Noi e Voi, dialogo lettori e missionari

Antropologi e missionari

Cara Missioni Consolata,
il dossier: «Antropologi e missionari» pubblicato sul numero della rivista di Maggio 2020, ha suscitato in me qualche perplessità nel leggere per esempio a pagina 35 le parole di papa Francesco riportate da Moiola: «Noi non facciamo proselitismo» e ancora nel messaggio rivolto ai cattolici cinesi: «devono promuovere il Vangelo, ma senza fare proselitismo».

Forse che l’annuncio del Vangelo non ha lo scopo di fare nuovi seguaci di Cristo?

Inoltre, a pagina 37, Raspo scrive: «Poi è arrivato il Concilio Vaticano II, il quale ci ha spiegato che ci si può salvare anche fuori dalla Chiesa».

Se ciò significa che basta essere battezzati e poi si può vivere il Vangelo in solitaria può anche essere. Per me sarebbe molto difficile, io ho bisogno dei Sacramenti che posso ottenere solo all’interno della Chiesa. Ma se si vuol dire che tutte le religioni si equivalgono allora ho forti dubbi, mal si concilierebbe tale affermazione con le parole di Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita, nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Giovanni 14, 1-6).

Mi pare che papa Benedetto XVI a Ratisbona ribadisse fermamente il primato del Cristianesimo e perciò fu attaccato duramente al di fuori e anche dentro la Chiesa.

Se poi l’infinita misericordia di Dio permetterà a tutti di salvarsi, dipenderà solo ed esclusivamente da Lui, ma non penso si possa affermare.

Forse ho capito male io frasi estrapolate dal contesto, ma la lettura del dossier mi ha istillato dei dubbi. Ringrazio per la cortese attenzione e invio cordiali saluti

Mariagiulia
05/06/2020¢

Gentile Mariagiulia,
le sue osservazioni meriterebbero una risposta più esaustiva di quella che possa darle qui. Mi permetto di chiarire alcuni punti.

Proselitismo

Nel suo significato letterale di cercare e formare seguaci di una religione (o anche di ideologie, movimenti, ecc), il termine può sembrare bello e neutrale. Ma nel contesto del linguaggio della Chiesa di oggi, è inteso come un’azione intensa per avere convertiti a tutti i costi, un’azione mossa dall’ossessione del numero, del prestigio, del successo «dell’impresa», dimenticando che il cammino di ognuno è personale, e che la vera conversione la opera solo lo Spirito, come e quando vuole Lui. Il missionario, il testimone deve solo agire come il suo Maestro, anche «insistendo a tempo e fuor di tempo», ma nel rispetto assoluto dei tempi di Dio e della libertà di ognuno. L’Amore non può essere un obbligo, ma solo un dono.

Salvezza fuori della Chiesa

Gesù è venuto perché tutti siano salvati, giungano alla conoscenza della Verità e partecipino alla Vita divina nel «banchetto» finale del Regno di Dio. La Chiesa, comunità dei credenti e discepoli di Gesù, è al servizio di questo progetto universale di salvezza, per aiutare tutti gli uomini a conoscere e amare Dio come rivelato da Gesù. Il punto non è dire che «tutte le religioni si equivalgono», ma che in ogni religione c’è già una rivelazione fondamentale di Dio e, per chi non conosce Gesù, quella è la strada per vivere il progetto di Dio sull’uomo. Il progetto di salvezza di Dio non è cominciato solo con la venuta storica di Gesù nel mondo, ma nel momento stesso in cui ha creato l’uomo. Per questo ogni uomo ha in sè la capacità di ascoltare Dio e vivere una vita bella che dia gloria a Lui, essendo fatto a «sua immagine e somiglianza».

L’annuncio del Vangelo si inserisce nella vita e nella cultura di ognuno come liberazione da tutto quello che impedisce di conoscere davvero il volto di Dio e la rivelazione dell’Amore infinito del Padre in Gesù incarnato, crocifisso e risorto. È anche la nascita di un popolo nuovo che cammina verso il Regno con Gesù «Via, verità e Vita».

Primato del Cristianesimo

La lectio magistralis di papa Benedetto XVI a Ratisbona, ha suscitato reazioni tumultuose nell’Islam e in altri ambienti. Ma dire che ha ribadito il «primato del Cristianesimo» sulle altre religioni, non mi sembra del tutto corretto. Credo piuttosto che la lezione del papa abbia sottolineato le caratteristiche uniche e peculiari del Cristianesimo, senza con questo voler diminuire l’importanza delle altre religioni, che sono comunque vie di incontro con Dio per almeno sette persone su dieci in tutto il mondo. E non mi pare coerente con quello che conosciamo e crediamo di Gesù Cristo, pensare che Dio salvi una sola parte dell’umanità.

Come missionari siamo pienamente coscienti di essere mandati da Gesù come itineranti e pellegrini in questo mondo per testimoniare con azioni di amore gratuito e con l’annuncio della sua Parola che Lui è «il Signore» di tutto e di tutti, e che il suo Vangelo è una forza che trasforma la nostra vita già qui ora, in questo mondo. Ma senza l’ansia dei numeri e del successo, perché è lo Spirito di Dio che converte i cuori, ed è come il vento «che soffia quando e dove vuole».


