LETTERAIsraele: la botte e il cerchio

Israele:
la botte e il cerchio

Caro direttore,
mi complimento per l’articolo su Israele («Missioni Consolata», dicembre 1998). Si affrontano problemi complessi, che hanno diviso e dividono non solo israeliani e palestinesi, ma anche l’opinione pubblica mondiale. Già il fatto di aver toccato alcuni temi (come quello della terra) merita apprezzamento per il coraggio dimostrato.
L’articolo mi ha ricordato il gioco dei bastoncini di quando ero bambino: sparpagliato il mazzo sul tavolo o sul pavimento, bisognava togliere un bastoncino alla volta senza muovere gli altri… Lei ha toccato i bastoncini israeliani senza offendere quelli palestinesi, e viceversa. In questo, però, ha esagerato nel dare un colpo alla botte e uno al cerchio.
Dalla sua analisi, direttore, posso tirare la conclusione che, nell’intricata matassa israeliano-palestinese, entrambi gli schieramenti hanno ragione?

Sia gli israeliani sia i palestinesi hanno diritto ad uno stato. Il che, per i secondi, non è ancora avvenuto… con conseguenze tragiche per tutti.
L’articolo ricorda anche le imprese sanguinose del terrorismo palestinese, a cui Israele risponde con spietate rappresaglie. È questo che il lettore intende per «un colpo alla botte e uno al cerchio»? Noi invece preferiamo l’immagine della medaglia, con due facce diverse.

Mauro Gatto




LETTERAMartiri algerini e valdesi

Signor direttore,
non le pare che meritino di essere riconosciuti dalla chiesa come martiri anche questi numerosi e umili figli di Dio e fratelli di Gesù Cristo?

Lo meritano… La lettera, con una fotocopia de la Repubblica, si riferisce ai ricorrenti massacri in Algeria, come pure all’eccidio di numerosi valdesi, avvenuto in Calabria nel 1561.
Né si devono scordare i martiri di Timor Est o della Sierra Leone.

Aaldo Simonetta




LETTERAI nostri 100 anni

Cari missionari,
il 24 ottobre 1998 a Torino, nel salone «Beato Allamano», la rivista «Missioni Consolata ha celebrato i 100 anni di attività. Una manifestazione solenne per un pubblico scelto di «addetti ai lavori». Un appuntamento cui non sono potuto mancare. Esprimo il più sentito apprezzamento per quanto l’avvenimento ha inteso rappresentare.
È stato dibattutto «il Sud del mondo, fra giudizi e pregiudizi»: un tema di attualità e di grande interesse, difficile da trattare. Il livello e la personalità dei relatori lasciavano intendere l’opportunità della scelta; e le attese non sono state deluse.
I 100 anni di «Missioni Consolata» hanno segnato anche la storia degli omonimi missionari, iniziata con il loro primo invio in Kenya. La rivista, nell’arco di 100 anni, ha accompagnato la storia di centinaia e centinaia di missionari e missionarie «sulle strade del mondo». Vicende religiose, sociali e politiche hanno coinvolto quattro generazioni, almeno, di lettori in avvenimenti epocali, spesso drammatici.
La riflessione su «il Sud del mondo» ha trovato ascoltatori attenti e particolarmente sensibili. Buona la presenza dei giovani, attratti pure da musiche e canti appropriati in una coice festosa.
Il numero straordinario del centenario di «Missioni Consolata» 100 anni sulle strade del mondo è un prezioso documento da conservare per la storia. Personalmente ho pure molto gradito il libro-omaggio «Uomini e donne senza frontiere» di Benedetto Bellesi.
Alfonso Dellavedova
Torino

