Missionario “da poco”

Arrivato, finalmente, ad essere prete,
padre Ugo,
giovane missionario della Consolata,
si confida e spiega
agli amici il perché della sua scelta.

Sono Ugo; ho 36 anni, torinese, missionario della Consolata e, da un paio di mesi, anche sacerdote: un prete «da poco» insomma, come sovente, in tono scherzoso, vengo classificato dagli amici.
Sono una vocazione «adulta», essendo entrato in seminario alla venerabile età di 29 anni. Prima di quel fatidico 28 settembre 1991, (giorno in cui varcai, insieme alla mia grossa valigia, la porta della nostra comunità di Rivoli per iniziare questa avventura) c’è stato un lungo cammino di ricerca, le cui origini si perdono chissà dove nel mio passato di adolescente.

Sono cresciuto,
spiritualmente, con i missionari della Consolata, che gestiscono la parrocchia «Regina delle missioni» di Torino, in cui ho compiuto i primi passi nel cammino di fede. È la parrocchia dove, tra il resto, si trova la Casa madre dei missionari della Consolata, nella cui chiesa riposano le spoglie del beato Giuseppe Allamano, nostro fondatore.
Sebbene gli anni della giovinezza e adolescenza siano stati marcati in modo indelebile dall’esperienza di gruppo vissuta nella comunità parrocchiale, è stato soltanto in un secondo tempo che ho cominciato ad individuare i sintomi della vocazione religiosa.
Ho dovuto prima conseguire, senza infamia e senza lode particolare, il diploma tecnico che mi ero prefisso, adempiere gli obblighi di leva, frequentare per un po’ le liste di collocamento, lavorare per quasi nove anni come addetto alle vendite in libreria, prima di rendermi conto che quello che facevo, seppur mi desse soddisfazione, mancava di senso di direzione, di qualcosa che garantisse compiutezza e realizzazione al mio vivere.
Amici, affetti, passatempi e occupazioni varie entravano in questo «fritto misto alla piemontese», rappresentante la mia vita, un pot-pourri di facce, eventi e situazioni in cerca di un principio unificatore.
La vocazione religiosa e il sacerdozio sono un evento che si colloca talmente in profondità nell’esperienza umana, che è impossibile spiegarlo in poche battute; ma se dovessi individuae rapidamente l’origine in seno alla mia esperienza, direi che è stata la risposta a quel senso di incompiutezza che continuavo ad avvertire.

Non è stato subito
tutto facile. Genitori ed amici hanno stentato un po’ a capire. Io stesso ho avuto bisogno di tempo affinché potessi sentire che stavo inseguendo una realtà e non una chimera, che non stavo fuggendo da me stesso, ma stavo seguendo… Qualcuno.
È stato il tempo dei pallidi tentativi e delle ritirate a rompicollo, degli slanci coraggiosi e delle paure pazzesche, degli impegni generosi e delle nasate contro il muro. Forse chi mi ha conosciuto in quel periodo sarà rimasto deluso dalla mia incostanza e mancanza di chiarezza su come affrontare la vita, ma ci voleva… Voltandomi indietro, riconosco in quel tempo gli anni più veri della vita, in cui avvertivo che qualcosa o Qualcuno stava facendosi spazio, a scapito di altre realtà che non sempre riuscivo facilmente ad abbandonare.
Poi, la decisione di entrare in seminario: per i primi due anni a Rivoli, per il biennio di studi filosofici; il cammino di formazione mi ha successivamente condotto in Veneto, per l’anno di noviziato; e, poi, quattro anni a Londra, per ultimare i miei studi di teologia. Tanti esami universitari, lavoro ed esperienze pastorali in parrocchia, con i rifugiati, i senzatetto, i disabili, la vita comunitaria e la preghiera hanno scandito il tempo di questi mesi passati, sino alla vigilia dell’ordinazione sacerdotale.
Oggi sono qui,
prete «da poco», a far «pratica sacerdotale», in attesa di una nuova destinazione e con l’ansia di fare bene. Questo per far sì che, con l’andar del tempo, possa diventare un prete «da molto»; e questa volta non soltanto in senso temporale….

Ugo Pozzoli