Cari Missionari,

scambio di lettere e email

Agli amici di Neisu

Un caro saluto dal Congo. Vi spero bene in buona salute e sereni! […] È solo la forza che ci viene dallo Spirito Santo che ci spinge ad annunciare la Buona Novella di Gesù sapendo superare le diverse difficoltà che incontriamo nel nostro essere missionari nel Congo.

Repubblica Democratica del Congo: un grande e ricco paese, gente molto accogliente, allegra, ricca di fede e di sacrifici che continua a credere in un futuro più giusto e fraterno anche se il domani appare ancora incerto e insicuro… Le famose elezioni che dovevano realizzarsi l’anno scorso, poi quest’anno, saranno ancora rimandate al 2018 sperando che questo non provochi altri disordini, saccheggi, rivolte… la nostra gente è stanca.

Qui a Neisu c’è calma ma nello stesso territorio della diocesi le cose non sono tranquille, soprattutto i ribelli ugandesi Lra (Lord Resistance Army di Josef Koni) continuano devastazioni, saccheggi, uccisioni, …in altre regioni interi villaggi abbandonati, migliaia di persone in fuga. Fino a quando?

Arrivato in Congo nel 1991, non mi ricordo un anno tranquillo di pace su tutto il territorio di questa nostra nazione. Abbandonare il Congo, andare in un altro paese più tranquillo, ritornare a casa… pensieri che a volte arrivano alla testa ma non al cuore e allora, malgrado tutto, si continua, rinnovando il mio sì al Signore, che amandomi mi ha chiamato a vivere qui. La missione, lo sappiamo, non è mia ma sua! Il Vangelo è magnifico!

Continuate a essere missionari là dove il Signore vi ha chiamato e con tutta la Chiesa, in particolare con i missionari e le missionarie che amate, stimate, aiutate e per loro pregate tanto.

Da parte mia vi assicuro la mia preghiera, il mio grazie, il mio affetto. Con la Madonna continuiamo ad annunciare Gesù suo Figlio e nostro Salvatore. Un abbraccio fraterno,

padre Rinaldo Do
Neisu, 03/10/2017

Trovare Neisu su una cartina geografica è molto difficile. Se provate con Google Earth o Map, non cercate Neisu, ma «Egbita», che è il nome del posto ai tempi coloniali. Lì c’era una piccola stazione della ferrovia a scartamento ridotto che arrivava fino a Isiro. L’ospedale si trova nel punto di incontro tra la curva del tracciato ferroviario e la strada che viene da Est. È riconoscibile per il profilo della torre dell’acquedotto e il grande edificio quadrato. Sulla cartina osservate la devastazione della foresta causata dallo sfruttamento illegale del legname e dalle miniere di coltan e altri minerali strategici.

Ho visitato il posto nel 1983, tanti anni fa, quando ancora era vivo padre Oscar Goapper e a Neisu c’era solo un dispensario vicino alla chiesa in costruzione. Allora era tutta foresta fittissima. Oggi alla devastazione dell’ambiente corrisponde il dramma di un popolo che vive da tanti anni nella precarietà e nell’insicurezza. Sono molti nel mondo i missionari come padre Rinaldo che condividono la sofferenza del popolo affidato loro.

Preghiera e Messaggi

Caro Direttore,
sto leggendo un libro di Saverio Gaeta: «Il veggente». Parla di Bruno Cornacchiola, devo spiegarle chi è? No vero, lo sa chi è (*). Ha trascritto un messaggio della Madonna datato, non è ben specificato, sembra il 9 gennaio 1986. «Vi dico che è realmente così: la vostra situazione è drammatica, è deleteria per le anime! Seguite la Chiesa di mio Figlio, perché essa non perderà mai la forza della verità, della salvezza, anche se gli uomini cercano di demolirla e indebolirla della sua forza divina: non riusciranno, i caparbi!».

E ancora: «Figli, ascoltate la Chiesa, autorità visibile, e con umile ubbidienza servitela nella verità! Contro di essa, Satana non può far nulla, perché è divina, ma contro le anime che vivono in essa può molto: anzi, presenterà il male sotto la veste morale, religiosa, politica e sociale! Verranno colpite le famiglie, specialmente trascinandole nell’indifferentismo e nell’incredulità, oppure a una forma esagerata di pietà devozionale rasentante l’idolatria! Questo è il male dei tempi in cui voi vivete, figli miei cari al nostro Cuore! È il male dilagante di ogni male nel tempo passato riunito nel tempo presente sotto ogni forma! Voi avete la terribile responsabilità di scegliere: o Dio o il mondo con tutte le sue mire ingannatrici!».

Una frase che ho sottolineato (evidenziata in corsivo, ndr) mi ha colpito. Conosco fratelli e sorelle che organizzano gruppi di preghiera dove si recitano rosario, coroncina, invocazioni a san Michele, a san Giuseppe, a santa Rita e altri santi. Chi partecipa anche più volte al giorno alla santa messa, digiuna, fa adorazione anche notturna. Tutto questo sarebbe «idolatria»? Perché non sta in famiglia, critica sovente il papa per le sue battute, si lamenta dei suoi familiari che non capiscono l’urgenza del momento – la battaglia finale – o solo perché manca l’atto d’amore? «Gesù ti amo!». Cordialmente saluto.

Emanuela Rossetto
08/06/2017

Abbiamo passato la lettera a don Paolo Farinella, ecco qui la sua risposta.

Gentile Emanuela,
lei porta un «nome» che è la sintesi di tutto e anche la risposta alla sua lettera: «Emanuela – Immànuel/Dio-con-noi» non nel senso blasfemo di Hitler (**), ma nel senso che egli è «con – tra – fra – dentro – in mezzo a noi».

Una delle parole più forti del Vangelo è: «Non abbiate paura». San Giovanni ci garantisce che «Io ho vinto il mondo». Se abbiamo più fede nel maligno che può distruggere le anime piuttosto che in Dio, il quale «vuole che nulla vada perduto», penso che abbiamo perso già in partenza. Mi dispiace deluderla, io non mi occupo di apparizioni, la mia vita è presa, vissuta e consumata dalla Parola di Dio «sulla» quale cerco di stare fermo, ma vivente, immerso e abbandonato.

Non capisco queste apparizioni di Madonne che dicono sempre la stessa cosa, ormai da secoli solo per la soddisfazione di chi dice di avere avuto messaggi personali. Sto con la Chiesa che non mi obbliga a credere ad esse, nemmeno a quelle riconosciute come Fatima o Lourdes. Infatti un cattolico che affermasse: «Io non credo alle apparizioni della Madonna di Fatima o di Lourdes» non è meno cattolico di chi afferma di credervi.

Io penso che il ricorso continuo alle apparizioni nasca dalla poca frequentazione che si ha con la Bibbia, la Parola che fu «dal principio». Non basta una vita per assaporarla. Perché perdere tempo dietro ad aspetti secondari, per altro comuni a tutte le religioni (fatto che dovrebbe fare riflettere), e sottrarlo così al «mangiare il rotolo» per gustarne la dolcezza? (cf Ez 1).

Sono molto occupato a cercare di credere in Gesù Cristo, Dio incarnato, che non mi resta proprio tempo per preoccuparmi di chi è questo o quello. Non ho la pretesa di insegnare nulla, esprimo solo una via, un’esperienza, fondata sulla Parola di Dio e sulla mia serietà che è garantita dal mio totale disinteresse, sotto qualsiasi aspetto.

Lei sa che la Chiesa del secolo I-II scelse i nostri quattro vangeli tra il centinaio di apocrifi, per una sola ragione: erano e sono gli unici nei quali non vi è abbondanza di soprannaturale, mentre gli apocrifi abbondano di apparizioni, miracoli, straordinario. Ecco il criterio: la sobrietà.

Avere paura che il demonio possa avere il sopravvento significa non avere fede in Cristo risorto. A noi non è dato salvare il mondo, ma testimoniare Dio, Padre d’amore, che ci ama e non ci abbandona mai. Il resto, tutto il resto, anche le apparizioni, sì, possono venire dal maligno. «Preoccupatevi prima del Regno di Dio, il resto verrà da sé come un regalo» (cfr. Mt 6,33). Un caro saluto.

Paolo Farinella, prete

(*) Bruno Cornacchiola (1913-2001) di Roma, dal 1947 avrebbe avuto delle rivelazioni dalla «Vergine della Rivelazione» presso le Tre Fontane. È in corso la causa della sua beatificazione.

(**) Gott mit uns (in italiano: Dio con noi) era in origine il motto dell’Ordine Teutonico. Dopo la caduta dello stato dei Cavalieri Teutonici, divenne il motto dei re di Prussia, fino a divenire motto degli Imperatori tedeschi (da Wikipedia) e quindi dei loro soldati. Era il motto inciso nelle fibbie delle cinture dei soldati tedeschi e quindi anche di quelli nazisti.

Grazie

Ciao padre Gigi,
grazie per la fotostoria del XIII capitolo generale, non solo per le foto (belle e con opportuna didascalia) ma per la chiara e succinta informazione su ogni continente con statistiche problemi e proposte. Il tutto presentato in un clima di serenità e speranza, notando la novità e la continuità nella vita del nostro istituto. Che il Signore ci aiuti a portare nella nostra vita personale e comunitaria le «convergenze importanti».

Molto bello l’articolo sull’Isola «bella» col parroco africano. Anche questo rileva le novità. Opportuno anche il dossier sulla Corea del Nord. Grazie.

padre Mario Barbero
03/10/2017

Ciao

Preg.mo direttore, ciao.
A proposito dell’editoriale che lei ha definito poco originale e che invece è un autentico capolavoro di ricerca su un termine quanto mai originale e sale che da sapore a tutte le minestre (cfr. MC 8/9, 2017 pag. 3). Compiacimenti non solo per l’editoriale ma per tutta la rivista, con ricchi articoli di informazione e cultura tra cui la foto storia dal XIII Capitolo Generale, tanto necessaria per essere informati sul cuore pulsante della Missione Consolata.

Ho avuto occasione di leggerlo con interesse e tempo a disposizione perché costretto per un incidente a stare in casa. Non tutti i mali vengono per nuocere, in questo caso per apprezzare la vostra rivista. Esorto i lettori frettolosi che, come me un tempo, si riducono a una scorsa veloce, ad approfondire per apprezzarla.

Don Pietro Cioffi
27/09/2017

Parchi e uomini

Cari missionari,
credo abbiano ragione gli amici di Survival International quando, nel dossier pubblicato nel n.8/9 di MC, condannano un certo ambientalismo ipocrita e invitano a riflettere sul fatto che, in non pochi casi, proprio coloro che hanno ricevuto il compito di vigilare sull’integrità degli ecosistemi sono gli autori/complici degli abusi più gravi.

La denuncia di Survival mi ha fatto tornare in mente un libro letto una ventina d’anni fa, intitolato «Fight for the tiger» edito da Headline. Il suo autore, l’inglese Michael Day, raccontava le settimane trascorse nel Parco Nazionale di Khao Sok, nel Sud della Thailandia, e denunciava senza peli sulla lingua la cattiva gestione di quel parco, accusando i pezzi grossi, locali e nazionali, di essere responsabili della decimazione delle tigri nell’area, ben più di quanto fosse la gente del posto (***).

Ha ragione chi dice che gli uomini vengono prima dei parchi e che l’ambientalismo non può diventare il giustiziere delle popolazioni indigene. Ha ragione però anche chi ricorda che le accuse e le denunce devono essere il più possibile precise e circostanziate. Non si può far di tutta l’erba un fascio.

A me la dizione «Parchi Nazionali» non dispiace affatto. Dipendesse da me, ne istituirei anche degli altri, specialmente nei paesi dove vivono minoranze tribali, inserendoli nel programma Unesco «L’Uomo e la Biosfera» (****).

A fare la differenza non sono le etichette giuste ma le persone giuste. Tutti noi siamo chiamati a diventare giusti, non solo chi indossa una divisa o chi ha un certo titolo di studio e ha ricevuto una certa nomina.

Se un parco, o riserva, peggiora la sua condizione, è per colpa dei crimini di pochi, ma anche dell’indifferenza di molti. Se invece un parco migliora la sua condizione e anche le minoranze etniche che vivono all’interno di quel parco stanno meglio, è perché quell’indifferenza è stata combattuta, rintuzzata, superata, e anche coloro che prima abusavano, si sono ravveduti e hanno iniziato un nuovo percorso, una nuova carriera, una nuova vita. Una vita più gratificante, perché coltivare, custodire e conservare, anche sotto il profilo estetico, è meglio che abusare, depredare e distruggere. Cordialmente

Carlo Erminio Pace
08/09/2017

(***) Michael Day, Fight For The Tiger: One Man’s Fight To Save The Wild Tiger From Extinction, Trafalgar Square Publishing, Londra 1995.

(****) «Il Programma sull’uomo e la biosfera (o Programma Mab per l’uomo e la biosfera) è uno dei cinque programmi dell’Unesco nel quadro delle scienze esatte e naturali. […] Questo programma, iniziato nel 1968 e formalmente istituito nel 1971, mira a creare una base scientifica per migliorare i rapporti uomo-natura a livello globale» (Wikipedia).

A commento di quanto scritto dal signor Pace, riporto qui quanto ha detto papa Francesco il 7/09 scorso a Bogotà ai vescovi della Colombia.

«E prima di concludere un pensiero vorrei rivolgere alle sfide della Chiesa in Amazzonia, regione della quale siete giustamente orgogliosi, perché è parte essenziale della meravigliosa biodiversità di questo paese. L’Amazzonia è per tutti noi una prova decisiva per verificare se la nostra società, quasi sempre ridotta al materialismo e al pragmatismo, è in grado di custodire ciò che ha ricevuto gratuitamente, non per saccheggiarlo, ma per renderlo fecondo. Penso soprattutto all’arcana sapienza dei popoli indigeni dell’Amazzonia e mi domando se siamo ancora capaci di imparare da essi la sacralità della vita, il rispetto per la natura, la consapevolezza che la ragione strumentale non è sufficiente per colmare la vita dell’uomo e rispondere alla ricerca profonda che lo interpella.

Per questo vi invito a non abbandonare a sé stessa la Chiesa in Amazzonia. Il rafforzamento, il consolidamento di un volto amazzonico per la Chiesa che qui è pellegrina è una sfida di tutti voi, che dipende dal crescente e consapevole appoggio missionario di tutte le diocesi colombiane e di tutto il suo clero. Ho ascoltato che in alcune lingue native amazzoniche per riferirsi alla parola “amico” si usa l’espressione “l’altro mio braccio”. Siate pertanto l’altro braccio dell’Amazzonia. La Colombia non la può amputare senza essere mutilata nel suo volto e nella sua anima».

«Minga» Amazonica Trifronteriza

La situazione

Il Vicariato Apostolico di Puerto Leuguizamo Solano, nella Colombia Sud orientale, si estende su una vasta regione con caratteristiche particolari: il suo territorio infatti è distribuito tra tre dipartimenti, Caquetá, Putumayo e Amazonas, e sta a ridosso delle frontiere con Perù ed Ecuador. In esso avviene il 2,5% delle relazioni commerciali, sociali, culturali e politiche tra i tre paesi latinoamericani. Infine si trova al centro del 6% dell’Amazzonia colombiana.

Queste caratteristiche rendono il Vicariato un luogo di particolare interesse per il mondo intero, non solo perché in esso si incontrano diversi popoli, ciascuno con la propria visione ancestrale del mondo, ma soprattutto perché è il cuore di una grande biodiversità, ricchezza di acqua e di potenziale energia. Allo stesso tempo il suo territorio, compreso tra i fiumi Caquetá, Putumayo e loro affluenti, è segnato da una grande vulnerabilità, perché isolato e generalmente trascurato dallo stato. Il fatto che le uniche vie di comunicazione tra la zona del Vicariato e il resto del paese siano fluviale o aerea, comporta diversi problemi: l’alto costo della vita famigliare, lo spostamento di molti in altre regioni, il non soddisfacimento dei bisogni di base della popolazione, come l’alloggio, l’istruzione, la sanità, l’occupazione, e la presenza di gruppi armati che si spostano liberamente tra i dipartimenti e, in certi momenti, tra Perù, Colombia ed Ecuador.

Ad aggravare la situazione concorre anche l’attività di estrazione, sfruttamento e traffico delle risorse naturali. L’estrazione del caucciù all’inizio del XX secolo, per esempio, ha prodotto gravi danni ambientali e socioculturali, come la schiavitù a cui è stata sottoposta la popolazione indigena della zona e addirittura l’estinzione di vari gruppi etnici.

La proposta: «Minga», lavoriamo insieme

In questo contesto, gli incaricati della pastorale sociale, educativa e indigena del Vicariato hanno organizzato un incontro di studio e lavoro a inizio novembre allo scopo di incrementare l’impegno per il territorio e di renderlo maggiormente visibile, di promuovere una riflessione che permetta agli operatori pastorali di appropriarsi del contesto sentendosi parte di un popolo multietnico e di crescere nella capacità di custodire la Casa comune, senza sempre aspettare iniziative o proposte che vengano da fuori. L’incontro si chiama «Minga», un termine indigeno che indica il lavoro fatto insieme per il bene comune.

 




Cari Missionari: di Rohingya, Trasparenza e preghiera e missione


Rohingya

Preg. P. Gigi,
vorrei condividere alcune riflessioni sul dossier sui Rohingya che mi aveva gentilmente mandato. Il testo è buono anche se non aggiornato, per questioni di tempo, alla seduta del Tribunale dei Popoli che ha avuto luogo il 6-7 marzo 2017 a Londra. C’è però un punto su cui ho avuto qualche perplessità. L’articolista sembra essere incorso in un’ingenuità quando riferisce un’opinione secondo cui la situazione di questa popolazione sembra più difficile ora che non sotto la dittatura. Ma è chiaro che sotto la dittatura tutti erano compressi e bloccati e nessuno poteva fare ascoltare le proprie ragioni, né questo popolo né nessun altro gruppo o persona perseguitati, ma questo non vuol dire che «si stava meglio quando si stava peggio», facile slogan qualunquista e filofascista. Io sono sempre convinta che Aung San Suu Kyi sia una persona straordinaria e piena di buoni propositi, ma questioni così antiche e complesse hanno bisogno comunque di un tempo un po’ disteso per la loro risoluzione. Quindi segnalare e sollecitare va bene, ma condannare no. Forse l’autore non voleva dire questo, ma la forma usata induce un po’ a pensarlo e mi sembra perlomeno un’ingenuità. Cordiali saluti. Grazie,

Maria Rosaria Salvini
26/07/2017

Abbiamo passato la email a Piergiorgio Pescali per un suo commento.

Nel mio lungo dossier (e soprattutto nei documenti, interviste, libri elencati come riferimenti alla fine del dossier e che ne sono l’ossatura) delle mancanze di Aung San Suu Kyi (Assk) si è parlato ben poco. Anzi, direi quasi nulla rispetto a quello che avrei dovuto fare. E volutamente, proprio perché si è voluto lasciare spazio alla comprensione della complicata vicenda dei Rohingya che ha le sue radici nella colonizzazione britannica, è scoppiata durante la Seconda Guerra Mondiale con la lotta tra britannici (appoggiati dalle etnie non bamar) e giapponesi (appoggiati dal governo di Aung San e dai Bamar [Birmani]), per divampare negli anni Settanta, durante la giunta militare.