Caro direttore,
innanzitutto la ringrazio per la mattinata del 24 ottobre, che ho trovato ricchissima di informazioni, analisi, speranze, amicizia, stimoli all’impegno. Una mattinata veramente «missionaria».
Solo ci ha tutti amareggiati, sul finale, l’atteggiamento aggressivo e razzista del dottor Mario Parker (italiano di origine panamense), che da quasi 30 anni è a Torino e si produce in sterili affondi contro l’occidente cristiano. È grave che abbia un certo seguito tra gli africani sprovveduti.
Parker è stato offensivo soprattutto nei confronti di padre Filipe Couto, classificato «cerebroleso» (perché «colonizzato» dai bianchi cristiani), e di Igor Man, tacciato di xenofobia. Con i nostri applausi abbiamo espresso solidarietà ai due relatori, che hanno risposto bene.
Piergiorgio Gilli
Torino

Nella mente degli organizzatori, il 24 ottobre scorso non è stato un’autocelebrazione, bensì un invito alla riflessione.
«Il Sud del mondo fra giudizi e pregiudizi», dibattuto in occasione dei 100 anni di Missioni Consolata, è pure il tema del dossier di questo numero.

aa.vv.




LETTERASubito il digiuno

Caro direttore,
la chiesa, il papa o un’altra autorità appropriata dovrebbe annunciare, per il giubileo del 2000, un «grande digiuno universale», al quale chiamare tutti i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà, con l’obiettivo di:
– porre fine al debito dei paesi del Sud del måondo, una volta per tutte;
– ottenere che ogni nazione aderente all’Onu:
a)sospenda tutti i programmi di potenziamento militare (guerre sperimenti nucleari e altro) per 10 anni, come minimo,
b) destini, per almeno 10 anni, l’1,5% delle proprie spese militari per debellare nel mondo, in modo risolutivo, la fame e le malattie dell’infanzia (l’1,5% mi pare sia pure la percentuale indicata come sufficiente da Oms, Fao e Unicef).
Modalità, durata e cadenza del digiuno, fino ad ottenere un pronunciamento positivo dell’Onu, non sono di mia competenza… Che ne dici della proposta?
Edoardo Arrighi
Asti

Proposta ottima. Ma, senza attendere il «sì» dell’Onu, incominciamo subito a realizzarla: in famiglia, parrocchia, città… Le rivoluzioni vere nascono sempre dal basso. Così, ad esempio, è stato per «la banca etica».

Edoardo Arrighi




LETTERAChi è il più bravo?

Caro direttore,
esprimiamo le nostre perplessità sull’articolo di Piergiorgio Gilli, «Portatori di un vangelo eterno», apparso sul numero speciale per i 100 anni di Missioni Consolata. Non ci ritroviamo nella visione che, del laico volontario ad gentes, l’articolista offre. Consideriamo riduttiva l’interpretazione del documento «I laici nella missione ad gentes e nella collaborazione tra i popoli – Conferenza episcopale italiana (Cei), 1990», anche a partire dall’esperienza di vita che abbiamo maturato come operatori della solidarietà internazionale.
Dal documento della Cei si può tracciare un identikit del laico «in missione» molto più ricco di quello tratteggiato nell’articolo. Per Gilli la funzione del laico si esaurirebbe in una «diaconia permanente». Invece il numero 49 del documento citato, dove si parla degli ambiti in cui si manifesta l’impegno dei laici in missione, oltre ad indicare «una collaborazione diretta con la chiesa locale e con gli istituti in settori strettamente pastorali», non tralascia, come aspetti parimenti importanti, la «cooperazione con la chiesa locale per progetti e iniziative finalizzate alla promozione umana attraverso il qualificato apporto delle professionalità» e il coinvolgimento «in progetti di promozione umana gestiti direttamente o in collaborazione con le istituzioni sociali e politiche del paese».
Inoltre il documento afferma che «il campo della attività evangelizzatrice (dei laici) è il mondo vasto della politica, della realtà sociale, dell’economia…». Del resto, anche il numero 25 ricorda che «i laici hanno un ruolo insostituibile nel mondo, specialmente per la promozione umana e per la carità, nell’impegno per la giustizia e la solidarietà, attraverso le molteplici e multiformi funzioni temporali». Dunque non sono solo operatori pastorali di rincalzo.
Crediamo che gli ambiti della promozione umana, prerogativa e compito dei laici, siano talora poco considerati dalla chiesa come espressione di missionarietà.
Da otto anni siamo impegnati in un organismo di Volontariato internazionale: il Comunità-impegno-servizio-volontariato (Cisv) di Torino, che appartiene alla Federazione degli organismi cristiani di Volontariato internazionale (Focsiv). Il Cisv da decenni cerca di tradurre l’ideale cristiano della solidarietà e dell’attenzione ai più poveri in una vita comunitaria e di azioni concrete nel Sud del mondo, insieme alle popolazioni escluse ed emarginate del pianeta.
Il nostro impegno di volontari ci fa vivere a fianco delle donne del Senegal, per renderle capaci di gestire autonomamente il loro mulino; o dei contadini del Burundi, perché possano migliorare la loro agricoltura e sfamarsi; o dei ragazzi di strada di Rio, perché escano dal circolo vizioso della droga e del crimine e si costruiscano un futuro nel lavoro… Ebbene: crediamo che tale impegno sia un’autentica missionarietà di laici nel mondo.
Tale impegno e vocazione, proprie del laico cristiano immerso nella realtà complessa dei problemi del mondo, non possono passare in subordine rispetto al carisma del «diacono permanente», che fa dell’evangelizzazione esplicita il cuore del suo servizio a fianco dei religiosi.

