Riflessioni e fatti
sulla libertà religiosa nel mondo – 31
Il sufismo,
dall’Africa sub sahariana all’Estremo Oriente, dall’Europa al Maghreb,
rappresenta la via mistica dell’Islam. Affonda le sue radici nelle origini
della fede musulmana, e attraversa i secoli fino a oggi, con i grandi maestri e
i moltissimi membri dei suoi ordini. Bandito dalla Turchia laica di Ataturk nel
1925, oggi assume nuove forme continuando a nutrire la spiritualità dell’intero
paese.
Il sufismo (tasavvuf) viene
considerato, comunemente, l’ambito mistico della religione islamica. Questo è
parzialmente vero, nel senso che alcuni sufi sono stati o sono dei mistici,
altri semplicemente dei sufi. Se la mistica, infatti, è in un certo senso
l’unione con Dio o, meglio ancora, l’esperienza immediata e diretta della
divinità, allora il sufismo è mistica nel suo obiettivo più elevato.
Un abito di lana grezza
Il termine «sufismo» proviene da una
radice, molto probabilmente siriaca (sûf), che designa un abito di lana
grezza, un po’ come quello di San Francesco. Questo termine passa col tempo a
indicare il povero alla ricerca della saggezza divina. Anche i due termini più
affini indicano lo stesso significato: «derviscio» e «fâqir» (il nostro
fachiro). Al di là dell’aspetto puramente terminologico, quel che è importante
sottolineare riguardo al sufismo è il suo fine ultimo, rappresentato dal
desiderio del sufi di mondare la propria interiorità – specialmente la volontà
che si oppone a Dio – fino ad arrivare allo stadio di completa purificazione in
Dio, di «annientamento» nella divinità (fanâ‘). Come ricorda uno dei
primi sufi, Junayd (morto nel 911): «Il sufismo è che Dio ti faccia morire a te
stesso e ti faccia vivere in Lui». L’aspirazione più intensa del sufi è
raggiungere la libertà più vera. Il sufismo è quindi una via di liberazione
interiore verso l’oceano della divinità, dell’unità divina.
Il sufi non mette in questione
minimamente la professione di fede musulmana, «non c’è alcun Dio all’infuori di
Dio» (lâ ilâha illâ Allah), ma anzi la mette in pratica a tal punto che
non esiste null’altro che l’Essere divino, nel quale si perde come una goccia
nel mare. Si potrebbe allora dire che il sufismo propone una via di
purificazione e di liberazione interiore che conduce lo spirito a uscire dalla
prigione del corpo.
Ansârî (morto nel 1088), altro grande
mistico del sufismo, afferma infatti che senza essere pervenuti a questa
liberazione, si è come in una prigione: «O Dio! Nessun’altra gioia se non nella
Conoscenza tua, nessuna gioia se non nella Manifestazione tua! Colui che vive
senza di Te è come un cadavere in prigione, la vita senza Te è la morte stessa!
Colui che vive in te è eterno». Una liberazione che è tutta interiore, mistica,
e conduce a concentrare tutte le forze nel Dio Uno e Unico.
Seguire un maestro per «annientarsi»
in Dio
Il sufismo è tuttavia un fenomeno
religioso storicamente e socialmente più vasto del solo ambito mistico. Dal XII
secolo a oggi, tutto il mondo musulmano ha visto il fiorire di gruppi di sufi
che si riuniscono intorno a un maestro fondatore di una confrateita (tarikat:
vie). Due sono i principi del sufismo così come esso viene vissuto nelle
confrateite: l’obbedienza cieca al maestro sufi e la pratica della
ripetizione del nome di Dio (zikr). Riguardo all’obbedienza, si potrebbe
pensare che essa sia un principio contrario a una vera liberazione o libertà
interiore, invece, secondo la dottrina sufi, il discepolo si dona interamente
nelle mani del maestro proprio per essere condotto su una via di libertà e di «annientamento»
in Dio. Sia la pratica di affidarsi completamente alla guida di un maestro che
l’aspirazione all’annientamento in Dio solleva dei sospetti nell’Islam più «ufficiale»,
ed è una delle ragioni per cui il sufismo è stato, ed è, perseguito dalle
correnti più rigoriste dell’Islam. Anche se lungo la storia, il sufismo ha
incontrato delle opposizioni, non bisogna cedere alla tentazione di pensare che
esso non faccia parte dell’Islam. Anzi, ne fa parte appieno e in certi casi
esso è addirittura più espressivo del messaggio coranico di altre forme
ritenute più canoniche.
