L’atto di uscire. Giuseppe e la strage degli innocenti


Mi sono messo in viaggio senza sapere cosa mi aspettasse. Non sapevo nemmeno da quale pericolo mi allontanassi. Ho solo sentito che la tua presenza, per non venire meno, mi chiedeva di aprire gli occhi sulle tenebre, di infilare i piedi nei sandali e uscire. Mi chiedeva di mettermi in movimento (cfr Mt 2,13-18).
Mi sono destato nel cuore della notte e ti ho preso con me per salvarti. Ora so che, salvandoti, sei stato tu a salvare me. Misteriosamente mi hai indicato la strada. Mi hai condotto fuori da quella notte verso qualcosa che non conoscevo, un paese straniero che non sapeva di attenderti e che ti ha accolto mentre accoglieva me.
Della strage ho saputo solo dopo diverso tempo, mentre eravamo ancora in viaggio io, te e tua madre, Maria, con la nostra cavalcatura precaria di migranti. Non ricordo il nome del villaggio in cui eravamo quel giorno, nemmeno quello dell’uomo che ci ha riferito di tutto quel sangue versato. Ricordo però che erano circa le tre e che l’ora più calda del giorno stava appena iniziando a ridurre il suo fuoco sulla sabbia. Ho sentito tua madre pronunciare un versetto di Geremia, quello che parla di Rachele che piange i suoi figli, e che non vuole essere consolata. Ho voltato gli occhi sul tuo viso e tu stranamente in quel momento non sorridevi, come se, nonostante la tua piccola età, avessi capito la notizia portata dallo sconosciuto. Non ti nascondo che mi sono chiesto se tutta quella morte da cui eravamo scampati fosse arrivata a causa tua. Ho trattenuto il respiro per non scoppiare a piangere. Poi, d’improvviso, guardando il tuo volto, ho capito: non è stata la morte ad arrivare per causa tua, ma il contrario, tu sei arrivato a causa di quella morte, per stanarla, per sanarla.
In quel momento ho percepito con certezza che il nostro viaggio, in qualche modo, non si sarebbe mai fermato, e che sarebbe proseguito anche dopo di noi in chiunque ti avesse preso con sé.
L’atto di uscire dalle tenebre per causa tua, per dono tuo, alla tua presenza, si sarebbe ripetuto in altri luoghi, fino agli estremi confini della terra, e per tutti i giorni, fino alla fine del mondo.

Buon viaggio e buon mese missionario da amico.

Luca Lorusso




Quello che già abita la tua vita. Abramo

Quando li hai visti comparire, lì, alle querce di Mamre, non li hai riconosciuti subito. Eri seduto alla porta della tua tenda, nell’ora più calda del giorno, e facevi la guardia per difendere la tua abitazione precaria dalla desolazione del deserto. Eri lì, sulla soglia tra fuori e dentro, indeciso se fosse più inaccettabile l’inospitale arsura estea o l’ombroso disordine interno. Ed eri impreparato, rallentato dalla fiacchezza delle promesse non realizzate, dal desiderio dimenticato.

Hai alzato gli occhi e te li sei trovati attorno a te. Li attendevi da molto, e molte volte avevi immaginato come accoglierli, ma non li aspettavi in quel momento, in quella condizione così imprecisa. Appena messi a fuoco e riconosciuti, ti sei prima alzato, e poi prostrato fino a terra: «Mio signore – hai detto –, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo». Li hai serviti con solerzia, hai preparato un ristoro abbondante, come non ne concedi mai nemmeno a te stesso. Ti sei dato da fare mettendo in gioco le tue risorse migliori, hai organizzato tutto con straordinaria efficacia. Così, mentre stavi presso di loro, quelli hanno mangiato. Ma non li hai fatti entrare nella tua tenda.

Alzati gli occhi da quanto tu avevi loro offerto, li hanno rivolti a te, e guardandoti ti hanno domandato: «Dov’è Sara, tua moglie?». Tu hai risposto: «È là, nella tenda». E non hanno detto altro. Non ti hanno chiesto perché non li hai fatti entrare, non hanno rifiutato le tue offerte, non ti hanno prescritto cosa aggiungere alla tua vita. Ti hanno chiesto solo di riconoscere quello che già la abitava.

E la promessa è stata rinnovata.

