Ventimiglia. A qualsiasi costo

 

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha denunciato, dietro ricorso di varie associazioni tra cui Avocats pour la défense des droits des étrangers (Adde), la forma in cui vengono svolti i respingimenti dalla Francia che contravverrebbe la direttiva europea sui rimpatri. In teoria, un cittadino irregolare dovrebbe beneficiare di un certo tempo per lasciare volontariamente il territorio, invece di essere allontanato in maniera forzata come avviene adesso.

Al mattino, le persone fermate e identificate dagli agenti francesi vengono espulse e, camminando attraverso il ponte San Luigi, arrivano alla frontiera italiana che ne notifica l’espulsione e le lascia andare. Da lì si torna a Ventimiglia a piedi, o con un bus di linea.

Da Grimaldi, ultima frazione di Ventimiglia arroccata sul mare, è possibile intercettare il passo della Morte, un cammino di tre ore che, tra sentieri mal segnalati, sterpaglie, rovi e salite che si riescono a fare solo con l’aiuto di una corda, permette di superare la frontiera in montagna. Il passo è pericoloso. Basta mettere un piede fuori sentiero per scivolare in dirupi, soprattutto se si percorre di notte o con la pioggia. Si scende tra le prime ville di Mentone per poi arrivare al centro. Spesso la gendarmerie controlla la strada e capita che, dopo una camminata estenuante, le persone vengano fermate su questa rotta e respinte in Italia.

Ventimiglia. Giovani migranti parlano davanti alla Caritas. (Foto Simona Carnino).

«I controlli in frontiera non fanno che aumentare i rischi e i costi in termini di vite umane ed economici. Non c’è decreto, non c’è gendarme che possa fermare le persone. La gente passa anche a costo della vita. A volte arrivano da noi persone con traumi provocati nel tentativo di superare la frontiera in montagna o in autostrada», spiega Serena Regazzoni, referente area immigrazione di Caritas Intemelia.

La militarizzazione e le politiche securitarie, che in Francia si manifestano nei respingimenti e in Italia in proclami di apertura di nuovi centri di permanenza per il rimpatrio, si scontrano con le motivazioni delle persone che spesso sono più forti e le spingono a viaggiare a qualsiasi costo.

Ad umanizzare la frontiera ci pensano organizzazioni come la Caritas, la Diaconia valdese e volontari che forniscono vestiti, cibo, cure mediche, orientamento legale, ascolto e, a volte, amicizia. Una piccola umanità laboriosa, che si sostituisce all’assenza della politica locale nelle attività di accoglienza.

Ventimiglia. Distribuzione di pasti alla Caritas Intemelia. (Foto Simona Carnino).

A Ventimiglia ci sono circa 17 posti letto per donne e famiglie in accoglienza diffusa della Caritas e uno rifugio di circa 12 posti per minori gestito da Diaconia e Save the Children. Gli altri dormono nei sottopassaggi o lungo il fiume Roya dove, tra acquitrini e sporcizia, scabbia, infezioni e punture di insetti sono all’ordine del giorno.

c’è sempre qualcuno che ce la fa, nonostante l’aumento dei controlli.

Come Hamza che, nel suo ultimo messaggio di mercoledì notte, scrive: «Sono arrivato. Thanks God». «E cosa farai ora?», gli chiediamo. «Mi riposo perché son troppo stanco. Poi cercherò un lavoro. Sono un barbiere».

Simona Carnino

(prima puntata al https://www.rivistamissioniconsolata.it/2023/10/02/ventimiglia-refus-dentree/)

Hamza mostra le ferite alle mani che si è fatto durante gli attraversamenti. (Foto Simona Carnino).




Brasile-Italia – «Così soffice… così verde…»

Soft & green è l’attrattivo titolo sotto il quale una delle principali aziende italiane di produzione di carta per uso igienico e domestico presenta il proprio piano per la sostenibilità. L’azienda ha scelto di appoggiare una serie di iniziative di educazione e comunicazione ambientale sia a livello nazionale (tra cui il «Pianeta Terra Festival», che si tiene a Lucca dal 2022) che internazionale, come quella che la vede impegnata in un progetto di conservazione ambientale e sviluppo socioeconomico in un’area «a ridosso» della foresta amazzonica. Il nome del progetto, Together we plant the future (Insieme piantiamo il futuro), ricalca lo slogan dell’azienda partner, leader in America Latina della produzione di carta e cellulosa.

L’obiettivo è ambizioso: «Creare corridoi di biodiversità tra aree di foresta intatte a cavallo tra gli stati brasiliani di Pará e Maranhão», in cui la percentuale della cosiddetta floresta em pé (foresta in piedi, ovvero sopravvissuta) è rispettivamente del 23% e del 20%, e «contribuire a togliere dalla povertà circa 200mila persone entro il 2030 grazie a progetti di generazione di reddito».

Per le loro proprietà, le bacche dell’acai sono considerate tra i frutti più pregiati dell’Amazzonia brasiliana. (Foto Bermix Studio – Unsplash)

In Brasile, le Ong ambientaliste si schierano su due fronti opposti, ovvero tra chi si associa ad un’azienda entrata nel gotha della finanza verde per il contributo al sequestro di carbonio tramite piantagioni monocolturali di eucalipto (di cui, però, resta ancora da valutare l’effettiva efficacia) e chi non esita a tacciarla di greenwashing (adottare pratiche green più di facciata che di sostanza).

Le «quebradeiras» (spaccatrici) del cocco «babaçu» (un particolare cocco dalle piccole dimensioni). (Foto da Carta Capital)

Le comunità locali – indigene, quilombolas (nome con cui, in Brasile, si definiscono i discendenti degli schiavi), di piccoli agricoltori o raccoglitori e raccoglitrici dei frutti della foresta interessate dall’espansione delle coltivazioni tradizionali nelle loro terre (cocco babaçu, acai, buriti, bacuri, castanha) sono, invece, unanimi nel collegare il nome del colosso brasiliano a una serie di violazioni dei loro diritti: dalla contaminazione dei corsi d’acqua con pesticidi al prosciugamento delle sorgenti, dalla costruzione di strade senza consultazione previa, fino all’esproprio vero e proprio.

