lunga e tortuosa.

Aurora Guainazzi




Poveri assoluti: nel mondo uno ogni dodici

 

Una persona ogni 12 nel mondo oggi vive con meno di 2,15 dollari al giorno.

Secondo gli ultimi dati del 2023 raccolti dalla Banca mondiale e resi pubblici nella Poverty and inequality platform sono, infatti, 690 milioni le persone che stentano sotto la soglia della povertà assoluta, l’8,61% della popolazione mondiale.

Un numero enorme che si moltiplica se alziamo anche di poco la soglia: 1,846 miliardi di persone vivono con meno di 3,65 dollari al giorno, il 23% del totale; 3,682 miliardi con meno di 6,85 dollari quotidiani: il 45,9%, quasi una ogni due.

Vale la pena, avendo un po’ di tempo e pazienza, andare a consultare i dati messi a disposizione dalla Banca mondiale.

Si può mettere in relazione, ad esempio, il dato che riguarda la povertà odierna con quello di dieci anni fa o venti o trenta. Nella home page del portale, infatti, un grafico mostra la forte riduzione della povertà nel mondo a partire dal 1990, quando i poveri assoluti, quelli sotto la soglia dei 2,15 dollari, erano 2 miliardi su una popolazione totale di 5,3 miliardi, il 37,7%, uno ogni 2,6 persone.

Si può conoscere, poi, la situazione della povertà e delle diseguaglianze per aree geografiche e per i singoli paesi. In questa prospettiva è interessante notare la riduzione drastica dei poveri negli ultimi 30 anni nell’area del Sud Est asiatico – da 1 miliardo nel ’90 a 26 milioni nel 2020, soprattutto grazie alla diminuzione dei poveri assoluti in Cina, passati da 816 milioni nel 1990 a 1,56 milioni nel 2020 – e, allo stesso tempo, l’aumento del numero di poveri assoluti in Africa subsahariana: da 277,9 milioni nel 1990 a 397 milioni nel 2019 (ultimo dato disponibile).

Altro dato interessante è quello che mostra quanta povertà ha generato la pandemia: i poveri assoluti, infatti, sono aumentati nel 2020 in tutto il mondo.

I dati raccolti dalla Banca mondiale attraverso le agenzie statistiche governative e i dipartimenti nazionali della stessa, per quanto debbano essere letti con una certa cautela (pensiamo ad esempio a quelli riguardanti paesi certo non trasparenti come la Cina) sono utili, tuttavia, per misurare i progressi compiuti verso l’obiettivo dell’eliminazione totale della povertà assoluta formulato dall’Onu nell’Agenda 2030.

Di certo la lotta alla povertà globale nei decenni sta portando a risultati positivi. È altrettanto certo che la strada da fare è ancora molto, troppo lunga.

Luca Lorusso