Preghiera e Preghiere

Cari Missionari,
la vicenda di Re Salomone, che parte alla grande (e con una gran bella preghiera che fa gioire Dio) ma finisce male, mi ha sempre colpito e mi torna sempre in mente quando vien fuori un dibattito su come ci si deve relazionare a Dio e sul giusto equilibrio tra formulazioni canoniche e libertà d’espressione.

Sarebbe bello sentire su questo il nuovo biblista, al quale faccio tanti complimenti perché si sta dimostrando un degnissimo erede del grande don Paolo Farinella, ma la Chiesa ci ha sempre insegnato che è Dio a salvare, non le nostre odi, i nostri inni, la nostra poesia, i nostri virtuosismi letterari e canori.

Meglio una preghiera grezza, rivolta a Dio da un uomo modesto ma fedele, che un testo da Premio Nobel scritto da un artista della penna ma per il quale fedeltà (quella fedeltà che neppure Salomone volle mantenere) non fa rima con creatività e originalità. Cordialmente

Luciano Montenigri
16/06/2020

A proposito della preghiera, invito a rileggere le bellissime pagine di don Paolo Farinella, «Insegnaci a pregare», facilmente scaricabili dal nostro sito.

Su questo, Gesù ci ha dato un consiglio prezioso: «Quando tu preghi, entra nella tua camera, chiudi la porta e prega il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà. Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole» (Mt 6,6-7).


Di covid e di «Pane»

Cari Missionari,
la preghiera non deve essere la lista della spesa, d’accordo, ma le liste della spesa non sono tutte uguali.

L’emergenza da coronavirus ha cambiato anche molte abitudini alimentari, per cui quello della spesa è diventato un momento molto più impegnativo, ci sono stati dei mesi in cui dovevamo stare attenti a quante volte uscivamo e a che cosa compravamo anche per giustificare il nostro allontanamento da casa – anche di poche centinaia di metri – agli uomini e alle donne della polizia, dei carabinieri, dell’esercito.

Abbiamo dovuto dare la precedenza alle cose veramente essenziali, quelle che ci consentivano un minimo di sicurezza e tranquillità, lasciando perdere il superfluo. Peccato che qualcuno che sta molto in alto e che, forse per questo, si è sentito più alto, non abbia capito che il Pane più importante di tutti e la Carne più importante di tutte andavano garantiti (sia pure con tutte le misure precauzionali imposte ai supermercati e a tutti gli esercizi dove si vendono gli altri pani e le altre carni).
Con stima

Agatino Zumpanesi
16/06/2020

Caro signor Agatino,
anzitutto comincerei a ringraziare che nel nostro paese abbiamo avuto tanti «qualcuno in alto» che si sono preoccupati più delle persone che del potere economico, come invece abbiamo visto fare, e continuiamo a vedere, in altri paesi. E questo è stato bello e importante per tutti noi, pur con i mille difetti e lacune che ben conosciamo.

La decisione di sospendere le celebrazioni delle sante messe, in particolare quelle domenicali, durante la Quaresima e il tempo pasquale, è stata sofferta e difficile da accettare. Lo scrivo a ragion veduta, perché ho vissuto questo sulla mia pelle, sia come viceparroco che come persona che si è fatta ben 63 giorni di quarantena, dopo un attacco iniziale della Covid-19 curata con tre pastiglie di paracetamolo.

In questo lungo periodo credo di aver capito sulla mia pelle una verità che avrei già dovuto sapere molto bene: che Gesù è «il Pane vivo» (cfr. Gv 6,35-59) non solo nell’Eucarestia, ma anche nella sua Parola. L’ascolto profondo della Parola di Gesù è un autentico incontro con Lui. È vero nutrimento per la vita, per essere partecipi già qui e ora della vita dell’Eterno. «Ascoltare la sua Parola» non è soltanto udire, ma è lasciare che il «seme entri nella terra, metta radici e porti frutto» (cfr. Mc 4,1-20; Gv 12,24), è accogliere Gesù stesso nella propria vita. «Prendi e mangia», dice la voce dal cielo al profeta Ezechiele (cfr. Ez 3,1-2), non una pagnotta di pane, ma il rotolo del libro (o il libricino dalle mani dell’angelo, cfr. Ap 10,8-11).

Se durante questo tempo di Covid ci siamo solo lamentati per la mancanza della Messa e non abbiamo colto l’opportunità di «mangiare» il piccolo libro «dolce nella bocca» e «amaro nelle viscere», forse abbiamo sprecato un prezioso tempo di grazia.

 


Lista della spesa

Cari Missionari,
se Gesù nel Vangelo ci insegna a chiedere al Padre nostro il pane quotidiano, è bene che, almeno per quel che riguarda il pane e le altre cose fondamentali per una buona alimentazione che è un dovere oltre che un diritto, la preghiera somigli alla lista della spesa.

Il problema è che, oltre al pane, nella nostra lista figurano spesso cose che, oltre a pregiudicare i nostri equilibri psico-fisici, hanno un effetto estremamente negativo sulla vita e sulla salute di tante altre persone, soprattutto nei paesi della fascia tropicale.