Se c’è stata «ingenuità», allora sono in buona compagnia, perché della stessa ingenuità si sono «macchiati» Muhammad Yunus, Josè Ramos Horta, Shirin Ebadi, Desmund Tutu, Malala Yousafzai, Emma Bonino, Oscar Arias, lo stesso Ufficio di Diritti Umani delle Nazioni Unite, l’Ufficio di Coordinamento degli Affari Umanitari (Unocha), l’Unicef e molte altre singole persone e agenzie umanitarie che hanno chiesto (inutilmente) ad Assk di condannare «senza se e senza ma» le violenze di cui sono vittime i Rohingya e di mostrare (inutilmente) la volontà del governo di risolvere il problema non solo dei musulmani, ma delle decine di etnie che costellano il paese. Hanno peccato di ingenuità anche quelle persone che per anni hanno sostenuto Aung San Suu Kyi ed oggi si ritrovano inevitabilmente delusi a criticare il suo operato. Famosa l’intervista (proprio sui Rohingya) della Bbc (una delle emittenti che più hanno appoggiato la Lady durante il periodo di prigionia) in cui la stessa Assk ad un certo punto è sbottata dicendo che nessuno l’aveva avvisata che l’intervistatrice, troppo precisa nell’elencare le mancanze del governo, era musulmana. Già, perché la signora Assk, dopo aver tanto predicato contro il regime militare, oggi si trova a giocare dalla stessa parte del Tatmadaw (l’esercito birmano), negando i diritti ai lavoratori, negando le terre ai contadini di Monywa, negando ai Kachin il diritto all’autodeterminazione e giustificando le rappresaglie dell’esercito. Tutto in nome di una identità unitaria del paese.

Ho iniziato a frequentare il Myanmar nel 1988, quando ancora si chiamava Birmania. Ero presente al primo comizio pubblico di Assk e ho incontrato la Lady diverse volte prima, durante e dopo gli arresti domiciliari, quando in Occidente era una perfetta sconosciuta. Ho incontrato Michel Aris, il marito, il primo figlio Alexander e i numerosi professori con cui Assk ha lavorato ad Oxford. La figura che ne ho tratto è molto diversa dall’ Assk edulcorata e iconica propinata dal film agiografico di Luc Besson, forse per via degli astii e dei rancori che si erano instaurati tra queste figure e Assk. La sua miopia politica è sempre stata evidente, ma è stata celata da validi collaboratori (oggi purtroppo morti o troppo anziani) e dal fatto che, dalla sua casa – in cui era agli arresti domiciliari -, poteva criticare (anzi, per usare un termine più adatto, «condannare») senza dover dimostrare le sue capacità di governo. Ma quando si è trovata a dover affrontare i problemi che lei stessa, con ingenuità, denunciando, aveva detto che avrebbe risolto, ecco che è crollata perdendo consensi.

Assk ha accentrato su di sé tutte le cariche più importanti del governo, anche quelle che permettono di interloquire direttamente sul problema dei Rohingya (Assk è ministro degli Esteri, primo ministro, Consigliere di Stato, presidente del Comitato Centrale di pace nel Rakine, presidente del Comitato Unione e Dialogo, ministro dell’Ufficio del Presidente).

Sono stato espulso dal Myanmar di Than Shwe; diverse volte mi sono stati sequestrati appunti, fotografie, macchine fotografiche, registrazioni. Non sarò certo io, quindi, a chiedere il ritorno al regime militare, ma di fronte a quanto sta avvenendo non basta «segnalare», occorre anche «condannare» quello che è contro giustizia e democrazia.

Piergiorgio Pescali
09/08/2017


Trasparenza

Gentile direttore,
la lettera «Sorpresa e tristezza» (MC 7/2017 p.7) merita qualche ulteriore riflessione. Nessuno nega la possibilità, anche all’interno di una stimata congregazione come quella dei MC, che esistano mele marce. Succede nelle migliori famiglie […]. L’interesse delle rimanenti mele buone dovrebbe però essere quello di evitare che in futuro possano accadere fenomeni fraudolenti, e questo solitamente nelle diocesi e negli ordini religiosi non accade. Una gestione più trasparente dei beni mobili e immobili di proprietà sarebbe un valido antidoto. Se per esempio venisse rispettata la legge che impone di pubblicare i bilanci, e quindi rendere conto di come vengono amministrati i beni e quale provenienza abbiano, sarebbe sicuramente più difficile per i malintenzionati, interni ed esterni agli enti, agire in modo fraudolento.

La fondazione Missioni Consolata Onlus pubblica già da anni i bilanci, ma non evidenzia le proprietà e nulla viene riportato riguardo il loro utilizzo, anche se nella stragrande maggioranza dei casi queste informazioni non farebbero che aumentare il grado di soddisfazione in chi, riponendo in voi fiducia, vi affida donazioni e lasciti. L’ente cui lei appartiene è già innovativo: è abitudine infatti della maggior parte degli enti religiosi cattolici di nascondere ogni dato relativo, nonostante la Cei imponga da anni di redigere un bilancio anche alla più sperduta parrocchia, fino a quando l’ennesimo scandalo li obbliga a difendersi da accuse fondate urlando al complotto.

Gli amici protestanti su questo argomento sono avanti anni luce e vengono ripagati dall’opinione pubblica con un 8 per mille decuplicato rispetto al numero di fedeli. MC dovrebbe farsi promotore all’interno del mondo cattolico torinese, magari in compagnia dei Camilliani che hanno recentemente subito analoghe vicissitudini, di una campagna perlomeno torinese che invochi più trasparenza nelle gestioni economiche. Sono sicuro che troverebbe numerosi compagni di viaggio. Con sincero affetto,

Paolo Macina, Torino
04/07/2017

Caro Sig. Paolo,
concordo pienamente con lei sulla necessità della trasparenza, anche se ritengo che per essere davvero tale debba essere molto di più che un fatto legale o di pubbliche relazioni. Trasparenza si sposa anzitutto con giustizia, con onestà, con gratuità, con servizio e, per noi missionari e religiosi, con povertà. Per una vera trasparenza non basta certo aumentare o inasprire le leggi (dello stato, con 75mila leggi e 160mila norme varie), i canoni (del diritto Canonico, 1.752) o le normative (delle Costituzioni e Direttori di Diocesi e Istituti religiosi).

È una realtà che abbiamo sperimentato anche durante il nostro recente Capitolo generale: abbiamo una caterva di normative, documenti, direttorii, regolamenti, ma senza una profonda conversione personale, una vera passione per Gesù Cristo che diventa imitazione del suo stile di vita, tutto rischia di restare lettera morta. Grazie quindi della sua email, che esprime una preoccupazione che va ben oltre la nostra piccola realtà e coinvolge tutta la Chiesa.

Avevo preparato una lunga e articolata risposta, poi l’ho messa da parte perché troppo lunga per queste pagine. Ho fatto qualche ricerca e non mi risulta che esista una normativa precisa che impone agli enti religiosi di pubblicare i bilanci. Ci sono però tre punti chiave che tutti i documenti della Chiesa sottolineano: trasparenza, legalità e chiarezza. Fossero sempre applicati, avremmo risolto molti problemi.

Concludo con una mia considerazione. Gesù dice che dobbiamo valutare «dai frutti». Noi missionari della Consolata, e tutti gli altri missionari, non siamo un’organizzazione segreta di stampo mafioso o massonico, agiamo (e facciamo anche sbagli) alla luce del sole. Giudicateci dalle nostre opere.

In questi giorni di ferragosto abbiamo appena sepolto un missionario che in vita sua (50 anni di messa celebrati lo scorso anno) ha perso il conto di quanti milioni di lire (e forse di euro) ha maneggiato per aiutare i poveri e dare la possibilità a tantissimi bambini (quanti? non credo abbia mai tenuto il conto) di andare a scuola in Kenya, in Colombia e in Ecuador e costruirsi così un futuro diverso. Padre Giuseppe Ramponi è uno dei tanti Missionari della Consolata, l’810°, che ha dato tutto per amore, anche se ha fatto i suoi sbagli. La sua ricchezza e la sua debolezza? L’amore per i bambini poveri dell’Ecuador per i quali «rompeva» tutti, affidati ora al buon cuore dei suoi tanti amici.


Preghiera per ringraziare

Egregio sacerdote don Paolo Farinella,
sono particolarmente interessato alla sua rubrica «Non sappiamo pregare». Ogni sera dedico ore cercando di interpretare per un rinnovo della mia coscienza, un modo nuovo per ringraziare il Signore per quanto mi ha concesso nell’arco della mia vita: 83 anni. Purtroppo debbo rinunciare a malincuore, causa la mia scarsa preparazione teologica. Sono credente e praticante, apro e chiudo la giornata ringraziando il Signore, come mi ha insegnato la mia cara mamma. Le chiedo umilmente scusa per quanto espresso.

Domenico Musso
Rivoli, 20/07/2017

Risponde don Paolo.

Carissimo Domenico, il suo modo di pregare altro non è che l’Eucaristia: ringraziare. È il vertice della preghiera cristiana. È vero che noi non sappiamo pregare (lo dice san Paolo!), ma è anche vero che lo Spirito Santo agisce in noi «sia che dormiamo sia che vegliamo» (sempre lo stesso san Paolo!). Mi permetta un piccolo suggerimento: non si accanisca più nel dedicare ore nell’interpretazione, si abbandoni soltanto, chiuda gli occhi e dica con san Tommaso, l’apostolo birichino: «Mio Signore e mio Dio». Il resto è in più. Pregare non è consumarsi nella ricerca, ma nell’imparare a «vedere Dio» con gli occhi del cuore. Lei è figlio, Dio Padre l’ama come è e non pretende nulla di più, perché lui è abituato a prendersi tutto con dolcezza e tenerezza: «Signore, non ho niente da darti, solo me stesso, prendimi così perché ti cerco con la stessa sete della cerva. Mi basta sapere che tu ci sei. Grazie e buon giorno… buona notte, Signore!». Un caro saluto affettuoso e grazie per la sua bella lettera.

Don Paolo Farinella
11/08/2017


Di pecorelle «buone» e altro ancora

Cari missionari,
ho ricevuto il numero di giugno [di MC, ed è] stata una gradita sorpresa, [vedere che] avete preso sul serio certe argomentazioni che non sono solo mie. Vorrei fare però delle precisazioni, [cominciando dal] titolo [perché] non intendevo discutere se siate o no ancora cattolici. Un giudizio temerario.

Titolo. Io intendevo enfatizzare che la rivista si occupa sempre più di cose collaterali. Le pagine più direttamente di formazione sono quelle di don Farinella che io poi ho criticato e ora aggiungo anche che non possono essere rivolte a tutti. Anzi lo sono, ma spesso sono o troppo difficili, o troppo provocatorie o troppo e solo per le pecorelle smarrite, troppo poco per quelle che non vorrebbero smarrirsi e per le quali ci sono sempre e solo rimproveri. Se però la scelta editoriale è questa lo si può dire, così si fa meno confusione. Però mi chiedo «chi si occupa delle pecorelle non smarrite?». In teoria sono 99 su 100, sappiamo che ora sono molte meno. Fa bene il pastore a inseguire quelle smarrite ma a me sembra che tanti pastori più che altro si occupino di rompere la staccionata e poi dicono, essendo noi ormai adulti, che non c’è né dentro né fuori (anzi guai a parlare di dentro e fuori, si è divisivi, scandalo) e le pecorelle «buone» devono con il dialogo convincere quelle altre. Anzi ormai siamo andati oltre e il dialogo non è più un mezzo ma il fine. Bisogna rimanere in dialogo, una sorta di stallo e se uno si convince, indurlo al dubbio che magari è meglio non convertirsi. Gesù però parlava di dentro e fuori, non è venuto a portare la pace, anzi la spada, era divisivo e ci ha indicato come esempio i bambini che credono con fiducia perché ha parlato la mamma e non gli adulti che discutono sempre tutto per partito preso. Mi scusi ma anche questa cosa dei cristiani adulti non mi va bene. Faccio un discorso fondamentalmente logico. Io credo che quelli che si definiscono come cristiani adulti intendano dire che hanno prima, diciamo, sentito il messaggio cristiano, l’hanno sottoposto a critica, girato e rigirato, hanno voluto fare come Tommaso e mettere il dito nella piaga, e poi e solo poi hanno accolto il messaggio. Ed è una cosa meritevole ma rimane il fatto che Gesù ama Tommaso ma «consiglia» di non fare come lui. L’esempio che indica è quello dei bambini e di quelli che credono senza mettere il dito nella piaga.

Fintanto che non si spiega in modo convincente quanto tutta questa pastorale creativa di questi cristiani adulti si accorda con gli insegnamenti di Gesù si fa una gran confusione, anzi purtroppo è già stata fatta, e quindi si fa un danno alla Chiesa. Io credo che faccia cosa buona il cristiano che non dice di essere adulto così si evita almeno la confusione. Di tutto c’è bisogno tranne che di ulteriore confusione.

[…] Ribadisco i complimenti per l’ottimo articolo riguardo alla Siria e tutta l’informazione che fate riguardo il Medio Oriente che dovrebbe passare sui telegiornali e senza la quale si ha una immagine distorta della situazione. Cordiali saluti

Andrea Sari
10/07/2017

Caro Sig. Andrea,
come le ho scritto personalmente, ho tagliato la sua email che avrebbe occupato da sola non tre, ma ben quattro pagine. Cercherò di pubblicarne altre parti nei prossimi numeri. Per quanto riguarda il titolo, ha ragione. Sono caduto nella trappola di voler attirare l’attenzione a tutti i costi. Come quel titolo di prima pagina letto in questi giorni su un quotidiano: «Sala giochi in chiesa». Che? Hanno messo i videogames o le slot machine? No, solo un angolo dove i bambini possono giocare in pace.
A risentirci. Intanto lascio ai nostri amici lettori dire la loro sulle pecorelle non smarrite. Ogni bene a lei.


Preghiera e missione

Caro Direttore,
allego una preghiera ispirata dal Messaggio di Papa Francesco per la prossima 91a Giornata Missionaria Mondiale.

La missione al cuore della fede cristiana.

O Signore nostro Gesù Cristo crocifisso e glorioso,
Radunati attorno a Te, apostolo del Padre, continuamente ci riscopriamo Tuoi discepoli-missionari, accogliendo con intima gioia il Tuo invito ad annunciare il Vangelo dell’amore. Il fondamento della missione della Tua Chiesa, di cui siamo membra vive, è la forza trasformatrice del Tuo Vangelo, che è la Tua stessa Persona. Nutrendoci con la Tua Parola, che è Spirito e vita, riceviamo luce per seguirti con fiducia e coraggio, riconoscendoti nostra Via e indicandoti ai nostri fratelli.

Alla Tua scuola sperimentiamo che sei la Verità che ci rende liberi da ogni egoismo, ricevendo la Tua Vita. In ubbidienza al Padre Tuo e nostro, desideriamo imitarti, lasciandoci trasformare dallo Spirito Santo perché la nostra vita sia culto, proclamazione e irradiazione di Te, che continuamente ti fai carne in ogni situazione umana.

Tu mediante la missione della Tua Chiesa – tempo provvidenziale della salvezza nella storia – continui a evangelizzare e agire, diventando nostro contemporaneo, affinché chi ti accoglie con fede umile e carità operosa sperimenti il potere trasformante del Tuo Spirito vivificante, che rende fecondo il cuore e il creato, come fa la pioggia con la terra.

La Tua Pasqua è energia vitale che rinnova il mondo, facendo germogliare la risurrezione dove tutto sembra che sia morto. Chi si apre al Tuo Vangelo, si scopre gioiosamente chiamato a partecipare al mistero della Tua passione, morte e risurrezione.

Mediante il Battesimo liberi gli uomini dal dominio del peccato e della morte, facendoli rinascere come nuove creature dall’acqua e dallo Spirito. Mediante la Cresima effondi il sigillo del Tuo Santo Spirito, che fortifica i battezzati indicando loro itinerari e metodi nuovi di testimonianza e di vicinanza al prossimo. Mediante l’Eucaristia, farmaco d’immortalità, Ti fai Pane del cammino per continuare attraverso di noi, Tuo Corpo e Tua Sposa, la Tua missione di Buon Samaritano, curando le ferite dell’umanità dolorante, e di Buon Pastore, cercando appassionatamente chi si è smarrito per sentieri contorti e senza meta.

Divino Maestro, benedici in particolare i giovani perché siano viandanti della fede, felici di portarti in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra, vivendo la loro responsabilità missionaria con immaginazione e creatività.

Signore della Chiesa, suscita in ogni comunità cristiana il desiderio di uscire dai propri confini e dalle proprie sicurezze per raggiungere le periferie esistenziali e geografiche bisognose del Tuo Vangelo. Fa’ crescere in tutti noi un cuore missionario, perché rispondiamo alle vaste necessità dell’evangelizzazione con la preghiera, con la testimonianza della vita e con la comunione dei beni.

Maria, Madre dell’evangelizzazione, che – mossa dallo Spirito – hai accolto il Verbo della vita con umile fede, aiutaci a dire il nostro «eccomi» per collaborare a far risuonare nel nostro tempo il Vangelo della vita che vince la morte, perché a tutti giunga il dono della salvezza.

Lode, onore e gloria Te, Gesù Signore, il primo e il più grande evangelizzatore. Amen. Alleluia!

Don Francesco Dell’Orco
Bisceglie, 06/06/2017

 

 




Cari Missionari: di cattiveria, di preghiera, di Banca Etica e volontariato

XXIV Premio del Volontariato Internazionale FOCSIV 2017

Si riaprono le candidature per le tre categorie del Premio del Volontariato Internazionale 2017.
Entro il 25 agosto sarà possibile candidarsi per le tre diverse categorie del XXIV Premio del Volontariato Internazionale Focsiv 2017: Volontario Internazionale, Giovane Volontario Europeo e Volontario del Sud, un riconoscimento che, in questo caso, può anche premiare gli immigrati che si sono distinti per le attività di co-sviluppo nel proprio paese d’origine oppure persone impegnate nel volontariato nella propria terra.

I premi saranno consegnati il prossimo 2 dicembre, in prossimità della Giornata Mondiale del Volontariato indetta dalle Nazioni Unite per il 5 dicembre.

Il Premio ha ricevuto, al momento, il patrocinio dell’Agenzia nazionale giovani, mentre sono partner Fondazione Missio, Forum nazionale terzo settore, Cei 8×1000, Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) – Ufficio di coordinamento per il Mediterraneo e John Cabot University, accanto ai media partner storici, Famiglia Cristiana, TV2000, Avvenire, Radio Vaticana, Redattore Sociale e Rete Sicomoro. Missioni Consolata, insieme ad altre testate missionarie, sostiene il premio.

Per candidarsi in una delle categorie si potrà scaricare il Regolamento dal sito ed inviare la domanda entro il 25 agosto, allegando brevi video di presentazione, realizzati con la propria organizzazione di appartenenza. Nella seconda fase del concorso questi video potranno essere votati online. Dal sito www.focsiv.it vai alla sezione dedicata al premio.

