Celle senza finestre

Riflessioni e fatti sulla libertà religiosa
nel mondo – 09
Il tema della libertà religiosa è al centro delle preoccupazioni
della Chiesa. Lo ha ribadito mons. Mamberti, segretario vaticano per i Rapporti
con gli Stati, alla XXII Sessione del Consiglio dei Diritti dell’Uomo delle
Nazioni Unite. E intanto in diverse zone del mondo le violazioni di questo
diritto fondamentale proseguono con medesima se non aumentata forza, come
testimoniano le situazioni di alcuni paesi asiatici tra cui India, Pakistan,
Vietnam e Cina.



La situazione della libertà religiosa nel mondo è un fenomeno da
monitorare costantemente. Il quadro descritto dagli ultimi rapporti delle
organizzazioni che si dedicano allo studio delle violazioni delle libertà dei
credenti in tutto il pianeta è a tratti sconfortante, anche se non mancano
segnali di speranza.

È passato inosservato, in questo tempo eccezionale di cambiamenti
pontifici, un intervento della diplomazia della Santa Sede in seno alle Nazioni
Unite. «La Santa Sede continuerà a dare il suo contributo ai dibattiti in sede
internazionale, per proporre una riflessione essenzialmente etica ai processi
decisionali, e per aiutare a tutelare la dignità della persona umana». È quanto
affermato a Ginevra da monsignor Dominique Mamberti, segretario vaticano per i
Rapporti con gli Stati, alla XXII Sessione del Consiglio dei Diritti dell’Uomo
delle Nazioni Unite. Mamberti ha citato le parole della Caritas in veritate
(n. 43) di Benedetto XVI riguardo ai diritti individuali: «Si è spesso notata
una relazione tra la rivendicazione del diritto al superfluo o addirittura alla
trasgressione e al vizio, nelle società opulente, e la mancanza di cibo, di
acqua potabile, di istruzione di base o di cure sanitarie elementari in certe
regioni del mondo del sottosviluppo e anche nelle periferie di grandi metropoli»,
e ha esortato gli Stati a lavorare insieme, in uno spirito di dialogo e
apertura, per adottare le risoluzioni in modo consensuale, auspicando che «l’imposizione
di nuovi diritti e principi [venga] rimpiazzata dal rispetto e dal
rafforzamento di quelli già approvati». Tra le preoccupazioni della Santa Sede
al primo posto si colloca il destino delle minoranze religiose e in generale la
libertà di credo. «Il diritto internazionale – ha detto Mamberti – è piuttosto
sostanzioso a questo riguardo. Allora perché continua a essere uno dei diritti
più frequentemente e più diffusamente negati, limitati nel mondo?». Tra le
cause delle violazioni Mamberti elenca «una legislazione statale carente, la
mancanza di volontà politica, il pregiudizio culturale, l’odio e l’intolleranza»,
e infine sostiene che la chiave fondamentale per promuovere la libertà di
religione è riconoscerla come radicata nella dimensione trascendente della
dignità umana: la libertà di religione promuove l’idea di una libertà che non
si riduce all’esclusiva dimensione politica o civile, ma si pone al di là di
essa, in quanto mette un limite allo stesso stato e costituisce una protezione
della coscienza dell’individuo dal potere statale. «Quando uno stato la tutela
in modo adeguato, la libertà di religione diventa una delle fonti della sua
legittimità, e un indicatore primario di democrazia».

Pakistan: leggi blasfeme

Pakistan, India e Cina, ma anche paesi meno rappresentati sui
media inteazionali come Birmania, Myanmar, Vietnam e Cambogia, presentano
limitazioni molto pesanti alla libertà di religione.

Alessandro Speciale di vaticaninsider.lastampa.it ci
informa che «in India, continuano a crescere le leggi anticonversione, con una
lunghissima lista di attacchi alle minoranze, spesso perpetrati da gruppi
appartenenti al movimento nazionalista indù del Sangh Parivar», mentre
leggendo il rapporto 2012 di Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs) constata che «per
il Pakistan, il 2011 è stato un “anno terribile”, cominciato con l’omicidio a
gennaio del governatore del Punjab, Salman Taseer, proseguito il 2 marzo con
l’uccisione del ministro federale per le Minoranze, il cattolico Shahbaz
Bhatti, e passato per l’incriminazione di 160 persone in base alla famigerata
legge antiblasfemia, con casi antichi come quello di Asia Bibi […], e nuovi
come quello di Rimsha Masih che sono saliti tristemente all’onore delle
cronache mondiali».

«Prega il Signore e scrivi al presidente del Pakistan per
chiedergli che mi faccia ritornare dai miei familiari»: Asia Bibi, detenuta da
oltre mille giorni nel carcere pakistano di Sheikhupura perché cristiana, ha
scritto una lunga lettera dalla sua cella «senza finestre». Pubblicata
integralmente da «Avvenire» nel dicembre scorso, essa ha dato il via a una
campagna di raccolta firme per chiedere al presidente del Pakistan, Asif Ali
Zardari, la liberazione della donna. «Un appello – ci informa Ilaria Sesana di “Avvenire”
– cui, in queste settimane, hanno aderito più di 30mila persone. Un risultato
straordinario – prosegue Ilaria Sesana -, che ha visto coinvolti uomini e donne
di ogni età e di ogni ceto sociale. Dal Nord al Sud dell’Italia (e persino
dall’estero) sono arrivati migliaia e migliaia di messaggi per chiedere al
presidente Zardari di intervenire in favore di Asia Bibi […]. Intere famiglie
si sono mobilitate per questa iniziativa, con raccolte di firme tra amici,
familiari, nelle scuole e sul luogo di lavoro. Un grande contributo è stato
dato da decine di parroci che, oltre a impegnarsi nella raccolta di firme al
termine delle funzioni religiose, hanno portato avanti un’attenta opera di
sensibilizzazione tra i fedeli».

VIETNAM: CONTRO LE «CHIESE IN CASA»

Raccogliendo testimonianze tra la folla di piazza San Pietro il
giorno prima delle dimissioni di papa Ratzinger Asianews ha riportato le
parole di alcuni sacerdoti asiatici, tra cui quelle di p. Giuseppe, originario
di Hue, nel Vietnam centrale: «”La Chiesa del Vietnam ha bisogno di
testimonianze di vita e di fede” e Benedetto XVI è stato “un modello
e una guida” in una nazione governata da un “regime comunista che
ancora oggi limita la libertà religiosa”. È questo il primo pensiero di un
sacerdote vietnamita, confuso fra la folla che gremisce piazza San Pietro in
attesa di salutare per l’ultima volta il suo “amato Papa” che da
domani lascerà il soglio pontificio. […] “Nella nostra società –
aggiunge il sacerdote – la fede non è ancora così radicata e sviluppata, per
questo è importante promuoverla e diffonderla con l’opera di annuncio”. Il
sacerdote ricorda inoltre il notevole contributo fornito dal papa per la
ripresa dei rapporti diplomatici fra Santa Sede e Hanoi, ma resta ancora molto
da fare e “guardiamo al futuro speranzosi, mettendoci nelle mani di
Dio”».

Da un focus di Porte Aperte sul paese indocinese apprendiamo che «dal
gennaio 2013 il Vietnam ha aggiornato la propria legislazione in materia di
libertà religiosa attraverso il Decreto sulla Religione ND-92 lanciando un
messaggio molto chiaro: lo Stato ha intenzione di controllare da vicino la
diffusione della religione, in particolare del cristianesimo. Questo decreto di
fatto completa quello emesso nel 2005 e – sostiene Porte Aperte – […] se
applicato interamente […] potrebbe criminalizzare il movimento di comunità
cristiane familiari (o chiese in casa, house church), una rete di chiese
che esiste da oltre 25 anni. Anche se venisse applicato irregolarmente comunque
potrebbe rappresentare una minaccia per l’esistenza di questa importante rete
di cristiani vietnamiti». Inoltre «il decreto giustifica la pesante burocrazia
relativa alle pratiche religiose, che di fatto dimostra di considerare la
religione come una minaccia alla sicurezza nazionale e culturale».

