Cana (30): Storia d’Israele in sei giare di pietra
«I giusti sono le colonne del mondo posate su basi d’oro puro:
sono infatti i precetti della Legge che studiano» (Targum Ct 5,15)
Gv 2,6 (a): «Vi erano poi là, sei giare di pietra, per la purificazione dei Giudei,
collocate/giacenti [per terra], contenenti ciascuna due o tre metrète (= barili da 80 a 120 litri ciascuno)»
Le giare distese per terra sono in numero di «sei» e ciascuna può contenere «due/tre» metrète. Se si moltiplica 2×3 si ha ancora il risultato di sei. Che significato hanno questi numeri, ammassati tutti nello stesso versetto? Perché le giare sono «sei» e non cinque o quattro o tre? Perché non si parla genericamente di «alcune giare», ma si specifica esattamente che sono «sei»? Perché, invece, la loro capienza non è precisa, ma oscilla tra «due o tre» misure che se moltiplicate tra loro fanno sempre «sei»?
Proviamo a scoprirlo interrogando il vangelo di Giovanni che, come ormai sappiamo, gioca con il doppio senso delle singole parole, obbligandoci a non fermarci mai alla superficie, cioè al senso ovvio delle parole. Quando poi si tratta di numeri bisogna essere ancora più circospetti, perché in ebraico, cioè nella mentalità semita, i numeri corrispondono alle lettere dell’alfabeto e quindi possono assumere significati particolari, applicando una delle leggi dell’esegesi giudaica che è la «ghematrìa» o «scienza dei numeri» (su questo argomento cf P. Farinella, Bibbia, Parole, segreti, misteri 49-60).
Il numero «sei» nel vangelo di Giovanni
Il numero «sei», che è molto importante nell’economia del racconto delle nozze di Cana, in tutto il vangelo di Giovanni ricorre 7x (x sta per «volte»):
1. È ripreso all’inizio del racconto di Cana dove si dice: «Nel terzo giorno vi fu uno sposalizio a Cana di Galilea» (Gv 1,1) che, come spiegato a lungo, corrisponde al «sesto giorno» della prima settimana di Gesù descritta da Giovanni nel cap. 1°, perché segue il triplice «il giorno dopo… il giorno dopo… il giorno dopo», cadenzato come un ritornello (Gv 1,29.35.43).
2. È ripetuto in Gv 2,6 per indicare il numero delle giare: «Vi erano là sei giare di pietra».
3. È ripreso nell’incontro con la Samaritana al pozzo di Giacobbe dove Gesù arriva «circa l’ora sesta» (Gv 4,6). Purtroppo ll’ultima traduzione della Bibbia-Cei (2008) traduce con un banale «era circa mezzogiorno», spezzando in un sol colpo tutta la pregnanza di quell’«ora sesta», evocativa della storia del mondo e della storia di Israele. Peccato, perché così si priva il popolo di Dio di una parte importante della rivelazione.
4. Nello stesso incontro, Gesù dice alla Samaritana che ha «cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito» (Gv 4,18), per cui siamo di fronte a una donna che ha avuto «sei mariti».
5. La settimana prima della passione inizia con il riferimento ai «sei giorni prima della Pasqua».
6. La proclamazione della regalità di Gesù da parte di Pilato davanti al popolo d’Israele avviene «circa l’ora sesta» (cioè mezzogiorno) (Gv 19,14).
7. Gesù muore nel giorno della «Parascève», cioè il giorno precedente la Pasqua ebraica, quindi il venerdì, cioè il «sesto giorno» (Gv 19,31.42).
In questo contesto, che riguarda tutto il vangelo, il numero «sei», come spesso abbiamo sottolineato, ha un chiaro, formale riferimento ai «sei giorni» che precedono il fatto di Cana (prima settimana di predicazione pubblica di Gesù) descritti in Gv 1, ai «sei giorni» prima della Pasqua dell’ultima settimana di Gesù, descritti in Gv 12ss., ai «sei giorni» del Sinai, nei quali Israele «è creato» come popolo e ai «sei giorni» della creazione come narrata in Genesi 1.