Buona estate da amico,

Luca Lorusso

Contenuti:
– Uno schema di preghiera con le parole del papa per la giornata mondiale della gioventù (http://amico.rivistamissioniconsolata.it/articoli.php?azione=dettaglio&categoria_id=8&id=505)

– Il secondo (di tre in programma) schema di incontro per ragazzi e giovani sulla Laudato si’ (http://amico.rivistamissioniconsolata.it/articoli.php?azione=dettaglio&categoria_id=6&id=508)

– Il decalogo del missionario secondo Camerlengo (http://amico.rivistamissioniconsolata.it/articoli.php?azione=dettaglio&categoria_id=18&id=507)

– l’approfondimento biblico sulla misericordia (http://amico.rivistamissioniconsolata.it/articoli.php?azione=dettaglio&categoria_id=4&id=506)

– una piccola riflessione su Abramo alle querce di mamre (http://amico.rivistamissioniconsolata.it/articoli.php?azione=dettaglio&id=504&categoria_id=1).




Si trovavano insieme


Immersi nell’Anno giubilare della misericordia, con lo sguardo rivolto a Cracovia, Polonia, dove a luglio si celebrerà la Giornata mondiale della gioventù, leggiamo il brano di Luca che racconta la Pentecoste (At 2,1-11).

Una folla di persone di ogni nazione si mette a osservare, chi con partecipazione, chi con scetticismo, chi con ostilità, lo scompiglio creato da quel vento impetuoso, da quelle lingue «come di fuoco» che hanno abbattuto i muri del cenacolo. Immaginiamo quel medesimo vento sconvolgere i passi dei giovani in cammino verso Cracovia. E lo scompiglio che contagia anche chi osserva: «Come mai ciascuno di noi sente parlare delle grandi opere di Dio nella propria lingua? Com’è possibile che qualcuno conosca la grammatica del mio cuore? Che parli con il lessico della mia vita? Con la sintassi della mia storia?».

«Si trovavano tutti insieme nello stesso luogo», nella stessa città di Giovanni Paolo II, di santa Faustina (apostola della Divina Misericordia, il cui nome significa «felice»), per vivere la beatitudine di essere misericordiosi, e trovare misericordia. Si trovavano tutti insieme, benché venuti da ogni dove, ciascuno dalle proprie esperienze e ferite, dalle proprie giornie e fallimenti. Chiamati, dopo lo scompiglio, ad abituarsi ad altro scompiglio, quello ripetuto, ostinato, che colpisce senza risparmio per tutta la vita il discepolo divenuto apostolo, portatore di Parola, destinatario e strumento di misericordia.

Il nostro auspicio è che lo Spirito in forma di lingue, che dona la capacità di comprendere e parlare le lingue degli uomini del mondo, scompigli il cammino dei giovani che, anche dalle case dei missionari della Consolata, andranno a Cracovia nel prossimo luglio.

Da amico,
buona Pentecoste,
e buona missione.

Luca Lorusso




siè spento il sole

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Si è spento il sole. Era mezzogiorno quando si è eclissato, e ancora non torna. Il mondo è diventato cieco. Non vediamo più nulla. Nonostante qualche lume sia stato acceso dai centurioni lassù, sotto la tua croce, da questa distanza non riusciamo nemmeno a capire se sei ancora vivo.

E il terrore che le tenebre possano davvero avere vinto sulla luce ci sconvolge. Forse mai più toeremo a vedere?

Nell’angoscia che scuote le nostre viscere ci domandiamo perché hai permesso che ti prendessero? Perché non sei sceso dal patibolo? Perché non ha dimostrato a tutti che davvero eri il Figlio di Dio? E perché Dio non ha mandato i suoi angeli a salvarti? Quasi che fosse impotente.

Ci stringiamo gli uni agli altri nel buio, per sentirci meno persi, e percepiamo quanto siamo piccoli di fronte a tanta oscurità. Perché ci hai abbandonati, Signore? Quante cose ancora non avevamo capito, quante cose ancora dovevi insegnarci? Siamo solo creature fragili, fallaci. Con te ci sentivamo invincibili. Pensavamo che non avremmo più sofferto. Né fame, né malattia, né guerra, né tristezza, né morte. Invece sei proprio tu che muori, oggi. E le tenebre ci stringono per soffocarci.

Ma ecco che l’eclissi arretra. Non era definitiva, allora. La luce torna, e disegna impietosa la forma del tuo corpo inerme. Non sei più in vita. Ci sentiamo sconfitti, eppure sentiamo inspiegabilmente una piccola pace prendere posto in noi, in mezzo all’angoscia. Eri veramente Dio, eppure veramente uomo. Veramente capace di morire. Come noi. È come se il tuo morire ci dicesse che la nostra vita è così piena di dignità, per come è, da non avere bisogno di correttivi. Nemmeno per la morte.