Ben venga la richiesta di evitare il più possibile «Bacco, Tabacco e Venere», ma anche un certo tipo di caffè, un certo tipo di olio (a cominciare da quello di palma…), di cioccolato, di banane, di ananas, di soia, perché anch’essi riducono l’uomo e le foreste in cenere e gli oceani, i laghi e i fiumi e persino i ghiacciai in immense ed esiziali discariche.
Distinti saluti

Carlo Erminio Pace
16/06/2020

Tutto condivisibile. Aggiungerei che dalla lista della spesa occorrerebbe escludere anche i pomodori raccolti a Mondragone, la frutta del saluzzese, le uve del foggiano, le pesche dell’Emilia, la carne del Brasile, i vestiti dal Bangladesh, i prodotti elettronici dalla Cina, i fiori dal Kenya, il petrolio da … la lista potrebbe essere senza fine, inclusiva di mascherine a guanti ritenuti così essenziali di questi tempi. Troppe cose che usiamo o consumiamo ogni giorno, e ci sembrano essenziali, perfino i social, hanno un retroterra di ingiustizia, sfruttamento, speculazione e guadagni ottenuti a tutti i costi, senza scrupoli e nel disprezzo dell’ambiente oltre che delle persone.

 


Grazie don Mario

Buongiorno,
leggiamo sempre con molto interesse la rubrica «4 chiacchiere con i perdenti», e volevamo ringraziare particolarmente il suo autore Mario Bandera per il racconto su padre Damiano e i lebbrosi di Molokai che ci ha molto stupito e commosso.
Cordiali saluti,

Famiglia Belga
13/06/2020


Le migrazioni fra noi

«Le migrazioni fra noi» è il titolo di un dossier pubblicato dal Centro nuovo modello di sviluppo. Ventinue infografiche che hanno per tema le migrazioni, e come obiettivo la lotta contro i luoghi comuni.

La democrazia è uno dei beni più preziosi, ma per funzionare correttamente ha bisogno di cittadini bene informati. Se invece siamo male o per niente informati, diventiamo facili prede di forze che hanno interesse a strumentalizzarci trasformando la democrazia in una farsa. Peggio ancora, in una forma di tirannia veicolata dall’ignoranza dei più.

Il tema delle migrazioni è uno di quelli che conosciamo di meno, ma che più suscita reazioni emotive. Il che spiega perché alcune forze politiche, ansiose di lasciare tutto com’è pur facendo finta di voler cambiare tutto, cercano di ottenere consenso presso l’elettorato additando gli immigrati come i responsabili di tutti i nostri mali. Del resto, da quando mondo è mondo, il potere ha sempre cercato di distogliere l’attenzione dalle proprie responsabilità, incolpando i più deboli dei mali commessi da lui.

Il dossier è stato prodotto proprio per fornire al pubblico del materiale informativo, al tempo stesso rigoroso e di facile lettura grazie all’uso di grafici e immagini.

Il dossier si chiude con un invito. Quello a operare una sanatoria, per regolarizzare i circa 600mila clandestini esistenti sul nostro territorio. Sarebbe di grande beneficio per tutti, perché la clandestinità, oltre a condannare i clandestini alla perdita di dignità, alimenta il lavoro in nero, il caporalato, l’economia criminale. E questo sì, ci fa davvero del male.

Francesco Gesualdi
02/07/2020

Il dossier si può consultare e scaricare sia sul sito del Centro nuovo modello di sviluppo che da quello di MC.


Premio «Giornalismo a testa alta» a Simona Carnino (e a MC)

Dedicato alla memoria del reporter e inviato di guerra Mimmo Càndito, scomparso il 3 marzo 2018, il 1° Premio «Giornalismo a testa alta» nella categoria «Opere», va a «Viaggiare bagnati. L’epopea dei migranti centroamericani al tempo di Trump» di Simona Carnino, per rigore, completezza, carica emotiva. Pubblicata su «Missioni Consolata» (dossier in MC 07/2019, ndr), l’indagine affronta le sfaccettature del fenomeno migratorio nel Centro America con rigore di analisi, completezza nella raccolta dei dati e diversificazione delle fonti.

L’autrice racconta storie senza condiscendere alla retorica o alla spettacolarizzazione.

In coerenza con il giornalismo di Càndito, Carnino sperimenta in prima persona ciò di cui scrive: la narrazione è il risultato di un lavoro antecedente di studio e approfondimento del tema.

Associazione Premio Mimmo Càndito per un giornalismo a testa alta
www.premiomimmocandito.org

 




Noi e Voi, dialogo lettori e missionari

Collettivismo vs individualismo

Spettabile Missioni Consolata,
ho letto con molto interesse l’articolo a firma di Piergiorgio Pescali sul contenimento del Covid-19 in Corea del Nord (MC 5/2020). Lo stesso giornalista firma un riquadro (pag. 54) dove mette a confronto i sistemi di contenimento in Occidente e quelli in Oriente, evidenziando la tesi secondo la quale i processi democratici vigenti in Occidente rallentano la presa di decisione in situazioni di emergenza. Questo aspetto, unito all’individualismo tipico della cultura occidentale, non giova al contenimento del virus. Viceversa, citando testualmente Pescali, «il sistema comunitario orientale […] detta le regole dall’alto secondo un sistema antico e collaudato. E in Asia, nata e costruita su fondamenta culturali assai diverse da quelle occidentali, spesso funziona». Questo, unito alla cultura orientale più orientata al benessere collettivo che all’individuo, gioverebbe nel contenimento del virus.

