LETTERAMartiri algerini e valdesi

Signor direttore,
non le pare che meritino di essere riconosciuti dalla chiesa come martiri anche questi numerosi e umili figli di Dio e fratelli di Gesù Cristo?

Lo meritano… La lettera, con una fotocopia de la Repubblica, si riferisce ai ricorrenti massacri in Algeria, come pure all’eccidio di numerosi valdesi, avvenuto in Calabria nel 1561.
Né si devono scordare i martiri di Timor Est o della Sierra Leone.

Aaldo Simonetta




LETTERANon si muore mai

Caro direttore,
eccoti la fotocopia della lettera che Enrica, mia sorella, ci ha lasciato prima di morire.
Giovanna Viganò
Torino

Ricordatevi che non si muore mai.
Non piangetemi per morta: ho solo cambiato «posto» in cui vivere. Ed è un bel posto, con milioni di amici nuovi e vecchi.
Un giorno ci ritroveremo tutti insieme: e sarà una gioia. Il rincontrarsi sarà anche il momento per capire come la morte è un dolore per chi resta, ma è una nuova vita per chi si dice essere “morto”.
Ma, anche prima di ritrovarci in questo nuovo mondo, il mio spirito sarà libero di volare verso i vostri cuori e dove sono stata felice.
Questo non è, dunque, un addio, ma un arrivederci. Ciao, Enrica

Enrica Viganò, affezionata lettrice di Missioni Consolata insieme alla famiglia, è mancata a 49 anni, colpita da cancro.

Giovanna ed Enrica Viganò




LETTERAPadre Davide

Cari missionari,
certi che padre Davide Condotta ha raggiunto il Padre che sentiva vicino anche nella sua vita quotidiana, vogliamo esprimere il vuoto che ha lasciato nella nostra famiglia. Con avidità leggevamo le sue lettere dalla missione, colme di saggezza e sapienza. Sapeva incoraggiarci senza giudicare; aveva incarnato nella sua vita il vangelo con molta umiltà.
Ricordiamo con piacere la domenica delle palme, quando, camminando insieme, fra le «bidonvilles» di Mombasa, padre Davide aveva un’attenzione per tutti: bambini, giovani, mamme, non escludendo i non cattolici, anzi… Si capiva quanto era amato. Rimane il rammarico di non aver più tra di noi un uomo ricco di bontà, cultura e intelligenza.
A noi, però, ha lasciato un’eredità incisiva: «Mai dimenticare che Egli è con noi, come ha promesso… Non importa dove e come metteremo la nostra pietruzza (Europa, Africa ecc.), perché ciò che conta è il metterla come vuole Lui, per costruire il regno di Dio».
Parole che, pur non nuove, hanno acquistato significato, perché pronunciate da chi le ha vissute.

Padre Davide Condotta, missionario in Kenya, è deceduto da diversi mesi. Eppure continuiamo a ricevere numerose testimonianze di stima.
In altre parole: la missione contagia.

Emma e Paolo Moratto




LETTERA”Solo 25 anni”

Cari missionari,
nel 25° anniversario di ordinazione, vorrei fare pregustare a tutti la gioia di essere sacerdote e dire una parola ai giovani: «Ascoltate Gesù che vi chiama. Non rifiutate il suo invito alla vita consacrata e missionaria. A tale scopo, prego tanto per voi».

Venticinque anni di sacerdozio non sono tanti. Ma sono significativi per don Alfonso, ordinato prete, non più giovane, a 65 anni. Oggi conta 91 «primavere». Nel suo stringato appello ai giovani sembra dire anche: «Non è mai troppo tardi. Guardate me!».

don Alfonso Ugolini




LETTERAAncora sui 100 anni

Caro direttore,
ho visto il numero speciale sul centenario di «Missioni Consolata». L’idea di costruire il numero su due piani è stata eccellente: nel piano superiore figura la missione vissuta oggi, mentre nel piano inferiore appare la missione testimoniata dai 100 anni della rivista. La qualità dei testi e delle foto è straordinaria.
Interessante pure è l’inchiesta fra i lettori sui contenuti della rivista.