Di fatto, il processo di acquisizione fondiaria da parte dell’azienda viene da lontano e presenta molte ombre. Già nel lontano 1985, nel sud est del Maranhão, l’impresa aveva acquistato piantagioni di eucalipto da una succursale della compagnia mineraria Vale do Rio Doce con l’intento di fornire combustibile vegetale all’industria siderurgica come parte del programma Grande Carajás [1]. Grazie a concessioni statali e prestiti bancari, nel corso degli anni ’90 l’azienda brasiliana si estende verso ovest, fino al confine con il Pará, dove, nel 2008, rileva circa 80mila ettari di terra già piantata a eucalipto da un’altra succursale della compagnia per installare una nuova fabbrica di cellulosa a Imperatriz. Fino a qualche tempo, la città vantava il titolo di «porta dell’Amazzonia», vista la sua ubicazione nella regione dove il cerrado (un habitat costituito di praterie e alberi da frutto nativi) cede il posto alla foresta.

Un processo così rapido ed esteso di concentrazione fondiaria – si stima che ora l’impresa possegga migliaia di ettari nello stato – ha fatto sospettare che dietro atti di compravendita apparentemente regolari tra privati, ci sia in realtà l’accaparramento di terre pubbliche o appartenenti alle comunità locali che si sono viste sottrarre, con la frode o con la forza, gli spazi di produzione a cui è intimamente legata la loro sopravvivenza come identità culturali collettive.

Non sappiamo quanto l’omologa azienda italiana che promuove iniziative di ampio respiro educativo e culturale sia a conoscenza delle controversie che pesano sul partner oltreoceano, né quanto gli organizzatori di tali iniziative abbiano interesse a ricostruire le «relazioni pericolose» dei loro sponsor.

L’invito è, dunque, a vigilare su un settore come quello della finanza verde che cresce a dismisura – la Banca mondiale stima che beneficerà di finanziamenti per 30 trilioni di dollari entro il 2030 -, di pari passo però con fenomeni come quelli in atto nell’Amazzonia brasiliana dove l’espansione delle monocolture spinge sempre più le popolazioni tradizionali a riversarsi nelle periferie delle città tra le più violente del Paese (nel 2018 Imperatriz figurava tra le 50 città più violente del Brasile). Qui si trovano costrette a contendersi impieghi precari con le classi urbane più svantaggiate o a dipendere dai sussidi elargiti dai loro stessi carnefici.

Silvia Zaccaria, antropologa

In tempi di emergenza ambientale, la pratica del «greenwashing» è sempre più diffusa. (Illustrazione da iconaclima.it)

[1] Il programma «Gran Carajàs» è tristemente noto per aver portato sull’orlo del genocidio il popolo Awà Guajà le cui terre sono state attraversate da una strada e dalla linea ferroviaria omonima. Recentemente la Vale S.A., nome della compagnia dopo la privatizzazione, si è aggiudicata il titolo di peggiore multinazionale del mondo (cfr. Vale remporte le Public Eye Awards, le prix accordé à la pire entreprise du monde / Habitants des Amériques / Nouvelles / Home – International Alliance of Inhabitants).




Ventimiglia. Refus d’entreé

Ventimiglia. Hamza Alami, 17 anni del Marocco, è seduto nel dehor del bar Anthony di fronte alla stazione di Ventimiglia. È appena arrivato con un treno da Torino insieme a un amico. Scorrono gli orari del treno sul cellulare e ogni tanto danno uno sguardo al grande orologio della stazione. Poi provano ad avvicinarsi all’ingresso presidiato da un’agente della polizia e due militari dell’esercito italiano che controllano i documenti. Con fare preoccupato si allontanano e si siedono su un muretto, in attesa del momento propizio per attraversare il confine in treno, così come decine di altre persone migranti sedute tra i bar e i gradini della stazione. Hamza sa che, per arrivare in Francia, la sua meta definitiva, mancano solamente 17 minuti di treno e 3,50 euro di biglietto. Troppo poco per desistere ora. Soprattutto se alle spalle si ha un viaggio di oltre un mese. Partiti da Fez, in Marocco, il 17 agosto, con il loro passaporto hanno viaggiato in aereo fino in Turchia. Da lì è iniziata la risalita lungo la rotta balcanica, attraverso la Bulgaria, Serbia, Ungheria, Austria per poi arrivare in Friuli da cui hanno preso diversi treni fino a Ventimiglia. Una via inusuale in questo periodo in cui la maggioranza di persone, principalmente di origine sudanese, eritrea, e dell’Africa francofona, arriva nella città ligure dalla rotta del Mediterraneo centrale via Lampedusa.

«Abbiamo camminato notte e giorno per un mese. Siamo esausti e feriti. Passando la frontiera tra Bulgaria e Serbia mi sono squarciato la mano con il filo spinato. Ora siamo determinati a passare e ci proveremo in tutti i modi anche se sappiamo che la gendarmerie è ovunque e proverà a respingerci in Italia», spiega Hamza, prima di tornare verso la stazione e salire sul primo treno per Mentone, dopo averci dato il suo numero di WhatsApp. «Vi farò sapere se arrivo dall’altra parte», dice con sorriso convinto.

Ventimiglia. Ragazzi appena respinti dalla polizia francese, già passati sul lato italiano. Foto Simona Carnino

E la gendarmerie effettivamente c’è, più agguerrita che mai. Durante la sua visita a Mentone del 13 settembre scorso, il primo ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, aveva annunciato una chiusura pressoché totale della frontiera con Ventimiglia, in seguito all’aumento esponenziale degli arrivi a Lampedusa nei mesi di agosto e settembre.