La posizione di Pescali non mi sorprende: è in corso un dibattito politico e filosofico sulla effettiva efficacia delle democrazie e illustri politologi indicano come modelli di stato efficiente paesi come Singapore (come sostiene ad esempio, il noto politologo Parag Khanna ne «Il secolo asiatico»).

Trovo però molte crepe in questo ragionamento: se è vero che un potere centralizzato decide prima, questo non significa che il potere assoluto od oligarchico sia il migliore sistema per guidare una nazione. Cina, Corea del Nord, Vietnam, Thailandia, Myanmar (per citare solo alcune nazioni confinanti o adiacenti la Cina) sono brutali dittature che imprigionano chi dissente, spostano forzatamente intere popolazioni, controllano la vita di ogni singolo cittadino e non hanno alcuna trasparenza nelle loro comunicazioni. Siamo così sicuri che siano modelli da prendere ad esempio? Nello stesso numero della vostra rivista, avete fatto un servizio sulla persecuzione terribile che il governo cinese attua nei confronti dei seguaci della Chiesa di Dio Onnipotente.

Sottolineo che, nella nostra democrazia, imperfetta e sicuramente da rivedere, abbiamo gli strumenti del decreto legge, legislativo e della presidenza del consiglio dei ministri, che permette di gestire le emergenze.

Concludo chiedendomi, e chiedendovi, se non sia il caso di pensare a un modello cristiano di politica. Cristiano non in senso assolutistico, ma cristiano nel cuore della questione, ovvero agire per il bene di tutti, conservando la libertà di avere la propria opinione, nel rispetto degli altri. Possibile che un concetto così semplice sia solo utopia?

Perdonatemi la prolissità! Cordiali saluti,

Lorenzo Bragagnolo
22/05/2020

 

Non è ovviamente mia competenza specifica entrare nell’argomento del «modello cristiano di politica». Mi permetto qui di ricordare solo che uno dei capisaldi della concezione cristiana della politica si trova espresso nel Concilio Vaticano II, al numero 74 della Costituzione pastorale Gaudium et Spes.

Secondo il Concilio, in vista del bene comune, «gli uomini, le famiglie e i diversi gruppi che formano la comunità civile […] avvertono la necessità di una comunità più ampia, nella quale tutti rechino quotidianamente il contributo delle proprie capacità» (n. 74). «La comunità politica esiste dunque in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova significato e piena giustificazione e che costituisce la base originaria del suo diritto all’esistenza» (ivi).

Perché questa comunità politica non si disgreghi nello scontro di opinioni diverse, «è necessaria un’autorità [pubblica] capace di dirigere le energie di tutti i cittadini verso il bene comune, non in forma meccanica o dispotica, ma prima di tutto come forza morale che si appoggia sulla libertà e sul senso di responsabilità» (ivi).

È un testo che merita di essere letto e riletto, anche perché «la politica» oggi è contagiata da molti virus e stanno crescendo sia la disaffezione per essa che l’idea di soluzioni messianiche e autoritario populiste.

 

Il capestro del debito

Gentilissima redazione,
sono un fedele lettore da molto tempo e mi soffermo spesso sulle rubriche di Francesco Gesualdi riguardanti l’economia.

Mi piacerebbe molto avere una sintesi, magari sotto forma di tabella, del debito di tutte le nazioni sotto forma di dare/avere per capire con uno sguardo chi tiene i «cordoni della borsa» dell’economia mondiale e quindi fare pressioni su di loro per azzerare il debito e liberare per sempre il mondo da questa schiavitù che affossa sempre più alcuni, ed arricchisce sempre più altri.

Alla faccia di tutte le dichiarazioni di buona volontà che circolano specialmente in questo periodo di virus, che, sotto sotto, ci ha fatto riflettere e ha messo in discussione tutti i modelli economici e dato spazio alla rivincita della natura sui disastri che giornalmente perpetriamo nei suoi confronti.

È ora di girare pagina, ma veramente e non solo con dei proclami. Cordialmente

Valerio Liberati
22/05/2020

Caro Valerio,
grazie per la tua sollecitazione. Ciò che auspichi sarebbe senz’altro di grande utilità, ma al tempo stesso di non facile realizzazione. Innanzi tutto, per la varietà di fonti che andrebbero consultate e subito dopo per la quantità di voci che andrebbero esaminate. Infatti, la posizione finanziaria verso l’estero di ogni paese è determinata dal saldo commerciale, dai movimenti di capitale, dal debito accumulato dal governo centrale, dal debito delle imprese, dal debito delle banche e altri aspetti ancora. Per una sola persona si tratterebbe di un’impresa titanica, quasi impossibile da realizzare, ma se a lavorarci fosse un gruppo, allora il discorso sarebbe diverso. Quello che potremmo fare è chiedere a MC di lanciare pubblicamente l’idea con l’obiettivo di chiedere a chiunque si senta di voler e poter partecipare, di farsi avanti. Se l’iniziativa riuscisse, si potrebbe formare un gruppo di volontari che iniziano con questa ricerca e magari proseguono con molte altre di cui si sente il bisogno per ripristinare una corretta informazione.