Cina: il bastone e la carota

«ChinaAid, una grande organizzazione statunitense di
sostegno ai cristiani perseguitati – ci informa Marco Tosatti di vaticaninsider.lastampa.it
-, ha reso noto [di recente] il suo rapporto annuale sulla situazione della
libertà religiosa nelle terre governate da Pechino. E la conclusione è che la
situazione si sta deteriorando per il settimo anno di seguito. Il rapporto [sul
2012] si basa su 132 casi di persecuzione, cha hanno coinvolto 4.919 persone.
Il numero degli individui giudicati in tribunale è cresciuto del 125 per cento,
rispetto all’anno precedente; e il “tasso” di persecuzione, secondo quanto
sostengono a ChinaAid è cresciuto del 41.9 per cento se paragonato al
2011. Come è ormai triste tradizione, sono soprattutto le “chiese domestiche”,
meno controllabili, a essere nel mirino delle autorità cinesi. Ma c’è anche un
fattore congiunturale, che ha reso più dura la situazione, e cioè una volontà
precisa da parte del governo e del Partito».

«ChinaAid – prosegue Marco Tosatti – prende in esame sei
elementi: il totale delle cifre sulla persecuzione, il numero delle persone
colpite, il numero degli arrestati, il numero dei condannati, il numero dei
casi di violazioni dei diritti e il numero delle vittime di questi abusi.
Rispetto al 2011, il totale delle cifre relative alle sei categorie è cresciuto
del 13.1 per cento. E se si considerano i sette anni precedenti, si osserva che
il trend di peggioramento persiste, sulla base di un incremento annuale del
24.5 per cento per tutte e sei le categorie considerate. Secondo gli analisti
di ChinaAid, la persecuzione del 2012 non è stata solo una prosecuzione
della pratica, presente nel 2008 e nel 2009 di “prendere a bersaglio le chiese
domestiche e i loro leaders nelle aree urbane”, o di quella del 2010 di “attaccare
i gruppi di legali difensori dei diritti umani cristiani, e di usare
maltrattamenti, tortura e tattiche mafiose”, e neanche della strategia del 2011
di aumentare di intensità gli attacchi contro i cristiani e le chiese
domestiche che hanno un impatto sulla società. C’è stato un cambiamento di
strategia, e la sua ragione può essere trovata in un documento emanato dai
Ministeri della Sicurezza Pubblica e degli Affari Civili, che affrontava il
tema del completo sradicamento delle Chiese domestiche. Il documento, curato
dall’amministrazione statale per gli Affari Religiosi, indica grosso modo tre
fasi dell’operazione. La prima, dal gennaio al giugno del 2012, prevedeva
intense, complete e segrete indagini sulle chiese domestiche, in tutto il
paese, e la creazione di archivi su di esse. La seconda fase dovrebbe durare
dai due ai tre anni, e basarsi sull’eliminazione graduale delle Chiese
domestiche che sono state schedate, per giungere, in un periodo decennale, alla
completa cancellazione del fenomeno. E in effetti a questo scopo sono stati
usati vari sistemi di bastone e carota; chiusura delle chiese, invio nei campi
di lavoro dei leaders, e nello stesso tempo tentativo di convincerli a
entrare nel sistema di chiese controllato dallo Stato e dal Partito».

«Il rapporto – conclude Tosatti – si chiude però su toni
lievemente ottimistici. Il 18mo Congresso nazionale avrebbe chiuso un’epoca di
ideologia di estrema sinistra. “ChinaAid è prudentemente ottimista,
scrive il Rapporto, perché a dispetto della crescente persecuzione e dei
cambiamenti politici del 2012, la Chiesa rimane ferma, e fiorente come i cedri
del Libano e gli alberi piantati vicini alle correnti, che al tempo stabilito
danno frutti abbondanti”».

Non a caso uno degli ultimi appelli di Benedetto XVI prima della
sua rinuncia è stato in favore della Chiesa cattolica in Cina: «Raccomando alle
preghiere vostre e dei cattolici di tutto il mondo la Chiesa in Cina, che come
sapete, sta vivendo momenti particolarmente difficili».

Luca Rolandi
Gioalista di Vatican Insider

Luca Rolandi




America, il continente aperto

Riflessioni e fatti sulla
libertà religiosa nel mondo – 08
Continente che ospita 948 milioni di persone, l’America è l’area
geografica che fa registrare i livelli più bassi di restrizioni governative e
di ostilità sociali riguardanti la religione. Ma, come il resto del mondo,
anch’essa vede un aumento di pressione sulla libertà religiosa. Tra gli esempi
più significativi di tale aumento c’è quello degli Usa, ma anche del Messico,
di Cuba e della Colombia.

Era il 6 agosto scorso quando
l’ennesima notizia di una strage avvenuta negli Usa per mano di un «folle»
girava il mondo: sette persone morte, tra cui lo stragista, tre ferite
gravemente, decine sotto shock. Quell’episodio ne seguiva di simili, avvenuti
nelle settimane anteriori, e ne precedeva altri che avrebbero riacceso il
dibattito statunitense sulla vendita di armi. Esso però aveva una sua
peculiarità: nell’assalto il killer aveva preso di mira un tempio sikh.
«È importante notare che questo è solo uno di un numero crescente di episodi di
violenza che i sikh hanno sperimentato negli ultimi anni», dichiarava alcuni
giorni dopo il direttore esecutivo della «Sikh coalition» Sapreet Kaur. «L’assassino
sarebbe un ex militare congedato dall’esercito nel 1998, per cattiva condotta
[…] – si affrettava a informare tra gli altri Radio Vaticana -. I sikh, noti
per la barba lunga e il turbante (stimati tra i 78mila e i 500mila negli Usa,
ndr.), sono scambiati spesso per musulmani e fatti oggetto di attacchi dopo
l’11 settembre 2001». La strage quindi aveva sullo sfondo, tra i moventi, un
problema di odio religioso. Secondo i rilievi dell’Fbi sulla criminalità,
citati dal rapporto 2011 del Pew Forum, gli Usa hanno avuto più di 1.300
crimini d’odio religioso nel 2009. La maggior parte dei quali anti-ebraici (931
dei 1.303 reati, il 71%; mentre l’8% era motivato da pregiudizi anti-islamici).

Gli Stati Uniti sono uno dei 16 paesi del mondo che hanno fatto
registrare un significativo incremento di entrambi gli indici (Restrizioni
Goveative e Ostilità Sociali) durante l’anno preso in esame dal Rising
tide of restrictions on religion
, l’ultimo studio del Pew Forum
sulla libertà di religione nel mondo con dati riguardanti il 2010. Durante
quell’anno c’è stato un «aumento del numero di incidenti a livello statale e
locale nei quali membri di diverse religioni hanno incontrato restrizioni nella
capacità di praticare la loro fede». Ad esempio «incidenti nei quali agli
individui è stato impedito d’indossare un certo abbigliamento o di portare
simboli religiosi, compresa la barba, in prigioni, penitenziari e altre
strutture correzionali». Alcuni gruppi religiosi hanno incontrato anche grandi
difficoltà nell’ottenere permessi per la costruzione o per l’ampliamento di
luoghi di culto.

Per quanto riguarda l’aumento di ostilità sociale, il Pew Forum
individua tra le sue cause «un picco di attacchi terroristici di matrice
religiosa» nell’anno preso in esame. «L’incremento di ostilità sociali negli
Stati Uniti si riflette anche nell’aumento del numero di denunce di
discriminazione sul posto di lavoro».

Il continente con minori limitazioni

L’America è l’unico continente in cui il livello più alto di restrizioni governative e di ostilità
sociali non viene registrato in nessuno dei paesi che lo compongono. In media
il grado di Gri è basso (1,1). Il solo paese ad everlo alto è Cuba; mentre
altri otto ce l’hanno moderato (si veda tabella). L’America è anche
l’unico continente a non aver fatto registrare un aumento di ostilità sociali,
il cui livello in media rimane molto basso (0,4): il solo paese ad averlo alto è
il Messico; mentre altri cinque paesi fanno registrare un livello moderato (si
veda tabella
).

Spiccano quindi nel continente americano Cuba e Messico, i due
paesi toccati lo scorso anno dalla visita pastorale di Benedetto XVI. E assieme
a essi, Usa e Colombia, per avere un livello moderato in ambedue gli indici.
Tutti gli altri paesi del continente hanno i due indici a un grado mediamente
basso, o al più uno solo dei due a livello moderato.