Il sufismo e le confrateite sufi si
diffondono in tutto il mondo musulmano, in tutte le regioni in cui c’è una
presenza islamica. Questo è segno che esso ha una sua potenzialità di libertà
rispetto alle forme più conosciute di Islam, come il wahhabismo e il salafismo,
e infine i gruppi estremi. Il sufismo come interpretazione dell’Islam
indipendente dalla versione «ufficiale», ne fa un movimento estremamente
interessante proprio per comprendere l’evoluzione della religione del Profeta.
Tra Impero ottomano e
Repubblica turca
La storia del sufismo si può grosso
modo suddividere in due fasi: quella dei carismatici sufi della prima ora
(VIII-XII secolo) e quella della seconda ondata legata alle confrateite
(XII-XXI secolo). Nell’arco di questa storia
si può dire che l’Impero ottomano dal XVI secolo in poi, e la Repubblica
di Turchia dall’inizio del XX secolo, costituiscono degli esempi interessanti
di paesi in cui il sufismo si è sviluppato in maniera estremamente capillare.
Durante l’epoca ottomana, il sufismo, attraverso le numerose confrateite
musulmane, era particolarmente vivace. Le tarikat, o vie mistiche di
realizzazione del credente musulmano, avevano diverse provenienze e tendenze.
Alcune di queste erano diffuse in molte regioni del mondo musulmano oltre che
sul territorio ottomano. Altre erano invece tipicamente ottomane perché diffuse
soprattutto nel territorio governato dal Sultano (ad esempio la Mevlevîyye).
Con l’avvento della Repubblica turca (1923), tutti questi gruppi dovettero
subire una grave battuta d’arresto. Nel 1925, infatti, la Grande Assemblea
della giovane Repubblica decretò la chiusura di tutte le confrateite e la
cessazione di tutte quelle pratiche spirituali che potevano imparentarsi con il
sufismo. Nei primi decenni della storia repubblicana, quindi, il sufismo, i
dervisci e la vitalità spirituale delle tarikat vennero espulsi
dall’ambito pubblico e dalla vita sociale e confinati alla vita privata.
Permaneva invece lo spirito sufi che impregnava tutti coloro che erano, prima
della proibizione, legati a una spiritualità o a un cammino iniziatico. A
partire dagli anni ’50 del XX secolo, cioè quando alcune leggi del governo
favorirono la visibilità sociale dell’Islam, anche il sufismo, attraverso le tarikat,
riprese a vivere, anche se sotto un aspetto più culturale e folcloristico. È il
caso tipico dei dervisci danzanti (i Mevlevîs): le antiche confrateite
che avevano subito profonde trasformazioni, potevano, grazie alla formazione
d’associazioni culturali in Turchia, garantire la trasmissione del loro
patrimonio spirituale, ma i nuovi gruppi che s’ispirano al sufismo hanno creato
nuove forme di vita, meno strutturate delle più antiche confrateite.
Le confrateite cambiano
forma
La loro designazione, quella di cemaat
(comunità), indica l’idea di un consorzio più ampio che s’ispira e che
obbedisce al carisma di un maestro e del suo insegnamento. Quello che era
tipico della tarikat, il patto d’obbedienza a un vero maestro spirituale
(shaykh), viene sostituito da una fedeltà che si realizza anche solo
attraverso la lettura dei suoi scritti e un legame interiore alla sua figura.
Le pratiche fondamentali nelle organizzazioni tradizionali, il rito della
ripetizione del nome di Dio (zikr) e la danza sacra (semâ‘), sono
sostituite da altre formule più comunitarie di espressione, come la diffusione
stessa del pensiero del maestro. Il gruppo che oggi è certamente più conosciuto
in Turchia è quello che si richiama alla figura di Fethüllah Gülen (nato nel
1941) che, grazie alla fedeltà di tanti simpatizzanti, ha potuto costituire una
vera e propria comunità spirituale, diffusa sia in Turchia che all’esterno del
paese. Altre organizzazioni, anche di donne, s’ispirano all’antica struttura
delle confrateite sufi che avevano influenzato la religiosità dell’Impero
ottomano. Si potrebbe dire ancora che, come nell’ambito della vita religiosa
cristiana il modello del monaco rimane essenziale, così per il sufismo turco,
il modello della tarikat permane fondamentale.
