Dio più delizioso di Allah

Egregio direttore,
ho letto con interesse il vostro «viaggio» fra i musulmani cercando di approfondire la loro cultura e religione. Apprezzo il vostro dialogo con quelli che ci sono attorno nei tram e sulle piazze.
In «Missioni Consolata» di luglio si è parlato dei convertiti all’islam e dall’islam. Non conosco le ragioni che spingono gli uni e gli altri ad abbracciare un’altra fede; pertanto non giudico nessuno.
Forse, per completare quanto già detto nella rivista, è utile conoscere la testimonianza di un algerino, musulmano praticante, convertitosi poi alla fede cristiana e, infine, entrato nell’Ordine dei francescani. A padre Jean Mohammed Abd el Jahil chiesero, prima che morisse nel 1998, quale differenza avesse trovato fra Allah e il Dio dei cristiani. «Oh – disse – Allah è grande, ma lontano da noi. Il Dio dei cristiani è molto più desiderabile, più comunicabile e più delizioso».
Da un convertito è bello cogliere la testimonianza di una scoperta che noi, forse, non abbiamo ancora fatto.

Certamente, padre Giovanni… E grazie di averci segnalato un documento dei vescovi francesi sul dialogo fra cristiani e musulmani.
Il documento cita anche il corano: «Se il Dio lo avesse voluto, avrebbe potuto fare di voi una comunità unica, ma non lo ha fatto. Vuol mettervi alla prova per mezzo di ciò che vi ha rivelato. Andate a gara gli uni e gli altri nel compiere il bene, poiché verso il Dio sarà il vostro ritorno. Solo allora egli vi illuminerà sulle cose su cui siete in discordia» (sura 5, versetto 48).

p. Giovanni Zabotti




Italia e Armenia

Egregio direttore,
ho letto su «Missioni Consolata» un bell’articolo sull’Armenia. Mi congratulo con lei per avere portato all’attenzione dei lettori il secolare dramma del popolo armeno, che ha subìto il primo genocidio del XX secolo.
Le scrivo anche a nome del professore Bophos Levon Zekiyan (università di Venezia), dei docenti Antonia Arslan e Massimo Turatto (università di Padova). L’ultimo è anche presidente dell’associazione «Italiarmenia».
Le assicuro che, se vorrete tener desta l’attenzione sul «problema armeno», la nostra associazione potrebbe darvi una proficua collaborazione.
Marta Minuzzi
Camposampiero (PD)

Grazie. Ma le congratulazioni vanno soprattutto a Claudia Caramanti, autrice dell’articolo, nostra fedele e impegnata collaboratrice, nonché fotografa. Nel presente numero scrive (con altri collaboratori) sulla Cambogia. Ennesimo genocidio dimenticato.

Marta Minuzzi




Consensi da Israele

Caro direttore,
le farà piacere sapere che l’intervista, apparsa su Missioni Consolata di settembre 1999, ha raccolto consensi sia sulla presentazione che sui contenuti. Due diplomatici in Israele hanno voluto esprimere apprezzamento, come pure monsignor Capovilla, antico segretario di papa Giovanni XXIII. È piaciuto anche il riquadro dove si accenna al «solito ignoto».
Qui a Gerusalemme ci si prepara al 2000: incontri, progetti e programmi, nella speranza che non si perda di vista l’essenziale.
Barak e Arafat persistono, tra un arresto e una ripresa, a scommettere sulla reciproca volontà di pace. Sarà difficile, ma non impossibile arrivare a un negoziato tra i due contendenti. Poi sarà la volta della Siria, osso duro, punto nodale e decisivo per la stabilità della regione.

I lettori ricordano certamente l’intervista su Israele con padre Marco, che ha lavorato anche con papa Giovanni. E rammentano pure la vicenda del «solito ignoto», alias Sandro Pertini.