Vediamo Maria. È lì, sotto il tuo corpo, Signore. Schiacciata dal peso della tua sofferenza, e della sofferenza del mondo intero. Eppure sta in piedi. Riusciamo a immaginare i suoi occhi, intensi come sempre, rapiti nella meditazione del tuo mistero. Accanto a lei c’è Giovanni. Ci fa un segno. Pare chiederci di aspettare qui, insieme. Poi sentiamo la voce di Pietro che ci si era avvicinato durante l’oscurità, dopo ore che non lo vedevamo più: «Non sia turbato il vostro cuore – sembra dire più a se stesso che a noi -. Abbiate fede, abbiate fede». Lo guardiamo, stupiti all’udire quelle parole che riportano alla memoria ciò che tu ci avevi detto, Gesù. Poi ci voltiamo di nuovo verso Maria. Sta venendo, in fretta, verso noi.

Buon cammino verso la Pasqua da amico.

Luca Lorusso




Amico

 

Hai
lottato con tutte le tue forze e risorse. Non eri solo, ma non avevi con te
niente che ti desse sicurezza, nessun rifugio, nessuna ricetta magica. Eri
esposto alla contingenza vertiginosa della vita, all’assenza di garanzia. Hai
scacciato demoni di ogni tipo: strambi, spaventosi, insensati. Hai unto di olio
molti infermi, e li guarivi con lo stupore di avere ricevuto davvero
potere sugli spiriti immondi. Hai incontrato molti che desideravano rinascere,
e molti altri che invece rifiutavano (cfr. Mc 6, 7-13.30-34).

Hai fatto molto, e vorresti fare
ancora. Ma vieni ora. Vieni con me. In disparte, in un luogo deserto. Riposati
un po’. Qui non hai più nemmeno il tempo per nutrirti, per introdurre in te la
luce necessaria a trovare la guarigione che vi ho posto.

Vieni in un luogo solitario. Sali
su questa piccola barca, e attraversiamo le acque profonde del tuo mare
solcandone con calma la superficie. Non temere: questo pezzo di legno, per
quanto precario, ti proteggerà dall’abisso, perché Io sono con te. Tu starai
con me e potrai osservare su quali creature splendide e lucenti sei sospeso, ma
anche su quali mostri spaventosi e su quale mistero irriducibile ti muovi.

Lo so che tu desideri arrivare
dall’altra parte e trovare riposo sull’altra sponda, distante da queste acque.
Temi di venie inghiottito, di perderti in esse. Ma non puoi riposare di là:
appena sbarcato troverai molte cose nuove da fare. Molte pecore senza pastore.
Troverai innumerevoli incrinature nell’architettura del mondo che ti
chiederanno di essere accolte, un po’ raddrizzate forse, giusto il minimo per
evitare il crollo dell’edificio, ma tant’è: sarai di nuovo preso dalla lotta.

Lo so che vorresti attraversare
il mare in fretta, ma il tuo deserto e il tuo riposo non sono là.

È qua, su questa barchetta al
pelo dell’acqua, il deserto.

È in quel «vieni», in quello «stai
con me», il tuo riposo.

Quando sbarcheremo, allora sarai
pronto per «dare loro da mangiare».

amico.

Luca Lorusso

Luca Lorusso




Non più schiavi, ma fratelli

Il contrasto tra due parole forti che esprimono due modalità
opposte di concepire la relazione con l’altro è ciò che ci propone il tema
della 48a giornata mondiale della pace celebrata il 1° gennaio: Non più
schiavi, ma fratelli.
Due termini carichi di significati: lo schiavo è
oggetto
che non dispone di sé, proprietà di chi brama possederlo; il fratello
è soggetto
, persona libera, dignità. Il fratello inoltre non è soltanto
persona e basta, ma è persona in relazione, che condivide con qualcuno lo
stesso padre, una comune provenienza, una medesima origine, un’identica
sostanza umana.

Mentre scriviamo, il testo del
messaggio del Papa non è ancora disponibile. Possiamo tuttavia immaginare ci
sia, tra i brani biblici che hanno ispirato il tema, Giovanni 15,15: «Non vi
chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho
chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto
conoscere a voi».