MESSICO

Il Messico è il secondo paese al mondo, dopo il Brasile, con più
alto numero di cattolici: circa 96,3 milioni, l’84,9% della sua popolazione (i
protestanti sono l’8,3%, gli altri cristiani l’1,7%, i non affiliati ad alcun
credo il 4,7%, i membri di altre religioni lo 0,3%); e il paese americano con
minore libertà religiosa a causa del livello alto di ostilità sociali e del
livello moderato di restrizioni governative.

«La Costituzione messicana e le altre leggi e politiche
generalmente proteggono la libertà religiosa – ci informa l’Inteational
Freedom Report for 2011
-, ma ci sono alcune limitazioni a livello statale
o locale. […] Alcuni capi e autorità delle comunità locali, in particolare
nel Sud, utilizzano la religione come pretesto per conflitti legati a
controversie politiche, etniche, o relative alla terra. […] Funzionari del
governo federale e locale, spesso non puniscono i responsabili di atti di
intolleranza religiosa».

Mentre a livello istituzionale nel 2011 non si sono registrati
cambiamenti, né in positivo, né in negativo (e nel 2012 una riforma
costituzionale che ha inserito un riferimento esplicito alla libertà religiosa è
stata vista con entusiasmo da alcuni e con criticismo da altri osservatori
della libertà religiosa), a livello sociale invece ci sono state numerose
segnalazioni di abusi e discriminazioni. Mormoni, membri delle comunità
ebraiche e buddiste affermano di non trovare particolari ostacoli alla pratica
della loro religione, mentre – afferma sempre l’Inteational Freedom Report
for 2011
– invece diversi gruppi evangelici sostengono di subire frequenti
molestie. Soprattutto nelle regioni centrali e meridionali essi lamentano
l’espulsione dai loro villaggi, la perdita dei diritti di comunità e del
possesso di beni personali, percosse, minacce di morte, l’incendio delle loro
chiese e case.

CUBA

Cuba, che registra un alto livello di restrizioni governative ma
uno basso di ostilità sociali, conta 5,82 milioni di cattolici, il 51,7% della
popolazione (i protestanti sono il 5,6%, gli ortodossi lo 0,4%, gli altri
cristiani l’1,5%, i non affiliati a nessun credo il 23%, i seguaci di religioni
tradizionali il 17,4%, gli hindu lo 0,2%, e i membri di altre religioni lo
0,2%). Dopo l’apertura registrata nel corso del 2011 che aveva indotto il
Dipartimento di Stato Usa a sottolineare nel suo rapporto annuale il
miglioramento del governo cubano nel rispetto per la libertà religiosa, «anche
se restrizioni significative sono rimaste inalterate, e il Partito Comunista di
Cuba, attraverso il suo Ufficio degli affari religiosi, ha continuato a
esercitare il controllo regolamentare su molti aspetti della vita religiosa»,
le notizie che arrivano dall’isola caraibica tra fine 2012 e inizio 2013 fanno
temere una nuova ondata di restrizioni.

«Drammatico aumento di violazioni della libertà religiosa nel 2012»
intitolava un suo comunicato stampa l’organizzazione Christian Solidarity
Worldwide
a inizio 2013: «Mentre la Chiesa Cattolica riporta il maggior
numero di violazioni, per lo più riguardanti l’arresto e la detenzione
arbitraria di parrocchiani che tentano di frequentare le attività della chiesa,
anche altre denominazioni e gruppi religiosi sono stati colpiti. Chiese
battiste, metodiste e pentecostali in diverse parti del paese hanno riportato
molestie costanti e pressioni da parte di agenti di sicurezza dello stato.
Inoltre, i funzionari del governo hanno continuato a rifiutare la registrazione
di alcuni gruppi, tra cui la rete protestante del “Movimento
Apostolico”, minacciando chiusure di chiese, e chiudendo un luogo di culto
mormone […]. Uno dei casi più gravi ha riguardato il violento pestaggio di un
pastore pentecostale [che] ha subito danni permanenti al cervello. Il pestaggio
sembra essere stato orchestrato da funzionari locali del Partito comunista. A
oggi nessuna indagine a riguardo è stata effettuata».

COLOMBIA

Tra i primi 50 paesi della World Watch List, la classifica
compilata dall’organizzazione cattolica Open Doors dei paesi in cui
maggiormente vengono perseguitati i cristiani, la Colombia è l’unico del
continente americano a essere presente, figurando al 46° posto: «La Colombia –
in cui i cristiani sono il 92,5% della popolazione (cattolici 82,3%,
protestanti 10%, altri cristiani 0,1%), i non affiliati il 6,6%, e i seguaci di
religioni tradizionali lo 0,8% – […] formalmente è una modea democrazia
dove la supremazia della legge è consolidata e la libertà religiosa garantita.
Tuttavia ampie zone del paese sono sotto il controllo di organizzazioni
criminali, cartelli della droga, rivoluzionari e gruppi paramilitari – scrive Porte
Aperte
nel suo profilo del paese -. Le ricerche di Open Doors hanno
evidenziato che le organizzazioni criminali prendono di mira in particolar modo
i cristiani […]. Il crimine organizzato percepisce come una minaccia quei
cristiani che si oppongono apertamente alle loro attività, soprattutto quando
essi sono attivi in politica o in programmi sociali. […] Teme che i cristiani
inducano i membri della comunità locale o persino gli aderenti alle sue
organizzazioni a opporsi alle loro attività criminali. Nel suo rapporto 2010
l’Ong cristiana Justapaz ha riportato 95 minacce di morte o tentati
omicidi, 71 sgombri forzati, 17 omicidi, 2 sparizioni e molti casi di
sequestri, torture, pestaggi e reclutamento forzato […]».

Il 5 febbraio l’Agenzia Fides annunciava il terzo omicidio
di un prete cattolico in Colombia dall’inizio dell’anno: «Secondo l’elenco
realizzato annualmente dall’Agenzia Fides, nel 2012, per la quarta volta
consecutiva, l’America ha registrato il numero più alto di operatori pastorali
uccisi rispetto agli altri continenti. In Colombia nel 2012 è stato ucciso un
sacerdote; nel 2011 sono stati uccisi 6 sacerdoti e 1 laico; nel 2010 […] 3
sacerdoti e un religioso; nel 2009 […] 5 sacerdoti ed 1 laico».

Una sintesi continentale

La sintesi continentale del rapporto Acs (Aiuto alla Chiesa che
Soffre) 2012 sulla libertà di religione offre una panoramica frastagliata: se
in generale la situazione della libertà religiosa nel continente non è grave,
si notano passi avanti di alcuni paesi controbilanciati da passi indietro. «Se
in Argentina il 25 novembre è stato proclamato “Giornata Nazionale della Libertà
Religiosa”, in Bolivia – dove la Costituzione del 2009 riconosce la libertà di
religione – si sono verificate tensioni tra il presidente Morales e la Chiesa
cattolica» che ha denunciato la tendenza del governo «a utilizzare l’esperienza
religiosa dei nostri popoli per creare riti paralleli ai sacramenti cristiani
cattolici o ad altre espressioni popolari della fede». Rapporti Stato-Chiesa
tesi anche in Venezuela. Mentre sembra non essere legata a motivi religiosi «l’uccisione
del sacerdote cattolico don Romeu Drago, avvenuta il 19 febbraio 2011 in
Brasile, dove la Costituzione tutela pienamente la libertà religiosa […]. In
Cile si notano dei positivi passi avanti, come le informative ministeriali
sull’assistenza religiosa nei luoghi di cura e nei penitenziari, e sul rispetto
dell’uguaglianza dei culti all’interno delle aule scolastiche. Avviate,
inoltre, iniziative legislative per riconoscere i giorni sacri ai musulmani e
ai Bahá’í».

«Atti di vandalismo e violenza contro edifici religiosi, immagini
sacre e sacerdoti sono stati compiuti in Nicaragua», unico paese americano ad
aver registrato un aumento delle ostilità sociali molto significativo. «Preoccupano
in Ecuador alcune proposte di legge orientate alla limitazione della libertà
religiosa (garantita a livello costituzionale). Tra questi un progetto di legge
circolato informalmente nell’agosto del 2011 che prevedeva anche la chiusura
delle scuole confessionali e proibiva ai sacerdoti di indossare l’abito al di
fuori dei luoghi di culto». Contesto positivo invece in Paraguay, in Perù,
nella Repubblica Dominicana e in Uruguay.