p. Marco Malagola




Strage nella…donazione d’organi

Egregio direttore,
con la legge 91/99, lo stato italiano ha decretato l’esproprio del corpo umano in nome di un solidarismo di facciata, che nasconde ben altri interessi inconfessabili. Mentre sull’aborto ed altre aberrazioni la chiesa ha fatto sentire la sua voce autorevole, così non è stato nei confronti del trapiantismo selvaggio, della falsa morte cerebrale, dell’immane e silenziosa strage. In questo caso, la voce della chiesa è stata flebile, tardiva e spesso compiacente, salvo eccezioni.
Si è costruita un’etica che ha dato ai medici il potere di decidere chi deve morire. Non c’è vera etica se non quella che protegge ad oltranza la persona umana; tutto il resto porta ad una società disumana, totalitaria, che impone la morte dei deboli in nome della vita dei forti.
Con il riscontro diagnostico, a discrezione assoluta del primario ed effettuato anche a cuore battente, si aggira l’ostacolo della manifestazione di volontà contraria alla «donazione».
È di tutta evidenza che, come i donatori di sangue e di midollo osseo sono vivi, così lo sono altri donatori di organi; ma sono dichiarati morti, per sottrarre medici ed operatori sanitari all’incriminazione per omicidio volontario, aggravato dal raggiro ai danni dei familiari del morente.

Nel dicembre scorso Missioni Consolata ha sfiorato il problema della donazione di organi, senza però addentrarsi in questioni giuridiche che non le competono.
Riteniamo illuminante un articolo de La civiltà cattolica, 18 settembre 1999, che riporta anche il pensiero di Pio XII. Nel 1956 papa Pacelli affermava che il prelievo della cornea, per esempio, non offende la pietà dovuta al defunto, ma acquista il significato di carità verso i fratelli. Questo e fatti analoghi hanno nulla a che fare con il «trapiantismo selvaggio», certamente da condannare.

Carlo Barbieri




“Consolata”

Cari missionari,
la mia commozione è grande! Ho ricevuto la grazia dalla Madonna Consolata, che ha esaudito il mio più grande desiderio dopo averla pregata con fede.
Sono una ragazza di 19 anni e scrivo per ringraziare, anche pubblicamente, la Vergine… Tutto mi andava male fino al giorno in cui mi sono rivolta a lei; e lei ha messo le mani su di me. Oggi mi sento anch’io un po’ consolata.
Anche se la situazione resta delicata, continuo a pregare. Aiutatemi pure voi, pregando per me.

Certamente, Alessandra. Preghiamo anche «con» e «per» tante altre persone. È pure «un dovere di riconoscenza» verso tutti quelli che vogliono bene ai missionari.

Alessandra




LETTERANon si muore mai

Caro direttore,
eccoti la fotocopia della lettera che Enrica, mia sorella, ci ha lasciato prima di morire.
Giovanna Viganò
Torino

Ricordatevi che non si muore mai.
Non piangetemi per morta: ho solo cambiato «posto» in cui vivere. Ed è un bel posto, con milioni di amici nuovi e vecchi.
Un giorno ci ritroveremo tutti insieme: e sarà una gioia. Il rincontrarsi sarà anche il momento per capire come la morte è un dolore per chi resta, ma è una nuova vita per chi si dice essere “morto”.
Ma, anche prima di ritrovarci in questo nuovo mondo, il mio spirito sarà libero di volare verso i vostri cuori e dove sono stata felice.
Questo non è, dunque, un addio, ma un arrivederci. Ciao, Enrica

Enrica Viganò, affezionata lettrice di Missioni Consolata insieme alla famiglia, è mancata a 49 anni, colpita da cancro.

Giovanna ed Enrica Viganò




LETTERAPadre Davide

Cari missionari,
certi che padre Davide Condotta ha raggiunto il Padre che sentiva vicino anche nella sua vita quotidiana, vogliamo esprimere il vuoto che ha lasciato nella nostra famiglia. Con avidità leggevamo le sue lettere dalla missione, colme di saggezza e sapienza. Sapeva incoraggiarci senza giudicare; aveva incarnato nella sua vita il vangelo con molta umiltà.
Ricordiamo con piacere la domenica delle palme, quando, camminando insieme, fra le «bidonvilles» di Mombasa, padre Davide aveva un’attenzione per tutti: bambini, giovani, mamme, non escludendo i non cattolici, anzi… Si capiva quanto era amato. Rimane il rammarico di non aver più tra di noi un uomo ricco di bontà, cultura e intelligenza.
A noi, però, ha lasciato un’eredità incisiva: «Mai dimenticare che Egli è con noi, come ha promesso… Non importa dove e come metteremo la nostra pietruzza (Europa, Africa ecc.), perché ciò che conta è il metterla come vuole Lui, per costruire il regno di Dio».
Parole che, pur non nuove, hanno acquistato significato, perché pronunciate da chi le ha vissute.