Il tema scelto dal pontefice è
ampio e urgente. La schiavitù non è infatti un flagello relegato nel passato:
sono molteplici e spesso nascoste le sue forme odiee. Schiavitù «estee»,
vissute da persone vittime di tratta, di condizioni di lavoro estreme, di
situazioni di guerra, di famiglie segreganti, di violenze, di discriminazioni,
di degrado ambientale, di malattie, e di altro ancora; schiavitù «interiori»
vissute da persone dominate da ideologie o moralismi, da sensi di colpa,
dall’invasività delle tecnologie della comunicazione, dall’isolamento, dal
mercato, dall’assenza di speranza e fede, dalla fame insoddisfatta di amore.

Ancora oggi molti schiavi cercano
la liberazione.

La riflessione sull’opposizione
tra oggetto (schiavo) e soggetto (fratello), ci ha ricordato (chissà perché?)
un altro brano di Giovanni, quello dell’adultera considerata oggetto dai
farisei e dagli scribi, e invece soggetto da Gesù (Gv 8,1-11): «Maestro, questa
donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha
comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Nell’episodio di
Giovanni 8, Gesù, prima di rispondere, scrive col dito sulla sabbia, poi, data
l’insistenza degli accusatori, risponde: «Chi di voi è senza peccato, scagli
per primo la pietra contro di lei». Infine si rivolge direttamente
all’accusata: «Donna, dove sono?». Come suona differente la parola «donna»
pronunciata prima dai farisei in terza persona singolare («lei»), e poi da Gesù
in seconda persona singolare («tu»). Sembra quasi che Giovanni voglia
rovesciare i ruoli: la donna adultera, percepita come oggetto dagli ideologi,
diviene soggetto, un tu con cui Gesù si mette in relazione, una donna, una
sorella, un’amica a cui Gesù fa conoscere l’amore del Padre («vi ho chiamato
amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi»);
i farisei e gli scribi che si credono liberi e padroni (soggetti), si scoprono
invece schiavi (oggetti delle loro intransigenze) grazie all’espediente del
Maestro di disegnare segni indecifrabili sulla sabbia: loro dovrebbero sapere
sul conto di Dio Padre (attraverso le scritture e gli stessi insegnamenti di
Gesù) cose fondamentali che invece non sanno. Loro chiedono a Gesù: «Tu che ne
dici?», ma dovrebbero sapere già da sé la risposta. Non sanno, non conoscono
quello che Dio compie, perché sono schiavi («il servo non sa quello che fa il
suo padrone»), non intuiscono in tal modo nemmeno di essere figli amati dal
Padre, cioè fratelli tra loro, fratelli della donna che vogliono lapidare. Solo
dopo aver richiamato la loro attenzione sulla loro incapacità di capire, Gesù
esprime a parole il cortocircuito in cui quegli uomini si trovano: «Chi di voi è
senza peccato», chi di voi non condivide la stessa natura umana della donna,
chi di voi ritiene che ella sia un oggetto, e non sua sorella, «scagli per
primo la pietra contro di lei». Uomini che vogliono disporre della vita di una
donna, che essi considerano un oggetto perché peccatrice, non possono negare di
essere essi stessi peccatori, quindi simili alla donna, suoi fratelli perché
provenienti dalla stessa origine, accomunati da una simile condizione umana.
Alla spicciolata, iniziando dai più anziani fino ai più giovani, tutti se ne
vanno lasciando libera la donna, la quale a sua volta, forse, in quel momento
comprende di essere stata altrettanto schiava, prima d’incontrare Gesù.

Non più
schiavi, ma fratelli. Non più imprigionati dentro l’assenza di fede, di
speranza e di amore, dentro l’idea che la pace non sia possibile. Ma fratelli,
persone in relazione tra loro che conoscono la loro comune provenienza,
consapevoli che la pace è impossibile senza un padre comune, difficile ma
realizzabile accompagnati da Lui.

Luca Lorusso
 
 

Cari amici di amico,
avrete notato che in questo
numero di Missioni Consolata mancano le sedici pagine
dedicate ai giovani e
all’animazione missionaria che da quattro anni siete abituati a trovare a
inizio anno.


Amico cartaceo non è sparito,
ha solo cambiato periodicità: da
tre «inserti di formAzione missionaria» all’anno, passiamo a cinque,
con una
fogliazione leggermente inferiore. Ci ritroveremo quindi nel prossimo numero di
marzo,
e poi in quelli di maggio,
luglio, ottobre e dicembre 2015. 