Il numero dei «nostri» 100 anni è da conservare. Sono ancora disponibili copie a prezzi agevolati.

Jean Parè




LETTERAChe il sangue non vi condanni!

Lettera aperta sulla guerra tra Eritrea ed Etiopia

«Ato» (signor) presidente dell’Eritrea Isayas Afework,
«Ato» primo ministro dell’Etiopia Meles Zenawi,

come state? State bene?… Io sto bene, ringraziando il Signore. E le vostre famiglie stanno bene? I vostri figli stanno bene?… La mia famiglia sta bene. E le vostre nazioni e patrie stanno bene? C’è pace? C’è vera pace?… La mia nazione e patria, l’Italia, sta bene.
Vi scrivo dall’Italia, dove mi trovo con un exit-reentry visa per l’Etiopia, nella cui Federazione, stato dell’Oromia, mi trovo dal 1979 con un permesso di lavoro nel campo educativo. Sono in Italia per cure mediche.
Da sabato, 6 febbraio 1999 (Ter 29, 1991), i giornali italiani riferiscono che ogni giorno i fratelli e cugini dell’Eritrea ed Etiopia combattono… e già si contano i morti. Signori, so che avete poco tempo per leggere questa lettera, perché ora vi preoccupano la guerra e la vittoria, e non più lo sviluppo e la pace. Quindi sarò breve.
Per favore, signori, non pensate e non dite «da qui non si torna indietro», perché solo con la pace avrete prosperità e sviluppo. La vostra potenza sia il dialogo, il parlarvi come un tempo. Fatelo, magari anche in segreto, ma fatelo e coinvolgete i vostri collaboratori. E i popoli che governate vi seguiranno con maggiore sacrificio di prima.
Non aspettate che la storia vi denunci. Non aspettate che il sangue dei vostri martiri vi condanni, avendolo essi sparso a basso prezzo. Finora siete stati «grandi»; non diventate «piccoli» giocando alla guerra. L’Africa e tutto il mondo guardano a voi, alla vostra capacità di saggezza, che vale molto di più di tutte le guerre combattute e che si combatteranno.
Cambiate la terra del liksò (dolore), in terra di ililtà (gioia). Allestite le «tende» della riconciliazione e della pace, dove ci sarà grande festa per entrambe le vostre grandi nazioni.
Quando ritoerò a Gambo, nel woreda (distretto) di Kofole, nella zona dell’Arsi dello stato dell’Oromia, vi inviterò ad una grande festa.
Che il Signore vi benedica! Che i vostri popoli vi benedicano! Anch’io vi benedico!
Che il Signore vi dia buone piogge e tanto raccolto! Amìn, amìn! Selamtà (con saluti).

«abbà» Giuseppe Giovanetti,

missionario della Consolata
Torino – Italia, 11 febbraio 1999 (Yekatit 4, 1991)

Giuseppe Giovannetti




LETTERAI nostri 100 anni

Cari missionari,
il 24 ottobre 1998 a Torino, nel salone «Beato Allamano», la rivista «Missioni Consolata ha celebrato i 100 anni di attività. Una manifestazione solenne per un pubblico scelto di «addetti ai lavori». Un appuntamento cui non sono potuto mancare. Esprimo il più sentito apprezzamento per quanto l’avvenimento ha inteso rappresentare.
È stato dibattutto «il Sud del mondo, fra giudizi e pregiudizi»: un tema di attualità e di grande interesse, difficile da trattare. Il livello e la personalità dei relatori lasciavano intendere l’opportunità della scelta; e le attese non sono state deluse.
I 100 anni di «Missioni Consolata» hanno segnato anche la storia degli omonimi missionari, iniziata con il loro primo invio in Kenya. La rivista, nell’arco di 100 anni, ha accompagnato la storia di centinaia e centinaia di missionari e missionarie «sulle strade del mondo». Vicende religiose, sociali e politiche hanno coinvolto quattro generazioni, almeno, di lettori in avvenimenti epocali, spesso drammatici.
La riflessione su «il Sud del mondo» ha trovato ascoltatori attenti e particolarmente sensibili. Buona la presenza dei giovani, attratti pure da musiche e canti appropriati in una coice festosa.
Il numero straordinario del centenario di «Missioni Consolata» 100 anni sulle strade del mondo è un prezioso documento da conservare per la storia. Personalmente ho pure molto gradito il libro-omaggio «Uomini e donne senza frontiere» di Benedetto Bellesi.
Alfonso Dellavedova
Torino