Francesco Gesualdi
02/06/2020

Suggerimenti

Splendido il dossier sul ruolo attuale delle missioni, complimenti. Mi permetto un suggerimento: fare un servizio di analogo respiro sull’articolo di Civiltà Cattolica che partendo da un’analisi dell’impatto del virus, delinea un esplosivo programma politico, praticamente socialista, ma di quelli che i socialisti di oggi non osano neanche parlarne.

Un altro suggerimento, basato sulla lettura dell’ottimo articolo sul numero di marzo sullo sfruttamento delle acque del Mekong: fare un servizio analogo sullo sfruttamento del Nilo, che porterà tra non molto a una inarrestabile crisi in Egitto, con spinta a una enorme migrazione. I Cinesi hanno già fatto dell’Etiopia la loro riserva alimentare, acquistando terreni aridi che verranno irrigati con le dighe che stanno costruendo vicino alle origini del Nilo. E probabilmente la stessa cosa sarà fatta nel Sud Sudan quando e se sarà pacificato: a questo punto il Nilo in Egitto sarà ridotto a un rigagnolo, e una delle più popolose nazioni dell’Africa sarà ridotta alla disperazione. L’Egitto ha 100 milioni di abitanti, di cui almeno cinque di soldati e poliziotti: può succedere di tutto, a partire da una inarrestabile emigrazione.

D’altra parte, da sempre l’acqua è un elemento importante della politica estera: dal Tibet partono i fiumi che irrigano l’India, alcuni passando per il Pakistan, altri per il Kashmir non a caso in perenne tensione. I curdi si battono per un’indipendenza che nessuno gli vuol dare, perché controllano buona parte dell’acqua che va in Turchia e Iraq e tutta quella che va in Siria. E in Siria, nelle alture del Golan che Israele ha conquistato nasce il Giordano, ormai ridotto a un rigagnolo a causa dello sfruttamento intensivo delle acque, tanto che il lago di Tiberiade, luogo evangelico, credo sia di fatto prosciugato e il Mar Morto sta trasformandosi in una miniera a cielo aperto.

Claudio Bellavita
13/05/2020

Grazie dei preziosi suggerimenti di cui faremo tesoro nelle nostre possibilità. Il problema dell’acqua è certamente cruciale per il mondo, anche per alcune dissennate politiche in atto, tipo la distruzione sistematica dell’Amazzonia o la massiva cementificazione dell’ambiente o, ancor peggio, la corsa di imprese private e multinazionali a prenderne il controllo sia da noi in Italia che in molte parti del mondo, facendo questo a spese dei poveri.

Soldi per armare terroristi

Ciao carissimi,
spero di trovarvi tutti bene. Vi scrivo perché sono rimasto molto colpito dalle discussioni scatenatesi in seguito alla liberazione di Silvia Romano. Concordo sullo squallore di certi commenti volgari e irrispettosi che si sono diffusi a valanga. Nondimeno, dalle «nostre» parti (sinistra e Chiesa missionaria) è mancato un commento sull’inopportunità di avere versato dei soldi a una tra le peggiori organizzazioni terroristiche del pianeta.

Fin dalla mia prima esperienza africana, avvenuta negli ormai lontani anni ‘80, ho maturato la consapevolezza di quanto male facciano le armi nel Sud del mondo. Animato da questa convinzione, ho partecipato con entusiasmo a tantissime iniziative, dall’obiezione alle spese militari al viaggio dei 500 a Sarajevo. […]

Ebbene, adesso sento con dispiacere la mancanza di una nostra critica, educata e circostanziata (lontana mille anni luce dagli insulti e dalle minacce), al finanziamento di Al Shabaab.

Negli ultimi anni, a seguito di alcune missioni in Niger, ho percepito con chiarezza il terrore degli abitanti nei confronti di possibili attacchi da parte di gruppi jihadisti. Considerare il terrorismo islamico solo come un nostro problema, equivale a limitarsi alla punticina di un iceberg che invece costituisce un’enorme spada di Damocle nei confronti di molti paesi.

Per questo, pensando alla preoccupazione espressami da tanti africani, non sono riuscito a gioire alla notizia della liberazione dell’incolpevole Silvia, considerato che i soldi versati per lei potrebbero trasformarsi in morte per molti somali e kenyani. Forse che la sua vita vale più delle loro? Dire che tanto le armi arriverebbero ai terroristi anche senza il pagamento del riscatto, equivale al ragionamento di chi sostiene che l’Italia fa bene a vendere armi a certi paesi, tanto se non lo fa lei lo fanno gli altri.