Nel frattempo seguiteci online su
amico.rivistamissioniconsolata.it

Luca Lorusso




Amico: Semplicità

Era notte oramai. Dopo un’intera giornata di subbuglio,
erano tutti riuniti a parlare del Signore risorto. Veramente era apparso a
Simone. Veramente aveva camminato con i due di Emmaus. E ora stava lì, di
fronte a loro, con il suo timbro di voce risorta vibrante di pace. «Pace a
voi!». Quella pace che è l’unione nuziale definitiva tra l’eterno e il
temporaneo, tra il Creatore e la creatura.

Era notte oramai. Avevano vissuto già tutto un giro di sole,
dall’alba al tramonto, con la notizia della vita risorta nel cuore. E ora erano
stanchi e turbati. E increduli ancora… increduli di gioia, di troppa
meraviglia.

E il Signore ripete l’esercizio d’incarnazione. Non di
fantasmi, né di prodigi magici e taumaturgici si tratta. Ma di vita. Come
quella di un piccolo di tre chili attaccato al seno della sua mamma, al riparo
di una stalla, come quella di un uomo che prende una porzione di pesce
arrostito per portarla ai denti, alla gola, allo stomaco.

La salvezza è nella storia. Non un’idea, né un ideale, tanto
meno un’ideologia. Non un procedimento esoterico, per iniziati, con bilance e
bilancini per soppesare meriti e castighi, dottrine e livelli di conformità.

La salvezza è semplice. E la missione altrettanto. È il Suo
sguardo d’amore su tutti e su tutto.

La pace è già realizzata e possibile ogni giorno. È l’unità
compiuta tra la vita concreta e la nostra identità più profonda.

Iniziamo il cammino del nuovo anno con questa semplicità.
Con questa pace semplice. Dopo aver camminato e lottato lo scorso anno, sperato
e disperato, dopo aver corso verso un sepolcro in cerca di un corpo e aver
trovato una bocca che pronunciava il nostro nome. Dopo aver «capito tutto» (o
almeno intuito qualcosa) alla Sua presenza, e nella frateità del confronto
con i compagni di strada, apriamo il cammino inedito che ci sta davanti nel
segno della pace, in questo mese dedicato a essa, e nel segno della «cultura
dell’incontro» e della globalizzazione della frateità, come suggerisce papa
Francesco.

Buon 2014.
E buona pace da amico.
Luca Lorusso

Luca Lorusso




Caro Amico,

«Gli undici discepoli,
intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando lo
videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano. E Gesù,
avvicinatosi, disse loro: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.
Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre
e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che
vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”»
(Mt 28, 16-20).

È bello poter vivere
questo ottobre missionario nell’entusiasmo di un mandato: «Andate». E nella
certezza di una promessa: «Io sono con voi». È consolante sperimentare e
vivere, alla luce della fede, che il mio limite – «alcuni però dubitavano» –
non è da escludere, da seppellire tra gli scarti di cui trabocca la discarica
che intasa la mia coscienza, ma è la frattura, lo spiraglio da riconoscere
perché da lì penetri nel mondo quell’amore fornito di «ogni potere» che è il
presupposto del «dunque» andate. Mentre io sono insufficiente, Lui ha ogni
potere. Se dubito, e lo riconosco, Lui può promettere: «Sono con voi». La fede è
allora memoria di quella promessa che ieri, oggi, domani si realizza. Memoria
del futuro – «tutti i giorni, fino alla fine del mondo» – che illumina lo snodo
del presente. L’unico luogo e tempo in cui nella mia fragilità può abitare la
salvezza, del mondo, e mia.

Con questo mese
riprendono tutte le attività dei nostri centri.

Ti aspettiamo per «dubitare»
insieme, e insieme accogliere il dono della fede che ci fa riconoscere la Sua

presenza in ogni luogo
e tempo della nostra vita. 

Buon mese missionario
da amico.

Buona conclusione, il
24 novembre, dell’anno della fede.

Luca Lorusso


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Luca Lorusso




Caro Amico

 

Si
apre con l’invito alla lode il Salmo 136, prosegue con la memoria di quanto il
Signore ha compiuto, si chiude con l’invito rinnovato alla lode. È il Salmo che
ogni due versi, nella traduzione Cei precedente a quella attuale, recita «perché
eterna è la sua misericordia» (la versione del 2008 dice, invece, «perché il
suo amore è per sempre»). È il Salmo che Gesù canta subito dopo l’ultima cena,
prima della Passione, ponendo così l’atto supremo della Rivelazione sotto la
luce dell’amore incondizionato di Dio padre. Papa Francesco ne scrive nella
bolla d’indizione del Giubileo che si aprirà l’8 dicembre 2015 e si chiuderà il
20 novembre 2016, centrato sul tema, appunto, della misericordia. Lì il pontefice
ci invita ad assumere il ritornello del Salmo nella quotidiana preghiera di
lode.