Nel tessuto del popolo turco
Al di là delle caratteristiche
specifiche dei singoli gruppi, quello che è degno di nota è la grande impronta
che lo spirito del sufismo ha impresso nella religiosità turca. Jelâl ed-Dîn Rûmî
(m. 1273), Yûnus Emre (m. 1320) sono due delle figure del misticismo più
autentico dell’Islam, e i loro scritti, così come il loro pensiero, sono
penetrati nel tessuto del popolo turco. È questa mistica, profonda e anche
tollerante, che ha segnato il carattere spirituale dei Turchi, un aspetto del
sufismo in Turchia ancora poco studiato, che è probabilmente un’eredità della
storia ottomana e una peculiarità dell’Islam in questo paese.
Si potrebbe analizzare in modo
sintetico il sufismo turco tenendo conto di tre elementi che lo caratterizzano.
Il primo elemento è certamente costituito dal pensiero e dagli scritti dei
grandi sufi. Il secondo elemento è rappresentato dal patrimonio che la
tradizione delle confrateite sufi ha consegnato alla storia presente della
Turchia. Infine, il terzo elemento è una certa libertà, tipicamente turca,
nella creazione di nuove modalità e di nuove formule di esistenza spirituale.
Grazie a questi elementi, la Turchia, paese laico, sperimenta una vera
religiosità e una spiritualità profonda.
Una presenza tutt’altro che
marginale
Oggi, tanto in Turchia quanto in
numerosissimi altri paesi a maggioranza musulmana, le confrateite sufi sono
una presenza tutt’altro che marginale. Sono, in certi casi, capaci di cambiare
le sorti di un paese o di orientare tanto la religiosità quanto addirittura la
compagine politica. Nella Turchia repubblicana, questo è evidente nell’azione
delle confrateite più tradizionali e dei nuovi movimenti, le comunità.
Questi caratteri del sufismo, seppur
tratteggiati rapidamente, conducono a una riflessione più ampia sul suo ruolo
all’interno dell’evoluzione del mondo musulmano. Infatti, sia nella storia
primordiale di questo movimento ascetico e spirituale, che nel prosieguo, i
sufi hanno affermato una capacità di resistenza e di affermazione della propria
spiritualità e interiorità a costo di condanne e persecuzioni.
Espressione fedele
dell’Islam
Ancora una volta bisogna affermare
che il sufismo è un elemento interno alla religione del Profeta e che non si
discosta in nulla, nelle sue parti fondamentali, da essa. Il sufismo è semmai
un’interpretazione più interioristica e, certe volte, iniziatica. È forse
questo aspetto che fa sprigionare il sufismo nella sua capacità di formare le
persone alla dipendenza assoluta da Dio – la «classica sottomissione» di cui
parla l’Islam – ma in termini di liberazione interiore. Pur rimanendo legato al
Dio uno e unico dell’Islam, il sufi cerca di sperimentare una purificazione e
una libertà intima. A questo aspetto più spirituale fa seguito anche una certa
passione per la libertà fondata proprio sul desiderio di esprimersi liberamente
nelle confrateite sufi. La libertà interiore a cui aspira il sufi si riflette
quindi anche nel suo desiderio di libertà a livello sociale, soprattutto in
società segnate da un certo contenimento dello spazio individuale.
Alberto Fabio Ambrosio
Fine prima puntata
Sufismo tra rifiuto e
accettazione
Secondo l’Inteational
Religious Freedom 2013 del dipartimento di stato degli Usa, i sufi hanno
subito negli ultimi anni discriminazioni e abusi in diversi paesi nel mondo: in
Somalia Al-Shabaab ha distrutto luoghi di culto e tombe di chierici e religiosi
sufi, ha ucciso civili e funzionari di governo di orientamento sufi tramite
assassinii mirati denunciandoli come non-musulmani o apostati; gruppi salafiti
hanno vandalizzato e distrutto siti sufi in Libia, oltre ad aver rivendicato
l’uccisione di un religioso sufi; salafiti hanno attaccato decine di santuari
sufi anche in Tunisia; attacchi sono stati registrati contro i sufi in
Pakistan, Iran, Iraq, Siria.