Federico Perotti e Paolo Martella – Torino

La vostra lettera, cari amici, solleva il problema della differenza tra «laico missionario» e «volontario internazionale cristiano»: il primo sarebbe impegnato di più nell’evangelizzazione e il secondo si dedicherebbe maggiormente alla promozione umana. La questione è rimbalzata anche sul Convegno missionario nazionale di Bellaria (10-13 settembre 1998).
Noi riteniamo che la differenza fra «laico» e «volontario» non debba sfociare in polemica, né, peggio, stabilire chi sia «il più bravo». Voi stessi, Federico e Paolo, nel post scriptum della lettera, auspicate «più miti consigli».
Infatti avete scritto:
«Anziché fomentare guerre tra poveri, accusando le Organizzazioni non governative della Focsiv di non meglio dichiarati «privilegi ecclesiali»), non sarebbe più proficuo cercare vie di collaborazione feconda tra i volontari inteazionali e i laici missionari? Forse questo obiettivo sarà più facilmente raggiungibile quando i credenti, che partono per un servizio «ad gentes», metteranno al centro della loro presenza “il farsi prossimo” a chi è nel bisogno con la propria irripetibile esperienza di umanità; ma, soprattutto, quando non verranno più considerati alla stregua di “sacerdoti mancati”».

Federico Perotti e Paolo Martella




Miniere? No, buchi!

Caro direttore,
ho letto su «Missioni Consolata» di aprile 1998 l’articolo sulle «miniere» del Tanzania. Io avrei usato il termine «buchi».
Questi «buchi» sono stati invasi dall’acqua. Meglio: l’acqua piovana scendendo dalla collina ha trasformato la strada in un torrente melmoso, allagando le «miniere» insieme ai lavoratori. I giornali hanno parlato di un centinaio di annegati. I soccorsi sono giunti da Moshi, a 70 chilometri di distanza, e dal Sudafrica: con delle pompe hanno estratto solo una quindicina di corpi.
I lavori in quei «buchi» non li chiamerei neanche «attività minerarie artigianali». Il tutto per estrarre la «tanzanite».
p. Lorenzo Poloni
Tanzania

Amare e giuste precisazioni di un missionario, che denuncia la totale mancanza di sicurezza nell’«affare delle pietre preziose».

Lorenzo Poloni




Adagio con le parole!