Caro direttore,
innanzitutto la ringrazio per la mattinata del 24 ottobre, che ho trovato ricchissima di informazioni, analisi, speranze, amicizia, stimoli all’impegno. Una mattinata veramente «missionaria».
Solo ci ha tutti amareggiati, sul finale, l’atteggiamento aggressivo e razzista del dottor Mario Parker (italiano di origine panamense), che da quasi 30 anni è a Torino e si produce in sterili affondi contro l’occidente cristiano. È grave che abbia un certo seguito tra gli africani sprovveduti.
Parker è stato offensivo soprattutto nei confronti di padre Filipe Couto, classificato «cerebroleso» (perché «colonizzato» dai bianchi cristiani), e di Igor Man, tacciato di xenofobia. Con i nostri applausi abbiamo espresso solidarietà ai due relatori, che hanno risposto bene.
Piergiorgio Gilli
Torino

Nella mente degli organizzatori, il 24 ottobre scorso non è stato un’autocelebrazione, bensì un invito alla riflessione.
«Il Sud del mondo fra giudizi e pregiudizi», dibattuto in occasione dei 100 anni di Missioni Consolata, è pure il tema del dossier di questo numero.

aa.vv.




LETTERASubito il digiuno

Caro direttore,
la chiesa, il papa o un’altra autorità appropriata dovrebbe annunciare, per il giubileo del 2000, un «grande digiuno universale», al quale chiamare tutti i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà, con l’obiettivo di:
– porre fine al debito dei paesi del Sud del måondo, una volta per tutte;
– ottenere che ogni nazione aderente all’Onu:
a)sospenda tutti i programmi di potenziamento militare (guerre sperimenti nucleari e altro) per 10 anni, come minimo,
b) destini, per almeno 10 anni, l’1,5% delle proprie spese militari per debellare nel mondo, in modo risolutivo, la fame e le malattie dell’infanzia (l’1,5% mi pare sia pure la percentuale indicata come sufficiente da Oms, Fao e Unicef).
Modalità, durata e cadenza del digiuno, fino ad ottenere un pronunciamento positivo dell’Onu, non sono di mia competenza… Che ne dici della proposta?
Edoardo Arrighi
Asti

Proposta ottima. Ma, senza attendere il «sì» dell’Onu, incominciamo subito a realizzarla: in famiglia, parrocchia, città… Le rivoluzioni vere nascono sempre dal basso. Così, ad esempio, è stato per «la banca etica».

Edoardo Arrighi




LETTERAChi è il più bravo?