Il numero «sei»
ritma le tappe della storia religiosa
Se ciò è vero, allora Cana è parte di un processo che abbraccia tutta la storia di Israele e tutta la storia di Dio. A Cana non si consuma un banale matrimonio, ma si rinnova la creazione dell’universo, simboleggiato nel vino; a Cana si rinnova l’alleanza del Sinai, rappresentata dalla madre; a Cana si anticipa la Pasqua come compimento non solo della vita terrena di Gesù, compresa tra due «sei giorni» (settimana iniziale e settimana finale), ma anche come compimento della speranza di Israele, purificato non più dall’acqua antica, ma dal sangue del Figlio che dona la sua vita per il mondo nuovo, abitato da Giudei e da Greci, da Ebrei e da Romani (cf Gv 19,23-25).
Nella puntata 17a «Simbologia del terzo giorno» in MC dicembre 2010, abbiamo accennato alla questione del numero «sei» e ad essa rimandiamo. Qui ci accingiamo ad approfondire più dettagliatamente, senza ripetere quanto detto. Sia il giudaismo antico che tutta la tradizione giudaica (dal Targum Ct al Talmud) come pure la tradizione cristiana antica, hanno interpretato «le sei giare» come simbolo delle «sei età/epoche» in cui sarebbe diviso il mondo, dall’inizio della creazione alla venuta di Gesù Cristo, il cui schema, con modulazioni diverse, si avvicina al seguente:
1a età: da Adamo a Noè;
2a età: da Noè ad Abramo;
3a età: da Abramo a Davide;
4a età: da Davide all’esilio di Babilonia;
5a età: dall’esilio di Babilonia a Giovanni il Battista;
6a età: da Giovanni Battista a Gesù con la sua nascita, morte e risurrezione.
(Poiché è impossibile dare conto di tutti i testi e autori, per chi volesse approfondire in modo esaustivo queste tematiche, appena sussurrate, consigliamo di A. Serra, Nato da Donna Gal 4,4, 141-191; Le nozze di Cana Gv 2,1-12, 128-133).
A chi potrebbe scuotere la testa davanti a queste applicazioni, che, ce ne rendiamo conto, sembrano molto lontane dal testo che siamo soliti leggere in una qualsiasi traduzione, quello che possiamo dire è semplice: il contesto culturale, letterario e religioso, in cui si muove l’autore è questo ed è dentro di esso che bisogna cercare i riferimenti che a noi sfuggono perché, come abbiamo già sottolineato molte volte, abbiamo perso ogni riferimento al mondo giudaico, limitandoci a leggere il vangelo in latino.
Ancora oggi, infatti, il testo ufficiale della Bibbia nella Chiesa cattolica non è il testo ebraico/greco, ma il testo latino della «Neo vulgata»: ci pare che tutto sia detto. D’altra parte, i Padri della Chiesa leggevano l’Antico Testamento in chiave cristologica e andavano alla ricerca di riferimenti «tipologici» da mettere a confronto tra loro, evidenziando come Gesù fosse il «compimento» di tutta la storia patriarcale.
Tutto l’Antico Testamento veniva letto come «profezia», nel senso di anticipazione velata, di Cristo (vedi il vangelo di Mt, in cui questo rapporto «profetico» è costante e ricercato: Mt 1,22; 2,5.15.17; 3,3; 4,1, ecc.; cf Gv 12,38).