Ufficio stampa Focsiv

Troppa cattiveria o troppo poca?

Dopo il 33° scudetto bianconero (il sesto consecutivo e anche il sesto della sua gestione…) Andrea Agnelli ha citato la «cattiveria» come uno dei segreti delle vittorie juventine («Passione, umiltà e cattiveria… domani più che ieri», scrive nel suo tweet del 21 maggio 2017) e qualche giorno dopo, commentando la sconfitta nella finale di Champions League con il Real Madrid, ha dichiarato che l’1-4 rimediato contro i galacticos: «Servirà a darci la cattiveria giusta per un altr’anno. L’anno prossimo dovremo andare in campo ancora più cattivi di come abbiamo fatto finora. Questa finale ci deve dare ancora più cattiveria. Cosa ho detto ai giocatori a fine partita? Che dobbiamo ricominciare con la cattiveria di sempre» (citazioni copiate da giornali e pagine web diverse, ndr).

Non credo che questa ostinazione nell’uso della parola «cattiveria» faccia onore al club torinese. Di cattiveria nel mondo del calcio ce n’è anche troppa e anche le persone che vogliono sdoganare la cattiveria sono troppe. Il messaggio che «senza cattiveria non si vince» è pericoloso, sia nel calcio che negli altri sport e soprattutto fuori dello sport. Certi concetti possono essere espressi in modo molto meno ambiguo usando parole come determinazione, coraggio, spirito d’abnegazione, disponibilità al sacrificio, mortificazione personale e molte, molte altre. Distinti saluti.

Silvano Montenigri e Mario Pace
07/06/2017

Svuotare le parole del loro vero significato, far diventare virtù quello che è vizio, non è un’operazione nuova nel nostro mondo. È quanto sta avvenendo con altre virtù importanti. Basta pensare a come sono bistrattate castità, onestà e modestia, per citarne solo alcune, senza poi contare quanto sta succedendo a istituzioni come la famiglia e la politica. Non credo, nel caso citato, che chi ha usato quel linguaggio lo abbia fatto di proposito, probabilmente si è adeguato al gergo di quell’ambiente. Ma come i nostri lettori hanno fatto notare, con la «cattiveria» non si scherza. Grazie a Silvano e Mario per aver attirato la nostra attenzione sulla pericolosità e ambiguità di questo tipo di messaggi. La cattiveria è cattiveria, sempre. Anche se poca è sempre troppa.

Preghiera

Caro confratello don Paolo Farinella,
leggo volentieri le sue riflessioni bibliche su Missioni Consolata, si impara sempre qualcosa anche con quasi 50 anni di Messa. Sulla preghiera di Gesù di maggio 2017, mi permetto di fare qualche appunto. Gesù è vero Dio e vero uomo, e si può esagerare nella divinità ma anche nell’umanità. Il mistero rimane. È cresciuto in sapienza, età e grazia, ma ha avuto anche doni particolari. Così pure tanti santi e sante hanno avuto doni di guarigione, preveggenza, lettura dei cuori, conservando tutta la loro fragilità umana. Lo stesso vale per la nota magico teologica sul Dio tappabuchi. Anche qui il mistero rimane, il senso del creato con tanta violenza, sofferenza, morte. A chi mi dice «ho dei dubbi», rispondo, «cara signora, caro signore, tra trenta, cinquanta anni avrà tutte le risposte, oppure, quando avrà due metri di terra sopra la testa, non avrà più tentazioni e sarà nella pace». Buon lavoro in Domino.

Don Silvano,
Oropa, 19/06/2017

Caro Don Silvano,
le sue osservazioni meriterebbero un trattato che per altro esiste già e si chiama «Cristologia» che i preti studiano in almeno 5 anni di teologia. Penso che il rischio di «esagerare» ci sia sempre o sul versante dell’umanità o sul versante della divinità. Nei tempi passati queste questioni hanno suscitato anche guerre e violenze a non finire (III e IV sec.) e non mi fermo a citare nomi perché si farebbe notte. Per fortuna oggi guardiamo la realtà «teo-andrica» che il grande teologo cattolico von Balthasar definì magistralmente «Teo-drammatica» non perché va in scena in teatro, ma perché va in scena nella storia di ogni giorno. Tutto questo, comunque, riguarda le teologia in quanto tale, mentre il biblista si limita a studiare i testi biblici, che non sono «immediati», per offrirne, per quanto possibile, il senso più vicino all’autore. Non è un segreto che il mondo cattolico ha conoscenza molto superficiale di essi. L’obiettivo non è schierarsi, ma «intuire» prospettive e possibilità che, per grazia di Dio, possono allargare il nostro rapporto con il Signore. Una cosa è certa: noi non conosceremmo il Padre se non facessimo esperienza di Gesù-uomo (Gv 1,18) perché l’ambito della nostra esperienza si compie e finisce entro i confini dell’umanità. Tutto il resto è, come dice lei, «mistero», ma non nel senso banale di non conosciuto o nascosto, ma nel senso di Tertulliano (sec. II) che traduce il paolino greco «mistero» con il latino «sacramento», cioè segno visibile di qualcuno che è oltre l’ordinarietà della nostra immaginazione. A me pare bello, comunque, sapere che, anche sulla preghiera, Gesù sia Maestro ed esempio perché solo così possiamo scoppiare come Tommaso: «Mio Signore e mio Dio». Un caro saluto e un abbraccio fraterno.

Paolo Farinella, prete, vecchio ma ancora
 in cammino

Maradona

Nel numero di maggio 2017 mi è saltato all’occhio l’articolo di Minà, un giornalista di cui ho la massima stima e che ho sempre seguito apprezzandone spesso le scelte mai facili. Detto questo, mi farebbe piacere scrivere a lui di non farsi tradire dalla voglia di enfasi perché alcune parti dell’articolo su Maradona gridano un attimo alla scorrettezza. Che l’Argentina, ad esempio, abbia perso il mondiale 1990 per scelte «superiori» mi sembra innanzitutto scorretto nei confronti della Germania vincitrice, e poi dimentica che, prima contro il Brasile e poi contro l’Italia, i biancocelesti avevano superato il turno perché fortunati dagli episodi di gara. E contro l’Inghilterra, il gol di mano non mi sembra testimoniare un presunto odio arbitrale. Quindi ritengo scorretto asserire che l’Argentina meritasse più di altri.

In generale nell’articolo, in particolare definendolo cocciuto nella lotta contro Equitalia lo disegna come un eroe che non è, dando una forma di schiaffo a tutti coloro che contro la burocrazia fanno battaglie senza avere casse di risonanza e soldi per avvocati. E magari l’avvocato dotato di testardaggine, è anch’esso alla facile ricerca della carriera in ascesa a difendere il Mito per eccellenza.

Maradona è stato un grande, Minà è un grande, ma per favore: non disegniamo il Pibe come un eroe, proprio no. In un mondo dove il trash sta imperando, non credo che il dono di raccontare bene le vicende della vita e i personaggi della storia, si possa sprecare preferendo fare il tifo piuttosto che mantenere l’equilibrio. Grazie.

Claudio Tartaglino
17/05/2017

Grazie da Dom Roque

Carissimo Paolo (Moiola, ndr), pace e bene a te. Ti ringrazio per il lavoro che fai per far conoscere la lotta e i sogni dei popoli indigeni del Brasile e l’impegno del Cimi. Qui ci dobbiamo confrontare con la Commissione d’inchiesta su Incra/Funai e i rinnovati attacchi contro i popoli indigeni e coloro che li aiutano. Molti missionari del Cimi sono stati posti sotto accusa e attaccati, ma siamo coscienti che non possiamo tirarci indietro proprio in questa ora che ci domanda di restare fermi nella lotta per superare questa macchinazione del governo che sta distruggendo i diritti dei poveri. Salutami i missionari. Con gratitudine.

dom Roque Paloschi
Porto Velho, 22/06/2017

Segnaliamo qui alcuni degli articoli più recenti dedicati alla causa indigena in Brasile: MC 07/2017, p. 10; MC 10/2016, p. 51; MC 1-2/2015, p. 51; 10/2015, pp.26-58; MC 11/2014, p. 27; MC 07/2013, p. 10; 10/2013, p. 21.

Carissimo professore

Lo scorso 6 giugno è morto a Quito, Ecuador, dove viveva da alcuni anni, François Houtart. Nato a

Bruxelles nel 1925, prete dal 1949, era teologo della liberazione e professore di sociologia nella famosa Università di Lovanio. È stato perito e consulente al Concilio Vaticano II, fondatore del Centro Tricontinentale per i rapporti Nord-Sud, del Forum mondiale delle alternative e del Forum sociale mondiale. Non amato da tutti a causa del suo spirito critico e delle sue posizioni politiche progressiste, Houtart si è sempre mosso all’interno della Chiesa cattolica. Da tempo era un amico e collaboratore di questa rivista. Di lui MC ha pubblicato articoli e lunghe interviste, l’ultima delle quali – raccolta a Quito nella sua modesta dimora (una stanza di pochi metri quadrati) – è apparsa nel giugno del 2016. Con François Houtart se ne va un persona di grandissimo spessore morale, culturale e umano. Ci mancherà.

Paolo Moiola e Marco Bello
24/06/2017

Banca Etica

Allora, cercherò di essere il più sintetico possibile e di non lasciare nulla di evaso.

1) Non sono mai stato socio, né tanto meno correntista, ma questo, per essere membri del G.I.T., allora non era nemmeno richiesto. Forse ora le cose sono cambiate.

2) Banche Armate: non ho mai capito le argomentazioni reali, segnalo solo che le banche già menzionate (Pop Emilia Romagna e Popolare di Sondrio) hanno fatto parte del pool che ha rinegoziato il debito di Finmeccanica nel 2015, come co-arrangers.

Popolare di Sondrio ha aumentato di 100 milioni di euro gli importi rispetto al 2015, mentre Bper li ha diminuiti a 40 rispetto ai 70 del 2015, scompare Bpm, ma questo è normale, essendoci stata la fusione col Banco Popolare, a sua volta parte del pool rinegoziatore. Dello stesso gruppo fa parte Banco Popolare Credito Cooperativo che nel 2016 riceve oltre 103 milioni di euro. Con le fusioni volute dal governo sarà sempre più difficile per una banca non partecipare al business degli armamenti.

Per un approfondimento del tema rimando al blog di Banca Etica «Non con i miei soldi» e all’articolo del 27/01/2015, «Banche armate a che punto siamo», di Giorgio Beretta che entra nel dettaglio delle argomentazioni offerte da Sabina Siniscalchi.

L’inchiesta per mafia in cui nel 2013 è rimasta coinvolta la Bcc di Borghetto Lodigiano insieme ad altre 2 Bcc, la Centropadana e quella di Offanengo, poi incorporata nella Bcc di Treviglio estranea all’inchiesta, è stata l’operazione Esmeralda.
Ho lasciato intendere che c’è una complicità di B.E.? Non mi pare, però proprio perché B.E. è tra i consulenti finanziari forse si imporrebbero dei criteri più stringenti almeno sui soggetti da finanziare, onde evitare cantonate clamorose come quella di Buzzi, che segna una debacle indelebile nella storia del gruppo. Cosa si insegna ai corsi di valutatori sociali? A non vedere certe cose? Meno male che non l’ho fatto.

Per quanto riguarda i fondi «valori responsabili» spiego come fare ad accedervi in modo che ognuno si possa fare un’idea del prodotto che stanno tentando di rifilargli e verificare se sono così in linea con gli standard etici. E se qualcuna non è incappata in qualche inchiesta un po’ inopportuna (tipo At&t negli Usa).

Si vada sul sito di Etica Sgr e si clicchi sui «nostri fondi». Una volta scelto il fondo, consiglio di analizzarli tutti, si clicchi su «portafoglio» e si scenda leggermente. Si troverà il Pdf con le imprese prescelte e con gli Stati inclusi. Non so se stati come Germania, Belgio e Olanda, possano definirsi virtuosi, forse dal punto di vista di un certo target di clienti dalle abitudini sessuali consolidate sì, per la Spagna ed il Portogallo si può chiudere un occhio, se non fosse che quello aperto nota che le rispettive economie non sono così solide ed i titoli del Portogallo sono ad alto rischio di insolvenza (rating BB, solo BBB- per la Spagna).

Quello che però è obbligatorio segnalare è l’improvvisa scomparsa dei rating sulle obbligazioni delle aziende che fino alla prima metà del 2016 era riportato e poi è improvvisamente scomparso. Questo vuol dire che l’investitore non è più in grado di farsi un’idea sul reale stato del debito di queste imprese.

Per quanto riguarda il Movimento 5 stelle non ho mai detto che controlla B.E., molto semplicemente andando sul loro sito si può appurare come Banca Etica sia stata la banca che hanno scelto sin dall’inizio anche per il deposito delle quote, e figura, sempre sul sito, tra le convenzionate per il famoso microcredito insieme ad altre, tra cui le «armate» Bnl, Unicredit e Banca Intesa.

Concludendo cito quello che fu il Catholich Ethical Balanced Found di J.P. Morgan, un tentativo fallito di fregare i cristiani che si accorsero presto di che natura era, di cui disse qualcosa il Corriere della Sera in un trafiletto che ancora oggi si può trovare sul sito di Etica Sgr. Approfonditene la storia […]. Spero di essere stato esaustivo, anche se mi piacerebbe scrivervi ancora.

Matteo Spaggiari
23/06/2017 

Su MC giugno 2017 abbiamo pubblicato una lettera di Matteo Spaggiari – seguita da una risposta di Sabina Siniscalchi – critica nei confronti di Banca Etica e di come essa fosse stata presentata nella rubrica Eticamente di MC aprile 2017. Come vedete, tempi lunghi! In seguito il sig. Matteo ci ha scritto due lunghe email, di cui pubblichiamo qui solo la seconda (come da lui stesso suggerito).

Il dibattito potrebbe andare avanti ancora a lungo, ma non penso che queste pagine siano lo strumento più adatto.

Esso è rivelatore della realtà difficile, contraddittoria e spesso torbida del mondo della finanza in cui, come cristiani, siamo sfidati a fare delle scelte controcorrente, chiare, trasparenti, secondo giustizia e onestà e per il bene della persona, soprattutto quella più debole e meno protetta.

Un’impresa chiaramente controcorrente come la Banca Etica fa fatica a crescere sia per la diffidenza di cui molti la circondano, credenti compresi, sia per l’oggettiva difficoltà (o impossibilità?) a distinguersi da un sistema finanziario infiltrato a tutti i livelli dai profitti sulle armi, gli investimenti ad alto rischio, le speculazioni finanziarie, il riciclaggio di denaro, il traffico di materie prime ed esseri umani, droga, terrorismo, pornografia e mafie varie.

Di fronte a questo dico grazie a chi, come il sig. Matteo, ci invita a vigilare, e nello stesso tempo voglio incoraggiare chi è impegnato in Banca Etica per una finanza a servizio dell’uomo. È una strada in salita che richiede di essere «furbi come serpenti e candidi come colombe», ma anche «tenaci come lumache».




Cari Missionari


Mama Ufariji

Bambini dell’Ufariji

Era il lontano agosto del 1979 quando per la prima volta volai in Kenya. Non era il classico viaggio turistico, era un viaggio diverso, speciale, organizzato per i missionari da Alda Barone che, facendoti visitare il Kenya, ti faceva conoscere la realtà delle missioni della Consolata, era insomma il viaggio che da anni sognavo di fare. L’itinerario della prima settimana prevedeva la visita di diverse missioni ed è così che, per la prima volta, ho avuto l’opportunità di incontrare e conoscere i missionari con i quali sono tutt’ora in contatto. Padre Adolfo De Col era a Kangeta (nel Meru) all’epoca e padre Giuseppe Quattrocchio era a Westland (Nairobi) a gestire il suo negozio con tanti oggetti che tu acquistavi per portarti a casa un pezzo di Kenya (ora sono tutti e due in casa madre a Torino, sempre arzilli nonostante gli anni si facciano sentire, ndr). A Kangeta ho tenuto a battesimo una bellissima bambina, Cristina, che ho potuto seguire per anni.

A quella prima esperienza ne seguì una nel 1982 sempre in agosto quando, con mio marito Gianni, siamo ritornati in Kenya per trascorrere alcune settimane nella missione di Kangeta. Viaggio indimenticabile anche perché eravamo a bordo del primo aereo che arrivava dopo il colpo di stato. Ma questa è un’altra storia. Il periodo a Kangeta è stato incredibilmente importante perché ha consolidato il mio rapporto con la congregazione che non ho più lasciato.

Sono poi trascorsi moltissimi anni, perché nel frattempo sono diventata mamma ed ho aspettato che mio figlio crescesse per poter ritornare con lui e far conoscere anche a lui quel mondo al quale sentivo di far parte. Così nel luglio 2000 siamo ritornati tutti e tre insieme. Il quarto viaggio risale al giugno del 2006 sempre per la durata di qualche settimana passando da una missione all’altra per reincontrare gli amici missionari e consolidare la nostra amicizia. Sono ritornata poi nel luglio del 2009 portando un’amica.

Bambini dell’Ufariji con Liliana Valle

Quando decisi di smettere di lavorare per poter finalmente realizzare il sogno che avevo nel cassetto per quasi 40 anni, e cioè di trascorrere un periodo più lungo in missione, ne ho parlato con un amico missionario che mi fece conoscere la Familia ya Ufariji (a Kahawa West, Nairobi) che visitai nell’aprile 2010. Qui vengono ospitati bambini che vengono trovati a vagabondare nelle strade, alcuni sono orfani, alcuni hanno famiglia ma la realtà nella quale vivono è talmente difficile che i genitori, magari anche alcolizzati, non sono in grado di provvedere loro.

Così ebbe inizio la più bella «avventura» della mia vita. Era il gennaio 2011. Trascorsi ben tre mesi con i «miei» ragazzi a Kahawa West. Certo non è stato così semplice all’inizio, ho dovuto farmi accettare dai ragazzi, con i più piccoli naturalmente è stato più facile, ma con i più grandi c’è voluto un po’ di tempo. Alla fine ce l’ho fatta, ed è stato veramente gratificante. Con i missionari e lo staff di Familia invece non c’è stato alcun problema, sono stata accettata da tutti con affetto e mi hanno fatto subito sentire parte della famiglia.

Da parte mia c’è sempre stata la massima disponibilità per aiutare in molteplici attività: cucire, lavare, cucinare, seguire i ragazzi nei compiti a casa, metterli a letto alla sera, ma soprattutto cercare di trasmettere loro tutto l’amore di cui ero capace e di cui avevano tanto bisogno. Insomma ero diventata «mamma Ufariji» per tutti.