Nel rapporto The
World’s Muslims: Unity and Diversity, pubblicato nel 2012, il Pew Centre
(autorevole organizzazione con base negli Usa) dedica una certa attenzione al
sufismo mostrando come esso e le sue pratiche vengano percepiti nelle diverse
regioni del mondo musulmano: «In Asia meridionale i sufi vengono ampiamente
considerati come musulmani (dal 77% della popolazione, ndr), mentre in
altre regioni tendono a non essere molto conosciuti, oppure a non essere
accettati come parte della tradizione islamica (vengono considerati musulmani
da circa il 50% in Medio Oriente, dal 32% in Russia e nei Balcani, dal 24% nel
Sud Est asiatico e dal 18% nell’Asia centrale, ndr). Opinioni divergenti
ci sono anche per quanto riguarda certe pratiche tradizionalmente associate a
particolari ordini sufi. Ad esempio, recitare poesie o cantare in lode di Dio
sono pratiche generalmente accettate nella maggior parte dei paesi musulmani,
ma la Turchia è l’unico paese in cui la maggioranza dei musulmani accolgono la
danza devozionale come una forma accettabile di culto, probabilmente a causa
dell’importanza storica in quel paese dell’ordine Mevlevi o dei “dervisci
rotanti”».
Alcuni dati particolarmente interessanti riguardano il
continente africano, per il quale il Pew Centre scrive: «L’identificazione con
il sufismo è più alto in Africa sub sahariana. In 11 dei 15 paesi esaminati
nella regione, un quarto o più dei musulmani affermano di appartenere a un
ordine sufi. Significativo il caso del Senegal nel quale il 92% degli
intervistati dice di appartenere a una confrateita sufi. L’ordine Tijaniyya è
il più comune in tutta la regione, con almeno un musulmano su dieci: Senegal
(51%), Ciad (35%), Niger (34%), Camerun (31%), Ghana (27%), Liberia (25%),
Guinea Bissau (20%), Nigeria (19%), Uganda (12%) e Repubblica Democratica del
Congo (10%). Il secondo movimento più diffuso è la confrateita Qadiriyya, che
è seguito dall’11% dei musulmani in Ciad, dal 9% in Nigeria e dall’8% in
Tanzania. Inoltre, l’ordine Muridiyya è prevalente in Senegal (34%), ma non
dispone di un ampio seguito tra i musulmani negli altri paesi esaminati».
L’affiliazione
ai vari ordini sufi è percentualmente meno rilevante nel resto del mondo
musulmano. Tra i paesi presi in considerazione dall’indagine del Pew Centre,
gli unici con una proporzione di aderenti a qualche confrateita sufi più
ampia del 10% sulle rispettive popolazioni di fede islamica sono: Bangladesh
(26%), Russia (19%), Tagikistan (18%), Pakistan (17%), Malesia (17%), Albania
(13%) e Uzbekistan (11%). Parecchi ordini sono importanti in singoli paesi, come
la Naqshbandiyya in Tagikistan (16% di tutti i musulmani), Chistiyya in
Bangladesh (12%) e Bektashiyya in Albania (12%).
Luca
Lorusso
Danza coi sufi
Il libro di Alberto Fabio Ambrosio, Danza
coi sufi. Incontro con l’Islam mistico, (San Paolo, Milano 2013, pp. 165, € 9,90) è il racconto di un incontro personale, quello dell’autore
domenicano – uno dei maggiori studiosi cristiani dell’Islam mistico – con il
sufismo: appassionato già di mistica cristiana, scopre che anche la religione
del Profeta ha una sua ricca storia di misticismo. Ma è soprattutto il racconto
dell’evoluzione di questa particolare via della spiritualità islamica,
concentrato in particolar modo sui primi secoli, le prime figure di grandi
mistici, i primi ordini sufi: a partire da Maometto (m. 632), considerato «il
prototipo dei Sufi», passando per Hasan al-Basri (m. 728), Rabi’a al-’Adawiyya
(m. 801), Harith al-Muhasibi (m. 857), fino ai grandi maestri del XIII secolo,
Ibn ‘Arabi (m. 1240) e Mawlana Rumi (m. 1273), quest’ultimo fondatore dell’ordine
dei Mevlevi, più conosciuti come Dervisci danzanti.
«Il sufismo, potremmo dire, è il lato simpatico di un
Islam che rischia sempre di fare paura. I mistici non fanno paura a nessuno,
forse a torto, perché sono i più rivoluzionari di tutti; coloro che cercano di
togliersi l’armatura delle sicurezze umane e di tuffarsi nel mare della divinità».