«Abbiamo visto in queste ore un maggior dispiegamento delle forze francesi sulla linea ferroviaria e sui valichi di frontiera di ponte San Luigi e ponte San Ludovico. Inoltre, sono stati impiegati reparti dell’esercito per intercettare i migranti sui sentieri di montagna sulla parte della frontiera della val Roja verso Sospel e Breil, cosa che non avevamo mai visto» spiega Jacopo Colomba, project manager di We World che, insieme a Diaconia Valdese, fornisce orientamento legale ai migranti a Ventimiglia.

La Francia, che ha sospeso gli accordi di Schengen e ripristinato le frontiere interne dal 2015 dopo l’attentato del Bataclan, ufficialmente per ragioni di sicurezza, ufficiosamente per limitare l’accesso dei migranti, in realtà è da otto anni che prova a respingere tutti, anche i minorenni, che, secondo la Convenzione di Ginevra, hanno il diritto di essere presi in carico in qualsiasi paese di arrivo.

In queste ore però i controlli sono a tappeto, e se fino a giugno si verificavano circa 80 respingimenti quotidiani, secondo il recente report «Vietato passare» di Medici senza Frontiere, ora vengono «rimbalzate» a Ventimiglia tra le 100 e le 150 persone ogni giorno. La gendarmerie ferma qualsiasi auto in arrivo dall’Italia. Controlla gli abitacoli e ne apre i bagagliai. Alla frontiera marina di San Ludovico sono presenti decine di mezzi e verrà costruito un nuovo centro di identificazione, oltre a quello esistente alla frontiera di San Luigi. Il punto più inespugnabile però è la ferrovia. La stazione di Menton Garavan, prima fermata dopo Ventimiglia, è un posto di blocco quasi invalicabile. La gran maggioranza dei treni provenienti dall’Italia vengono setacciati in lungo e in largo da circa sette agenti della gendarmerie. Seduti in stazione, aspettano il treno, si mettono i guanti e il gilet antiproiettile ed entrano. Dopo pochi minuti, ne escono con tutti coloro che non hanno i documenti.

Ventimiglia. Ragazzi minorenni (un 14enne) respinti dalla polizia francese, ma registrati come maggiorenni a Lampedusa. Foto Simona Carnino

Lo sa bene Isaac. Si copre la testa con il cappuccio della felpa e si stringe nelle spalle seduto sul muretto sul lato italiano della frontiera di ponte San Luigi. Guarda il mare e pensa al da farsi insieme ad altri ragazzi che, come lui, sono stati fermati sul treno e respinti dalla Paf, la polizia di frontiera francese.

fine prima puntata, continua)

di Simona Carnino

Ventimiglia, passo della morte, via alternativa al treno per raggiungere Menton, in Francia. Foto Simona Carnino




Presentazione della rivista di ottobre

Editoriale

Il Sinodo: da evento a processo

Una riflessione delle riviste missionarie italiane (Fesmi) in occasione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi che si svolge a Roma dal 4 al 29 ottobre e che ha per tema: «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione». […]

Dossier

Foto di gruppo dei due capitoli generali IMC e MdC con il cardinal Parolin

In un cambiamento d’epoca. I capitoli generali della famiglia Consolata

Tra l’8 maggio e il 24 giugno si sono tenuti i due capitoli generali dei missionari e delle missionarie della Consolata. Le due assemblee hanno avuto anche una due giorni in comune, il 3 e 4 giugno, durante la quale hanno partecipato in collegamento online anche diversi laici missionari della Consolata, che completano la famiglia Allamaniana.

Il capitolo generale si tiene ogni sei anni. È un’assemblea della durata di circa un mese, durante il quale i delegati o le delegate degli istituti, provenienti da tutto il mondo, si riuniscono e condividono riflessioni, bilanci e programmi. Infine, l’assemblea dei capitolari elegge i nuovi consiglieri, il (o la) generale e il (o la) vice generale, che saranno le guide dei rispettivi istituti fino al 2029.

In questo periodo storico di cambiamenti rapidi e profondi, pensiamo che i prossimi sei anni saranno fondamentali per i due istituti fondati da Giuseppe Allamano. Abbiamo dunque ritenuto importante raccontare in un dossier, senza pretese di essere esaustivi, le linee principali emerse dai lavori. […]

Articoli

In Venezuela. Foto Yuri Cortez / AFP.

La Russia in America Latina:
Le mosse dello zar

La presenza di Mosca nei paesi latinoamericani è mutata nel corso degli anni: da estemporanea (con i flussi migratori) è diventata politica ed economica. In tempi recenti, ha amplificato la sua influenza tramite i suoi canali informativi (Rt e Sputnik). Dopo l’aggressione all’Ucraina, cos’è cambiato? E come sono le relazioni con la Cina, alleata a livello politico ma concorrente in America Latina? […]

Foto Piero Battisti.

Accade nelle Langhe:
Le vigne del riscatto

Colline, vigneti, borghi, panorami, cantine. Dal 2014, le Langhe sono patrimonio dell’Unesco. Sono bellezza, lavoro, denaro, fama. Nel caso (unico) dell’«Accademia della vigna», nata esattamente un anno fa, possono significare anche buone pratiche e sostenibilità sociale, riscatto e integrazione.

Il giovane Ousmane viene dalla Guinea Conakry. Ha trovato finalmente un lavoro stabile, e ogni mattina inforca la sua bicicletta e raggiunge l’azienda agricola Mirafiore, dove è stato assunto in qualità di operaio di vigna. […]

Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole:
Piccoli soldati crescono

Le scuole italiane aprono le porte alle Forze armate. La società civile si organizza per reclamare la priorità del valore della pace e della nonviolenza come colonna portante del percorso formativo dei minori. L’Osservatorio, nato solo pochi mesi fa, raccoglie e diffonde informazioni su questa pericolosa deriva.