Luca Lorusso

Luca Lorusso




Europa, Libertà sotto stress

Riflessioni e fatti sulla
libertà religiosa nel mondo – 07

L’attacco dell’«Inteational
religious freedom report
2012» è chiaro: «In Europa sta aumentando la
diversità etnica, razziale e religiosa. Questi cambiamenti demografici sono
talvolta accompagnati da crescente xenofobia, anti semitismo, sentimento anti
musulmano, e intolleranza nei confronti delle persone considerate “l’altro”».

La libertà religiosa nel Vecchio Continente è sotto pressione, i
casi di Russia e Bielorussia ne sono l’emblema, anche per quanto riguarda il
fenomeno delle leggi contro blasfemia e diffamazione della religione.

L’allarme
è presente fin dal titolo: «Marea montante di restrizioni riguardanti la
religione». L’ultimo rapporto del Pew Forum sulla libertà religiosa nel
mondo, uscito nell’agosto scorso con dati risalenti al 2010 è netto nel parlare
di una situazione di preoccupante peggioramento della libertà religiosa nel
mondo intero, compresa l’Europa. Un incremento significativo nel Vecchio
Continente sia delle restrizioni governative (Gri) che dell’ostilità sociale
(Shi) si è registrato in 29 dei 45 paesi che lo compongono. Grecia, Macedonia,
Ucraina, ma anche Francia, Regno Unito, Germania.

C’è più libertà religiosa in Europa che in Asia e in Medio Oriente
(si veda MC ott. e nov. 2012), ma rispetto agli europei vivono in una
libertà di credo maggiore gli abitanti dell’Africa sub-sahariana (si veda MC
ago.-sett. 2012
) e delle Americhe.

È facile immaginare che negli ultimi due anni (2011 e 2012) di
crisi economica e sociale, non indagati dal rapporto del Pew Forum, le
condizioni della libertà di credo siano ulteriormente peggiorate. Lo confermano
studi più aggioati come il «Rapporto 2012» di Acs (Aiuto alla Chiesa che
Soffre), il già citato «Inteational religious freedom report for 2011» del
dipartimento di stato Usa, l’«Annual report 2012» dell’Uscirf (United States
Commission on Inteational Religious Freedom
), le copiose notizie di
violazioni di questo diritto fondamentale, e il numero crescente di analisi,
riflessioni, interventi di studiosi, esponenti religiosi e politici di tutto il
mondo.

RUSSIA

Se nello scenario europeo sono molti i paesi che destano
preoccupazione, ce ne sono due che spiccano in modo particolare: Russia e
Bielorussia hanno entrambe un elevatissimo livello di restrizioni governative,
mentre la Russia (secondo il Pew Forum) è uno dei sei paesi nel mondo
che fa registrare il livello più alto di entrambi gli indici (di Restrizioni
Goveative e di Ostilità Sociale), l’unico in Europa. Gli altri sono Egitto,
Indonesia, Arabia Saudita, Afghanistan e Yemen.

Secondo il rapporto annuale dell’Uscirf: «Le condizioni della
libertà religiosa in Russia continuano a deteriorarsi. Il governo usa
abitualmente la legge anti-estremismo contro pacifici gruppi religiosi e
individui […]. Queste azioni, insieme alla xenofobia, all’intolleranza crescente
e all’antisemitismo, sono legate a violenze e omicidi mossi da odio religioso.
[…] Il governo russo non affronta questi problemi in modo coerente ed efficace,
favorendo un clima di impunità».

In Russia vivono circa 140 milioni di persone su un territorio
ampio 57 volte l’Italia. Benché solo il 5% della popolazione dichiari di essere
«osservante», sono almeno 100 milioni quelli che si autodefiniscono cristiani
della Chiesa Ortodossa Russa. I musulmani costituiscono la più grande minoranza
religiosa con un numero di aderenti compreso tra 16,4 e 20 milioni, la maggior
parte dei quali vive nella regione Volga-Ural, nel Caucaso del Nord, a Mosca, a
San Pietroburgo e in alcune parti della Siberia. Tra le varie confessioni
cristiane, i protestanti costituiscono il secondo gruppo dopo gli ortodossi con
circa due milioni di persone, la Chiesa Cattolica Romana il terzo con circa
seicentomila fedeli. Gli ebrei, secondo alcune stime, sono un milione, quasi
tutti concentrati a Mosca e a San Pietroburgo. I buddisti (tra uno e due
milioni) vivono principalmente nelle regioni di Buryatiya, Tuva, e Kalmykiya.

Le notizie che le varie agenzie di stampa internazionale di tanto
in tanto lanciano riguardo al tema della libertà religiosa in Russia illustrano
una situazione difficile sotto molti punti di vista, soprattutto per le
minoranze. Uccisioni di personalità musulmane nelle zone calde del Caucaso,
impedimenti alla costruzione di luoghi di culto, difficoltà di registrazione di
gruppi religiosi, negazione dei visti per visitatori religiosi stranieri,
proibizione di testi, considerati estremisti, di diversi gruppi religiosi, tra
cui i Testimoni di Geova e gli affiliati a Falun Gong, multe, sequestri di
materiali proibiti, incarcerazione per chi ne viene trovato in possesso, violenze
e vessazioni, impunità.

È Asianews a informarci sul disegno di legge contro la
blasfemia che sarà probabilmente approvato in primavera: esso propone pene
pecuniarie fino a 500mila rubli (circa 16mila dollari), e lavori forzati fino a
400 ore o detenzione fino a cinque anni per insulti pubblici alla fede,
profanazione o distruzione di oggetti religiosi.

BIELORUSSIA

Definita come l’ultima dittatura europea, la Bielorussia, pur
registrando un livello moderato di Ostilità Sociale nei confronti della religione,
è il secondo paese europeo con più elevato livello di restrizioni governative:
segno della condizione generalmente difficile delle libertà e dei diritti umani
sotto il regime di Lukashenko.

Su un territorio pari a due terzi l’Italia vivono circa 10 milioni
di cittadini bielorussi. Di questi l’80% appartengono alla Chiesa Ortodossa
Bielorussa, il 10% alla Chiesa Cattolica Romana. I rimanenti si dividono tra
non religiosi, atei, e altri gruppi religiosi: protestanti, musulmani, ebrei,
Testimoni di Geova, Hare Krishna, Baha’i, Mormoni.

Il rapporto 2012 dell’Uscirf afferma che «il potere politico in
Bielorussia è concentrato nelle mani del presidente Aleksandr Lukashenko, il
cui regime continua a perpetrare violazioni dei diritti umani. Il governo vede
nei gruppi indipendenti, comprese le comunità religiose, le sfide potenziali
per il suo dominio». E, dopo aver aggiunto che «il governo viola la libertà di
pensiero, di coscienza e di religione o le convinzioni personali attraverso
leggi e politiche intrusive», denuncia l’uso di molestie, multe, e detenzioni
contro le comunità religiose e le singole persone e l’impunità per atti di
violenza e vandalismo nei confronti dei gruppi religiosi minoritari.

Benché la Costituzione tuteli la libertà religiosa, altre leggi e
politiche generalmente applicate dal potere la limitano ostacolando e impedendo
in modo selettivo e arbitrario le attività dei gruppi religiosi diversi dalla
Chiesa Ortodossa Bielorussa.

PANORAMICA SULL’EUROPA

Per una breve panoramica sul continente che
sia in grado di dare un’idea dell’ampiezza e varietà delle violazioni (sia «istituzionali»
che «sociali») del diritto alla libertà religiosa ci affidiamo al rapporto 2012
di Acs, il quale rileva innanzitutto il fatto che negli ultimi anni i
legislatori europei hanno elaborato numerose norme, esprimendo la
preoccupazione che esse possano peggiorare le condizioni della libertà di
credo: in Francia, nel 2011, «è stato presentato il cosiddetto “Codice della
laicità” volto a regolamentare il campo della libertà religiosa. Dall’11 aprile
2011 è entrata poi in vigore la legge che vieta d’indossare il velo integrale
in pubblico, divieto stabilito anche dal governo dei Paesi Bassi sui trasporti
pubblici, negli uffici e nelle strade. La possibilità di indossare il burqa
o il niqab è stata al centro di controversie in Belgio dove preoccupa il
disegno di legge che trasforma in reato la “destabilizzazione mentale” di terzi
che rischia di spianare la strada a discriminazioni nei confronti delle
minoranze religiose». Ha fatto discutere in Svizzera il referendum che ha
imposto a larga maggioranza il divieto di costruire minareti.