Il numero perfetto
che esprime l’imperfezione creata
Nel racconto di Cana, il riferimento così preciso alle «sei giare» pronte per la purificazione e che su ordine di Gesù saranno riempite d’acqua, hanno una prima e diretta connessione simbolica ai «sei giorni» della creazione, che avviene appunto in «sei giorni» (Gen 2,2 secondo la versione greca della LXX), quando tutto emerge dalle acque «covate» dalla «ruàch» di Dio (Gen 1,2). A questa conclusione ci porta anche l’annotazione, strana in un racconto se non avesse un obiettivo preciso, che ogni giara conteneva «due o tre» metrète.
In riferimento alla creazione, lo scrittore ebreo di cultura greca, Filone di Alessandria (20 a.C. – 50 d.C.) spiega che il numero «sei» è il primo numero «perfetto». Esso, infatti, dopo il numero 1 che è il punto di partenza della numerazione, è il primo numero perfetto perché è uguale alla somma delle parti che lo compongono che sono: la metà (6:2 = 3), il terzo (6:3 = 2) e il sesto (6:6 = 1).
Il «sei» dunque è la somma di 1+2+3 = 6, ma è anche il prodotto della moltiplicazione di 2×3 = 6, cioè del numero pari (il 2) e del numero dispari (il 3), per cui nel «sei» si comprendono e si fondono insieme il dispari e il pari che, secondo lo stesso Filone e la scuola dei Pitagorici, esprimono il maschio (il numero dispari) e la femmina (il numero pari).
Lo stesso riferimento alle giare che contengono «2 oppure 3» metrète ci riportano allo stesso risultato: 2×3 = 6. Tutto ruota attorno a questo numero che sintetizza molti pensieri e riflessioni nel mondo giudaico e cristiano. In questo senso la creazione doveva avvenire in «sei giorni» perché questo numero è il primo numero perfetto, in quanto esprime il senso profondo di tutta la creazione che nasce dal congiungimento di maschio e femmina (Gen 1,27; cf Filone, De opificio Mundi, 13; Legum allegoriae I,3).
Il numero «sei» è il simbolo dei giusti
Il Targum Ct 5,15 aggiunge un elemento importante. Descrivendo il corpo dell’innamorato, l’autore del Cantico dei cantici dice: «Le sue gambe, colonne di marmo (ebraico: shèsh), posate su basi d’oro puro». Poiché in ebraico il numero sei è «shèsh», il Targum così traduce: «E i giusti sono le colonne del mondo posate su basi d’oro puro: sono infatti i precetti della Legge che studiano» (cf anche i Midràshim Nm Rabbàh 10,1 a 6,2 e Ct Rabbàh 5,15.1). In ebraico dunque la stessa parola «shèsh» significa tanto «sei» (numero) quanto «marmo», che il Targum identifica con il «mondo», sorretto dalle colonne del Cantico dei cantici che sono i giusti: essi, infatti, stanno solidi sui precetti della Toràh, che è pertanto il fondamento del mondo intero.
Una tradizione giudaica attestata nel Talmud (Sanhedrin 97a-b; Souk 45b) afferma che ogni generazione è tenuta in piedi da «36» giusti, i cui meriti, a loro insaputa, garantiscono la Shekinàh sulla terra; anzi la presenza di un solo giusto garantisce la sopravvivenza del mondo (TB,Yoma 38b).
Mettendo insieme queste reminiscenze, vediamo allora che le «sei giare» di Cana richiamano la Toràh del Sinai come fondamento del mondo e la giustizia dei giusti che sorgono come conseguenza dell’osservanza dei comandamenti del Signore e che ne garantiscono la sopravvivenza. Poiché uno dei giusti che sorreggono le sorti del mondo è il Messia, la presenza di Gesù a Cana è la garanzia che la nuova alleanza poggia sulla solida colonna della sua persona e del suo messaggio. I giusti sono le colonne di «marmo» (Targum CT) come le giare sono «di pietra», sempre pronte a purificare la sposa/Israele prima di presentarsi al cospetto del suo Sposo/Signore.
Il numero «sei», collegandosi ai «sei giorni» del Sinai, sempre secondo Filone (Questiones in Exodum II,46), è anche il simbolo dell’elezione di Israele, popolo dell’alleanza, quell’alleanza che ora Gesù manifesta a Cana.