Pochi giorni prima della chiusura delle scuole, il 5 giugno scorso, 200 studenti di Messina, di età compresa tra i 9 e i 16 anni, hanno partecipato alla festa dell’Arma dei Carabinieri nella locale base della Marina militare. […]

Reportage da una Mogadiscio blindata:
Sognando la normalità

Uno stato debole ma che c’è, e ha promesso di sconfiggere i fondamentalisti entro un anno. Occorre rilanciare l’economia piegata da tre decadi di guerra. Forse questo sarà un anno di svolta. Intanto cresce l’influenza della Turchia. E l’Italia che fa?

I fucili mitragliatori a tracolla pronti a essere utilizzati. Addosso elmetti e giubbotti antiproiettili in kevlar. Gli sguardi sempre puntati intorno, verso possibili minacce. Gli agenti della scorta sono all’erta. […]

Porta Palatina, Torino. Foto Alice Mandracci.

Il progetto Migrantour:
«Oggi vi accompagniamo noi»

A Torino, migranti di diversi paesi sono diventati «accompagnatori interculturali» nella città che li ha accolti. Gli obiettivi sono importanti: promuovere la coesione sociale e la convivenza, valorizzare il pluralismo culturale e il dialogo interreligioso. Il successo del progetto è stato tale che oggi viene proposto in altre città italiane ed europee.

L’altro giorno stavo andando a fare la spesa a Porta Palazzo, quando all’angolo tra piazza della Repubblica e via Milano mi sono imbattuto in una comitiva di turisti. Francesi? No. Tedeschi? Nemmeno. Americani? Neanche. Giapponesi? Neppure. Si trattava di turisti ancora più esotici. […]

Rubriche

Noi e Voi

Più vita di missione

Trovo sempre meno testimonianze di vita vissuta nella rivista MC (spesso solo in qualche trafiletto nelle ultime pagine), e molto più, certo apprezzabile, giornalismo che racconta i vari paesi del mondo. Ecco, perdonatemi la richiesta, ma secondo me sarebbe bello vi fosse molto più spazio dei racconti della vita di missione, come forse era alle origini quando era l’allegato a raccogliere i racconti dei missionari. […]

Onorificenza pontificia a padre Sandro Faedi

Papa Francesco ha voluto riconoscere e distinguere padre Sandro Faedi, missionario della Consolata nativo di Gambettola (Cesena), con la decorazione «Pro Ecclesia et Pontifice». La cerimonia di consegna della medaglia d’onore al missionario (nella foto, al centro padre Sandro Faedi e a sinistra il vescovo di Tete monsignor Diamantino Antunes) si è svolta domenica 13 agosto a Zóbuè, nella diocesi di Tete, Mozambico, in occasione del pellegrinaggio diocesano al santuario dell’Immacolata Concezione. […]

Perché partire, perché restare

Stimatissimo Marco Bello, ho letto il suo editoriale su Missioni Consolata di Agosto 2023, «perché partire, perché restare». È proprio il nocciolo della questione. […]

Perplessità

Caro Marco, forse ricorderà lo scambio di battute quando cercammo – vanamente – di aiutare Haiti: anche se a volte le nostre ideologie non coincidono, le cose da fare ci trovavano in pieno accordo. […]

Economia

L’avidità si paga

Nel 1987, il «giorno del sorpasso» (overshoot day) arrivò il 19 dicembre. Nel 2023 è stato lo scorso 2 agosto. Da tempo sappiamo che, con gli attuali livelli di consumo, una Terra non basta. Oggi la scelta non è soltanto tra sviluppo «sostenibile» e «insostenibile», ma anche tra sviluppo «egoistico» e «altruistico».

Se non bastassero la siccità in pieno inverno e le alluvioni, gli allagamenti e le bombe d’acqua dell’estate, ci sono i calcoli matematici a confermarci la gravità degli squilibri ambientali che l’uomo ha creato.

Un metodo di calcolo utilizzato è l’overshoot day, alla lettera il «giorno del sorpasso», che ci indica il giorno dell’anno in cui la nostra avidità supera la capacità di rigenerazione del pianeta. È la data in cui i nostri consumi smettono di basarsi sulla capacità riproduttiva della terra e avvengono a spese del capitale naturale. Come chi avendo finito la legna da ardere decide di scaldarsi buttando nel caminetto pezzi di travicelli tolti dal tetto. Lì per lì ha la sensazione che tutto tenga, ma alla fine si ritrova senza legna e senza tetto. […]

Camminatori

Osea, profetizzare con la vita

Ci sono alcuni artisti dei quali diciamo che fanno arte con la loro stessa vita, con le loro scelte, con il loro stile personale. Succede anche nel mondo biblico che alcuni profeti annuncino il volto di Dio con le proprie azioni. Lo fanno Geremia ed Ezechiele, che a volte si mettono a fare gesti strani, enigmatici, per introdurre le loro predicazioni. Ma, secoli prima di loro, succede in modo straordinario e sconvolgente anche a un altro profeta, forse meno noto ma che affascinerà molto i redattori biblici. […]

Cooperando

Argentina, contro le diseguaglianze

Il Paese, al voto per l’elezione del presidente della Repubblica il 22 di questo mese, conta diverse realtà di missione fra le più vivaci dell’America Latina. I progetti, in corso o in via di formulazione, dei Missionari della Consolata hanno tutti un tratto in comune: la lotta alle diseguaglianze.

l 22 ottobre gli argentini andranno a votare per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. È probabile che ci sarà un secondo turno, il 19 novembre, se nessuno dei candidati avrà ottenuto il 45% dei voti oppure almeno il 40% e dieci punti di scarto rispetto alla forza politica che arriverà seconda. […]

I Perdenti

Rosario Livatino: sub tutela Dei

Da qualche mese sta girando in tutta Italia una bella mostra, presentata per la prima volta al Meeting di Rimini nell’estate del 2022, con il titolo «Sub tutela Dei. Il giudice Rosario Livatino».