Oltre a esemplificare alcuni provvedimenti
legislativi, Acs accenna a episodi di vandalismo e atti d’intolleranza nei
confronti dei cristiani in diverse città della Germania e nel Regno Unito: «Secondo
un rapporto del governo scozzese sui delitti causati da odio a sfondo religioso
nel suo territorio, nel periodo 2010-2011 ci sono state 693 imputazioni “aggravate
da pregiudizio religioso”».

Altro problema, presente soprattutto nei paesi dell’Europa
orientale, è quello della mancata restituzione delle proprietà e dei beni
confiscati alle varie comunità religiose dopo la Seconda guerra mondiale. «Tra
questi Ucraina, Romania, Slovacchia, Slovenia, Montenegro e Repubblica Ceca.
Procede con disparità la restituzione alle diverse comunità in Croazia,
giudicata colpevole dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per non aver
concesso a tre comunità religiose cristiane di godere pienamente di tutti i diritti
connessi al proprio riconoscimento, tra cui l’educazione religiosa nelle scuole
statali e il riconoscimento dei matrimoni».

Anche la diffusione di una versione intollerante dell’Islam desta
preoccupazioni in alcune aree dell’Europa, come abbiamo già visto, ad esempio,
per la zona caucasica della Russia: in Albania intimorisce la presenza di «giovani
imam formati in Turchia e in Arabia Saudita, come preoccupa la
progressiva islamizzazione di alcune aree della Bosnia-Erzegovina, a seguito di
ingenti investimenti compiuti da Iran e Arabia Saudita. Nel paese balcanico
l’identificazione “etnia-religione” genera discriminazioni sociali e
amministrative verso le minoranze, e in particolare verso i cattolici che
vivono o in zone a forte presenza islamica, o a maggioranza serbo-ortodossa.
Anche in Serbia e Kosovo, i fattori etnico e religioso sono spesso inseparabili».

LEGGI SULLA BLASFEMIA

Come già accennato per il caso della Russia,
nell’area europea è forte la tentazione di emanare leggi che ufficialmente
vorrebbero garantire la libertà religiosa e che invece rischiano di rendere più
difficile il godimento di tale diritto, soprattutto da parte delle minoranze. A
riguardo il Pew Forum ha pubblicato nel novembre scorso un’analisi che
mostra il trend mondiale ed europeo: «Diverse notizie hanno riguardato
negli ultimi mesi casi di persone perseguitate dalla giustizia dei propri paesi
con l’accusa di blasfemia: ad esempio in Grecia, un uomo è stato arrestato dopo
aver pubblicato su Facebook un post satirico nei confronti di un
monaco cristiano ortodosso». Secondo lo studio del Pew Forum il 47% dei
paesi del mondo hanno leggi o politiche che penalizzano la blasfemia,
l’apostasia o la diffamazione (il disprezzo o la critica di religioni
particolari o della religione in generale). «Dei 198 paesi studiati, 32 hanno
leggi anti-blasfemia, 20 leggi che penalizzano l’apostasia, e 87 leggi contro
la diffamazione della religione».

L’analisi puntualizza: «Nei paesi che hanno
leggi contro blasfemia, apostasia o diffamazione ci sono maggiori probabilità
di avere alte restrizioni governative sulla religione o elevata ostilità
sociale rispetto ai paesi che non dispongono di tali leggi. Ciò non significa
che queste leggi causino necessariamente un aumento di restrizioni alla
religione, ma è evidente che i due fenomeni vanno spesso di pari passo».

Per quanto riguarda in particolare le leggi che penalizzano la
bestemmia, in Europa sono presenti in otto dei 45 paesi: Danimarca, Germania,
Grecia, Irlanda, Italia, Malta, Paesi Bassi, Polonia, mentre nessun paese
possiede leggi che sanzionino l’apostasia. Le leggi contro la diffamazione
della religione invece sono più comuni: in 36 paesi su 45.

Luca Lorusso

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Luca Lorusso




Restrizioni e ostilità

Studi e fatti sulla libertà religiosa nel mondo – 02

Il 70% della popolazione mondiale vive in paesi con forti limitazioni di credo e di culto.
Dal Laos al Kazakistan, dal Pakistan all’Egitto, dalla Nigeria a Cipro, nel mondo gli episodi di vessazioni nei confronti di individui o gruppi religiosi sono numerosi. La libertà di religione è limitata da restrizioni governative e ostilità sociali crescenti. E neppure l’Europa ne è immune. Regno Unito e Francia, ad esempio, vedono aumentare pregiudizi, atti discriminatori e misure illiberali.

L’11 maggio scorso due sacerdoti cristiani si sono presentati in questura, convocati per un interrogatorio dalle autorità distrettuali di Phin, nella provincia di Savannakhet, nel Sud Est del Laos. Le autorità hanno contestato ai due l’utilizzo di case private come luoghi di culto. Dopo un’ora d’interrogatorio i sacerdoti sono stati rilasciati con l’ordine di staccare le croci dalle pareti estee di quegli edifici e di non divulgare il messaggio cristiano che stava portando alla conversione diversi laotiani di quelle zone.
L’episodio raccontato da Human Rights Watch for Lao Religious Freedom è emblematico della situazione descritta dal rapporto dell’United States Commission on Inteational Religious Freedom (Uscirf): «Il governo laotiano limita la pratica religiosa attraverso atti giuridici e impunità […]. I funzionari provinciali violano la libertà di religione con detenzioni, sorveglianza, molestie, confische di proprietà, spostamenti e rinunce forzate alla fede».

KAZAKISTAN
Negli ultimi mesi diversi lanci dell’agenzia «AsiaNews» hanno raccontato di ripetuti atti istituzionali volti a restringere la libertà di religione in Kazakistan. Solo tra febbraio e fine aprile 2012, in tre diverse regioni del paese, la polizia ha fermato Testimoni di Geova, Battisti e Hare Krishna, minacciandoli di punizioni esemplari per le manifestazioni pubbliche della loro fede. A fine aprile le autorità hanno chiuso l’ultimo luogo di culto della minoranza musulmana ahmadi ad Almaty, capitale commerciale del paese. I cristiani metodisti sono stati al centro di una serie d’ispezioni da parte di funzionari amministrativi. Un decreto emanato a marzo dal governo stabilisce regole ferree per l’introduzione nel paese di libri e materiali religiosi, e assegna alla pubblica sicurezza il potere di controlli, sequestri e arresti.

CIPRO
Era la fine di aprile quando a un vescovo e a un sacerdote della chiesa ortodossa di Cipro è stato negato il permesso di recarsi a celebrare la messa nei territori del Nord amministrati dai turchi-ciprioti. L’ambasciata di Cipro a Roma – secondo «Vatican Insider» – ha dichiarato che «ridurre la libertà religiosa dei cristiani residenti nei territori occupati da parte delle forze armate turche rientra nel disegno strategico di Ankara di completare la “pulizia etnica” iniziata nel 1974». Alcuni gruppi religiosi del Nord hanno riferito il monitoraggio delle loro attività da parte delle autorità cipriote turche, percependolo come atto intimidatorio. Anche nella parte sud dell’isola tuttavia si registrano episodi di restrizione della libertà religiosa. I turchi ciprioti non possono accedere ad alcuni cimiteri e moschee, la comunità buddista ha difficoltà a ottenere i permessi per la costruzione di un luogo di culto proprio, i Bahai devono seppellire i propri morti nei cimiteri per stranieri perché gli altri sono generalmente destinati ai soli gruppi religiosi riconosciuti, la comunità ebraica non riesce a ottenere l’allacciamento all’acqua per il proprio cimitero da parte del comune di Laaca, né un terreno per la costruzione di una sinagoga.