Sono così ritornata l’anno successivo e quello dopo ancora. E così quest’anno è stato il mio settimo anno da keniana, perché ormai mi sento di esserlo al cinquanta per cento. I miei ragazzi sono cresciuti, i grandi sono usciti, perché a diciotto anni per legge si deve uscire dalla Familia; qualcuno è già papà, molti hanno trovato un lavoro, alcuni hanno finito gli studi universitari, altri stanno ancora studiando, pochissimi hanno scelto una strada sbagliata. Insomma, come in tutte le famiglie, ci può sempre essere una pecora nera. Ma il lavoro che hanno fatto negli anni i missionari è fantastico: hanno cresciuto i bambini con amore, li hanno fatti diventare uomini e hanno fatto il possibile per prepararli alla vita che dovevano affrontare. Negli anni si sono aggiunti altri piccoli che hanno arricchito la famiglia ed hanno contribuito alla sua continuità come realtà molto importante per la loro crescita.

Certo che di soddisfazioni ne ho avute ed in abbondanza. Ho tanti episodi che ricordo con piacere che mi fanno capire di essere stata utile ed il mio lavoro necessario. Mi sopravvaluto? Spero di no, gli abbracci dei ragazzi quando mi accolgono al mio arrivo, i contatti che continuo ad avere con i più grandi anche se sono già usciti, il rapporto bellissimo ed affettuoso con i missionari e lo staff mi fa dire che ho scelto e seguito la strada giusta, che spero di poter proseguire per molti anni ancora, fino a quando il buon Dio continuerà a regalarmi una buona salute.

Liviana Valle
o, meglio, mamma Ufariji, 17/05/2017

Complimenti

Complimenti, padre Gigi, per «Interrogativi» (MC 4/2017), così puntuale, limpido, e ricco di indicazioni e di suggerimenti. E soprattutto di «chiamate a correo» (richiamo alla corresponsabilità, ndr) quanto mai opportune e necessarie. Cordialmente.

Ferdinando Albertazzi
18/05/2017

Grazie dei complimenti. Sono un incoraggiamento a fare ancora meglio. Ci proviamo con l’aiuto di Dio e mettendoci il cuore.


Capitolo generale

Spett.le Direttore Missioni Consolata,
ho dato una scorsa alla vostra rivista di maggio, notando che sul Capitolo in corso avete dedicato solo l’editoriale e un trafiletto a pagina 7. Data l’importanza del Capitolo per l’istituto, mi sarei aspettato maggiore spazio ad esso dedicato, almeno il documento redatto dal padre generale di preparazione e programmazione, debitamente commentato.

Don Pietro C.,
vostro lettore, 12/05/2017

Essendo io stesso membro del capitolo generale, mi sono trovato un po’ «inguaiato» da un accumularsi di impegni da portare a termine prima dell’inizio del capitolo stesso il 22 maggio, senza avere il tempo materiale per fare quello che lei ha suggerito e che anch’io avevo pensato: una presentazione articolata dei punti forti del dibattito capitolare, in una maniera comprensibile a tutti. Ho optato per l’editoriale nella speranza di riuscire poi, durante e, soprattutto, dopo il capitolo, a condividere con i lettori e gli amici il cammino che sarà fatto. Grazie per il suo accompagnamento nella preghiera, affinché, come ha scritto al nostro padre generale «la Consolata, quale Madre del suo istituto e Consigliera mirabile, vi consoli aiutandovi a realizzare al meglio i lavori di preparazione, di esecuzione e attuazione del poderoso impegno capitolare».

Le sto scrivendo (a inizio giugno) in uno dei pochi momenti liberi del capitolo, al quale sono stato, tra l’altro, l’ultimo ad arrivare per poter partecipare il 21 maggio alle cresime dei ragazzi della parrocchia in cui sono viceparroco a Torino.

Siamo riuniti a Roma in 45 missionari: 23 africani, 8 latinoamericani e 14 europei. Rappresentiamo missionari di 23 nazionalità diverse che lavorano in 26 paesi in quattro continenti (non abbiamo nessuno in Oceania). Nel cuore portiamo la passione per la Missione, che è opera di Dio e non nostra, e che vorremmo servire con dedizione e «professionalità». Siamo coscienti che per fare questo servizio nella Chiesa non basta la buona volontà e non servono operazioni cosmetiche, ma ci viene richiesta una vera conversione, a cominciare da noi stessi.

Quasi in contemporanea con noi, anche le nostre sorelle, le missionarie della Consolata, dal primo maggio, stanno facendo il loro capitolo, occasione di grazia per rilanciare con coraggio il loro servizio alla Missione come impegno a vita che le porta a uscire dai propri paesi di origine per l’annuncio del Vangelo ai non cristiani. Hanno già rieletto la loro superiora generale, confermando suor Simona Brambilla per un altro sessennio ed eletto un nuovo consiglio. A loro va la nostra vicinanza nella preghiera, nella condivisione della stessa vocazione, dello stesso carisma e degli stessi fondatori, il beato Giuseppe Allamano e la Vergine Consolata.

Mentre le scrivo siamo a metà del capitolo. Quando questa rivista sarà nelle sue mani avremo già concluso e saranno stati eletti (o rieletti) i membri della nuova direzione generale. Sul numero di agosto-settembre della rivista spero proprio di raccontarvi qualcosa dal di dentro di questo evento così importante per noi.

Eucarestia con il Card Pietro Parolin, segretario di Stato del Vaticano

 

Mancanza di serietà?

Buongiorno,sono scandalizzato da due testi apparsi sull’ultimo numero della vostra rivista (MC maggio 2017): a pagina 8 si parla dei Dalit, ma non si dice cosa siano. Sono persone costrette a togliere dalle latrine delle altre caste le feci umane, spesso a mani nude, ecc. (v. la vostra rivista del marzo 2016). Alla pagina successiva, sotto il titolo che sembra sarcastico di «Libertà religiosa», si parla delle attività religiose in Cina, senza dire le cose essenziali: innanzitutto la libertà religiosa lì non esiste affatto, nemmeno sulla carta. Anzi, i veri credenti sono puniti coi lavori forzati nei laogai, con le torture e la pena di morte. Perciò vi chiederei perlomeno, nel prossimo numero, di scusarvi per la disinformazione, e soprattutto di trattare quei temi, magari succintamente, ma con la dovuta serietà. Cordiali saluti, in Cristo. Nel frattempo sospendo ogni mio finanziamento alla vostra rivista, nella speranza di poterlo riattivare.

dott. Carlo C.
15/05/2017

Caro dott. Carlo,
saluti a lei. In verità la sua email mi ha sorpreso. Ammetto che il semplice titolo «Libertà religiosa» non è forse esaustivo, ma certo non è sarcastico. I contenuti della breve notizia sono molto chiari e non lasciano dubbi. Quanto ai Dalit, non sono sconosciuti ai lettori di MC; lei stesso ci ricorda l’ultima volta che ne abbiamo parlato in un articolo ben documentato sulla loro condizione. Lo stile delle notizie in quella rubrica è molto scarno ma non superficiale, e i titoli devono essere brevi.

Onestamente non pensiamo di essere stati ingiusti verso i Dalit né superficiali su un tema grave come quello della libertà religiosa cui dedichiamo da anni ampio spazio, né scorretti con i nostri lettori che proprio dalla nostra pubblicazione ricavano informazioni spesso ignorate dagli altri media. Certo, non siamo esenti da errori, ma le assicuriamo che cerchiamo di fare il nostro servizio di informazione con amore alla verità e profondo rispetto per le persone di cui scriviamo e per i nostri lettori.

Sorpresa e tristezza

Con sorpresa ho visto la pubblicità sul quotidiano «la Stampa» di martedì 16 maggio u.s. con la richiesta di sostenere le Vostre opere in varie parti del mondo. Purtroppo i brutti articoli apparsi su «la Repubblica» riguardanti le lotte intestine nel vostro istituto (Roma contro Torino) ed il mormorio negativo tra i cittadini non lasciano immaginare pensieri benevoli nei vostri confronti da sempre considerato dai piemontesi ente con un alto impegno verso i più deboli. Chiedo scusa ma è lo sfogo di una persona che da generazioni ha sentito parlare delle vostre attività meritorie e ne ammirava l’operato. Con ossequio.

Fiorella Comoglio
22/05/2017

Gentile Sig.ra Fiorella,
ho ricevuto la sua email piena di tristezza alle notizie apparse su «la Repubblica». Quegli articoli hanno fatto male anche a noi. Le garantisco che molti missionari hanno pianto di fronte a quelle notizie che, pur avendo un fondo di verità, vengono presentate in modo da infangare tutto l’istituto. Le posso comunque assicurare che non c’è alcuna lotta intestina tra i missionari di Roma e quelli di Torino, solo un faticoso cammino per gestire con trasparenza, onestà e responsabilità, un bene sul quale l’istituto ha investito allo scopo di sostenere le sue opere in missione e i suoi missionari anziani.

Gli errori (probabilmente anche in buona fede) di alcuni missionari, non intaccano l’impegno generoso per i più deboli di centinaia di missionari della Consolata. Come direttore della rivista e impegnato nella comunicazione da quaranta anni, e come missionario che ha passato 21 anni in Kenya, conosco bene il lavoro dei miei confratelli e so come la maggior parte di loro abbia veramente donato tutta la vita e la stia dando ogni giorno per testimoniare il Vangelo ed essere con i poveri e per i poveri. Vivendo ora in Casa madre a Torino, le assicuro che è per me una sofferenza grande vedere alcuni di loro tornare dalle missioni consumati, con una sola valigia (perché hanno dato tutto e lasciato poi tutto laggiù) e malati. Sono davvero testimoni viventi di una dedizione che nessuno scandalo può cancellare.

Vorrei, tramite la rivista e anche la piccola campagna che abbiamo fatto per il 5×1000, continuare a dar voce all’«erba che cresce in silenzio», come i molti miei confratelli che continuano a dare la loro vita per servire la Missione di Dio, senza farmi spaventare dal fragore dell’«albero che cade».

 




Di “Banca Etica” e una domanda: “Siete ancora cattolici?”


Etica o non etica?

Carissimi Missionari,
Vi scrivo dopo aver letto l’articolo vergognosamente autocelebrativo di Sabina Siniscalchi riguardo Banca Etica (MC 04/2017 pag. 22), entità di cui posso dire qualcosa essendo stato membro del Git (Gruppo di Intervento Territoriale) di Novara durante il triennio 2011-2014 (oltre che socio singolo di Libera) le cui vicende non ho mai smesso di seguire riservandomi di scrivervi ancora per esaurire l’argomento, in più è diventata la banca d’appoggio del M5S quindi ha fatto il suo ingresso in politica.

Parto da quel «di Banca Etica fa parte Etica sgr…». Chiariamo subito, Banca Etica è azionista di maggioranza (da circa due anni detiene il 51%) di Etica sgr che venne fondata il 5/12/2000 grazie alla partecipazione dei seguenti soci:

– Banco Popolare di Milano (Bpm), secondo azionista col 24,44%;
– Cassa Centrale Bcc nordest,10,22%;
– Banca Popolare dell’Emilia Romagna (Bper), 10%;
– Banca Popolare di Sondrio (Bps), 9,87%.

Bene cominciamo subito col chiarire che ritroviamo ogni anno Bpm, Bper, e Bps incluse nelle tabelle del Mef delle cosiddette Banche Armate, così note ai partecipanti del mondo etico. Paradossale poi che Bper abbia ricevuto fondi anche per gli arcidiscussi F-35. Banca Etica a Novara faceva parte del coordinamento no F-35 insieme alla partner Libera.

A queste aggiungiamo Bcc Cernusco sul Naviglio che viene indicata da Etica sgr tra i promotori dei «fondi etici».

Proprio tra questi collocatori ancora adesso vediamo ben due banche coinvolte in inchieste per mafia: la Bcc di Borghetto Lodigiano e la ancora più famigerata Bcc sen. Grammatico di Paceco (a sua volta tra quelle convenzionate col M5S per il famoso microcredito) commissariata per infiltrazioni mafiose il 16 novembre dopo 6 anni di indagini e dopo che nel 2013 avvennero i primi sequestri di beni. Questa vicenda meriterebbe un servizio a sé.

Sempre a proposito di mafia ricordo che Banca Etica è stata, insieme ad Unipol e Banca prossima, tra le principali finanziatrici della cooperativa 29 Giugno di Salvatore Buzzi e che Libera sui suoi bollettini indicava sempre Unipol e Banca Etica, anche sponsor dei Circoli Arci. Vogliamo rinfrescarci la memoria solo sulle vicende Bpm ancora in corso? Ci fu il caso dell’«obbligazione» convertendo 2009-2013 che vide 15.000 risparmiatori perdere tra il 50 ed il 70% del capitale investito, mentre nel 2012 Ponzellini, da presidente della Banca, venne arrestato durante l’inchiesta sui finanziamenti all’Atlantis Plus di Corallo, processo ancora in corso. Poi, il 17/04/2015 arriva la condanna per anatocismo. Ma il dato più clamoroso, e su questo per ora chiudo, è che la gestione dei fondi etici è stata affidata a quell’Anima Sgr di cui dovremmo sentire parlare tutti i giorni essendo stata creata grazie all’accordo (oltre che con Clessidra sgr) con un certo Monte dei Paschi di Siena più Credito Valtellinese + … Banca Popolare di Etruria e Lazio.

In seguito parleremo dei fondi etici e delle argomentazioni che possono scaturire da un’approfondita analisi del mondo etico. Grazie

Matteo Spaggiari
Novara, 12/04/2017

Ricevuta questa email, ci è sembrato giusto girarla immediatamente a colei che aveva scritto l’articolo incriminato.


La risposta di Sabina Siniscalchi

Egregio Sig. Spaggiari,
dalla nostra anagrafica non risulta che lei sia stato socio di Banca Etica, pertanto non può essere stato componente del Git di Novara, tuttavia rispondiamo ugualmente alle sue pesanti critiche per rispetto dei lettori di Missioni Consolata.

Banca Etica ripudia la guerra e da sempre offre ai propri soci e clienti la garanzia che il loro risparmio non viene investito in imprese che operano nel settore degli armamenti. Anche Etica Sgr, società del Gruppo, adotta da sempre severi criteri per la scelta degli investimenti, tra cui la totale esclusione di società coinvolte nella produzione di armamenti o parti di essi. 

Ma il nostro impegno è anche quello di fare pressione sul resto del mondo bancario, per questo siamo stati tra i promotori della campagna «banche armate», di tante altre iniziative contro la guerra e gli armamenti, incluso, come lei stesso ricorda, il coordinamento contro gli F-35 di Novara.

Questa azione è complessa e faticosa, ma non ci siamo mai esentati dal portarla avanti pur tra mille difficoltà. Anche la compartecipazione di altre banche in Etica sgr – società di cui abbiamo il pieno controllo detenendo il 51% delle azioni e nominando la maggioranza dei consiglieri – ha proprio questa funzione di contaminazione e di influenza perché si producano cambiamenti significativi nel sistema finanziario e delle imprese.

La nostra azione di persuasione morale ha già prodotto risultati concreti: le banche socie di Etica Sgr hanno adottato politiche sugli armamenti che includono la piena trasparenza e la graduale dismissione dal comparto, alcune di esse figurano ancora nella relazione ministeriale ex legge 185 (che è sempre più opaca come denunciano i nostri amici di Rete Disarmo) perché hanno acquisito banche più piccole operanti nel settore.

Potremmo accontentarci di fare bene il nostro mestiere, vale a dire la finanza etica, chiuderci nella nostra nicchia e non farci contaminare da nessuno, ma la nostra aspirazione, quella dei nostri soci e dei nostri clienti, è ben più grande: è la volontà di impegnarsi per cambiare un sistema che produce ingiustizia e sofferenza.

Uscire dal guscio comporta tanta fatica e qualche errore. A tale proposito le segnalo che  la magistratura ci ha espresso sincero apprezzamento per la collaborazione offerta nell’inchiesta Mafia Capitale che non ci ha visto tra i colpevoli, ma tra le vittime.

Nel 2016, Banca Etica ha realizzato un utile di 4 milioni e 318 mila euro (l’utile del Gruppo raggiunge i 6 milioni), ha raccolto 1 miliardo e 227 milioni di risparmio con un incremento del 15% rispetto all’anno precedente e ha concesso 970 milioni di finanziamenti a progetti di sviluppo sociale e ambientale: si tratta di risultati piccoli rispetto ai volumi della finanza tradizionale, ma sono il segnale che un’altra finanza è possibile.

Finisco col dirle che Banca Etica non è controllata né dai 5 Stelle né da nessun altro partito o movimento politico, ma è orgogliosa di essere una banca cooperativa in cui gli oltre 40.000 soci contano tutti allo stesso modo – secondo il criterio di una testa/un voto – indipendentemente dalle quote di capitale possedute; proprio questi soci, partecipando alla vita della banca attraverso i Git, ci aiutano a non tradire mai la nostra missione e i nostri valori.

Sabina Siniscalchi

Siete ancora cattolici?

Gentile Redazione,
ho letto il giusto richiamo ai lettori a sostenere le spese di stampa e spedizione per la rivista. Premetto di sapere di non essere un lettore/finanziatore modello. […] Fatto sta che io la rivista la ricevo, la leggo e la faccio anche leggere. Vorrei fare però delle considerazioni. Con spirito costruttivo. […]

Dunque, io dopo varie vicissitudini sono arrivato (anzi dovrei dire tornato) ad accogliere il cristianesimo (ovviamente cattolico e romano, da italiano) in maniera convinta e oserei dire anche filiale. So cosa vuol dire essere scettici e critici verso il clero cattolico, perché lo sono stato anch’io. Non ho paura della critica anche perché alla fine permette di smascherare le menzogne. Ma trovo che nel mondo ecclesiale ci siano certi partiti presi, e certe posizioni che richiedono di mettere i puntini sugli «i».

Sono tempi in cui c’è chi sostiene che Gesù non abbia mai detto nulla contro l’omosessualità e con ciò imbastisce una sua pseudo teoria dell’accoglienza dei gay. Poi abbiamo chi dice che Gesù va interpretato perché non diceva cose universali, ma inserite nel suo tempo e con ciò imbastisce una pseudo pastorale del mondo moderno.

Per quanto riguarda la stampa missionaria italiana lo scenario è desolante (pensando alla situazione di solo 10 anni fa). Popoli ha chiuso. Africa ha cambiato redazione e si è subito esibita nell’elogio del matrimonio omosessuale. Ora sul sito di Missioni della Consolata vedo una bella bandiera arcobaleno a sette colori (per fortuna!). Ma perché non spiegate quale è la differenza con la bandiera arcobaleno a 6 colori? Almeno si eviterebbe la confusione di credere che la rivista si vuol far riconoscere come gay friendly. Voglio sperare che sia così, vero? Non crede che ci sia già una gran confusione in giro e che il clero debba fare chiarezza secondo il mandato di Gesù?

Nella rubrica «Insegnaci a pregare» di gennaio leggo: «Chi scrive, e quasi certamente chi legge, proviene da una formazione catechistica deformante che ci ha educati più all’ateismo pratico che allo spirito del Vangelo», ecc. Ma insomma è mai possibile che il culto di questo benedetto Concilio Vaticano II arrivi al punto di tale disprezzo dell’esercito di buoni cristiani che hanno tramandato la fede ai propri figli, amici e compaesani? Non è che don Farinella si sia un po’ montato la testa a credere di poterne sapere più di una nonna che insegna il rosario ai nipotini perché lui ha la laurea al Biblico di Roma? Ma si rende conto di cosa sta dicendo? È veramente sicuro lui di saperne di più di pedagogia? Mi sembra che l’insegnamento di Gesù suggerisca di dar più retta alla nonna pia che al plurilaureato in teologia.