Chi è questo giovane giudice, morto il 21 settembre 1990 sotto i colpi della mafia siciliana? E perché è stato beatificato – primo giudice nella storia della Chiesa – il 9 maggio 2021?

Ecco qualche breve cenno sulla vita e sul pensiero di una figura che merita di essere conosciuta sempre di più, non solo come beato, ma anche come professionista. […]

Amico

Perderci e ritrovarci

Sono qui di fronte a te. Dopo una notte di lavoro lunga e infruttuosa. Ora è l’alba, e tu ti sei presentato alla mia fame per offrirmi un buon cibo preparato da te (Gv 21). Ricordo di noi due. Ti avevo cercato per molto tempo senza trovarti, e, quando tu mi hai trovato, ho scoperto che anche tu mi cercavi. Da sempre.

Ricordo di avere più volte rischiato di perderti, e che tu mi perdessi. Di avere sentito che, perdendo te, avrei perso anche me. Paura di rimanere senza un nome da pronunciare, senza un volto che chiamasse il mio nome.

Non ti ho mai perso fino a quella sera, quando mi hai detto: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi» (Gv 13,36). Quando ti ho chiesto di tenermi con te e di poter morire per te, e di perdermi per te, e tu non hai voluto.

Librarsi

Con la resistenza civile

Dentro un conflitto cruento o contro un regime oppressivo, cosa funziona di più? La resistenza armata o quella civile? Al di là delle valutazioni morali, studiare quali azioni sono più efficaci e catalogarle e raccontarle, come ha fatto l’autrice del libro di questo mese, può offrire una risposta semplice e logica.

«La nonviolenza è una bella idea, però funziona solo in alcuni casi. Se tutti fossimo nonviolenti, il mondo sarebbe più giusto e pacifico, ma non è così, e sin tanto che esisteranno aggressori, prepotenti, tiranni, dovremo attrezzarci per combatterli con le loro stesse armi».

«In una democrazia, la resistenza civile è da preferire, ma nelle autocrazie, dove il popolo viene represso da un governo dispotico, non raggiunge risultati». […]

 




India. Un turbante sikh è per sempre

Tra Canada e India c’è tensione a causa dell’assassinio di un esponente della comunità sikh, molto numerosa nel paese nordamericano. Proviamo a spiegare i termini della questione.

L’assassinio di connazionali ritenuti «scomodi» da parte dei governi di alcuni paesi non è una pratica nuova. Lo ha fatto (più volte) Vladimir Putin. Ad esempio, con l’agente Alexander Litvinenko nel 2006, a Londra. Lo ha fatto il principe saudita Mohammad bin Salman con il giornalista Jamal Khashoggi, ucciso a Istambul, nella propria ambasciata, nel 2018. Potrebbe averlo fatto anche Narendra Modi – il primo ministro indiano protagonista del recente G20 – con il leader sikh Hardeep Singh Nijjar, ucciso vicino a Vancouver, in Canada, lo scorso giugno da due sicari incappucciati.

Il sikhismo è una religione fondata nel XVI secolo nel Punjab, una regione divisa tra India e Pakistan dopo il 1947, alla fine del dominio britannico. Esso nacque con una nobile ambizione: unire indù (maggioritari in India) e musulmani (maggioritari in Pakistan) nella fede in un Dio unico. Gran parte delle credenze dei sikh (come il karma e la reincarnazione) deriva dall’induismo, ma i sikh sono monoteisti e rifiutano ogni distinzione di casta.

Nella mappa la regione del Panjab indiano, cuore della comunità sikh.

Ci sono circa 25 milioni di sikh in tutto il mondo. La stragrande maggioranza vive in India, dove costituisce circa il 2% degli 1,4 miliardi di abitanti del paese. Ma esistono comunità sikh numericamente consistenti anche in altri paesi. Il Canada ospita la popolazione più numerosa al di fuori dell’India, con circa 780mila sikh – più del 2% della popolazione del paese -, mentre sia gli Stati Uniti che il Regno Unito ne ospitano circa 500mila, l’Australia circa 200mila (come l’Italia). È importante ricordare che la comunità sikh canadese riveste un ruolo importante anche per il governo di Justin Trudeau. Il sikh Jagmeet Singh Dhaliwal, nato in Canada nel 1979 da genitori del Punjab, è parlamentare e leader del Nuovo partito democratico (Ndp), formazione politica di centro sinistra che appoggia l’attuale governo canadese. Nuova Delhi considerava Hardeep Singh Nijjar un «terrorista» in quanto esponente del Khalistan (Khalistan liberation force, Klf), movimento che si batte per la creazione di uno stato sikh indipendente nel Punjab. In India, i separatisti del Klf furono attivi soprattutto negli anni Ottanta. L’azione storicamente più eclatante avvenne il 31 ottobre 1984 quando due guardie del corpo sikh uccisero l’allora prima ministra Indira Gandhi.

Nijjar è il terzo leader sikh scomparso in pochi mesi, una sequenza questa che pare ricalcare quanto avvenuto con vari avversari di Putin.

Jagmeet Singh Dhaliwal, sikh canadese, parlamentare e leader del Nuovo partito democratico. (Immagine tratta da sikhnet.net)

Il governo Trudeau ha accusato l’India di aver ucciso Nijjar, immigrato in Canada nel 1997 e divenuto nel frattempo cittadino canadese, sul proprio territorio violando così la sovranità nazionale. Sono seguiti inevitabili scambi di accuse e proteste. La questione è delicata non soltanto per il fatto in sé, ma anche perché coinvolge l’India, nazione emergente che sta cercando di ritagliarsi un posto di rilievo sulla scena internazionale. L’assassinio del leader sikh può, infatti, compromettere le ambizioni indiane e, soprattutto, la credibilità democratica del governo nazionalista di Narendra Modi.

Paolo Moiola




Il Sinodo: da evento a processo


Una riflessione delle riviste missionarie italiane (Fesmi) in occasione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi che si svolge a Roma dal 4 al 29 ottobre e che ha per tema: «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione».