Il domenicano
Ambrosio non manca di esprimere più volte, nel corso degli otto capitoli, i
dubbi che negli anni gli sono sorti, o gli sono stati posti da altri, circa la
liceità, o anche solo l’utilità, di spendere la sua vita di sacerdote cristiano
nello studio del misticismo musulmano. La risposta a tali dubbi viene da sé,
viene dalla lettura di questo e altri testi che sono nutrimento per il dialogo
interreligioso, e viene anche dai molti legami, le molte analogie, che lo
studioso mette in luce tra il misticismo sufi e il Vangelo: «Quando noto come
la spiritualità cristiana si possa alleare a quella musulmana, mi sembra di
essere più completo, di essere più forte. Forse è per questo che studio,
osservo, contemplo e talvolta mi nutro della spiritualità dei miei amici (sufi,
ndr), in uno spirito di solidarietà e di comunione naturale. […] Il
Cristo per me segna la rotta; ma tutto (e dico proprio tutto) può diventare
barca, remo, vento… soffio dello spirito che mi sospinge verso Lui, perché so
che in ultima analisi, è Lui che mi cerca».
Luca Lorusso
Piccolo glossario
• Misticismo: esperienza immediata di Dio o della divinità.
Molte religioni comportano una parte di misticismo, tra cui l’Ebraismo, il
Cristianesimo e l’Islam.
• Ordine
(confrateita) sufi: un ordine sufi nasce
da un sufi carismatico che può avvalersi dell’insegnamento di un altro maestro
accreditato. In ogni ordine sufi ci sono dei «conventi», a capo dei quali si
trova un maestro. Attoo al maestro si riuniscono dei discepoli. Un ordine
sufi non ha però una struttura giuridica né spirituale come gli ordini
religiosi cattolici. I sufi non vivono in comunità, ma si ritrovano con
regolarità attorno al proprio maestro, non fanno voto di castità ma vivono nel
mondo, con una professione, e insieme a una famiglia. Rari sono i sufi che non
si sposano.
• Wahhabismo: il movimento di ritorno alle origini
musulmane iniziato con Ibn ‘ad Al-Wahhab nell’Arabia del XVIII secolo. Questa
corrente di interpretazione è diventata il credo ufficiale dell’Arabia Saudita,
e da questo paese si è diffuso nel resto del mondo musulmano (vedi MC
1-2/2015, p.38).
• Salafismo: indica di fatto lo stesso movimento
iniziato da Al-Wahhab ma, mentre con wahhabismo ci si riferisce soprattutto al
movimento storico, con salafismo si indica la dottrina e la pratica di ritorno
alle origini. Il salafismo ha conosciuto numerose «riforme» che tentano sempre
di propugnare la purezza iniziale dell’Islam, eventualmente anche con l’uso
della forza, com’è il caso del salafismo jihadista.
• Danza sacra: con questo termine si intende in generale
ogni danza o movimento danzante che tende al raggiungimento di una certa
esperienza spirituale o mistica. Nel caso del sufismo, la danza sacra per
eccellenza è quella dei dervisci danzanti che permette il raggiungimento
dell’esperienza dell’unità divina.
• Shaykh e dhikr: termini riferiti ai due principi del
sufismo, soprattutto di quello che storicamente si incarna negli ordini sufi.
L’obbedienza al maestro (shaykh) il quale è rappresentante del Profeta e, in
ultima analisi, di Allah, e il rituale della ripetizione dei nomi di Dio, lo
dhikr.
• Religione
iniziatica: è quella in cui per
diventae membro è richiesto un rito «segreto», di accoglienza o di
iniziazione appunto, in cui il candidato, passando delle prove, viene accettato
dagli altri adepti. Anche il cristianesimo, in un certo senso, comporta
l’iniziazione (il battesimo) con la differenza che il rito non è nascosto ma
pubblico.
Sufismo: breve
cronologia
• VII-XII secolo: epoca dei «grandi maestri spirituali», tra
cui Bistâmî, Junayd, Rabi’a.
• 922: morte di al-Hallaj. La sintesi della sua
dottrina si può riassumere così: «Se Dio è tutto e io sono nulla, io sono anche
Dio, poiché tutto è nulla e solo Dio è». Il sufismo diventa «ufficialmente»
sospetto.
• XI secolo: Glâzâlî (m. 1111) scrive la Revivificazione
delle scienze religiose, una sorta di Summa theologica islamica in cui viene
ufficialmente trattato il sufismo.
• 1240: morte di Ibn ‘Arabî, filosofo mistico
dell’Islam.
• 1273: morte di Rûmî, uno dei più grandi mistici e
poeti dell’Islam.
• XII-XXI secolo: il sufismo si realizza negli Ordini sufi.
• Dal XVIII secolo: i sufi subiscono la persecuzione dei
wahhabiti in Arabia Saudita e, in seguito, in altre regioni.
• 1925: il sufismo e gli ordini sufi sono banditi
dalla Repubblica di Turchia.
A.F.A.
Alberto Fabio Ambrosio