Vivo in Germania e quindi sono immerso nel cattolicesimo critico, talmente critico che si elogiano tutti gli altri tranne la Chiesa Cattolica sempre presa di mira dai «teologi» (chissà perché hanno studiato tutti a Tübingen…). Qui da me guai a citare il KKK (Catechismo della Chiesa Cattolica). È tutto un «cercare», «sentire lo spirito», «rimanere in ascolto», ma mai e poi mai si deve poi trovare o sentire qualche cosa. Salvo che lo abbia sentito e trovato qualche «teologo» […].

Lascio stare i retroscena e le «manovre» riguardo al passato Sinodo della famiglia e relativo documento venuto dopo. Parlo dei retroscena che ho visto e vissuto e che abbondantemente superano la soglia di lealtà verso chi crede che in 2000 anni di cristianesimo, innumerevoli martiri e santi abbiano da insegnare qualche cosa di più dell’ultimo «teologo». Il quale sì «ha coraggio e fede nello Spirito» (ci dice don Farinella), mentre i catechisti di prima erano tutti storditi e non sapevano di essere complici di «un clero incapace (sic!) che ha dato vita a una catechesi inadeguata guardando più alla quantità che alla qualità».

Vorrei sapere se il mio sperare in una rivista di sicuro indirizzo cattolico è ben posto perché sinceramente tutta questa «catechesi al contrario» è di una noia mortale.

Ho una figlia di undici anni e, dopo aver parlato con la responsabile della pastorale della parrocchia e con l’insegnante scolastica di religione, ho deciso di prendere i tanto vituperati catechismi e trasmettere a lei l’Abc della fede. Mi vanno bene tutti i catechismi, dall’ultimo compendio a quello tridentino, che, fino a prova contraria, hanno ottenuto più risultati in quantità e qualità dei «teologi» che hanno studiato pedagogia.

Mi scusi lo sfogo, ma non se ne può più. Un po’ di umiltà non farebbe male. Per il resto la rivista è sempre più di geopolitica (adesso come adesso l’aspetto che preferisco), sociologia, relazioni internazionali, ma sempre meno di formazione Cristiana (il sottotitolo è ancora Rivista missionaria della famiglia). Sono capaci tutti a dare la colpa agli altri. Potrei andare avanti ma forse sono già stato troppo noioso e mi fermo qui. Faccio la mia offerta ma sono alquanto deluso, anche se speranzoso. Cordiali saluti

Andrea Sari
21/04/2017

Caro Sig. Andrea,
ho pubblicato la sua lettera dall’A alla Z. Ho cercato di comprendere il disagio che lei prova e cerco di rispondere con la sua stessa franchezza.

Avrà visto che ho cambiato il fondo del link allo sfogliabile per evitare equivoci. Ma ho pensato: «Cavolo, mi hanno rubato l’arcobaleno!». Sarà che sono stato abbastanza fuori dall’Europa, ma l’arcobaleno a me ricorda sempre e solo quello di Noè (Gen 9) ed è un motivo di gioia, anche se ai miei amici keniani dava tristezza perché «portava via la pioggia».

Le pagine di don Paolo Farinella fanno certamente discutere per alcuni suoi commenti sulla vita della Chiesa, ma offrono soprattutto il pane buono e solido della Parola di Dio trattando i lettori da cristiani adulti nella fede (vedi 1 Cor 3,1-3 in parallelo con Eb 5,13-14).

Quanto al Vaticano II, mi sembra che in realtà succeda il contrario di quanto lei scrive: lo si rifiuta nel nome della «Tradizione» della Chiesa. Ma quale «Tradizione»? Non è forse una scelta di parte quella di prendere dalla «Tradizione» quello che piace? Accogliere lo spirito del Concilio è essere innestati nella fede antica e solida della Chiesa per viverla nell’oggi e non è certo disprezzare la fede semplice e genuina della «nonna». Ce ne fossero ancora tante di quelle nonne. Vorrei avere io la fede genuina, forte e operosa che ho visto vivere da persone che fanno parte della mia infanzia.

A oltre 50 anni dal Vaticano II, si può dire senza paura che quel concilio è stato un grandissimo avvenimento di grazia per la Chiesa e appartiene a pieno titolo all’autentica «Tradizione». Vi parteciparono oltre 2.000 vescovi di tutto il mondo, un papa che ora è santo, un altro che ora è beato, e altri tre futuri papi, di cui uno, Giovanni Paolo II, anch’egli santo e un altro che ha poi fatto la scelta coraggiosa e inedita di dimettersi. Hanno sbagliato tutto? Sono stati meno «Tradizione» dei 25 vescovi e 5 superiori generali presenti all’inizio del Concilio di Trento nel 1545 o dei 255 dell’ultima sessione del 1563?

Quanto a noi cerchiamo di essere profondamente ancorati alla Parola di Dio e all’insegnamento della Chiesa, di cui il Vaticano II è un pilastro. E lo facciamo con amore e passione per la Chiesa, ringraziando lo Spirito di vivere in questo nostro tempo di Grazia.

Nella rivista, siamo coscienti di correre il rischio di essere troppo sociali, ma siamo convinti che l’autentico annuncio del Vangelo deve tener conto di «tutto l’uomo», non solo della sua dimensione spirituale. Nello stesso tempo non ci siamo mai tirati indietro nell’affrontare argomenti che riguardano la fede e la vita della Chiesa.

Cerchiamo di servire la verità nella carità senza seguire la moda o cercare popolarità, consci di non essere tuttologi e di avere tanto da imparare. Grazie.




Cari Missionari

Fratel Carlo Zacquini, Alla vigilia degli ottant’anni

Pasqua è vicina e mi faccio vivo per dare alcune notizie e per fare i tradizionali auguri pasquali. Ho deciso di fare un brevissimo riassunto della mia vita, approfittando anche delle riflessioni che la quaresima ci ha proposto.

A vent’anni (1957) ho fatto la prima professione religiosa alla Certosa di Pesio. Con 27 anni sono partito per Roraima (1964). Due giorni prima dei 28 ho conosciuto il primo gruppo di Yanomami. Ai primi di gennaio del 1968 ho cominciato la mia vita tra di loro. Se in questi ultimi decenni non sono migliorato granché, certamente non è dovuto agli Yanomami.

In questi ultimi tempi, sono assillato dalla necessità di far conoscere a molti la loro causa, e di aiutare almeno qualcuno di essi a prepararsi per difenderla con qualche competenza. Oggetto di questa mia attività sono giovani e vecchi, studenti e non, indigeni e non indigeni che si affacciano alla soglia della storia moderna con le qualità e i difetti del tempo attuale. I giovani missionari pure fanno parte di questa preoccupazione.

La sfida che rappresenta il futuro di questi popoli (indigeni) pare sempre più ardua e complicata, ma almeno, al contrario di quanto si pensava qualche decennio fa, è possibile, e pare condivisa da sempre più persone.

Nel mio piccolo, grazie anche a molti di voi e in vostro nome, porto avanti il Centro di Documentazione Indigena dei Missionari della Consolata in Amazzonia. Col vostro aiuto ho potuto assumere dei collaboratori, tra i quali anche un indigeno (makuxi); abbiamo raccolto e registrato 2490 libri; alcune altre centinaia sono in attesa; circa 2000 riviste sono registrate; decine di migliaia di ritagli di giornali sono in relativo ordine e li stiamo scansionando; migliaia di documenti sono stati classificati e in parte registrati; centinaia di video cassette e cassette sono in parte digitalizzate e altre in attesa di esserlo; documentari, reportage, testimonianze, canti, rituali, racconti, ricerche storiche e di antropologia; alcune migliaia di fotografie, negativi, diapositive, sono state digitalizzate.

Sono sicuro che, nella fretta, sto dimenticando altre cose, ma quello che è più importante è che mi fate sentire orgoglioso di avere degli amici come voi, capaci di donarsi e di donare continuamente, a costo del proprio conforto, per aiutare persone e popolazioni che sono lontane da voi, dimostrando una enorme fiducia in persone come me che con maggiore o minore competenza e efficacia tentano di cambiare in meglio un pezzetto di questo nostro mondo. Mi sento tanto debole e incapace di risolvere i grandi e gravi problemi che mi si pongono davanti quotidianamente, ma la vostra vicinanza, il vostro affetto e la vostra collaborazione effettiva, continuano a darmi coraggio e a far sì che pur nella mia debolezza possa continuare a lottare e a sperare di essere di aiuto, almeno a qualcuno dei tanti che ne necessitano. Vi invito anche, questa volta, ad unirvi a me per ringraziare il Cielo che mi ha portato ormai alle soglie degli ottant’anni (che compirò il 3 maggio). Inoltre, a ottobre ricorderò anche i sessant’anni di professione religiosa. Sembra sia stato ieri, eppure sono ormai un bel mazzetto di anni come missionario della Consolata. Il 21 marzo scorso, Luis Ventura, il nostro carissimo amico, ha anche difeso la sua tesi di dottorato in antropologia, all’università di Madrid. Spero possa presto tornare a lavorare con noi.

Sono sicuro di non aver scritto tutto in modo chiaro e corretto, ma purtroppo non ho più tempo per rivedere e correggere. Mi riprometto in breve, di farlo dove necessario e completare le informazioni che so che vi stanno a cuore. Io sto bene, e spero che lo siate tutti voi! Buona Pasqua. Vi abbraccio con tanto affetto.

Carlo Zacquini
04/04/2017


Da Neisu

Cari amici ed amiche,
Approfitto del tempo di quaresima per ringraziarvi di tutto ciò che fate per la Missione.

Qui a Neisu questo mese di marzo potrei dire che è stato il mese dei Pigmei. Due settimane fa tre di loro sono arrivati all’ospedale per farsi curare dalla malaria. Provenivano da un territorio «vicino», a una cinquantina di chilometri da qui, passando per le scorciatornie della foresta.

La dottoressa Serafina, facendo gli esami clinici, si è accorta che tutti e tre avevano delle ernie da operare ed allora sono state programmati interventi speciali per i loro casi, al di fuori ed in più di quelli già in lista il martedì e giovedì. Si è così operato anche il mercoledì. I nostri tre uomini sono giunti, come d’abitudine, solo con la maglietta che avevano indosso e senza nulla da mangiare (qui sono le famiglie degli ammalati che provvedono al loro cibo cucinato sotto una grande tettornia dove ciascuno può accendere il suo fuoco). I Pigmei sono seminomadi e vivono di pesca, caccia e frutti di stagione, sovente raccolti nei campi privati creando problemi ben immaginabili con i proprietari dei campi in questione… Noi li abbiamo assistiti nel centro nutrizionale, ma siccome non hanno le stesse abitudini culinarie dei Bantu (la maggioranza della popolazione) e sono abituati a cucinarsi essi stessi i propri pasti, hanno creato parecchi problemi. Per fortuna la moglie del capo villaggio li ha accolti preparando lei stessa i pasti per loro.

Le operazioni chirurgiche sono ben riuscite. Per l’occasione li abbiamo dotati di vestiti ospedalieri (che abbiamo ricevuto in dono dal Canada) e ho poi aggiunto per ognuno un paio di calzoni e dei sandali, un perizoma e un lenzuolo. Visto che loro avevano ricevuto i vestiti in regalo, la signora che li aveva assistiti, vedendo che non aveva ricevuto nulla, ha chiesto un abito locale anche per sé. Gliel’ho dato, ma per stuzzicarlo un poco, ho fatto notare al capo villaggio che lui stesso avrebbe dovuto fornire il vestito alla sua signora. La risposta? Che il mio regalo sarebbe servito benissimo per il giorno del funerale della sua signora.

I Pigmei, una volta guariti, sono rientrati nella loro foresta a piedi, dopo aver ricevuto qualche provvista per la strada di ritorno. Come si dice: «Un regalo ne attira un altro». Per completare il tutto la settimana scorsa, una mamma pigmea ha partorito con taglio cesareo il simpatico bimbo che potete vedere nella foto. Come potete constatare ci prendiamo proprio cura dei «più piccoli». Tutto ciò anche grazie a voi.

Richard Larose imc
27/03/2017, Ospedale di Neisu, Rd Congo


A Cecilia

Caro Padre Gigi,
in questi giorni ho scritto alcuni pensieri in vista del compleanno di mia nipote Cecilia, figlia di mio fratello, che compirà 22 anni il 20 aprile prossimo. Naturalmente mia mamma, abbonata a Missioni Consolata dagli anni Cinquanta fino al 2007, sarebbe molto felice di leggerli dalla «vita nuova» in cui si trova. Cari saluti

Di te dirò che le parole di mamma Franca, dopo la tua nascita, «Cecilia è un miracolo della vita»,
sono rimaste indelebili e saranno indimenticabili!
Di te dirò che la felicità di papà Delfino nel tenerti fra le sue forti braccia, piccolina, sempre terrò fra ciò che ho di più caro nel profondo.
Di te dirò che il grido di gioia per l’arrivo della nonna Cleofe, in occasione dei tuoi quattro anni, sempre terrò tra i ricordi.
Di te dirò che il tuo sguardo accorto e sagace ininterrottamente ricorderà il tuo nonno Vittorio, uomo molto buono e puro di cuore.
Di te dirò che allo straordinario mondo dell’arte ti sei avvicinata e che nel corso della vita esso ti stupirà con le sue meraviglie.
Di te dirò che la varietà dei colori e delle loro sfumature ti ha di continuo accompagnata, dall’astuccio, alla cassettiera e al make up policromo.
A te dirò in occasione del tuo compleanno, opportunità irripetibile per rinnovare i sogni e ridefinire i progetti, auguri magnifici e mirabili!

Zia Milva C.
20/04/2017


Auguri Donna

Ogni Donna è un delicato fiore che senza ossigeno muore.
Il suo profumo è pregiato se non è dall’esterno alterato.
Le basta una dolce carezza per avere coraggio e certezza e con un sincero bacio scorda dubbio e oltraggio.
È sicura, forte e trasparente quanto una pura sorgente.
Con le sue ali da libellula rende la realtà più bella.
S’inchina al destino quando non è meschino.
È figlia di Madre Natura forgiata nella stessa natura.
È Madre d’un creato all’origine designato.
È la speranza senza fine dell’Amore che non ha confine!

Piera Angela Feliciani
08/03/2017, Martinengo (Bg)


Capitolali dalle comunità d’Europa con la Direzione generale.

Verso il Capitolo Generale

Carissimi/e
con grande gioia veniamo a voi per comunicarvi che quest’anno il nostro Istituto Missioni Consolata celebrerà il suo tredicesimo Capitolo Generale, a Roma dal 22 maggio al 20 giugno 2017. Il capitolo verterà su due temi essenziali: la rivitalizzazione e la ristrutturazione.

Rivitalizzazione intesa come stimolo per ogni missionario alla fedeltà al carisma, amore e qualificazione della missione ad gentes, tensione alla santità dei singoli missionari e donazione nel servizio all’annuncio ai non cristiani, all’attenzione agli ultimi, all’apertura ai nuovi areopaghi.

Ristrutturazione intesa come parziale modifica della nostra organizzazione non più totalmente centralizzata, ma distribuita a livello continentale.

Approfitto dell’occasione per chiedervi di tenerci presenti nella vostra preghiera, affinché il capitolo generale sia un momento dello Spirito, in cui tutti i membri siano disposti ad accogliere il nuovo che Lui vorrà suggerire alla Chiesa e all’Istituto. La Vergine Consolata e il nostro beato fondatore, Giuseppe Allamano, ci siano di guida e ci spronino alla fedeltà alla missione evangelizzatrice della Chiesa nel mondo di oggi. Grati e sicuri della vostra preziosa preghiera, vi salutiamo nel Signore.

Padre Stefano Camerlengo,
superiore generale dei missionari della Consolata
Roma, 19 marzo 2017

Assemblea precapitolare latinoamericana in Bogotà, Colombia.




Cari Missionari


Dallo Swaziland

Carissimi amici,
vi scrivo per ringraziarvi di cuore per le vostre preghiere e anche per il contributo che non mi fate mai mancare e che mi permette di portare avanti dei piccoli progetti di sviluppo a favore della gente che il Signore ci ha affidato in questa terra dello Swaziland.

Dopo aver consegnato alla diocesi e al clero locale le parrocchie di Madadeni, in Sudafrica, evangelizzate e sostenute per 25 anni dai missionari della Consolata, ci siamo trasferiti in Swaziland. La nostra comunità è composta da padre Francis Onyango, padre Peterson Muriithi e dal sottoscritto.

Dopo essere stati ospitati in alcune parrocchie per lo studio della lingua Siswati, strumento indispensabile per il nostro servizio missionario, ci siamo trasferiti in un ex convento a Manzini, dove attualmente risiediamo.

 

Lo Swaziland è un piccolissimo stato dentro il territorio del grande Sudafrica, ed è una monarchia assoluta. La regione è reduce da un periodo di siccità che ha causato disagi fra la povera gente che vive di ciò che coltiva.

Le recenti piogge non sono sufficienti a far maturare i prodotti della terra e purtroppo prevediamo che in molti non avranno raccolti buoni e che ci sarà un periodo di carestia. Staremo al fianco delle famiglie e con loro condivideremo il poco che abbiamo. Il Vescovo di Manzini, Monsignor José Luis Ponce de Leon, anch’egli missionario della Consolata, è una persona affabile, molto premurosa e sempre accanto alla gente. Nel mese di gennaio 2017 ci ha consegnato ufficialmente la nuova parrocchia dei Santi Pietro e Paolo di Kwaluseni, in una zona densamente popolata, a circa una decina di chilometri dalla città di Manzini. La parrocchia include tre comunità (chiesa principale e due cappelle), l’Università nazionale e un grande carcere. Inoltre da qualche mese, sto visitando e collaborando in un campo di accoglienza profughi a 40 km da Manzini, nella regione di Siteki, territorio al confine con il Mozambico.

In questo periodo ci siamo ripromessi di visitare le famiglie e le comunità per conoscere la realtà e capire la situazione; il dialogo e l’ascolto nella umiltà ci permetteranno di definire insieme alla gente le priorità del nostro servizio missionario in questa nazione. Sto cercando di rendermi conto delle varie necessità sia per la pastorale che per promuovere la situazione della gente.

Mi sono impegnato con il Vescovo a promuovere la solidarietà attraverso il coordinamento della Caritas nelle parrocchie e anche iniziarne le attività: attualmente abbiamo la Caritas diocesana, ma desideriamo avere anche le Caritas parrocchiali.

Avremmo bisogno di arredare la sacrestia e anche di avere un ufficio parrocchiale per incontrare la gente. Mancano i paramenti, i vasi sacri, tovaglie e libri liturgici nella lingua locale. Certamente i cristiani faranno la loro parte, ma non sarà senz’altro sufficiente. Anche la nostra abitazione è molto precaria e riesce a malapena ad ospitarci e permetterci di preparare le varie attività che svolgiamo in sede e anche nelle cappelle. Pensate che quando vado a celebrare la messa in chiesa o a visitare le comunità utilizzo ancora l’altarino portatile che mi è stato donato per la mia ordinazione sacerdotale 28 anni fa.