Papa Francesco, nel suo discorso per il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo (17 ottobre 2015), ha rilanciato l’immagine della Chiesa come «sinodale e missionaria». In America Latina lui stesso ha vissuto il sinodo non solo e non tanto come evento speciale, ma come processo che interessa la Chiesa tutta, come popolo di Dio in ascolto del sensus fidei di tutti i battezzati nei loro diversi ministeri.
Una vera sinodalità, intesa come «cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio», spalanca la Chiesa sul mondo, accresce la sua credibilità, rinvigorisce il suo entusiasmo missionario e si fa portavoce dei poveri e voce critica di fronte a quelle strutture di peccato che tuttora impediscono che persone e popoli vedano riconosciuti, rispettati e promossi i propri diritti a vivere con dignità. Riprendendo in ciò le parole con cui Francesco ha concluso il suo discorso: «Una Chiesa sinodale è come un vessillo innalzato tra le nazioni (cfr. Is 11,12) in un mondo che – pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica – consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere».
Come Chiesa che «cammina insieme» ai popoli, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo tuttora il sogno che le società si edifichino nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più degno di viverci per le generazioni che verranno.
Papa Francesco considera la sinodalità come costitutiva della vita e dell’agire della Chiesa. In tale visione il Sinodo sulla sinodalità diventa un’occasione privilegiata per riscoprire il discepolato di ogni credente, creando dialogo con tutti e scoprendo che tutte le Chiese
devono dare e ricevere, superando l’esperienza storica di chi manda missionari e aiuti e chi riceve soltanto.
Una delle esperienze più vere della vita missionaria da noi vissuta è la formazione di
collaboratori per far crescere le comunità locali. Camminando insieme nella vita, nella
preghiera, nella catechesi, i catechisti e gli animatori locali formano e trasformano
i missionari, insegnando ad amare la gente nel concreto, a usare un linguaggio più
essenziale per arrivare al cuore delle persone.

Guardando al mondo missionario, il Sinodo diventa inoltre una sfida a declericalizzare la Chiesa, soprattutto nelle comunità cristiane di antica origine, permettendo a ciascun battezzato di riscoprire i doni che lo Spirito elargisce per la comune condivisione, superando la tendenza tuttora presente dei «preti tuttofare».
Quanto alle giovani Chiese, pure tentate dal clericalismo insito nel processo formativo in troppi seminari, il Sinodo può ovviare al rischio che si consolidi un modello tradizionale di sacerdozio che ignora la bellezza, la novità, la creatività di una evangelizzazione povera e partecipativa, dove laici e ministri non ordinati svolgano servizi che arricchiscono l’intera comunità.

Un’autentica sinodalità aiuterà inoltre le Chiese del Sud del mondo, specie le più ricche di fedeli, laddove abbondano vocazioni sacerdotali e religiose, a resistere alla tentazione della grandeur, del benessere, del dare priorità alle opere e ai soldi.

Sinodalità, dunque, come tempo opportuno per convertirsi a un metodo nuovo ma antico di vivere la Chiesa e di evangelizzare. In uno stile meno preoccupato di redigere documenti e orientato invece a promuovere una vita cristiana autentica e pienamente vissuta. In quest’ottica, la sinodalità non si esaurisce nella celebrazione di saltuarie assemblee, per quanto speciali, ma da «fatto saltuario» diventa un percorso vissuto: da evento a processo.

Fesmi (Federazione delle riviste missionarie italiane)


Aderiscono le seguenti riviste:




Confine turco-bulgaro. Violenze e respingimenti

Un report denuncia le violenze sistematiche della polizia di frontiera contro i migranti sul confine bulgaro-turco.

«Hanno camminato per due giorni fino ad arrivare a Drachevo, nei pressi di Sredets (Bulgaria sud orientale a circa 40 km dal confine turco, nda). Poco più avanti […] hanno trovato una macchina della polizia di frontiera bulgara, e sono stati arrestati da due poliziotti in uniforme verde che gli hanno rubato i telefoni e li hanno portati alla centrale di polizia di Sredets.

Alla discesa dall’auto gli hanno tirato pugni in faccia, dopodiché sono stati fatti sdraiare pancia a terra e sono stati presi a calci per un’ora».

Il racconto si riferisce a un episodio avvenuto nel gennaio 2023, raccolto dalla voce di uno dei 24 siriani vittime della violenza e reso pubblico dagli attivisti del Collettivo rotte balcaniche alto vicentino nel report Torchlight. Gettare luce sulla violenta opacità del regime europeo dei confini.

Una volta terminato il pestaggio, prosegue il racconto, la border police ha requisito le scarpe ai migranti e li ha fatti entrare in una gabbia, la stessa ripresa in un video di Lighthouse Report datato 22 dicembre 2022.

«Alla richiesta di un po’ d’acqua da bere, la polizia ha risposto “Zitti! Oppure vi picchiamo!”. Sono stati lasciati dentro a questa gabbia, doloranti, senz’acqua, senza cibo. Ad un certo punto, passate cinque ore, la polizia è arrivata con un altro gruppo di 50 persone. Li ha caricati tutti e 75 su un camion militare per riportarli in Turchia. Prima di arrivare al confine hanno dovuto camminare due ore – ricordiamo che erano scalzi. Arrivati alla rete hanno trovato cinque soldati fermi ad aspettarli, i quali vestivano l’uniforme dell’esercito e i passamontagna neri.

I soldati hanno aperto un varco nella rete e hanno fatto passare le 75 persone una a una, picchiando senza pietà ognuna mentre varcava il confine. Quando sono passati tutti hanno sparato proiettili in aria per spaventarli».

 

Secondo i dati del ministero dell’Interno bulgaro, negli ultimi due anni si è registrato un aumento notevole degli attraversamenti illegali del confine Turchia-Bulgaria: 55mila persone nel 2021 sono diventate 168mila nel 2022 per aumentare ancora nel 2023: quasi 109mila «tentativi di attraversamento illegale fermati» dal 1 gennaio al 7 agosto, di cui 47mila nei soli mesi giugno e luglio.