Padre Davide Condotta, missionario in Kenya, è deceduto da diversi mesi. Eppure continuiamo a ricevere numerose testimonianze di stima.
In altre parole: la missione contagia.

Emma e Paolo Moratto




LETTERA”Solo 25 anni”

Cari missionari,
nel 25° anniversario di ordinazione, vorrei fare pregustare a tutti la gioia di essere sacerdote e dire una parola ai giovani: «Ascoltate Gesù che vi chiama. Non rifiutate il suo invito alla vita consacrata e missionaria. A tale scopo, prego tanto per voi».

Venticinque anni di sacerdozio non sono tanti. Ma sono significativi per don Alfonso, ordinato prete, non più giovane, a 65 anni. Oggi conta 91 «primavere». Nel suo stringato appello ai giovani sembra dire anche: «Non è mai troppo tardi. Guardate me!».

don Alfonso Ugolini




LETTERAAncora sui 100 anni

Caro direttore,
ho visto il numero speciale sul centenario di «Missioni Consolata». L’idea di costruire il numero su due piani è stata eccellente: nel piano superiore figura la missione vissuta oggi, mentre nel piano inferiore appare la missione testimoniata dai 100 anni della rivista. La qualità dei testi e delle foto è straordinaria.
Interessante pure è l’inchiesta fra i lettori sui contenuti della rivista.

Il numero dei «nostri» 100 anni è da conservare. Sono ancora disponibili copie a prezzi agevolati.

Jean Parè




LETTERAChe il sangue non vi condanni!

Lettera aperta sulla guerra tra Eritrea ed Etiopia

«Ato» (signor) presidente dell’Eritrea Isayas Afework,
«Ato» primo ministro dell’Etiopia Meles Zenawi,

come state? State bene?… Io sto bene, ringraziando il Signore. E le vostre famiglie stanno bene? I vostri figli stanno bene?… La mia famiglia sta bene. E le vostre nazioni e patrie stanno bene? C’è pace? C’è vera pace?… La mia nazione e patria, l’Italia, sta bene.
Vi scrivo dall’Italia, dove mi trovo con un exit-reentry visa per l’Etiopia, nella cui Federazione, stato dell’Oromia, mi trovo dal 1979 con un permesso di lavoro nel campo educativo. Sono in Italia per cure mediche.
Da sabato, 6 febbraio 1999 (Ter 29, 1991), i giornali italiani riferiscono che ogni giorno i fratelli e cugini dell’Eritrea ed Etiopia combattono… e già si contano i morti. Signori, so che avete poco tempo per leggere questa lettera, perché ora vi preoccupano la guerra e la vittoria, e non più lo sviluppo e la pace. Quindi sarò breve.
Per favore, signori, non pensate e non dite «da qui non si torna indietro», perché solo con la pace avrete prosperità e sviluppo. La vostra potenza sia il dialogo, il parlarvi come un tempo. Fatelo, magari anche in segreto, ma fatelo e coinvolgete i vostri collaboratori. E i popoli che governate vi seguiranno con maggiore sacrificio di prima.
Non aspettate che la storia vi denunci. Non aspettate che il sangue dei vostri martiri vi condanni, avendolo essi sparso a basso prezzo. Finora siete stati «grandi»; non diventate «piccoli» giocando alla guerra. L’Africa e tutto il mondo guardano a voi, alla vostra capacità di saggezza, che vale molto di più di tutte le guerre combattute e che si combatteranno.
Cambiate la terra del liksò (dolore), in terra di ililtà (gioia). Allestite le «tende» della riconciliazione e della pace, dove ci sarà grande festa per entrambe le vostre grandi nazioni.
Quando ritoerò a Gambo, nel woreda (distretto) di Kofole, nella zona dell’Arsi dello stato dell’Oromia, vi inviterò ad una grande festa.
Che il Signore vi benedica! Che i vostri popoli vi benedicano! Anch’io vi benedico!
Che il Signore vi dia buone piogge e tanto raccolto! Amìn, amìn! Selamtà (con saluti).

«abbà» Giuseppe Giovanetti,

missionario della Consolata
Torino – Italia, 11 febbraio 1999 (Yekatit 4, 1991)

Giuseppe Giovannetti