Faccio il possibile per trovare un modo per coinvolgere la comunità perché sia al servizio dei poveri e sia solidale con i carcerati e i profughi che visito regolarmente. Ma i bisogni sono tanti e a volte devo disattendere le speranze della gente perché mi mancano i mezzi.

Gli inizi non sono mai facili, ma non ci manca l’entusiasmo e la voglia di stare con la gente.

La Consolata vi sostenga e consoli nelle difficoltà.

Padre Rocco Marra – Manzini,  febbraio 2017

«Sotanas en el barro»

Mi permetto di scrivervi per informarvi della recente pubblicazione da parte del prestigioso Humanitarian Policy Group (un think thank britannico facente capo all’Overseas Development Institute) di un mio articolo sulla storia della pastorale e delle attività di carattere umanitario realizzate dall’Istituto Missionario della Consolata in Colombia durante la seconda metà del XX secolo. Lo studio è apparso sotto forma di capitolo per un rapporto d’analisi contenente varie contribuzioni riguardanti la storia dell’azione umanitaria in America Latina.

I risultati del lavoro etnografico e delle ricerche d’archivio effettuate nell’ambito del progetto di ricerca che ha preceduto tale pubblicazione permettono di identificare il peculiare modus operandi dei missionari Imc che, a partire dal secondo dopoguerra, furono assegnati al settore colombiano della selva amazzonica, in un contesto assai violento. Lungi dall’essere interessati esclusivamente all’evangelizzazione religiosa, i religiosi dell’Imc diedero la priorità all’azione umanitaria e allo sviluppo locale della regione attraverso la costruzione di scuole, la creazione di amministrazioni locali, l’appoggio alle iniziative di autonomia economica e la partecipazione diretta a negoziati con i gruppi armati (guerriglia, paramilitari, forze armate regolari) al fine di ottenere tregue, scambi di prigionieri e restituzione dei corpi delle vittime alle famiglie.

Il titolo della ricerca è Sotanas en el barro: El Instituto Misionero de la Consolata la pastoral humanitaria en Colombia (1947–2007) (Sottane/tonache nel fango, l’Istituto missioni Consolata [e] la pastorale umani- taria in Colombia). Vi invio i miei più cordiali saluti.

Alì, Maurizio
Université des Antilles – Martinique – Francia 01/02/2017

Grazie per la segnalazione della ricerca che siamo felici di rilanciare qui. Lo studio è frutto di un lavoro che il nostro Istituto ha promosso sotto la guida di padre Matthew Arose Magak, missionario keniano, per studiare l’impatto della presenza dei missionari nel Sud della Colombia. Il testo è disponibile in spagnolo su Internet.

 

Grazie

Buongiorno a tutta la redazione,
sono un vostro abbonato da molti anni, ho letto l’ultimo numero e mi sento una volta di più di ringraziarvi per l’impegno, la serietà ed il livello della pubblicazione. La vastità e la profondità degli argomenti trattati non ha pari nel panorama della stampa attuale e sono convinto che rispecchi i vostri sentimenti nei confronti dei lettori. Vi voglio bene!

Luigi Verone – email, 02/2017

Gent.mi Missionari,
ho inviato (come mia consuetudine) la somma annuale per le esigenze della vostra comunità. So che è poco ma le mie due pensioni scendono di continuo, mentre la famiglia ha sempre più esigenze. Ho tre figli sistemati e 5 nipoti in attesa di esserlo e un piccolissimo pronipote di 4 mesi.

Vorrei aiutare tutti ma, vivendo sola (ho 83 anni) a volte serve a me un aiuto. Basta parlare di me. Mi rallegra e mi soddisfa sempre la vostra rivista sempre vera in tutte le sue parti. Se potete, dalla somma togliete i soldi per una santa Messa per i miei vivi e defunti, per il resto usateli come meglio credete. Grazie ancora per l’aiuto che mi date in questi ultimi giorni.

M.F. Rossi – lettera, 18/02/2017

Gentile M. F.,
è sempre bello ricevere lettere scritte a mano. Se poi sono vergate su foglio di quaderno a quadretti come la sua, sono più belle ancora, perché rievocano un mondo di sentimenti e impressioni di altri tempi. Non immagina quanta gioia ci dia il suo affetto e quanto prezioso diventi il suo aiuto, che – anche se lei scrive «che è poco» – vale davvero un tesoro.

Ringraziando lei, vorrei ringraziare ciascuno dei nostri benefattori. Tutti quelli che, come lei, ci aiutano non perché sono ricchi, ma perché hanno un cuore grande e sanno avere occhi per chi vive in situazioni ancora più difficili delle loro.

Il 12 gennaio 1908, il beato Giuseppe Allamano, nostro fondatore, scriveva per noi missionari questo ammonimento: «Quanto abbiamo è frutto dei sacrifici dei Benefattori. […] Quando leggo la lista delle offerte, vi assicuro che faccio una vera meditazione: mi fermo di tratto in tratto a far qualche aspirazione a Dio, per essi, per pregare per quei che sono morti. Quelle offerte sono lacrime, sono sangue […] e richiedono da parte nostra che preghiamo per tutti i benefattori passati, presenti e futuri, che siamo loro grati».

Per oltre un secolo, dal 1901 al 2003, la nostra rivista ha riportato con pignola fedeltà la lista completa di chi aiutava le nostre missioni. Era un modo per essere «trasparenti» con i nostri amici e benefattori. Poi le regole di postali sono cambiate e siamo stati costretti a togliere la lista per non dover pagare cifre impossibili di abbonamento (è servito a poco, perché poi il primo aprile 2010 la stangata è arrivata lo stesso). Anche se non pubblichiamo più la lista, la gratitudine da parte nostra non è venuta meno. Grazie di cuore a ciascuno. Specialmente alle nostre amate bisnonne, come M. F., grazie.

 

Ricordando sior Ignazia

Suor Ignazia Pia Wambui Murai da Mugoiri nella diocesi di Muranga (un tempo Fort Hall) in Kenya, dopo 60 anni di vita missionaria, venerdì 3 marzo scorso è andata a godere il meritato riposo nella casa del Padre. Nata probabilmente nel 1931, figlia di un influente capo kikuyu divenuto cristiano col nome di Ignazio, Wambui, battezzata Theresa e diventata la prima missionaria della Consolata keniana, ha voluto rendere omaggio a suo padre prendendone il nome. Nella foto è ritratta con la sorella Emma, che ha lavorato nel corpo diplomatico del Kenya indipendente, probabilmente il giorno della sua professione perpetua. Riposi in pace.




Cari Missionari


Uccelli paradiso

Riguardo al problema della deforestazione a Papua Nuova Guinea (M.C. n.10/2016) credo sia giusto rimarcare che gli habitat in questione sono la dimora delle paradisee, o uccelli del paradiso, così chiamati per la loro straordinaria bellezza e non solo… Oltre che un simbolo del mondo naturale queste creature sono parte integrante della cultura e dell’identità nazionale (bandiere, divise militari, compagnia aerea locale). Senza gli uccelli del paradiso, Papua non sarà più la stessa: pensare che si estingueranno solo perché delle società straniere devono aumentare i loro già scandalosamente alti profitti sul legno pregiato, sui fazzoletti da naso, sui tovagliolini, sulle tovagliette e sulla carta igienica, fa venire il voltastomaco.

Mario Pace
18/11/2016

Il giubileo è terminato, la misericordia continua

Comunicato stampa

Presentata alla Cei una nuova iniziativa che in tutta Italia risponderà all’appello del Papa per mantenere vivo lo spirito di Misericordia. L’Anno Santo si è appena concluso ma riecheggiano i continui appelli di Papa Francesco a perseverare nella Misericordia, in particolare verso i più bisognosi.

Per dare una concreta risposta, Mons. Mario Lusek, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport, ha espresso il suo pieno appoggio alla nuova iniziativa del portale www.ospitalitareligiosa.it denominata «Settimane della Misericordia», che porterà le strutture ricettive religiose e laiche di tutta Italia ad ospitare gratuitamente per una settimana persone e famiglie in particolare stato di necessità, così da consentire loro un periodo di serenità, lontane dai problemi di tutti i giorni.

Un’iniziativa parallela era già stata attivata in occasione del Giubileo; in questa occasione il periodo interessato sarà da maggio a ottobre 2017, in modo che le ospitalità corrispondano ai periodi in cui abitualmente famiglie e bambini organizzano le proprie vacanze.

Ma quali saranno i destinatari di queste concrete opere di Misericordia? Famiglie numerose mono o senza reddito, genitori singoli con figli a carico, pensionati con un reddito insufficiente, adulti rimasti senza lavoro; persone che in ogni caso non potrebbero permettersi un breve soggiorno a pagamento.

Sul meccanismo di accesso vigilerà l’Associazione no-profit Ospitalità Religiosa Italiana, ma saranno diocesi e parrocchie a farsi garanti nell’identificare quelle particolari situazioni di bisogno per le quali la settimana di vacanza potrà risultare utile per ritrovare una serenità che stenta ad emergere.

L’iniziativa risponde quindi alla necessaria concretezza che Papa Francesco richiama continuamente nelle opere di misericordia. Ora sta ai gestori delle strutture di ospitalità, sia religiose che laiche, rispondere alle attese del pontefice e alla speranza di chi, nel bisogno, vive una realtà che solo la disponibilità del prossimo può in qualche modo cambiare.

Fabio Rocchi
presidente Ass. Ospitalità Religiosa Italiana
www.ospitalitareligiosa.it
20/11/2016

Risurrezione dei morti

Al funerale di un amico ho sentito una notevole predica di un parroco particolarmente dotto, forse consapevole di rivolgersi a un pubblico composto prevalentemente da docenti universitari, come il defunto. E la predica mi ha aperto un mare di dubbi sul finale del Credo, la resurrezione dei morti. Cosa significa? che risorgeremo alla fine del mondo? e la nostra anima immortale nel frattempo cosa fa? e perché dobbiamo risorgere col nostro corpo? quale? quello al momento della morte? grazie, preferisco di no…

Islam. Avete già pubblicato una esauriente rassegna delle diverse versioni dell’Islam, ma forse sarebbe opportuno anche un ripasso di tipo storico. Nel senso che dopo le tensioni iniziali, non ci sono state per secoli tra le diverse letture dell’Islam tensioni analoghe a quelle tra cattolici e protestanti. Il sunnita Saladino fu nominato visir dall’iman sciita dell’Egitto, e poi ne divenne sultano, senza tensioni: come se un papa del ‘600 avesse messo il regno di Napoli nelle mani di una dinastia protestante…

Aleppo, insieme a Gerico la più antica città del mondo ancora esistente, viene distrutta anche per un contrasto tra sciiti e sunniti di diverse osservanze.

Claudio Bellavita
12/12/2016

Comincio rispondendo alla seconda parte del suo scritto. Abbiamo appena iniziato una serie di articoli per approfondire la conoscenza dell’Islam, rendendoci perfettamente conto della sfida di presentare una realtà complessa, non omogenea e con una storia più che millenaria. Cercheremo di tener conto dei suoi suggerimenti.

Andando invece alla questione che lei solleva circa il Credo e la resurrezione dei morti, non ho qui la pretesa di rispondere alle sue domande. Evidenzio solo alcuni dati biblici.

Il primo: nella Bibbia la persona umana non è composta da due elementi separabili (anima e corpo) come invece siamo abituati noi a considerarla in base alle nostre convinzioni ereditate dalla filosofia greca. La persona umana  è tale perché è carne (b?s?r), spirito (ruakh), anima (nephesh) e cuore (l?b). Queste non sono parti (separabili) dell’uomo, ma solo aspetti diversi del suo unico modo di essere/esistere. La persona è tale perché è unità di tutti questi aspetti.

La morte non è la separazione dell’anima dal corpo, ma la nascita di tutta la persona in un modo del tutto nuovo, al di fuori della nostra esperienza spazio-temporale (kronos) ma nella dimensione del tempo di Dio (kairos).

Prendiamo l’esempio di Gesù risorto. Dalla descrizione che ne abbiamo nei Vangeli sappiamo che Gesù si può toccare, porta i segni della passione, parla e ascolta, cammina e mangia. Eppure Gesù entra in una stanza chiusa senza passare dalla porta, si presenta in luoghi diversi e scompare come è apparso, e via dicendo… tutti indizi che ci fanno capire come sia la persona vera e concreta di Gesù, quella che i discepoli hanno incontrato, ma anche come lui sia «altro», il Risorto.

Concludo citando il «Catechismo della Chiesa Cattolica» che citando san Paolo usa l’immagine bellissima del seme e del fiore/pianta per spiegare l’unità e la diversità tra la nostra vita presente e la vita da risorti.

«N. 999 Come (risuscitano i morti)? Cristo è risorto con il suo proprio corpo: “Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!” (Lc 24, 39); ma egli non è ritornato ad una vita terrena. Allo stesso modo, in lui, “tutti risorgeranno coi corpi di cui ora sono rivestiti”, ma questo corpo sarà trasfigurato, in “corpo spirituale” (1 Cor 15, 44).

«“Ma qualcuno dirà: ‘Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?’. Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore, e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco… Si semina corruttibile e risorge incorruttibile… È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità” (1Cor 15,33-37.42.53).

«N.1000 Il “come” supera le possibilità della nostra immaginazione e del nostro intelletto; è accessibile solo nella fede. […]».

Credo proprio che l’immagine del seme e dell’albero, o, se vogliamo usarne un’altra simile, quella dell’uovo e dell’uccello, sia quella che meglio può aiutarci a capire il mistero dell’unità/unicità nella diversità che c’è tra il nostro esistere nel tempo/kronos e nell’eternità.

Obrigada

Carissimi fratelli,
vi scrivo dalla parrocchia di Massinga, diocesi di Inhambane, Mozambico. Leggo sempre la rivista appena arriva nella nostra missione. Oggi desidero proprio farvi i complienti per la qualità del vostro servizio giornalistico che presenta non solo «le nostre missioni» ma il panorama del mondo attuale. Mi riferisco in particolare ai vostri dossier che ci aiutano a vedere le tragedie, i conflitti, le miserie e anche i progressi dell’umanità con lo stesso sguardo di Cristo, uno sguardo che suscita sentimenti di misericordia, compartecipazione e ci fa chiedere «qual è la mia parte in tutto questo?». Così possiamo riscoprire le vere radici dell’umanesimo cristiano in noi stessi e nella nostra società.

Un’altra rubrica della rivista che è fantastica è «4 chiacchiere con i Perdenti» di un valore letterario e storico da meritarsi un premio. Mi piace anche «Persone che conosco». Infine, dall’inizio alla fine, la rivista non ha niente che non valga la spesa leggere. Obrigada (grazie)! Mi sento orgogliosa di voi.

Sr. Bénides Clara Capellotto, missionaria della Consolata, Inhambane, Mozambico, 08/12/2016

Grazie di cuore. Garantito che non l’abbiamo pagata per tutti questi elogi!


Il Nastro d’argento a Gianni Minà

Dopo il Berlinale Kamera al festival di Berlino del 2007, Gianni Minà, che da ottobre 2015 firma su MC la rubrica «Persone che conosco», è stato insignito del Nastro d’argento alla carriera per il suo lungo viaggio nella realizzazione di documentari, special e racconti storici tramite immagini, iniziato oltre mezzo secolo fa. Così ha deciso l’Sngci (Sindacato nazionale giornalisti cinematografici italiani) per premiare anche il più recente scornop giornalistico realizzato da Minà: «L’ultima intervista di Fidel», una testimonianza concessagli dal leader cubano nel settembre del 2015 che ora rappresenta un documento di grande importanza storica. In questa stagione, che lo ha visto premiato al Festival di Toronto lo scorso settembre, Minà ha raccolto consensi anche con il lungometraggio «Papa Francesco, Cuba e Fidel» (presentato, in anteprima nazionale, a Torino nell’aula magna di MC lo scorso 22 novembre) nel quale trovano spazio tutti i protagonisti della controversa storia di Cuba e dell’embargo Usa: dagli ex presidenti Barack Obama e Jimmy Carter a Raul Castro, dal sostituto Segretario di stato Vaticano mons. Becciu all’ex arcivescovo dell’Avana Jaime Ortega, al teologo della liberazione Frei Betto, fino allo stesso papa Francesco. La cerimonia di consegna del premio, alla Casa del Cinema di Roma, è prevista per il 3 marzo 2017. (MC)

Facevano 200 (+2) anni in due

Lo scorso 28 settembre padre Giovanni Battista Demichelis (quello con il cappello in testa nella foto) è «nato al cielo». Nativo di Sampeyre (Cn) aveva vissuto tra noi 100 anni e 26 giorni, celebrando 75 anni di sacerdozio di cui ben 44 in Colombia dove è rimasto dal 1948 al 1992, prestando il suo servizio a Guataquí, San Vicente del Caguan, Doncello, Rionegro, Modelia, Tocaima, Calí, Bogotá, Puerto Rico e Paujil. Tornato in Italia è stato rettore della chiesa del Beato Allamano per alcuni anni e poi confessore nella stessa, servizio che ha smesso solo quando ormai ultra novantenne si è ritirato ad Alpignano.

Nella foto, scattata ad Alpignano il 23 giugno 2016, sta spingendo la carrozzella su cui è seduto padre Bartolomeo Malaspina. A quel tempo i due, insieme, facevano 200 anni e aspettavano il 23 gennaio 2017 per celebrare i 202. Ma il 7 gennaio 2017 anche padre Bartolomeo ha ricevuto un’offerta che non ha potuto rifiutare e i due sono ora insieme nel giardino di Dio, dove godono della compagnia di Colui che è stato la ragione della loro vita e degli altri 801 missionari e 940 missionarie della Consolata che li hanno preceduti lassù. Padre Bartolomeo Malaspina era nato a Sezzadio (Al) nel 1915, sacerdote nel 1939, nel 1941 era stato arruolato come cappellano militare e mandato in Tunisia. Fatto prigioniero dagli inglesi nel 1943, aveva fatto con i soldati sopravvissuti tre durissimi anni di prigionia, durante i quali era stato dato per morto dai superiori perché impossibilitato a comunicare con Torino. Rientrato in Italia ha insegnato scienze naturali a generazioni di missionari e dal 1978 ha curato la conservazione e l’allestimento del «Museo etnologico e di scienze naturali» nella Casa Madre di Torino, servizio svolto fino al 2008. Rimasto ancora arzillo e servizievole in Casa Madre, solo nel maggio 2016, ormai centenario, si è ritirato ad Alpignano per farsi trovare pronto all’ultimo appello. (MC)


Due note per i nostri lettori

Sostenere la rivista. Questa pubblicazione si sostiene solo grazie al vostro contributo volontario e specifico pro-rivista. Quando voi mandate un aiuto per i nostri missionari o i nostri progetti, MCOnlus, nostra editrice, versa tutto, fino all’ultimo centesimo, ai destinatari delle vostre donazioni.