«Tentativi di attraversamento illegale fermati», si traduce con «respingimenti» e, in particolare, respingimenti violenti, stando a quanto denunciato dal Collettivo rotte balcaniche e da diverse altre organizzazioni, tra cui la nota Human Right watch, e il Bulgarian Helsinki Committee.

La violenza della polizia di frontiera, dice il report, non è una violenza episodica, ma sistematica. Gli attivisti, che promettono la pubblicazione futura di altri rapporti e analisi, hanno infatti avuto modo di condurre ricerche e raccogliere testimonianze sul campo, in particolare tra le città di Harmanli e di Svilengrad, constatando la ripetitività dello schema di respingimento violento raccontato sopra.

Vale la pena scaricare e leggere il report per farsi un’idea più precisa di quello che avviene quotidianamente lungo uno dei confini della fortezza Europa: dopo un primo paragrafo che descrive il contesto bulgaro e un secondo che descrive uno dei centri di detenzione, gli altri due raccontano, anche tramite testimonianze di migranti, i respingimenti sui due confini che separano la Bulgaria dalla Turchia e dalla Serbia.

«Nonostante questo breve scritto si focalizzi sulla situazione bulgara – è scritto nell’introduzione del report -, ci preme sottolineare come le pratiche che qui osserviamo si iscrivano con coerenza e continuità nel disegno europeo “sulla migrazione e l’asilo”: il confine bulgaro-turco rappresenta in questo momento la porta terrestre d’Europa».

I diritti che l’Ue dovrebbe difendere e promuovere vengono violati scientemente e nel silenzio generale dei media. Per questo il Collettivo rotte balcaniche, oltre a «supportare attivamente le persone in transito», raccoglie testimonianze per produrre documentazione sulle violenze della polizia ai confini dell’Europa e per mobilitare la società civile.




Sahel: golpisti contro tutti, ma amici dei russi

Firmato un accordo di alleanza militare tra Mali, Burkina Faso e Niger. Ad alcuni incontri, presenti anche funzionari  del ministero della Difesa della Russia.

Il 16 settembre scorso i militari golpisti a capo delle giunte in Burkina Faso, Mali e Niger, hanno firmato a Bamako (Mali) un documento chiamato «Carta del Liptako-Gourma per una nuova alleanza degli stati del Sahel» (dal nome geografico della regione). Il burkinabè Ibrahim Traoré, il maliano Assimi Goita e il nigerino Abdourahmane Tiani hanno così creato una nuova alleanza regionale (Aes, sigla in francese), con «l’obbiettivo di stabilire un’architettura di difesa collettiva e di mutua assistenza a beneficio delle nostre popolazioni», ha scritto in un tweet il presidente di transizione del Mali, ospite dell’evento.

Il giorno precedente, secondo la Radio televisione del Niger (Rtn), a Bamako, si era tenuta una riunione tra i ministri della Difesa di Mali e Niger, alla quale avrebbero partecipato funzionari del ministro della Difesa della Russia, forse come consulenti. Le delegazioni avrebbero poi incontrato il presidente di transizione Assimi Goita. L’Rtn ha mostrato le immagini della riunione, a cui hanno partecipato anche uomini europei in civile e in divisa militare, e non erano certo francesi.

L’accordo Liptako-Gourma tra i tre paesi saheliani era nell’aria ed era stato anticipato dalla firma, a Niamey, Niger, di un documento tripartito, il 24 agosto scorso.

Sulla carta si parla di mutuo aiuto militare nella lotta ai terroristi, ma anche in caso di ribellioni interne (ad esempio in Mali sta rinascendo la ribellione dei popoli dell’Azawad, nel Nord) e di qualsiasi minaccia all’integrità territoriale di uno dei tre paesi. Si pensi, in questo caso, all’ultimatum della Cedeao, la Comunità economica degli stati dell’Africa dell’Ovest, nei confronti del Niger, con minaccia di intervento militare se non viene ristabilito l’ordine costituzionale dopo il golpe del 26 luglio.

Di fatto, i golpisti di Mali, Burkina Faso e Niger si uniscono in un’alleanza militare con un patto di ferro.

In Mali è già presente il gruppo Wagner da alcuni anni: ha sostituito i francesi dell’operazione Barkhane, e compiuto massacri di civili. In Burkina Faso sta entrando. In Niger, invece, sono presenti basi militari di Francia (circa 1.500 uomini), Stati Uniti (1.500), Germania e Italia (circa 300 effettivi), ma a questo punto, pare chiaro che anche l’idea della giunta Tiani sia di andare verso la Russia.

Il 19 settembre l’Assemblea legislativa di transizione (71 membri) del Burkina Faso ha ratificato l’invio di un contingente militare in Niger, in appoggio delle forze militari di quel Paese. C’è da chiedersi cosa faranno, visto che in patria non riescono a garantire la sicurezza della popolazione dagli attacchi terroristici.

Si tratta, tuttavia, di un via libera politico, nell’eventualità di un’improbabile attacco di truppe dei paesi vicini sotto l’egida della Cedeao.

Intanto, il 24 settembre, il presidente Emmanuel Macron ha annunciato il ritiro del contingente francese dal Niger da qui a dicembre, viste le pressioni della giunta. Cosa faranno statunitensi, tedeschi e italiani? I primi hanno ripreso le loro attività da giorni, come nulla fosse.




Brasile. La storia non iniziò nel 1988

La notizia – una grande notizia – è arrivata nel tardo pomeriggio di giovedì 21 settembre. Ed è la seguente: il Supremo tribunale federale (Stf) del Brasile, il più alto organo del potere giudiziario, il «guardiano della Costituzione federale» del paese latinoamericano, ha respinto la tesi (discussa dal dicembre del 2016) conosciuta come «marco temporal» e sostenuta dal potente fronte dai rappresentanti dell’agrobusiness e dei latifondisti (e dai parlamentari riuniti attorno alla «bancada ruralista»).