Spettabile redazione,
mi soffermo sull’articolo di Roberto Beneduce: «Negazione della ragione».
Crollano i muri (di Berlino), le ideologie di sinistra sono a pezzi ovunque, tranne che da noi! Infatti l’articolista, anziché distinguere, evidenziare, trattare i fatti e poi cercarne le cause, che fa? Parte da una ideologia bell’e pronta: «la colpa è del capitalismo». Quindi non esistono fatti.
Si sa che ci sono delinquenti anche fra gli immigrati, che c’è disagio reale fra gli italiani. Ma questo non appare. Non esistono responsabilità individuali. Se uno spaccia, «la colpa è del capitalismo»! E si tira in ballo persino la psicanalisi.
Cosa replicare a simile pervicacia e ignoranza, sia pure ammantata di «cultura»? Verrebbe voglia di dire: caro dottor Beneduce, vada a vivere a San Salvario, a Torino, dove sicuramente sarà scippato; dove, se ha una moglie o una figlia, starà in ansia per loro; dove potrà vedere spacciare e accoltellarsi.
Ma l’ideologia non si arrende né all’evidenza né alla ragionevolezza. Ecco il vizio capitale dell’intellettuale italiano. Allora ben vengano gli articoli che spiegano quanto sta succedendo nelle nostre città e quanto sia «comodo», ma pericoloso, accusare di razzismo. È negando i fatti che si crea il razzismo!
Caro articolista, come donna, mi sento più tutelata dai costumi italiani che dal modo in cui arabi e neri trattano le donne: lapidazione dell’adultera, reclusione in casa o escissione della clitoride alle ragazze. Ma, purtroppo, lei non cambierà la sua ideologia.
Marina Veglia
Torino

Evitiamo, per favore, le parole pesanti come pervicacia e ignoranza, perché sono macigni.
«Distinguere, evidenziare, trattare i fatti e poi cercarne le cause»: è proprio quello che il dottor Roberto Beneduce ha fatto nel suo articolo. Spesso si lamenta una crisi di valori. In realtà – annota Beneduce – dei valori esistono, e sono: competizione, individualismo, narcisismo, accumulazione, cinismo. Ecco «le cause» di molti comportamenti aberranti, fra cui il razzismo.
La frase «la colpa è del capitalismo» non appare nell’articolo contestato

Marina Veglia




Due “padani” a confronto!

Spettabile redazione,
rispondo all’editoriale «Bravi, bravissimi!» di «Missioni Consolata», settembre 1998.
Sono un vostro lettore, cattolico praticante e leghista militante, e ritengo doveroso ricordarvi che, contrariamente a quanto da voi scritto, la Lega Nord non ha visioni corte, anzi, vede più lontano di tutti i politici contemporanei.
Tengo a precisare che la porta in faccia non la sbattiamo né al prete, né a chi ha bisogno di aiuto. La Lega Nord sbatte la porta in faccia solo ai delinquenti e agli imbroglioni, siano questi politici o religiosi. Aggiungo anche che, all’interno del movimento, ho finalmente ritrovato quei valori nei quali ho sempre creduto e che in nessun altro partito ho riscontrato, a parte l’unico interesse per il denaro.
Siamo accusati di razzismo solo perché siamo legati alle nostre tradizioni; ma questo fa parte di ciò che i nostri padri hanno sempre insegnato. Per questo dovremmo vergognarci? Chi sono allora i veri razzisti?
Venite alle nostre feste e scoprirete che si respira tanta aria di festa popolana, dove tutti sono bene accetti: sì, proprio tutti, anche la gente del meridione e gli extracomunitari. Al contrario, entrate in qualsiasi altra manifestazione politica non leghista: se sarete fortunati, ve la caverete con bende e cerotti.
Lo stesso numero di «Missioni Consolata» riporta l’articolo «Triste sorpresa», con amare riflessioni di un missionario che lavora e lotta per altri uomini, per poi vergognarsi di quanto avviene nel suo paese. L’articolo rafforza la mia scelta politica. Grazie per averlo pubblicato.
Concludo dicendo che Dio non ha creato una sola razza, ma tanti popoli con culture diverse, che si devono rispettare a vicenda. Quindi è inconcepibile che quanto è stato creato venga annullato da scelte socio-politiche catto-comuniste di ammucchiamento, con conseguente perdita di identità, sotto il segno del falso perbenismo mirato esclusivamente al tornaconto elettorale.