Possiamo raccogliere l’invito del
papa da subito. Possiamo, ad esempio, usare lo schema del Salmo 136 per vivere,
nella luce della misericordia, l’estate appena iniziata: usare il tempo del
riposo, del lavoro, del volontariato, del campo in missione, della vita
famigliare delle prossime settimane come tempo di lode a Dio e di memoria, per
ricordare a noi stessi che siamo, e che tutto è, «perché eterna è
la sua misericordia».

Il salmista ci dice che il
Signore ha creato i cieli con sapienza, ha fatto il sole, la luna e le stelle
per regolare il giorno e la notte, ha diviso il Mar Rosso in due parti, ha
guidato il suo popolo nel deserto, che nella nostra umiliazione si è ricordato
di noi, ci ha liberati dai nostri nemici, dà cibo a ogni vivente… «perché
eterna è la sua misericordia». Ciascuno di noi può aggiungere a quanto elencato
dal salmista, le opere che il Signore ha compiuto nella sua vita, nell’anno
sociale che si conclude. Il Signore ci ha liberati dai nemici multiformi che
fuori e dentro di noi attentano alla nostra vita, libertà, gioia, umanità, «perché
eterna è la sua misericordia». Inizieremo il nuovo anno di attività, con la
forza ricavata dal riconoscerci amati in modo incondizionato, coperti
dall’ombra dell’infinita accoglienza di Dio.

Per molti giovani in questo tempo
inizia il conto alla rovescia dei giorni che li separano dalla Giornata
Mondiale della Gioventù del prossimo luglio 2016. Anche quel raduno che porterà
migliaia di persone a Cracovia sarà sotto il segno del tema giubilare: «Beati i
misericordiosi perché troveranno misericordia».

Prepariamoci dunque a vivere
un’estate, e poi diversi mesi ancora, nel segno dell’indulgenza e della grazia,
della vicinanza di un Dio innamorato della nostra vita.

Buona estate da amico,
Luca Lorusso

Luca Lorusso




Amico

 

A ssomigliano all’indemoniato di Gerasa posseduto dalla Legione (Mc
5,1-20) questo nostro mondo e l’uomo che lo abita: sembra che non riescano a
fare a meno di dimorare nei sepolcri e di gridare continuamente sui monti,
percuotendosi con pietre notte e giorno. Sembrano assillati da una moltitudine
di demoni, ciascuno dei quali ha il suo modo di manifestarsi, le sue personali
strategie persecutorie, ciascuno dei quali parla la propria lingua. Assillati
anche dai molti che, stringendoli in ceppi e catene, intraprendono tentativi
per «ridurli» alla normalità, per impedire loro di nuocere, per eliminare l’imperfezione
dall’umanità.

Il
Vangelo racconta di come Gesù liberi l’indemoniato mandando la Legione in una
mandria di porci, e di come questi si lancino dal dirupo nel mare di Galilea.
Lo stesso mare nel quale, qualche ora prima, i discepoli di Gesù avevano temuto
di inabissarsi, e avevano urlato al Maestro: «Non t’importa che moriamo?».

Il
mare di Galilea è simbolo, tra le altre cose, dell’inconscio abitato da demoni,
della contorta e conturbante natura dell’uomo che fa paura.

Pure
questa c’è tra le paure spezzate dal dono delle lingue a Pentecoste (At
2,1-11). Non solo il dono di parlare gli idiomi dei popoli, ma anche quello di
comprendere le lingue dei demoni che scuotono i singoli, le comunità, il mondo
intero, e di saper rispondere loro.

Saper affrontare la traversata
del mare senza lasciarci ingoiare dalla gola rapace dei demoni che ci lacerano,
e che lacerano la società, è un altro dei doni ricevuti. La vita accolta e
sposata per ciò che è, e non quella abbandonata o in via di perfezionamento, è
la rivelazione bella che ci viene fatta dal rombo dello Spirito.

E le lingue di fuoco vivo che
illuminano i volti dei discepoli, trasformano gli spauriti amici di Gesù in
apostoli.

Da amico
Buona Pentecoste,
buona festa delle lingue.
Luca Lorusso

Luca Lorusso