Questa tesi si fonda su un’interpretazione forzata e interessata dell’articolo 231 della Costituzione federale promulgata il 5 ottobre del 1988, articolo che recita: «Agli indigeni sono riconosciuti organizzazione sociale, costumi, lingue, credenze e tradizioni, nonché i diritti originari sulle terre che tradizionalmente occupano, essendo l’Unione responsabile per delimitarle, proteggere e garantire il rispetto di tutti i loro beni». Secondo i sostenitori del marco temporal, sarebbero terre indigene soltanto quelle da loro effettivamente occupate all’atto della promulgazione della Costituzione, il 5 ottobre 1988. Le terre restanti sarebbero disponibili, cioè libere da pretese indigene. Detto in altre parole, il marco temporal mirava a cancellare in toto la storia indigena precedente a quella data, una storia fatta di allontanamenti dalle terre e usurpazione delle stesse.

Si festeggia il voto di uno dei ministri del STF riuniti in sessione plenaria per decidere sul «marco temporal». (Foto CIMI)

Finalmente, dopo anni di dibattito, l’Stf, formato da 11 membri (qualificati con il termine di ministri), ha respinto con 9 voti contro 2 il progetto del marco temporal. Hanno votato a favore di questo i due rappresentanti (Nunes Marques e André Mendonça) legati a Jair Bolsonaro, a dimostrazione di quanto fosse reale l’accusa di essere anti indigeno formulata verso l’ex presidente.

La vittoria del 21 settembre è frutto in primis della grande mobilitazione dei popoli indigeni brasiliani (riuniti soprattutto attorno ad Apib, Articulação dos povos indígenas do Brasil) ma anche del loro sostegno da parte di organizzazioni come il Cimi (Conselho indigenista missionário) guidato da dom Roque Paloschi e l’Isa (Instituto socioambiental). La cancellazione del marco temporal è un passo fondamentale, ma la lotta per l’affermazione e il rispetto dei diritti dei popoli indigeni sarà – questa è una certezza – ancora lunga e difficile. In Brasile, come nel resto del mondo.

Paolo Moiola




Tempo del creato. Contro la guerra al pianeta

Che il clima stia «impazzendo» è sotto gli occhi di tutti.
In Italia, anche quelli che si ostinano a negare le responsabilità umane della crisi ambientale hanno sentito sulla loro pelle il calore straordinario di questa estate 2023.
Nel resto del mondo, di eventi estremi se ne possono contare quotidianamente, benché ne compaia la notizia sui nostri schermi solo raramente. Uno tra questi è la recente alluvione in Libia (già dimenticata dall’informazione) che ha sbriciolato due dighe e travolto migliaia di persone.
Eppure, nonostante le evidenze, sembra che i decisori politici a livello mondiale non riescano ad andare oltre ad alcune vaghe dichiarazioni di intenti su come affrontare un necessario cambio di marcia prima che sia troppo tardi.

Da questa preoccupazione, e anche dal desiderio di approfondire quanto la Terra sia non solo la base necessaria per la vita, ma un dono di cui godere, si celebra annualmente il «Tempo del creato»: un’iniziativa ecumenica che mette insieme le diverse confessioni cristiane e quindi tutti i 2,2 miliardi di credenti che abitano il nostro pianeta. Dal 1 settembre al 4 ottobre, un mese di preghiera, riflessione e azioni concrete dedicate alla cura della casa comune.
In ogni diocesi, diversi gruppi, operatori pastorali, parrocchie, movimenti, si organizzano per la celebrazione, anche grazie agli strumenti messi a disposizione online dal Comitato direttivo, tra cui la «Guida alla celebrazione 2023».

Nel sito ufficiale, consultabile anche in lingua italiana, si possono trovare video e materiali utili. Per chi non è a conoscenza della storia di questa iniziativa, nella sezione «chi siamo» si trova una sintesi dei passi fatti dall’inizio fino a oggi: «Il Patriarca ecumenico Dimitrios I nel 1989 ha proclamato, per gli ortodossi, il 1 settembre giornata di preghiera per il creato. […]. Il Consiglio mondiale delle Chiese ha contribuito a rendere speciale questo tempo, prolungando la celebrazione dal 1 settembre al 4 ottobre».
«Seguendo la guida del Patriarca ecumenico Dimitrios I e del Consiglio mondiale delle Chiese, i cristiani di tutto il mondo hanno abbracciato questo tempo come parte integrante del proprio calendario annuale. Papa Francesco lo ha accolto nella Chiesa cattolica romana e reso ufficiale nel 2015».
Non a caso il 2015 è l’anno nel quale papa Francesco ha firmato la sua lettera enciclica «Laudato si’», documento fondamentale non solo per i cattolici e i cristiani, ma per tutti, fedeli di altre religioni, laici, governanti.

Lo scorso 30 agosto, alla vigilia del suo viaggio in Mongolia, il papa ha annunciato l’uscita di un nuovo documento, un’esortazione apostolica, il 4 ottobre prossimo, festa di san Francesco d’Assisi: «Dopodomani, primo settembre, si celebra la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato – ha detto durante l’udienza generale del mercoledì -, inaugurando il tempo del Creato, che durerà fino al 4 ottobre. In quella data ho intenzione di pubblicare un’esortazione, una seconda Laudato Sì. […] Uniamoci ai nostri fratelli e sorelle cristiani nell’impegno di custodire il Creato come dono sacro del Creatore. È necessario schierarsi al fianco delle vittime delle ingiustizie ambientali e climatiche, sforzandosi di porre fine alla insensata guerra alla nostra casa comune, che è una guerra mondiale terribile. Esorto tutti voi a lavorare affinché essa abbondi nuovamente di vita».

Luca Lorusso