CRISI IGNORATA
Quelle descritte sono solo tre delle molte situazioni in cui la libertà religiosa viene limitata in giro per il mondo.
Organizzare assemblee religiose pacifiche, parlare del proprio credo, o cambiarlo, possedere e distribuire letteratura religiosa, inclusa la Bibbia e altre scritture sacre, educare i propri figli secondo gli insegnamenti e le pratiche della propria fede sono atti spesso vessati, proibiti e puniti.
I governi violano la libertà religiosa con restrizioni di vario genere e con l’omissione di prevenzione o di repressione delle discriminazioni e delle violenze sociali.
Cristiani, Musulmani, Induisti, Buddisti, Ebrei, e i membri di tutti i gruppi religiosi, non solo quando sono una minoranza nel proprio paese, si trovano a subire ingiustizie e limitazioni.
«L’anno scorso, mentre la crisi economica riempiva i giornali, un’altra crisi di portata equivalente passava inosservata – denuncia l’Uscirf nel suo rapporto riguardante il periodo aprile 2011-febbraio 2012 -. Nel paesaggio globale il fondamentale diritto umano alla libertà di religione ha subito crescenti attacchi. In misura allarmante, le libertà di pensiero, coscienza, religione o credo sono state ridotte, spesso tramite minacce alla sicurezza e sopravvivenza di persone innocenti».

CRESCENTI ATTACCHI
Lo scenario descritto dall’Uscirf, le notizie apprese dai mezzi d’informazione e dalle organizzazioni che nel mondo monitorano la situazione della libertà religiosa, confermano il trend di crescita delle restrizioni descritto in modo articolato e approfondito da un altro studio pubblicato nella seconda metà del 2011.
Il rapporto, intitolato Rising Restriction on Religion (Crescenti restrizioni sulla religione) del Pew Research Center’s Forum on Religion & Public Life, prende in considerazione il triennio 2006-2009 mettendo in confronto i dati dei diversi anni per valutare l’evoluzione della libertà religiosa nel tempo, attraverso l’uso di due indicatori: le restrizioni governative, quindi le politiche istituzionali dei diversi paesi, e il livello di ostilità sociale nei confronti delle diverse espressioni religiose.
I risultati dello studio indicano che circa il 70% della popolazione mondiale vive in paesi con forti limitazioni di credo e di culto.
Le restrizioni religiose tra il 2006 e il 2009 sono aumentate in 23 paesi (12%) sui 198 indagati, diminuite in 12 (6%), e sostanzialmente stabili nei restanti 163. Poiché parecchi dei paesi in cui si è registrato un aumento delle restrizioni sono molto popolosi, esse hanno colpito una percentuale di popolazione mondiale più larga rispetto alla percentuale del numero di paesi: oltre 2,2 miliardi di persone, circa una persona su tre al mondo (il 32%). Solo l’1% della popolazione mondiale vive in paesi nei quali le condizioni sono migliorate. Tra i 25 paesi più popolosi del mondo (che complessivamente contano il 75% della popolazione globale) le restrizioni sono cresciute in 8: in Cina, Nigeria, Russia, Thailandia, Regno Unito e Vietnam l’aumento è dovuto primariamente all’accresciuta ostilità sociale, mentre in Francia ed Egitto l’aumento è dovuto principalmente a misure restrittive prese dai rispettivi governi.
Delle 5 regioni geografiche del mondo, quella comprendente Medio Oriente e Nord Africa è la regione con la più alta proporzione di paesi (il 30%) che hanno registrato un incremento delle restrizioni. Tra questi l’Egitto, insieme all’Indonesia, è il paese con punteggi più alti per entrambi gli indicatori (restrizioni governative e ostilità sociale).
L’Europa è invece l’area geografica con la più alta proporzione di paesi che hanno visto aumentare in modo significativo l’ostilità sociale. Cinque dei dieci paesi che ne hanno registrato l’aumento sono europei (Bulgaria, Danimarca, Russia, Svezia, Regno Unito), 4 asiatici (Cina, Mongolia, Thailandia e Vietnam), 1 africano (Nigeria).
Tra il 2008 e il 2009 il numero di paesi i cui governi hanno compiuto uccisioni, violenze fisiche, incarcerazioni, allontanamenti da casa, danneggiamenti o distruzioni di abitazioni o luoghi di culto è salito da 91 a 101. Sono 142, circa tre quarti del totale, i paesi in cui uccisioni, atti di violenza, diffamazione, conversioni forzate, sparizioni, sono stati perpetrati da privati cittadini singoli o organizzati.
Gruppi terroristici legati alla religione sono stati attivi nel 2009 in 74 paesi.
Tra il 2006 e il 2009 si sono registrate vessazioni a livello sociale o governativo ai danni di cristiani in 130 paesi, e di musulmani in 117. In 75 paesi sono stati segnalati atti vessatori nei confronti di Ebrei, nonostante essi rappresentino meno dell’1% della popolazione mondiale. Ai danni di Buddisti in 16 paesi e di Induisti in 27. Questi due gruppi religiosi si trovano però molto più concentrati in determinate aree, molto popolose, del pianeta. In 84 paesi si sono verificati attacchi nei confronti di altri gruppi quali Sikh, Zoroastriani, Bahai, Rastafariani e tribali.
Dallo studio sembra emergere che i paesi in cui esistono restrizioni alte alla libertà religiosa tendano con più facilità ad aumentarle, mentre viceversa alcuni paesi con restrizioni basse tendono a diminuirle.

DA EST A OVEST, DA NORD A SUD, E VICEVERSA
In Egitto, uno degli epicentri della primavera araba, le autorità continuano a perseguitare e carcerare i cittadini accusati di blasfemia e permettono ai media ufficiali di esortare alla violenza contro i membri di minoranze religiose. Nel paese vige un clima d’impunità riguardo agli attacchi contro i Cristiani copti e le loro chiese.
Altri attori governativi negli ultimi mesi – quelli presi in esame dall’ultimo rapporto dell’Uscirf – hanno represso il diritto alla libertà religiosa. La teocrazia iraniana ha perseguitato tramite diversi mezzi, tra cui l’imprigionamento, le minoranze bahai, cristiane, zoroastriane e musulmane sufi. In Cina, l’anno passato è stato il peggiore degli ultimi 10 per i Buddisti tibetani e i Musulmani della regione autonoma Xinjiang Uygur.
L’assenza di prevenzione e l’omissione di punizione della violenza sulle minoranze religiose è uno degli strumenti che gli stati utilizzano per reprimere la libertà religiosa. In Nigeria, paese con un tasso elevato d’impunità, la violenza ha raggiunto il picco di 800 morti, 65.000 sfollati, chiese e moschee distrutte nei soli tre giorni successivi alle elezioni presidenziali. Almeno altre 35 vittime si sono contate in una serie di bombardamenti cornordinati di chiese durante il giorno di Natale. Nel Pakistan, le leggi sulla blasfemia e altre misure discriminatorie, quali le disposizioni anti Ahmadi, hanno creato un’atmosfera tendente alla violenza cronica, peggiorata dall’omissione del governo di portare davanti alla giustizia i responsabili dell’assassinio di Shahbaz Bhatti, ministro federale cristiano per le minoranze e attivista da lungo tempo in favore della libertà religiosa.
Assieme alla circolazione di materiali di propaganda dell’estremismo religioso che partendo dall’Arabia Saudita interessa Medio Oriente, diverse zone di Africa, Asia ed Europa, la cultura dell’impunità ha rinforzato gruppi terroristi come Boko Haram in Nigeria e i Taliban in Afghanistan e Pakistan.
In gran parte del Medio Oriente le comunità cristiane presenti in quei territori da 20 secoli hanno iniziato a diminuire di numero.
I più vessati sono generalmente i membri di minoranze religiose, ma non sono rari i casi di restrizioni subite dai membri dei gruppi maggioritari.
Quando le violazioni non sono esercitate direttamente con la violenza, intervengono intricate reti di leggi, norme e regolamenti discriminatori che impongono carichi insostenibili alle comunità e ai loro aderenti, rendendo assai difficile, e a volte minacciando, la loro esistenza.

Luca Lorusso

Luca Lorusso




Chiamati a libertà

Studi e fatti sulla libertà religiosa nel mondo

«Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri» (Gal 5,13). «Il XX secolo – e l’ancor giovane XXI – sembrano segnati da una tragica contraddizione: essere il tempo del riscatto e della proclamazione dei diritti, ma essere anche il tempo in cui i diritti fondamentali possono essere ancora calpestati» (Maria Francesca Davì).