Caro direttore,
ha fatto bene con l’editoriale «Bravi, bravissimi» a ricordare alla «padaneria» che non ogni idea politica è compatibile con il vangelo, specie se esclude l’altro. Nella fattispecie penso a quel partito del Norditalia che insulta i fratelli italiani del Sud, facendo inoltre appello a un folle secessionismo.
Io sono un italiano-trentino con le qualità e i difetti di tutti gli italiani. La nostra unità nazionale l’ha difesa pure il papa polacco, che di patrie storicamente straziate se ne intende. Il termine «padania» (inventato ieri, ridicolo e insolente a un tempo) desta una ripugnanza basale. Stona applicarlo, strumentalizzandolo, a un convegno missionario. Chi si distingue per presunta virtù civile è meglio che non offra nulla.
Mario Rizzonelli
Dro (TN)

Al leghista diciamo: “bravo, bravissimo!” se il suo movimento accetta tutti, compresi i meridionali e gli extracomunitari… Fatelo non solo durante le feste, ma anche (e soprattutto) nella vita di ogni giorno, trattando tutti con giustizia. Il che non sempre avviene. Si sa – per citare un caso – che il sindaco leghista di Treviso, Giancarlo Gentilini, soprannominato el scerifo, ha rimosso dalla città le panchine pubbliche, perché «i mori» non si sedessero.
All’antileghista diciamo: il Convegno missionario di Verona (24-27 del giugno scorso) ha preso lo spunto dal termine padania per riflettere sul leghismo. Così, ad esempio: «Nel nordest ad una grande dinamicità, sul piano economico e imprenditoriale, rischia di corrispondere sempre di più un impoverimento del senso della vita e un certo dissolvimento dei valori di convivenza.

Mario Salvinelli e Mario Rizzonelli




Lacrime

Cari missionari,
nel 1973 padre Luigi Andeni ed io abbiamo iniziato a Sololo (Kenya) una bella esperienza: io come medico volontario dell’Ummi. Oggi, 15 settembre 1998, la televisione mi ha trafitto con il triste annuncio della morte del missionario. Una morte violenta. La morte di un martire. Ho pianto, perché sono debole.
Amelio Galliera
Codroipo (UD)

Con lei, dottor Amelio, abbiamo pianto anche noi, e tanti altri in Italia e Kenya.

Amelia Galliera




Molto eloquente

Caro direttore,
in questi ultimi mesi sono stata impegnata in un cambio di appartamento; ciò ha comportato, viste anche le nostre condizioni di salute non ottimali, uno stress psicologico e fisico, che ho dovuto affrontare per risolvere alcuni problemi e cercare un ambiente un po’ più confortevole per mia madre.
Il nuovo appartamento non è comunque «la casa dei nostri sogni», perché per me non è prudente fare un mutuo: è sempre un ambiente piccolo rispetto alle mie esigenze di lavoro, così come il mio tenore di vita continua ad essere di «povertà relativa» rispetto a quello delle persone che lavorano nella mia scuola o che frequento nell’associazionismo cattolico.
La mia «povertà relativa» è, tuttavia, una «ricchezza clamorosa» rispetto a chi, specialmente nel Sud del mondo, è privo del minimo vitale.
Per convertire in una spinta positiva i sentimenti di tensione e frustrazione che la «povertà relativa» può produrre, desidero vivere un momento di condivisione con chi non ha nulla a livello abitativo.
Pertanto, caro direttore, la prego di destinare il denaro incluso a qualche bisognoso. Chiedo un ricordo nella preghiera.
(Lettera firmata)

Lettera che la mittente ci aveva chiesto di non pubblicare. Non ne abbiamo rispettato il desiderio, perché riteniamo che la sua lettera sia «molto eloquente». Per tutti.
Il grande poeta indiano Tagore scriveva: «Mi resta ciò che dono: rivivrà nelle mie mani».

Lettera firmata