Ho compiuto diverse missioni in paesi a rischio, e mia moglie sa bene che mai e poi mai vorrei che, se fossi rapito, qualcuno versasse dei soldi ai terroristi per me. Certo, al di là di quella che è la mia volontà, lo stato italiano potrebbe sempre decidere di comportarsi come vuole. Ma in tal caso sarebbe giusto che fosse criticato, perlomeno da chi prova orrore nei confronti degli attentati e dei conflitti armati.

Come insegnano anche molti missionari, chi parte deve essere preparato sia psicologicamente sia professionalmente, poiché le buone intenzioni non bastano. Per questo è scandaloso l’invio di Silvia, arruolata su due piedi da una Onlus alla buona per andare a «portare il suo sorriso» in uno dei posti più pericolosi della terra.

Del terzomondismo di facciata di molte Onlus e Ong ho già parlato diffusamente nel mio libro «Ripartire da ieri, la nuova sfida del volontariato internazionale», pubblicato dalla Emi nel 2015, che alcuni di voi hanno letto. Qui mi limito a esporvi la mia delusione per il fatto che certe critiche ho dovuto leggerle (per lo più espresse in forma sguaiata) sulla stampa di destra, dopo averle inutilmente cercate sulla nostra. Penso che, per essere credibili, bisogna avere il coraggio di uscire dal «politicamente corretto», altrimenti si rischia di adagiarsi sul «coppibartalismo» per cui certe cose si criticano solo se sono attuate dalla parte avversa.

Ma le armi ad Al Shabaab non sono meno mortifere di quelle vendute ai despoti di Egitto e Arabia Saudita. Chiedere chiarezza sulle transazioni di armamenti che vedono coinvolto il nostro paese senza poi chiederne altrettanta su come e quanto sia stato pagato per la liberazione di Silvia, equivale a una forte perdita di credibilità, offrendo per di più il destro a chi non aspetta altro per screditare le nostre idee e le nostre proposte.

Scusate l’intrusione, ma siete fra i pochi che non mi fanno sentire un marziano su questa Terra. E poi, tante cose le ho imparate e continuo a impararle da voi. Per questo mi sento autorizzato a chiedere un po’ più di coraggio e coerenza. Un abbraccio!

Alberto Zorloni
02/06/2020

Caro Alberto,
condivido appieno la tua critica e il tuo disagio nei confronti dell’osceno mercato delle armi in cui anche il nostro paese è coinvolto su larga scala. Per quanto riguarda Silvia, ho gioito alla notizia della sua liberazione, dopo avere seguito da vicino tutta la vicenda fin dai primi momenti.

L’ho seguita spinto da molti motivi: dalla compassione (nel senso originario) per il dramma di una ragazza mandata allo sbaraglio (bastava vedere le foto della casa in cui stava), dal fatto che ho «informatori» sul posto e una nostra missione, Adu, non molto distante da Chakama; dal fatto di avere vissuto in Kenya – certamente non il posto più pericolodo della Terra – una ventina d’anni e di sentire quel paese come parte di me, dall’avere già avuto esperienza diretta di altre persone rapite da somali, come le due missionarie del Movimento contemplativo missionario di Cuneo nel novembre 2008 e liberate nel febbraio 2009.

Resto convinto che un rispettoso silenzio e una maggiore discrezione avrebbero giovato a tutti. Anche per avere il tempo di far emergere i fatti, senza costruire castelli su informazioni non confermate (vedi le fantastiche storie sui milioni pagati da questo o quello, con in ballo armamenti, petrolio e grattacieli).

Questo avrebbe evitato di spargere tanto odio e tante falsità, evitando di screditare il mondo del volontariato che in questi tempi di Covid-19 sta dando una splendida prova di sé in
Italia e nel mondo.

Quanto alla battaglia contro l’amoralità del mondo degli armamenti, è una battaglia sacrosanta che si può fare senza usare le Silvie di turno, altrimenti si diventa amorali come quel mondo che non accettiamo.


Speciale Covid e missionari

Padre Remo Villa celebra l’eucarestia con mascherina a Tura mission

Da Tura mission, Tanzania

15/03/2020 Dicono che siamo circondati dal coronavirus: Congo, Ruanda, Kenya e Sudafrica. Ma qui niente, stando alle notizie ufficiali. Sarà vero? Speriamo di sì, però…

Qui a Tura (quasi al centro del paese), e in tutta la zona, la gente conosce il nome della malattia e basta. Un po’ poco non ti pare?

Oggi dopo le messe ho mostrato un video ricevuto due giorni fa, in swahili. Attenzione massima e silenzio di tomba. Manca l’informazione e penso anche la preparazione. Nonostante tutto, ricordiamoci che il sole ogni mattina illumina la nostra vita…

23/03/2020 Ho celebrato la messa all’aperto anche per non essere troppo stretti, come capita nelle nostre chiese, in tempi di coronavirus che sta entrando anche qui in Tanzania. Ma eravamo proprio pochi, moltissimi infatti erano ancora alle prese con l’inondazione. Ho promesso loro che ritornerò presto ad incontrarli e stare con loro con calma e serenità. Oltre al coronavirus anche l’inondazione. La comunità cristiana ha ospitato nella chiesetta sei nuclei familiari, trenta persone circa. Gesto stupendo che mi fa comprendere il buon cuore della mia gente.