Dichiarazioni sulla libertà
La Dichiarazione universale dei diritti umani, sottoscritta a Parigi, il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, dopo aver sottolineato come «tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti», negli articoli 18-21 sancisce il diritto alla libertà di pensiero e di opinione, di fede e di coscienza, di parola e di associazione. Essa costituisce la base di molte conquiste civili ed è l’orizzonte ideale di molte Costituzioni nazionali, tra cui la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, confluita nel 2004 nella Costituzione europea.
L’articolo 18 della Dichiarazione è esplicito nel sottoscrivere l’importanza della libertà religiosa. «Ogni individuo – si legge – ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, e la libertà di manifestare isolatamente o in comune, e sia in pubblico che in privato, la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza dei riti».
Oggi il diritto alla libertà religiosa è pertanto tutelato dalla maggior parte delle legislazioni degli stati modei e, in sede internazionale, dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.
In Italia tale diritto viene enunciato in modo ampio dalla Costituzione all’articolo 19, dove si mette in risalto che ogni persona ha diritto di professare la propria fede, di comunicarla ad altri e di praticarla in pubblico e in privato. È però un diritto che va collegato ad altri principi costituzionali, in primo luogo al principio di eguaglianza che vieta qualsiasi discriminazione a causa della religione professata, come recita l’articolo 8: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge».
L’Accordo di revisione del Concordato del 1929, concluso tra l’Italia e la Santa Sede nel 1984, ha poi eliminato il principio della religione cattolica come religione di stato, rafforzando in tal modo il principio di laicità nel nostro ordinamento costituzionale. Questo principio va inteso non come indifferenza verso il fenomeno religioso, ma come eguale distanza nei confronti di tutte le confessioni. Viene cioè riconosciuta la piena autonomia delle confessioni diverse dalla religione cattolica e il loro diritto di organizzarsi.
Il principio stabilito dall’articolo 8 rappresenta perciò uno dei pilastri dell’ordinamento giuridico italiano. Esso si basa sulla constatazione dell’esistenza del pluralismo delle confessioni religiose e sulla libertà religiosa riconosciuta a tutte le confessioni. A questo fine, come è affermato nella Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione dell’aprile 2007, «l’Italia favorisce il dialogo interreligioso e interculturale per far crescere il rispetto della dignità umana e contribuire al superamento di pregiudizi e intolleranze».
La libertà religiosa s’innesta, dunque, nel grande albero dei diritti umani, della libertà e della dignità dell’uomo. In altre parole la libertà è l’ambito dentro cui ha origine e si attua la libertà religiosa. Ne è un aspetto fondamentale e irrinunciabile. Nell’affermarla o negarla, molto dipende dal valore che diamo alla libertà senza fraintendimenti o limitazioni dettati da pregiudizi o ideologie. «Possiamo essere liberi solo se tutti lo siamo», scriveva il filosofo Georg Hegel; «La mia libertà finisce dove comincia la vostra», gli ha fatto eco Martin Luther King. Perché la libertà è come l’aria, se l’aria è viziata si soffre e ci si ammala; se l’aria manca o è insufficiente, si soffoca e si muore.

La lettera ai Galati di Paolo
Il problema della libertà è intimamente connesso anche con la fede cristiana. Per san Paolo i cristiani sono per definizione «chiamati a libertà» (Gal 5, 13), e l’azione salvifica di Gesù viene definita liberazione o redenzione. La lettera di Paolo ai cristiani della Galazia può infatti essere considerata un inno alla libertà. Cristo ci ha liberati da ogni schiavitù «perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù» (Gal 5, 1).
L’azione dello Spirito, scrive Paolo, è sorgente di libertà e ha per fine l’amore. Si tratta dell’amore di Cristo riversato nei nostri cuori dallo Spirito, che sconfigge il potere del nostro egoismo. In tal modo il cristiano raggiunge la vera libertà e di conseguenza la liberazione dal dominio della legge. L’uomo che si lascia guidare dallo Spirito è al di sopra della legge, e compie liberamente ciò che la volontà divina chiede.
Il tema della liberazione è centrale nell’esperienza ebraico-cristiana e quindi in tutta la Sacra Scrittura. Gesù è annunciato nei Vangeli come colui che porta la liberazione (Lc 4, 18.21). Gli apostoli la considerano definitiva (Gv 8, 36) e nelle dichiarazioni successive è specificata come liberazione dal peccato, dalla morte eterna, dal dominio di satana e dal male, dalla schiavitù della carne e dalla legge. La liberazione da queste schiavitù ha avuto con Cristo una manifestazione nuova, aperta a promesse definitive. Dio, facendosi conoscere per mezzo di Cristo come liberatore e salvatore, ha così dimostrato il suo vero volto all’uomo e nello stesso tempo l’uomo è uscito dalla sua alienazione e ha ricuperato il suo rapporto diretto e liberante con Dio. Senza questo rapporto con Dio che libera, la fede cristiana è morta e mortificante, si perde in pratiche alienanti e pagane ed è priva di forza interiore e missionaria. Il termine di questo cammino di liberazione è l’amore, la capacità di amare e di volere il bene di tutti gli uomini.

Il Concilio Vaticano II
Tuttavia, il cammino verso la libertà, specialmente in questi ultimi secoli, non è stato un cammino esclusivo dei cristiani, la cui fede anzi da varie parti è stata accusata di essere un impedimento alla libertà. L’illuminismo ha parlato di libertà al di fuori e anche contro la società cristiana del tempo. La sinistra hegeliana, e in particolare Marx, ha sostenuto che la religione è una forma di schiavitù e di alienazione e quindi non può presumere di parlare e guidare alla libertà. Nietzsche ha prefigurato nel «superuomo» l’ideale della persona libera da ogni infantilismo religioso. Freud e la psicanalisi hanno indicato la via di un’autentica liberazione che porta l’uomo alla maturità e lo purifica da quei processi inconsci che lo inducono alla religione.
Per la Chiesa del tempo questi modi di intendere la libertà sono stati degli scossoni, che hanno stimolato nuovi studi e approfondimenti. Se ne è reso conto il Concilio Vaticano II, che nella costituzione Gaudium et Spes ha riconosciuto come «a ragione i nostri contemporanei tanto tengono e ardentemente cercano» la libertà (n. 17) da anelare «a una vita interamente libera, degna dell’uomo» (n. 10). Il Concilio ha però anche ammesso che molti aspirano a «una vera e propria liberazione dell’umanità dai soli sforzi umani» (n. 10), secondo processi laici e secolari di liberazione, senza alcun riferimento alla fede cristiana e a volte in aperta contestazione ad essa.
La Chiesa, portatrice dell’annuncio liberatore di Cristo, non sempre, lungo la sua storia ha favorito il cammino dell’umanità verso forme ampie e condivise di libertà. Essa si è trovata a ostacolare quei movimenti religiosi e culturali che a partire dai secoli centrali del medioevo perseguivano nuove mete di libertà, lontane dalle sue strutture religiose. In questi ultimi secoli non solo si è opposta all’illuminismo antireligioso, al marxismo ateo e ad altri orientamenti culturali modei, ma ha anche contrastato le conquiste di libertà che essi hanno attuato nella società e negli individui, creando gravi problemi di coscienza in molti cristiani.
Questa tendenza è stata ufficialmente rotta dal Vaticano II, ma le premesse risalgono molto indietro nel tempo. L’atteggiamento di opposizione dei cristiani ai processi laici di liberazione dell’uomo era infatti venuto progressivamente attenuandosi, fino alla «Dichiarazione sulla libertà religiosa» della Dignitatis Humanae, emanata il 7 dicembre 1965 da Paolo VI unitamente ai Padri conciliari. Pur avendo avuto una larga risonanza positiva nell’opinione pubblica, la Dichiarazione fu contestata all’interno stesso del Concilio da alcuni padri conciliari come pericolosa per la fede cristiana.
La Dichiarazione conciliare, nel proemio, è esplicita nel riconoscere che il numero «di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabilità personale» sono notevolmente aumentati, «mossi dalla coscienza del dovere e non pressati da misure coercitive». Tale esigenza di libertà «riguarda soprattutto i valori dello spirito e in primo luogo il libero esercizio della religione nella società» (n. 1). «Il contenuto di tale libertà è che gli uomini devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsiasi potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente e pubblicamente, in forma individuale o associata». Inoltre il Concilio dichiarava che «il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione» (n. 2). Lungo la storia della Chiesa non c’era mai stata una presa di posizione così netta sulla libertà religiosa come appunto quella della Dignitatis Humanae.