Indirizzi sbagliati o cancellazioni dal nostro indirizzario. Specifichiamo inoltre che non usufruendo del servizio «resi»(a pagamento) delle Poste Italiane, quando doveste cambiare indirizzo o non volere più la rivista, è bene che ce lo comunichiate via lettera, con una email o una telefonata. Grazie.




Cari missionari dialogo con i lettori

Un anno senza Romolo

Ci lasciava un anno fa Romolo Momo Levoni, poeta dialettale, esperto di tradizioni locali e campione di solidarietà, fondatore e presidente del Grg (Gruppo Resurrection Garden).

È stato un anno duro, il 2016, un anno passato senza la presenza abituale, familiare, patea, rassicurante di quel piccolo grande uomo che era Romolo Levoni, per gli amici della sua terra Momo. Chi era abituato a vederlo nelle piazze di tutta la provincia di Modena col suo mulino ad acqua e con gli amici del Grg, quest’anno non l’ha più ritrovato, chi frequentava gli appuntamenti fissi con la cena di Castelnuovo Rangone e la festa della Manyatta su ai Roncaccioli di Lama Mocongo, non ha voluto mancare comunque, chi aspettava il sabato per leggere le sue «brontolate» in dialetto sulla Gazzetta di Modena, si è dovuto rassegnare e ormai da dodici mesi deve fae a meno, e, infine, chi attendeva, con l’ansia dei bambini la notte di Natale, i suoi auguri, che, da 38 anni, sotto forma di filastrocca dialettale (zirudele si chiamano a Modena) arrivavano puntuali per posta, ha dovuto accettare che non siano arrivati, com’era successo nel 2015. Le migliaia di amici e affezionati lettori di Romolo, dopo trentotto anni, non hanno ricevuto quella fotocopia in bianco e nero, fronteretro, che ogni Natale allietava, con allegria e lucida sagacia, raccontando i più significativi fatti e personaggi dell’anno in una zirudela (filastrocca dialettale in rima baciata, «per gli uomini in lingua» come avrebbe detto lui). Romolo la pensava, la scriveva, la stampava e la spediva, quella zirudela, sapendo di far felici amici sparsi per l’Italia.

Ci ha fatto una brutta sorpresa, dodici mesi fa, l’amico Romolo, poeta dialettale, esperto e scrittore di tradizioni locali, il saggio montanaro, ma soprattutto infaticabile benefattore, andandosene a 83 anni e lasciandoci un po’ più soli.

Soli, ma non rassegnati, né tantomeno fermi, i «suoi» infaticabili volontari del Grg, l’associazione che Romolo aveva fondato nel lontano 1991, con l’adorata moglie Carmen, poi trasformata in onlus nel 1999, per consentire gli studi a bambini della baraccopoli di Soweto, a Nairobi, in Kenya, in strutture create e gestite dai Missionari della Consolata. Quella straordinaria e unica esperienza che si chiama Familia Ufariji.

Solidarietà che ha saputo, per strada e negli anni, coinvolgere e raccogliere sempre più amici pronti a donare tempo, idee, lavoro e passione per raccogliere fondi per i piccoli «poveri, sfortunati fratellini» come li chiamava lui.

Fratellini che sicuramente ricordano le svariate visite che Romolo fece loro, direttamente a Nairobi e dintorni, che sentiranno di sicuro la mancanza del suo sguardo buono, del suo sorriso sereno, dei suoi abbracci sinceri.

Ma siccome Romolo ha seminato bene, i «poveri sfortunati fratellini» possono, e potranno, continuare a contare sul Grg che, nonostante altre perdite dolorose, come quella di padre Ottavio Santoro, e di un altro dei volontari, il consigliere Franco Muzzioli, superato il legittimo momento di dolore e sgomento, si sono riorganizzati e sono ripartiti mantenendo regolari le attività in Italia e in Kenya.

Questo grazie anche al fatto di aver trovato due nuovi fondamentali interlocutori in Kenya, come padre James Lengarin, amministratore regionale, e padre Joseph Mwaniki, responsabile del Resurrection Garden, conosciuti personalmente nella straordinaria visita che alcuni rappresentanti hanno effettuato in Kenya questo 2016. Padre James e padre Joseph sono giovani, attivi e affidabili e rappresentano una garanzia di buon uso delle risorse affidate loro.

«Romolo ci ha lasciato – scrive il presidente Sotero Marasti nella lettera d’autunno – consegnandoci una bellissima eredità fatta di bimbi che grazie al Grg possono istruirsi e avere un pasto assicurato… abbiamo avuto in eredità una associazione sana, viva e vitale con tante persone che per essa s’impegnano».

Tra questi vanno sicuramente ricordati Emilio, lo chef laziale trapiantato in Toscana che ogni anno emigra per un giorno a Castelnuovo per organizzare impeccabilmente la cena d’autunno del Grg, o come il suo grande amico Ermes, l’oste dei gabbiani, al quale Momo aveva dedicato un libro nel 2006 «Un gabian a Modna» e proprio nelle ultime settimane il seguito virtuale «Un eter gabian», la sua ultima pubblicazione. E ancora vanno ricordate le tante associazioni come il circolo di Castelnuovo, il Gruppo Alpini di Pavullo, gli Amici di Ermes, il Filo di Marinetta, le ragazze del Banchetto di natale e i ragazzi del Mercatino di Natale, i tanti che collaborano e rendono possibili iniziative come il picnic sotto le stelle o la Festa della Manyatta del 26 giugno, ricorrenza della Madonna Consolata, dal cui istituto provengono i padri che operano col Grg in Kenya.

Ma Romolo ha pensato ai suoi bimbi della scuola della Familia Ufariji anche in altro modo, cioè con il suo testamento: ha lasciato al Grg parte dei suoi beni, compresa la preziosa sede nella quale i volontari operano.

Era nato a Castelnuovo, ma da molti anni, con la moglie Carmen, si era trasferito tra i monti di Lama Mocogno, dove poteva dedicarsi all’orto, alla terra e ai boschi tanto amati; dopo gli anni del lavoro, da capostazione, memore della figura del padre ferroviere e amatissimo, si è dedicato agli studi delle tradizioni locali e alla scrittura. Da «sapiente della montagna», come lo definì il prof. Fabio Marri, diventò alla fine degli anni ’70 un vero esperto delle tradizioni locali, scrivendo, dal 1979 al 2015, e pubblicando decine di volumi tra i quali ricordiamo «Rosch e Bosch», «Mo… cojozzi», «Don Mario e noi», «Magner in dialat», «Piazza nuova e vecchi giuochi», «Un gabian a Modna», «Castelnuovo, gente e vita, da la saraca all’aragosta», lucidissima disamina su come la nostra società sia diventata da rurale a industriale e tecnologica.

Tra i tanti amici che sentiranno la sua mancanza ci sono anche Ermes, l’oste più famoso di Modena, che in tante occasioni ha destinato i fondi raccolti con le sue iniziative a base di gnocco fritto al Grg e che aveva seguito Romolo anche a Nairobi, in mezzo ai bambini adottati nella Familia Ufariji, Angelo Giovannini, che proprio insieme a Momo ha realizzato la sua ultima opera «Un eter gabian», Roberto Alperoli, ex-sindaco di Castelnuovo e intellettuale vero, che lo definì «un discolo senza età, dagli occhi indaffarati e dalle mani febbrili, sempre intento a cercare di aggiustare (almeno un poco) il mondo».

Esattamente come aveva fatto fino a un anno fa. Ciao discolo, tranquillo… i tuoi ragazzi vanno avanti, il Grg e i tuoi bimbi hanno un futuro.

Angelo Giovannini
per il Grg, Modena, 06/12/2016

Fratel Carlo da Catrimani

Pubblichiamo qui, con qualche taglio, l’interessantissima lettera di Natale di fratel Carlo Zacquini, missionario della Consolata tra gli indios Yanomami. I titoletti sono nostri.

Amici carissimi,
[…] cercherò di aggioarvi su alcune situazioni locali e attività che stiamo svolgendo.

Invasioni

In questi ultimi tempi, abbiamo avuto parecchie notizie sulla situazione dell’invasione illegale della Terra Indigena Yanomami e Ye’kuana, da parte dei cercatori d’oro. L’attività non tende a scemare, anzi, pare si stia spargendo. Un’operazione militare è stata fatta lungo il corso del rio Uraricoera, il mese scorso. Era il luogo che apparentemente aveva la maggior concentrazione di «garimpeiros», che stavano aumentando a vista d’occhio. L’operazione ha portato alla distruzione di una dozzina di chiatte e relativi macchinari che erano usati per l’estrazione dell’oro dal fondale del fiume.

In seguito, è stata montata un’altra operazione che ha forzato alcune centinaia di cercatori d’oro ad abbandonare le località che avevano occupato. Si spera sempre che il governo la smetta di giocare al ritiro di «garimpeiros», come azione per far tacere le denunce. Di fatto, in seguito, gli invasori ritornano agli stessi luoghi in poco tempo, e il governo (polizia, militari, …) può giustificarsi dicendo che reprimono l’attività illegale, ma non «riescono» a impedire il ritorno degli invasori. Indagini fatte dalla stessa Polizia Federale hanno scoperto come funziona il tutto: chi finanzia gli invasori, quanto rende questa attività e come è «lavato l’oro estratto illegalmente, per mezzo di una compagnia di valori di São Paulo. Non ho conoscenza di persone punite per queste attività illegali. In questo contesto di impunità, chi finisce per avere la peggio sono gli Yanomani.

Uccisioni

Ciononostante non sono gli unici a soffrie le conseguenze. È stata confermata l’uccisione di sei «garimpeiros» da parte di un gruppo di Yanomami, in una regione non lontana dalle sorgenti del rio Catrimani. La notizia che si è sparsa dopo la denuncia anonima di un cercatore d’oro «sconosciuto», è stata poi confermata da alcuni Yanomami a mezzo radio. Essi hanno anche avvisato che avevano bruciato i cadaveri. Due settimane fa, il governo ha organizzato una spedizione per riscattare i cadaveri. La spedizione che si è recata sul luogo con un elicottero (si tratta di località di difficile accesso in piena foresta), ha riportato a Boa Vista i resti dei corpi che erano stati bruciati con un fuoco molto grande, probabilmente ottenuto con l’uso del combustibile che i «garimpeiros» usavano per azionare i motori necessari per l’estrazione del minerale. L’identificazione dei «corpi» è stata affidata a specialisti che avranno certamente molto lavoro per arrivare a stabilire a chi appartenevano.

Mi sono chiesto come può essere capitato questo «incidente». Non è facile poterlo affermare. Anche se, come sempre, si sa che il modo di fare degli invasori è quello di cercare di ingannare gli indigeni, facendo promesse, distribuendo piccoli regali, foendo un po’ di alimenti (riso, sale, …). In alcuni casi offrono armi da fuoco ai leaders più influenti (fucili da caccia), e poi li tengono buoni lesinando le munizioni. Mi è stato detto anche che sarebbero morti tre bambini in poco tempo, forse per causa di malattie introdotte involontariamente dai cercatori d’oro; un indigeno ha detto che i «garimpeiros» avrebbero minacciato qualcuno di loro. Sta di fatto che il famoso massacro di Haximu, nel quale persero la vita sedici Yanomami, in maggior parte bambini, avvenne molto vicino al nuovo luogo del conflitto; gli Yanomami erano al corrente di come il tutto era avvenuto in quell’occasione, e con ogni probabilità hanno riscontrato qualche analogia nel comportamento di quelli che a suo tempo avevano partecipato all’atto genocida.

Funai ridimensionata

Su un’altra questione, abbiamo finalmente ottenuto da un funzionario della Funai delle buone fotografie aeree del villaggio di indigeni isolati che da oltre un anno sono in una località prossima ad uno dei luoghi di «garimpo» clandestino, e senza la possibilità di controlli, a causa della ristrettezza di fondi che il Goveo Federale ha stabilito per la Funai. Ho l’impressione che, in alto loco, stiano tentando di rendere la Funai un organo decorativo. Ci sono parecchi indizi, non solo a Roraima, che questo stia avvenendo.

È abbastanza frequente che autorità di vari livelli si pronuncino sfavorevolmente circa il rispetto dei diritti dei popoli indigeni garantiti nella Costituzione Federale.

Ad ogni modo, per lo meno per ora, pare che il villaggio isolato goda di buona salute; sono sulle spine perché questa situazione può precipitare in qualsiasi momento e nessuno sta prendendo provvedimenti per cercare di evitarlo.

Più morti che in guerra

Saltando di palo in frasca. Vi riporto alcuni dati che ho trovato sul giornale EcoDebate, il giorno 08/11/16: «Secondo i dati dell’Istituto di Ricerca Economica Applicata (Ipea) e del Forum Brasiliano di Sicurezza Pubblica, il Brasile ha raggiunto la cifra record di 59.627 omicidi nel 2014, il che equivale a 160 morti al giorno. Giovani neri, con poca scolarità, e donne sono le principali vittime di un paese il cui popolo, al contrario di ciò che si divulga, non è allegro, né pacifico o tollerante in relazione alle differenze. In verità, il Brasile si è mostrato uno dei paesi più violenti del mondo, nel quale le morti banali e futili, sono più numerose di quelle che succedono in nazioni in guerra». La traduzione veloce è mia, per cui ci può essere qualche errore. Ho paura di dimostrare col mio scritto molto pessimismo, me ne scuso, e cambio argomento.

Centro di Documentazione Indigena

I consiglieri della nostra Regione missionaria hanno deciso che si può mandare avanti il progetto di costruzione di un edificio ad hoc per il Centro di Documentazione Indigena (Cdi); ora si tratta di trovare qualche tecnico che si incarichi di elaborae il progetto. Per ora il Cdi funziona in locali improvvisati, e mi sembra che stia riscuotendo sempre maggiori consensi tra gli indigeni e tra gli studenti e insegnanti specialmente delle università locali. Sono sempre più frequenti quelli che ci cercano e consultano i nostri archivi; inoltre gradualmente finiscono per ingaggiarsi nel nostro lavoro e nel nostro sport preferito che è quello della difesa dei diritti dei popoli indigeni. A tutti voi che seguite le nostre attività/avventure, un buon Natale e un anno nuovo degno di buoni missionari; vi ricordo sempre nei miei sciamanismi. Con affetto.

fratel Carlo Zacquini
Boavista, Roraima, 05/12/2016

Mafie e denaro pubblico

La trasformazione dell’economia normale in economia criminale

I soldi pubblici (provenienti da appalti, sovvenzioni, contributi, concessioni e così via) costituiscono lo scopo primario del potere delle nuove mafie in Italia e segnano il connubio tra organizzazioni criminali, mondo dell’imprenditoria e politica. Quest’alleanza genera un vero e proprio sistema criminale, parallelo a quello legale, poco rischioso e dai guadagni incalcolabili. La criminalità organizzata ormai ha esteso i suoi tentacoli in ogni regione italiana condizionando il settore dell’imprenditoria che lavora soprattutto con i soldi pubblici. L’infiltrazione nel sistema di assegnazione e gestione del denaro pubblico avviene attraverso imprese «immacolate» sotto ogni punto di vista ma che, di fatto, sono già controllate dalla criminalità organizzata. L’intimidazione è l’extrema ratio, in quanto la mafia, attraverso il sistema corruttivo e il sostegno economico a queste imprese, che spesso sono in crisi, riesce a gestire il tutto senza particolari clamori e nella massima trasparenza. Per far sì che le imprese «mafiosizzate» siano beneficiarie dei fondi pubblici la criminalità organizzata deve fare in modo che le altre imprese non presentino offerte o si ritirino dalle gare. Le organizzazioni criminali se riescono, fanno presentare offerte ad altre imprese che già gestiscono, in caso contrario, utilizzano il metodo mafioso «classico» (intimidazioni di ogni genere fino all’omicidio) per far sì che l’impresa che l’organizzazione ha cornoptato risulti aggiudicataria unica. Nel caso d’imprese non controllate ed escluse dalla gara, occorre impedire alle medesime di rivolgersi agli organi giudiziari ed anche in questa ipotesi, all’intimidazione si preferisce il meccanismo corruttivo mediante la promessa di vantaggi economici o di partecipazione a future gare, fermo restando che se non funziona il metodo «dolce» si utilizzerà quello violento. In questo sistema particolarmente articolato, svolgono una parte predominante imprenditori, politici, funzionari pubblici, progettisti, direttori dei lavori, tutti con funzioni e compiti specifici. Utilizzando lo strumento delle tangenti, la politica garantisce alle mafie l’erogazione dei soldi pubblici e il sistema del massimo ribasso costituisce il terreno fertile per l’infiltrazione mafiosa e per il perfezionamento dell’alleanza. L’alterazione della gara avviene sempre determinando in via preventiva i ribassi che ciascun’impresa deve indicare nella sua offerta. A questa situazione ormai endemica imposta dalle mafie, soggiacciono quasi tutte le imprese sul territorio nazionale che estendono i loro affari anche in ambito europeo e internazionale, poiché, di fatto, non avrebbero alternative plausibili. Come porre rimedio a una situazione a dir poco aberrante come questa in precedenza esposta? A tal proposito ci vengono in soccorso le intuizioni di Rocco Chinnici, di Giovanni Falcone e di Paolo Borsellino, secondo i quali bisognerebbe indagare sui flussi di denaro e sui complici «puliti» delle mafie, ad esempio, controllando tutte le ditte partecipanti a una gara, disciplinando in maniera ferrea il sistema della revisione dei prezzi, delle varianti in corso d’opera e degli enti appaltanti. A mio giudizio, andrebbe tassativamente eliminato il sistema del massimo ribasso che offre notevoli possibilità di falsare le gare pubbliche. In conclusione, vorrei ricordare che l’ex magistrato Antonio Ingroia, dichiarò dinanzi alla Corte d’Assise di Caltanissetta che Paolo Borsellino gli confidò di essere convinto che, attraverso il carteggio di Giovanni Falcone sull’inchiesta «Mafia e Appalti», si sarebbero potuti individuare i moventi della strage di Capaci. Questo dimostra quanto importante sia il settore dell’erogazione di denaro pubblico e dunque occorre battersi per la prosecuzione delle attività e delle idee di Falcone e Borsellino. Prevenire, controllare e sanzionare ogni abuso in questo particolare settore significa non far passare più il messaggio che le mafie danno lavoro mentre lo Stato no! Oltre alla magistratura e alle forze di polizia occorrono adeguate forme di organizzazione e mobilitazione affinché tutti uniti si ponga fine a un sistema altamente nocivo che sta trasformando l’economia legale in economia criminale.