L’elezione d’Israele è considerata come una seconda creazione, perché lo statuto della prima fu distrutto da Adam, mentre al Sinai Israele riceve un nuovo ordine e una nuova identità, espressi nella Toràh, cioè sulla volontà proclamata e scritta di Dio. Non è un caso che la risposta d’Israele sia: «Faremo e ubbidiremo quanto il Signore ha detto» (Es 24,7), perché al Sinai ha origine «il principio» d’Israele, come nella Genesi è «il principio» delle acque e della terra (Gen 1,1).
Sul monte Sinai apparve «la gloria del Signore» (Es 24,16-17); allo stesso modo il vangelo di Giovanni comincia contemplando il «principio» del Lògos che a Cana compie «il principio dei segni» con cui «manifestò la sua gloria» (Gv 2,11).
A Cana è data la nuova Toràh che è il Vangelo
Il rapporto tra la creazione, il Sinai e le sei giare è dato anche dal fatto che Adam è stato creato nel sesto giorno, ma sullo sfondo del giardino di Eden di cui poteva mangiare i frutti «di tutti gli alberi» (Gen 2,16); il monte Sinai è equiparato a un albero di melo che produce mele che sono le singole parole della Toràh, come insegna il Targum di Ct 2,3. Dove il testo ebraico dice: «Come un melo tra gli alberi del bosco, così l’amato mio tra i giovani. Alla sua ombra desiderata mi siedo, è dolce il suo frutto al mio palato», il Targum traduce: «Come il melo, bello e pregiato fra quegli alberi che producono frutti, è da tutti elogiato e prediletto, così il Sovrano dell’universo fu lodato dalle Creature celesti quando si rivelò sul monte Sinai, quando dette la Toràh al suo popolo. Allora ardentemente desiderai di rimanere sotto l’ombra della sua Shekinàh, perché i precetti della sua Toràh erano come profumo al mio palato».
Il Liber Antiquitatum Biblicarum 11,15 (SC 229,124, 230,113), attribuito allo (Pseudo) Filone, paragona l’albero della vita piantato al centro dell’Eden alla Toràh che Dio dona a Israele sul monte Sinai per mezzo di Mosè.
In conclusione, potremmo dire che le «sei giare» (come la madre in Gv 2,1) sono il simbolo del tempo prima di Cristo e ciascuna delle sei giare rappresenta una delle sei epoche che lo compongono fino ad arrivare al Sinai, dove inizia il tempo nuovo con il dono della Toràh.
Poiché ogni giara contiene «2 / 3» metrète, la cui moltiplicazione dà sempre «sei», significa che ogni epoca tendeva naturalmente a Cristo, come la stessa Toràh è protesa verso la sua pienezza che è il Messia Gesù di Nàzaret.
Tutte le «sei giare», infatti, sono di pietra (lo stesso materiale delle tavole) e sono giacenti per terra, in attesa del tempo nuovo, della nuova Alleanza (pronte per la purificazione).
In Giovanni 1,17 l’autore ci aveva preavvertito: «La Legge/Toràh fu data per mezzo di Mosè; ma la grazia della verità venne per mezzo di Gesù Cristo».
È in questa prospettiva che Paolo, applicando l’esegesi giudaica, nel commento a Gen 12,7, può dire: «Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furono fatte le promesse. Non dice la Scrittura: “E ai discendenti”, come se si trattasse di molti, ma: E alla tua discendenza, come a uno solo, cioè Cristo». È il discendente di Abramo, anticipato nella Toràh del Sinai, che ora si rivela a Cana per annunciare la nuova Toràh, cioè il suo Vangelo, sulla cui stabilità è fondata la nuova alleanza, qui rappresentata dalle nozze di due anonimi sposi.
(30 – continua)
Paolo Farinella