Gli incontri di Assisi
A questi principi si sono ispirati sia Paolo VI, sia Giovanni Paolo II nell’esercizio del loro pontificato. Ad Assisi, luogo d’incontro e di dialogo tra culture e religioni, nel 1986 Giovanni Paolo II convocò la prima giornata di preghiera per la pace, alla quale furono invitati i rappresentanti delle principali religioni del mondo, dimostrando in tal modo come poteva essere concretamente vissuta e attuata la libertà religiosa, attraverso cioè il dialogo tra le religioni e la preghiera. L’iniziativa del papa suscitò grande scalpore, e non mancarono coloro che denunciarono il rischio che l’incontro di Assisi trasmettesse un messaggio per cui tutte le religioni sono più o meno buone e lodevoli, e che perciò suscitasse scandalo tra i fedeli, perché poteva implicare errori come l’indifferentismo, l’agnosticismo e il sincretismo religioso.
Ma anche di fronte a tali contestazioni Giovanni Paolo II non desistette dal suo impegno apostolico di convocare ad Assisi una seconda giornata interreligiosa per la pace il 24 gennaio 2002. In continuità con quest’ultimo e a vent’anni da quello del 1986, se ne è tenuto un altro il 4-5 settembre 2006, promosso dalla Comunità di Sant’Egidio. «Ripetere Assisi – ha ricordato durante l’incontro mons. Vincenzo Paglia, vescovo di Tei-Nai-Amelia – vuol dire irrobustire e affinare l’arte dell’incontro, che richiede pazienza e audacia», e «rende possibile la convivenza anche nella diversità» contro ogni fanatismo e fondamentalismo religiosi.
Per il card. Paul Poupard, allora presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, presente all’incontro, «tre sono le sfide» che chiamano oggi in causa ogni credente:
– «approfondire la propria tradizione religiosa, non in maniera selettiva, ma nella piena fedeltà ad essa»;
– «incontrare i fedeli di altre religioni in uno spirito di reciproco rispetto, fiducia e amicizia»;
– infine, «combattere insieme per la promozione della dignità di ogni persona».
Il cardinale ha naturalmente ammesso che il dialogo tra religioni diverse non è sempre facile, ma che è importante non abbandonare la speranza. Ha inoltre precisato che il dialogo «non è e non deve essere considerato come un segno di debolezza da parte del credente. La ragione dell’impegno nel dialogo interreligioso non è l’ignoranza o l’insoddisfazione verso la propria religione. Al contrario, ci si avvicina a un altro credente perché si è fermamente radicati nella propria tradizione religiosa».

Il quarto incontro di pace ad Assisi
L’annuncio di un quarto incontro ad Assisi è arrivato a sorpresa nel 2011, all’Angelus di una domenica di aprile, nel momento in cui Benedetto XVI «dialoga» con la moltitudine dei fedeli in Piazza San Pietro. L’incontro interreligioso dedicato alla pace e al dialogo si è svolto il 27 ottobre 2011 in occasione del venticinquesimo anniversario dell’incontro del 1986 con Giovanni Paolo II. L’invito era stato rivolto a tutti i rappresentanti delle principali religioni del mondo, ma – ha osservato il cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di stato Vaticano – l’invito potrebbe essere esteso anche ai non credenti. Quello di invitare ad Assisi «alcune personalità del mondo della scienza e della cultura che si definiscono non religiose – ha affermato il cardinale – non è solo per il fatto che la costruzione della pace è una responsabilità di tutti, credenti e non credenti, ma, più profondamente, perché siamo convinti che la posizione di chi non crede o fatica a credere, possa svolgere un ruolo salutare per la religione in quanto tale, per esempio nell’aiutare a evidenziae possibili degenerazioni o inautenticità che allontanano da Dio».
Il quarto incontro di Assisi è stato preceduto da un importante messaggio di Benedetto XVI per la giornata mondiale della pace del 2011, celebrata come tutti gli anni il 1° gennaio. «Anche l’anno che chiude le porte – ha scritto il papa nel suo messaggio – è stato segnato, purtroppo, dalla persecuzione, dalla discriminazione, da terribili atti di violenza e di intolleranza religiosi». «In tale contesto ho sentito particolarmente viva l’opportunità di condividere con voi alcune riflessioni sulla libertà religiosa, via per la pace». «Infatti – ha continuato il papa – risulta doloroso constatare che in alcune regioni del mondo non è possibile professare ed esprimere liberamente la propria religione, se non a rischio della vita e della libertà personale. In altre regioni vi sono forme più silenziose e sofisticate di pregiudizio e di opposizione verso i credenti e i simboli religiosi».
Il papa si riferiva con queste parole a quanto è accaduto e continua ad accadere dall’India al Medio Oriente, dall’Africa all’America, dove molti cristiani hanno perso la vita a causa della loro fede (25 nel 2010, 26 nel 2011). Il nome forse più conosciuto è quello di mons. Luigi Padovese, assassinato in Turchia il 3 giugno 2010, come qualche anno prima, il 5 febbraio 2006, don Andrea Santoro. Ma il papa richiama l’attenzione anche su ciò che sta accadendo nel nostro mondo occidentale, dove la religione subisce una crescente emarginazione. La religione, qualsiasi religione, viene sempre più considerata estranea alla società modea, se non addirittura destabilizzante, e si cerca con diversi mezzi di impedire la sua influenza nella vita pubblica e sociale. «Agendo così – osserva il papa – non soltanto si limita il diritto dei credenti all’espressione pubblica della loro fede, ma si tagliano anche le radici culturali che alimentano l’identità profonda e la coesione sociale di numerose nazioni».
Il messaggio di Benedetto XVI è una risposta forte e perentoria all’intolleranza religiosa, al radicalismo, alla violenza, poiché, secondo il papa, i diritti alla libertà religiosa, riconosciuti e sanciti nella Dichiarazione universale dei diritti umani, sono oggi nuovamente minacciati da atteggiamenti e ideologie che ostacolano in ogni modo la libera professione della religione.
Nella libertà religiosa – ha scritto il papa – trova, infatti, espressione la specificità della persona umana ed è alla sua luce che si comprendono l’identità, il senso e il fine della persona. «Il diritto alla libertà religiosa è radicato nella stessa dignità della persona umana» ha affermato; inoltre ha ancora ricordato che la libertà religiosa è la via della pace, senza la quale è impossibile l’affermazione di una pace autentica e duratura.
Malcolm X, il leader afroamericano assassinato nel 1965,  diceva che «non si può separare la pace dalla libertà, perché nessuno può essere in pace senza avere la libertà». Nel suo messaggio il papa ricorda alle grandi religioni e a noi come ora, «nel mondo globalizzato, caratterizzato da società sempre più multietniche e multiconfessionali», tutti possiamo costituire un fattore di unità e di pace, di dialogo fra tutte le religioni, dialogo che sta molto a cuore a papa Benedetto XVI in vista del bene comune e della pace nel mondo.

Giampietro Casiraghi


Gianpietro Casiraghi




Bravo padre Enzo!

Carissimi missionari,
devo aiutare la mia gente
a passare dal solo dare al
saper ricevere i doni di altre
culture e chiese. Sto
cercando del materiale
con un linguaggio adatto.
Sapreste indicarmi qualcosa?
Cari amici, niente paura
delle critiche! Potete contare
anche su moltissimi
estimatori.

L’enciclica di Giovanni
Paolo II Redemptoris
missio; l’opuscolo Parrocchia,
comunità missionaria
di D. Pecile (Elledicì,
Torino 1989); il libro di
A. Nanni Educare alla
convivialità (Emi, Bologna
1994). Fondamentale,
per i «nuovi stili di vita
», è il volume Guida al
consumo critico (Emi, Bologna
2000). Eccetera.

Enzo Balasso