Caro direttore,
esprimiamo le nostre perplessità sull’articolo di Piergiorgio Gilli, «Portatori di un vangelo eterno», apparso sul numero speciale per i 100 anni di Missioni Consolata. Non ci ritroviamo nella visione che, del laico volontario ad gentes, l’articolista offre. Consideriamo riduttiva l’interpretazione del documento «I laici nella missione ad gentes e nella collaborazione tra i popoli – Conferenza episcopale italiana (Cei), 1990», anche a partire dall’esperienza di vita che abbiamo maturato come operatori della solidarietà internazionale.
Dal documento della Cei si può tracciare un identikit del laico «in missione» molto più ricco di quello tratteggiato nell’articolo. Per Gilli la funzione del laico si esaurirebbe in una «diaconia permanente». Invece il numero 49 del documento citato, dove si parla degli ambiti in cui si manifesta l’impegno dei laici in missione, oltre ad indicare «una collaborazione diretta con la chiesa locale e con gli istituti in settori strettamente pastorali», non tralascia, come aspetti parimenti importanti, la «cooperazione con la chiesa locale per progetti e iniziative finalizzate alla promozione umana attraverso il qualificato apporto delle professionalità» e il coinvolgimento «in progetti di promozione umana gestiti direttamente o in collaborazione con le istituzioni sociali e politiche del paese».
Inoltre il documento afferma che «il campo della attività evangelizzatrice (dei laici) è il mondo vasto della politica, della realtà sociale, dell’economia…». Del resto, anche il numero 25 ricorda che «i laici hanno un ruolo insostituibile nel mondo, specialmente per la promozione umana e per la carità, nell’impegno per la giustizia e la solidarietà, attraverso le molteplici e multiformi funzioni temporali». Dunque non sono solo operatori pastorali di rincalzo.
Crediamo che gli ambiti della promozione umana, prerogativa e compito dei laici, siano talora poco considerati dalla chiesa come espressione di missionarietà.
Da otto anni siamo impegnati in un organismo di Volontariato internazionale: il Comunità-impegno-servizio-volontariato (Cisv) di Torino, che appartiene alla Federazione degli organismi cristiani di Volontariato internazionale (Focsiv). Il Cisv da decenni cerca di tradurre l’ideale cristiano della solidarietà e dell’attenzione ai più poveri in una vita comunitaria e di azioni concrete nel Sud del mondo, insieme alle popolazioni escluse ed emarginate del pianeta.
Il nostro impegno di volontari ci fa vivere a fianco delle donne del Senegal, per renderle capaci di gestire autonomamente il loro mulino; o dei contadini del Burundi, perché possano migliorare la loro agricoltura e sfamarsi; o dei ragazzi di strada di Rio, perché escano dal circolo vizioso della droga e del crimine e si costruiscano un futuro nel lavoro… Ebbene: crediamo che tale impegno sia un’autentica missionarietà di laici nel mondo.
Tale impegno e vocazione, proprie del laico cristiano immerso nella realtà complessa dei problemi del mondo, non possono passare in subordine rispetto al carisma del «diacono permanente», che fa dell’evangelizzazione esplicita il cuore del suo servizio a fianco dei religiosi.

Federico Perotti e Paolo Martella – Torino

La vostra lettera, cari amici, solleva il problema della differenza tra «laico missionario» e «volontario internazionale cristiano»: il primo sarebbe impegnato di più nell’evangelizzazione e il secondo si dedicherebbe maggiormente alla promozione umana. La questione è rimbalzata anche sul Convegno missionario nazionale di Bellaria (10-13 settembre 1998).
Noi riteniamo che la differenza fra «laico» e «volontario» non debba sfociare in polemica, né, peggio, stabilire chi sia «il più bravo». Voi stessi, Federico e Paolo, nel post scriptum della lettera, auspicate «più miti consigli».
Infatti avete scritto:
«Anziché fomentare guerre tra poveri, accusando le Organizzazioni non governative della Focsiv di non meglio dichiarati «privilegi ecclesiali»), non sarebbe più proficuo cercare vie di collaborazione feconda tra i volontari inteazionali e i laici missionari? Forse questo obiettivo sarà più facilmente raggiungibile quando i credenti, che partono per un servizio «ad gentes», metteranno al centro della loro presenza “il farsi prossimo” a chi è nel bisogno con la propria irripetibile esperienza di umanità; ma, soprattutto, quando non verranno più considerati alla stregua di “sacerdoti mancati”».

Federico Perotti e Paolo Martella




L’ineffabile Fidel

Caro direttore,
ho letto di recente su un numero di «Times» (Londra) la classifica, aggiornata annualmente dalla rivista «Forbes», delle persone più ricche del mondo. «Vanitas vanitatum»!
In questa classifica compare un certo Fidel Castro, residente a L’Avana (Cuba), il cui patrimonio è stimato in 100 milioni di dollari USA (circa 170 miliardi di lire), distribuito fra miniere di nichel, piantagioni di canna da zucchero e risorse turistiche. Non c’è male per un osannato esponente del proletariato mondiale!
Che cosa ne dicono gli adoratori dell’ineffabile Fidel?
Pier Giorgio Motta
Torino

Noi non siamo tra gli «adoratori» di Fidel, ammesso che esistano… Spesso la coerenza di vita lascia a desiderare in molti. Certamente in noi.

Pier Giorgio Motta