Martedì 17 marzo il primo ministro ha parlato ufficialmente alla Tv annunciando le prime decisioni per combattere questa pandemia, tra cui la chiusura delle scuole, divieto di incontri e assembramenti politici e partitici, destinazione al ministero della Salute della somma per la fiaccolata dell’indipendenza, preparazione di alcuni reparti ospedalieri per l’emergenza, ed altro.

I casi di coronavirus sono molto pochi, dicono i dati ufficiali. Che il Signore aiuti la nostra gente già provata in tante altre maniere.

29/03/2020 Qui a Tura la vita va avanti nella normalità. Però le piogge abbondanti e torrenziali sembra non vogliano lasciarci. I risultati sono allagamenti dappertutto con rovina di ponti e ponticelli e tante le case ripiegate su se stesse o addirittura portate via dall’acqua

26/04/2020 Oggi, domenica, secondo le direttive dei vescovi per combattere il Covid, niente canti durante le celebrazioni. Questo ci ha impressionati un po’ tutti: la messa senza canti è come il cibo senza sale, almeno qui da noi. La vivacità e la gioia pasquale ne hanno risentito parecchio.

03/05/2020 Poca gente alla messa, per fortuna la nostra chiesetta aperta ci permette di mantenere le distanze aumentando il numero dei blocchi di cemento su cui sedersi.

24/05/2020 Festa di Pentecoste, due messe, ma senza guanti e pinzette, solo con mascherina a portata di mano e all’aperto. La seconda a 40 km di distanza, circa un’ora. La comunità è Isuli da me visitata in marzo. Solita chiesetta piccola con finestre e porta senza infissi, e quindi arieggiata. Però, dato l’«amico» corona, e due begli alberi, la messa è stata all’aperto con venticello che allontanava il caldo del mezzodì. Più di quaranta adulti ed altrettanti bambini seduti per terra su un grande telone.

padre Remo Villa,
Tura mission, TZ

Padre Giampaolo davanti alal casa Imc a Yokkok

Yokkok, Corea del Sud

La Corea ha affrontato molto bene l’emergenza virus. Un po’ di anni fa, al tempo della Sars, la Corea aveva avuto molti contagi e decessi. Per questo motivo quando è arrivato il Covid-19 era preparata. Test per tutti, specialmente dove c’erano i focolai più importanti.

Ogni giorno sui telefonini arrivano messaggi che ti allertano sulla situazione e ti dicono se nella tua zona ci sono infettati e quali sono le zone, palazzi, ospedali, centri da evitare. Così tutto è sotto controllo.

Anche noi da prima delle Ceneri fino alla fine di aprile non ci siamo mossi dai nostri centri. Non c’erano messe pubbliche, catechesi né incontri di alcun tipo. La comunità di Tong du chon faceva la messa in streaming per i lavoratori stranieri.

Tutto sembrava andare bene, le messe pubbliche erano ricominciate e già si facevano alcuni incontri, quando c’è stata una nuova ondata di contagi, questa volta non del virus «leggero» di prima, ma di quello più pericoloso che è diffuso in Europa. E molti dei nuovi contagi sono proprio nella zona di Yokkok. Perciò è saltata la festa della Consolata che facevamo ogni anno. Molte scuole sono state richiuse e in alcune parrocchie hanno di nuovo sospeso le messe. Insomma quando tutto sembrava tornare alla normalità, siamo tornati all’emergenza. Per fortuna si può andare in giro con una certa libertà, ma tutti cercano di muoversi il meno possibile. Qui a Taejon (un milione e mezzo di abitanti) e nella nostra regione, gli infettati sono stati solo alcune centinaia, per cui l’ambiente è abbastanza tranquillo. Abbiamo potuto visitare alcuni monasteri buddisti in occasione della festa della nascita del Buddha, e abbiamo ripreso qualche incontro di approfondimento sulla fede. Vedendo come vanno le cose però, la stagione pastorale non riprenderà pienamente prima di settembre.

Siamo in una situazione di stallo, come il resto del mondo d’altronde. Credo però che noi in Corea e Taiwan siamo tra i più fortunati, e la luce al fondo del tunnel la vediamo già molto vicina.

padre Lamberto Giampaolo
Yokkok, Corea d.S., 30/05/2020

Duecento pacchi di cibo pronti per la distribuzione

San Antonio Juanacaxtle, Messico

19/04/2020 Giovedì faremo una riunione in uno spazio aperto con gli otto capi quartiere del rancho (paese) per lanciare il Revess (Rete di vicinato e solidarietà samaritana). L’iniziativa vorrebbe rendere più coeso il tessuto sociale e coinvolgere i giovani per piccole commissioni e per proteggere gli anziani.

Intanto il confinamento è stato decretato in tutto il Messico fino al 30 maggio perché credono che il 10 maggio raggiungeremo il picco. Vedremo.

Il governatore del nostro stato (Jalisco) ha inasprito le misure di sicurezza, soprattutto in relazione all’uso della mascherina. Certo, ci sono molte famiglie qui che vivono alla giornata e non possono rimanere a casa perché non hanno risparmi su cui vivere.