Vincenzo Musacchio,
giurista e direttore della Scuola di Legalità «don Peppe Diana» di Roma e del Molise, 19/11/2016

Colombia

Gentilissimo Dr. Moiola,
martedì scorso sono venuta in Via Cialdini per il documentario di Gianni Minà e ho preso uno dei numeri della Rivista MC Novembre 2016, che gentilmente offrivate. Già da tempo conosco i suoi articoli ed ora ho appena finito di leggere quelli sulla Colombia e voglio manifestarle tutto il mio apprezzamento per la chiarezza e il rigore con cui li costruisce. Leggere pagine come le sue, è un vero piacere! Ho ritrovato nomi di missionari e luoghi a me molto cari e non soltanto per aver parlato dei progetti Missionari per molti anni nelle mie lezioni, ma anche per evocazioni di un passato personale. Grazie ancora per la sua costante attenzione per la Colombia e per le sue popolazioni indigene! Molto cordialmente

Silvia Giletti
Progetto Diritti Umani e Globalizzazione, Università degli Studi di Torino, 26/11/2016

 




Cari missionari

Giustizialismo e furbetti

Dinnanzi a coloro che usano la parola «giustizialismo» i giudici hanno uno spettro di reazioni che va dall’arricciamento di naso all’indignazione profonda. Sicuramente anche il giudice Caselli (cfr. MC. 7/2016 p. 33) è tra coloro che non vanno matti per questa parola.

Per quanto mi riguarda, perplessità e disagi ancora più grandi me li creano anche la parola «furbate», la parola «furbetti» e certi complementi di specificazione che molti cultori della legalità o sedicenti tali, hanno preso l’abitudine di aggregare a queste parole. La domanda che vorrei porre è questa: i giudici del caso Tortora, che invece di chiedere scusa, invece di essere biasimati e di pagare per i grossolani e catastrofici errori compiuti, hanno fatto – grazie ad altri uomini di legge -, tutti quanti, una carriera da Mille e una notte, vogliamo definirli dei fedeli e integerrimi servitori dello stato?

Se è vero che la lotta contro i furbetti del quartierino, i furbetti dello scontrino, i furbetti del cartellino, deve continuare perché rappresenta un pezzo importante della lotta contro la corruzione, non è altrettanto vero che anche i furbetti del verbalino, i furbetti del bilancino, i furbetti del bisognino, dovrebbero essere adeguatamente sanzionati e condannati a restituire il maltolto? Siete sicuri che il vigile urbano beccato a timbrare in mutande sia più colpevole dei colleghi che, per far cassa e carriera, multano (e a volte ammazzano) i disabili, multano i veri invalidi, multano i senzatetto e il possesso del cartone da essi utilizzato come giaciglio per la notte?

Chi è più sporco, chi è più corrotto? Il soggetto che, in mancanza di meglio, fa un goccio di pipì dietro il cespuglio o i poliziotti che gli fanno la posta (o stalking?) per affibbiargli cinquemila euro di contravvenzione?

Vi sembra degno di un paese democratico e di una nazione civile – e qui mi rivolgo anche al giudice Caselli – che chi reagisce a tutto ciò dicendo «vergogna», dicendo «smettete di dir bugie», dicendo «smettete di mettere l’etica professionale dietro le esigenze di bilancio» debba beccarsi una condanna penale per oltraggio a pubblico ufficiale?

Distinti saluti.

Bartolomeo Valnigri
22/07/2016

Quello che lei dice purtroppo si basa sull’esperienza quotidiana. Ed è un fenomeno che ha radici antichissime, se anche un profeta come Isaia sentiva il bisogno di stigmatizzare con parole molto forti la corruzione dei potenti e di chi è in autorità: «I tuoi capi sono ribelli e complici di ladri; tutti sono bramosi di regali, ricercano mance, non rendono giustizia all’orfano e la causa della vedova fino a loro non giunge» (Is 1,23).

In questi anni, osservando certi stati africani, ho visto con tristezza il dilagare della corruzione, accelerata proprio dal cattivo esempio di chi è ai posti più alti del governo. Qui da noi, la disaffezione crescente verso la politica e i politici è aumentata esponenzialmente con il crescere della corruzione nei loro ranghi. Ma il rischio più grosso è che si perda il senso di quello che è giusto, il senso del dovere e della responsabilità sociale e che il cattivo esempio dei «grandi» diventi giustificazione per comportarsi male come loro.

È bello invece che rimangano delle persone, indipendentemente dalla categoria cui appartengono, che sono ancora capaci di avere un pensiero critico e autocritico e hanno il coraggio di dire la verità, anche quando è scomoda. Guai a noi se ci rassegnassimo perché «tutti sono corrotti».

Accoglienza

Egregio Padre,
ho letto il suo commento al mio scritto che avete pubblicato in MC 10/2016 con titolo «Tempo di crisi». Segno che l’argomento trattato è tuttora pressante. Dice, giustamente, che è spesso affrontato in termini fuorvianti. Certi commenti, come quelli da lei citati, sono il prodotto di ignoranza ed egoismo, tuttavia ciò, spesso, ha radici nel caos della gestione di una immigrazione di massa fuori controllo, con illegalità a tutti i livelli. Innanzitutto i nuovi schiavisti che gestiscono l’immondo commercio umano che le autorità di qualsiasi istituzione politica sociale o religiosa si guardano bene dal contrastare. Non è da molto che abbiamo smesso di criminalizzare gli schiavisti dei secoli passati mentre ora «tolleriamo» vergognosamente quelli attuali. Ciò ha generato migliaia di morti (solo quest’anno l’Onu dice che sono già 3.800 tra morti e dispersi).

L’accettazione indiscriminata senza regole spesso è fonte di comportamenti illegali da parte di questi «ospiti». Quasi ogni giorno viene violata la regola di ospitalità con comportamenti delinquenziali fino all’assassinio. Pertanto dire semplicemente: «Accoglienza accoglienza», senza regole, non fa che renderci complici, anche se indirettamente, di quelle migliaia di poveri esseri in fuga che sperando in una vita più degna di essere vissuta finiscono in fondo al Mediterraneo oltre a subire maltrattamenti e violenze durante le «trasferte» prima dell’imbarco, a cui si aggiunge il sospetto fondato del traffico di organi.

Questa «complicità», che viene tollerata per non offendere i buonisti a tutti i costi, fa pensare al pattume che si vuole nascondere sotto il tappetto. Purtroppo è verità scomoda e graffiante. Però la verità non fa sconti a nessuno. Mai. Come liquidare semplicemente per populismo la pressante richiesta di severe regole di ospitalità? Persino una signora di colore africana giunta anni fa in Italia ha detto recentemente durante una trasmissione televisiva «voi italiani siete bravi, mi avete accolto con amore, mi avete aiutato, ma ora con tutti quegli arrivi state esagerando». Anche lei populista allora?

Molto criticate le barriere anti immigrati in vari paesi. Certo. La causa principale è frutto della mancanza di regole che nessuno intende far applicare. Se in Europa ci fossero regole che a ogni manifestazione di insofferenza o peggio delinquenza l’immigrato venisse espulso non sarebbero necessarie barriere. Tutti populisti quelli che vogliono regole?

Persino Papa Francesco ha fruito di regole portandosi a casa dall’isola di Lesbo 12 migranti con passaporto, e (dicono alcuni giornali) con il visto per l’espatrio, mentre sulle nostre coste arrivano quasi tutti senza documenti. Populista anche lui?

Angelo Brugnoni
Daverio (VA), 02/11/2016

Continuiamo allora il dialogo iniziato su queste pagine lo scorso ottobre. Aggiorno solo la triste statistica dei morti nel Mediterraneo: 4.420 al 3/11/2016.

Comportamenti illegali e furbizie dei migranti.

Pochi giorni fa un amico mi raccontava, tra lo stizzito e il rattristato, di aver assistito a un corso di formazione per migranti nel quale 9 su 10 chattavano imperterriti sul cellulare invece di seguire la lezione. Altri amici mi hanno invece invitato ad andare a vedere un certo orto di cavoli ridotto peggio di quello, famoso, di Renzo.

Se uno volesse fare la lista di tutte le negatività nel comportamento dei migranti accolti in Italia, potrebbe scrivere un libro per la gioia di chi li considera semplicemente un problema e un pericolo.

Non sono un esperto in materia, ma credo che ci siano due ragioni fondamentali alla base dei comportamenti negativi: la prima è che molti di loro non vogliono stabilirsi in Italia, la seconda è che non si fidano degli operatori che incontrano. Senza la fiducia la relazione che ne risulta è quella di «guardie e ladri». Fare finta di non vedere queste situazioni difficili («buonismo»?) o vedere solo le situazioni negative («populismo»?) non aiuta né le persone che vogliamo accogliere né noi stessi.

Regole.

Se «buonismo» è chiudere gli occhi e dire «poverini loro», trattandoli patealisticamente e quasi con un senso di colpa, allora sono d’accordo a condannarlo. Ma neppure il moltiplicare le regole serve a molto. Anzi, più regole ci sono, più diminuisce la responsabilità e la libertà.

Avendo vissuto per molti anni in Africa, ho notato con preoccupazione come proprio in Europa si stia uccidendo la libertà, il buon senso e la responsabilità con un moltiplicarsi infinito di regolamenti su ogni cosa: dai cibi al commercio, dalla sanità all’etica, dalla famiglia al lavoro … Regolamenti che diventano poi così intricati da permettere ai furbi di abusae.

Detto questo, so bene che tra i rifugiati e migranti ci sono quelli che pensano di avere solo diritti e niente doveri, e anche coloro che sono arrabbiati con tutto il mondo (chi non lo sarebbe dopo aver passato quello che molti di loro hanno dovuto subire?). So anche che c’è chi crea nei migranti aspettative sproporzionate e fomenta i loro sospetti e diffidenze nei confronti di chiunque li voglia aiutare. Lo stesso succede anche per i cittadini dei luoghi di accoglienza. La strumentalizzazione politica in questo campo è ben nota.

L’accoglienza, complicata dal numero crescente dei migranti e rifugiati, è una realtà oggettivamente difficile da gestire. Per questo mi viene da chiedere se tutto il personale impiegato dalle moltissime cornoperative e onlus che con generosità si occupano di accoglienza, sia davvero all’altezza del delicato servizio che è chiamato a rendere e abbia ricevuto una formazione adeguata per diventare autorevole interlocutore di chi è nel bisogno.

Le regole ci sono, è importante osservarle e farle osservare, con fermezza sì, ma non con la forza, la paura o le botte (come ha denunciato recentemente Amnesty Inteational), piuttosto con persuasione, accompagnamento, formazione e necessaria autorevolezza.

Ricordo una storia contadina che ho sentito da bambino quando ancora si arava con l’aratro trainato dai buoi. C’erano quattro fratelli che, prestissimo al mattino, uscivano ad arare con un aratro trainato da due coppie di buoi. Tre di loro uscivano insieme, uno all’aratro e uno ciascuno per ogni coppia di buoi usando sempre urla e botte per farsi obbedire. Invece il quarto fratello usciva da solo per fare lo stesso lavoro, senza urla e senza pungolo. Il segreto? I tre fratelli si alzavano all’ultimo minuto e andavano subito fuori nei campi ad arare. Il quarto invece si alzava un’ora prima, nutriva e abbeverava bene i buoi e poi usciva ad arare, e gli bastava la voce per farsi obbedire.

Forse questa parabola c’entra poco, ma se invece di trattare i «miranti e rifugiati» come una categoria aliena e problematica, cominciassimo a considerarli semplicemente persone e a stabilire con loro rapporti «umani», faccia a faccia, forse sarebbe meglio per tutti. È la differenza tra chi erige barricate contro il «nemico» e chi improvvisa una festa di paese per il «fratello».

Probabilmente chi è trattato da «persona» è più disponibile a rispettare le regole di chi invece è trattato come un numero, un problema, un nemico.

Nel nostro paese, accanto a episodi negativi che finiscono facilmente in prima pagina – soprattutto quando servono agli interessi elettorali di alcuni -, abbiamo una marea di esperienze positive – vissute da persone normali – di cui si parla poco o niente, ma che sono la vera risposta «buona» a un dramma che è più grande di noi e di cui non si vede ancora la fine.

Fondamentalisti

Spett. redazione,
in merito alla risposta (il riferimento è a MC 7/2016 p. 5) vorrei fare alcune osservazioni. Definire fondamentalisti cristiani quelli che non riconoscono il papa è proprio degno di chi pensa di avere la verità in tasca come i cattolici. Fin dai primordi i padri fondatori del cristianesimo infischiandosene del detto: ama il tuo nemico, hanno creato apostati, eretici, hanno perseguitato e ucciso ebrei, pagani distruggendo i loro templi, streghe con una ferocia veramente paragonabile o anche superiore alle torture di oggi compiute da altri fondamentalisti, che sono soltanto assassini con una scusante religiosa, come lo erano gli inquisitori e persecutori del passato, non troppo passato. Pio IX applicava la pena di morte come gli altri papi ordinando di impiccare senza alcun rimorso. Inoltre molto prima delle multinazionali il Congo è stato terra di traffico di schiavi da parte dei gesuiti (ne possedevano12.000 nel 1666 così come i benedettini in Brasile fino al 1864). In Congo poi i belgi del cattolicissimo Leopoldo hanno creato uno sfruttamento superiore ad ogni concezione umana. Per i congolesi però nessun digiuno, come per i ruandesi o i vietnamiti. Come vede ogni setta ha la sua parte di orrori, come le ideologie e ogni credo. Che i sauditi abbiano fatto cadere i dittatori tolleranti è un fatto, e che siano amici di gruppi finanziari americani altrettanto, ma sono sempre le singole persone che compiono gli atti quindi loro vanno punite e non i libri da cui traggono idee. Non possiamo incolpare satana dei crimini umani visto che non si può arrestare come mandante, o no? Speriamo che in America vinca un pacifista che la smetta di impicciarsi del mondo e non un’ipocrita incapace di fare il segretario di stato. Come se la cava il cattolico Kerry per i conflitti in Africa? O se ne frega come tutti, tranne i sinceri missionari e volontari? La saluto cordialmente.

Luna verde
30/07/2016

Facciamo un’eccezione pubblicando una email anonima. Ecco alcune precisazioni.

Schiavi. Può darsi che i gesuiti avessero schiavi, ma certamente non in Congo (allora Regno del Congo) che era riservato ai frati Cappuccini.

I fondamentalisti cristiani non sono tali perché «non riconoscono il papa». Ci guardiamo bene dal considerare fondamentalisti gli Ortodossi, gli Anglicani, i Luterani, e via dicendo. Ma ci sono cristiani che sono fondamentalisti, nel mondo protestante, come anche in quello cattolico. L’enciclopedia Treccani così definisce il fondamentalismo: «Denominazione, sorta in ambito cristiano negli Stati Uniti agli inizi del 20° sec., ed estesa poi alle due altre religioni monoteiste, ebraica e musulmana, per indicare genericamente i movimenti, dapprima religiosi e culturali, poi anche sociali e politici, che, opponendosi a qualsiasi interpretazione evolutiva dei propri principi originari e fondamentali, ne propongono un’applicazione rigorosa negli ordinamenti attuali».

Verità in tasca e nefandezze varie.
Mi pare che i Cattolici abbiano cercato di imparare dai loro errori e che siano tra i pochi che abbiano chiesto perdono delle ingiustizie da essi perpetrate in nome della religione. Ha iniziato il Concilio Vaticano II, e papa Giovanni Paolo II e papa Francesco ne hanno continuato il cammino con coraggio. Mi sembra pretestuoso continuare ad andare a rivangare storie di secoli fa per togliere autorità morale oggi a chi cerca, senza nascondere un suo passato di errori, di vivere con coerenza il messaggio più originale e profondo del Libro (o dei «Libri» della Bibbia). Tenendo poi conto che questa testimonianza di amore, servizio e dialogo è stata pagata con oltre 100mila martiri nel solo XX secolo.

Quando queste righe saranno carta stampata sapremo già da un po’ chi ha vinto tra la Clinton e Trump (di fronte ai quali viene proprio da chiedersi cosa è successo agli Usa da essersi ridotti ad avere due candidati così). Ma definire Trump un pacifista, mi sembra proprio fuori luogo, anche solo per le simpatie che ha per Putin e il sostegno che riceve dalla lobby delle armi.

Bestemmie

Gentile redazione,
da parecchi anni si è notato un aumento di caccia a coloro che bestemmiano: non tanto nei nostri ambiti cristiani ma più da parte dell’Islam, ciò che conduce al sacrificio della vita stessa di coloro che non sanno difendersi e porre una adeguata spiegazione a titolo di scusa davanti ad enti competenti ed accusanti.

Dopo tanto tempo di riflessione, penso che la bestemmia, interpretata come offesa alla divinità, non può esistere: essa è indiscutibilmente nata come grido di aiuto rivolto a Dio, che poi è entrata in usanza come insulto. Ma come si può offendere la divinità? Può l’essere umano fare ciò? Come potrebbe essere giunto a tale idea? Assolutamente impossibile, per me è il grido a Dio di aiuto che aspetta ciò di cui più non riesce a rinunciare. La nostra religione cristiana per questo neppure ci condanna se chiediamo perdono, ma per i credenti dell’Islam è prevista perfino la pena mortale. Penso che si possa iniziare una ricerca atta a fare luce sulle origini della bestemmia. Distinti saluti, un vecchio lettore.

Gabriele Azzolini
21/10/2016

Non penso che la bestemmia sia nata come come «grido di aiuto», piuttosto come insulto e ribellione agli dei di un altro popolo (sia occupante e invasore o ritenuto inferiore al proprio). È infatti interessante che la bestemmia – come la intendiamo noi – non esista in mezzo ai popoli africani o altri popoli indigeni.

Che l’Antico Testamento e l’Islam abbiano sentito il bisogno di punire con la morte la bestemmia, è comprensibile se si guarda alla storia fatta di guerre di offesa e di difesa, combattute nel nome del proprio Dio quando non c’era distinzione tra sfera politica e quella religiosa.

Che poi Dio sia davvero offeso da una bestemmia è poco probabile. Parlare di «offesa» è un modo di dire nostro. Quando a metà ottobre, fermo ad un semaforo, ho sentito un motociclista snocciolare a gran voce le bestemmie più fiorite, non ho pensato che Dio fosse offeso da tanta stupidità – ero io a sentirmi offeso! -, piuttosto che provasse tanta pena per quella persona. Non sono le parole che offendono Dio, ma quello che c’è nel cuore delle persone, soprattutto quando ostinatamente rifiutano la sua logica di amore e si sentono realizzati nella loro rabbia, nella loro violenza e nel materialismo più egoista.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 2148 scrive: «La bestemmia […] consiste nel proferire contro Dio – interiormente o esteriormente – parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di lui nei propositi, nell’abusare del nome di Dio. […] È blasfemo anche ricorrere al nome di Dio per mascherare pratiche criminali, ridurre popoli in schiavitù, torturare o mettere a morte». Lo stesso vale per l’uso del nome di Dio per scopi di magia (n. 2149) o per giurare il falso (n. 2050).

Un super like

Io sono comunista e non credente, ma nella vostra pagina e nella vostra rivista ho trovato molto di buono. Ad esempio, tutto ciò che riguarda l’Africa. E se siete riusciti a piacere a un comunista, sempre acerrimo critico verso le gerarchie cattoliche, come potete non piacere a chi è credente e cattolico?

Salvatore T.
su FB il 21/10/2017

Sulla nostra pagina Facebook (www.facebook/missioniconsolata) c’era questo commento in risposta alla nostra richiesta di mettere un like e superare la soglia dei 4.000. Con oltre 47.000 copie distribuite in Italia e nel mondo, dovremmo poter andare oltre i 10.000 presto! Metti il tuo like!