21/04/2020 Qui sembra che le misure di distanziamento sociale non riescano a fermare né Covid-19 né gli omicidi.

24/04/2020 Ieri è partito il Revess, in una bella riunione all’aperto, sulle panchine fuori dalla chiesa, mantenendo la distanza di sicurezza. Alla fine, abbiamo parlato anche della festa del patrono del rancho, che è il 13 giugno. Ho detto loro che il confinamento è fino al 30 maggio, ma che potrà essere allungato ulteriormente. Quindi niente festa. Ci sono rimasti male e hanno sottolineato che allora neanche la festa la Consolata (del 20 giugno) potrà essere fatta.

Erano più preoccupati per i festeggiamenti del villaggio che per il Covid-19. Infatti c’è un sacco di scetticismo sul coronavirus. Penso che fino a quando non toccherà qualcuno della loro famiglia, sarà difficile per loro convincersi della gravità della situazione.

06/05/2020 Il Revess ha cominciato a funzionare e sta iniziando i primi interventi con l’aiuto di volontari.

12/05/2020 Stiamo distribuendo cibo a destra e a manca perché le esigenze sono enormi e bisogna anche dedicare del tempo alle persone. Non puoi solo dare la borsa di cibo e andartene. Dobbiamo non solo saper ascoltare, ma anche saper dare per rispettare la dignità di coloro che sono nel bisogno. Sono lieto di poter fornire un minimo di consolazione.

17/05/2020 Secondo l’Istituto per l’economia e la pace, la violenza ha tolto l’equivalente del 21% del Pil al Messico. Il che è una barbarie. Siamo ancora alla media di 100 omicidi al giorno.

Di fronte a questa pandemia della violenza, il Covid-19 sembra un male minore. Siamo anche uno dei paesi che fa meno tamponi, quindi è difficile avere una visione globale della situazione. Penso che dobbiamo essere più attenti che mai al contagio proprio perché c’è l’impressione generale che il peggio sia passato, ma non ne sono tanto sicuro.

21/05/2020 Stanno arrivando un sacco di chiamate da persone che hanno il Covid-19 e stanno vivendo davvero male. Ci sono anche persone che soffrono di solitudine e hanno bisogno di parlare con noi.

Domani avremo altri 200 sacchetti di cibo da distribuire tra le famiglie. Li porteremo in ogni casa noi stessi, il che rende la distribuzione molto più lenta, ma anche molto più umana.

25/05/2020 Il confinamento, previsto fino al 1 giugno, sta creando situazioni complicate. Ieri hanno pesantemente minacciato uno di noi missionari perché si è rifiutato di celebrare una messa di anniversario – con partecipazione massiccia di gente – di un ragazzo morto due anni fa.

30/05/2020 Continuiamo a distribuire aiuti alimentari, anche se si prevede che tutto questo peggiorerà. I casi di Covid-19 continuano ad aumentare, così come i decessi e siamo uno dei paesi che fa meno test. D’altra parte, omicidi e femminicidi sono una realtà quotidiana.

padre Ramon Lazaro,
Guadalajara, Messico


Dall’Eswatini, disinfezione




Noi e Voi, dialogo lettori e missionari

Omaggio al «nonno vigile»

Un salone della scuola materna della missione della Consolata di Modjo, in Etiopia, è stata intitolata l’11 febbraio 2020 al trentino Giovanni De Marchi (nella foto qui sotto tra padre Angheben e il vescovo di Meki).

Dopo aver lasciato la divisa di maresciallo dei carabinieri, ha indossato quella di «nonno vigile», per oltre 20 anni, per i bambini delle scuole medie ed elementari di Borgo Valsugana; ma i suoi impegni non gli hanno impedito di dedicarsi alla raccolta di fondi pro Etiopia con la collaborazione di amici, associazioni ed istituzioni locali.

Grande amico del missionario padre Paolo Angheben di Vallarsa, che si trova in Etiopia da circa 45 anni, De Marchi si è recato nel paese africano più di 10 volte a partire dal 2006, per portare i contributi raccolti, i quali sono serviti per realizzare diverse opere importanti:
– nel paese di Daka Bora per costruire una scuola per 300 bambini e per pagare le condutture necessarie per collegare il paese all’acquedotto comunale;
– a Weragu per promuovere la costruzione del ponte sul fiume Minne, fiume che divide la vallata in due e, durante la stagione delle piogge, isola la popolazione dal resto del mondo;
– per contribuire alla costruzione della biblioteca del centro giovanile a Debre Selam;
– per costruire il reparto maternità nella clinica di Modjo;
– per aiutare diversi giovani nel loro corso di studi;
– per costruire il salone della scuola materna di Modjo che ospita attualmente 350 bambini.

Nell’attesa che il buon De Marchi, nonostante l’età che avanza, torni in Etiopia, a lui è stato intitolato il salone della scuola, per ringraziarlo di tutto il lavoro di sostegno a lungo effettuato affinché i giovani possano costruire il loro futuro e la gente etiope possa vivere con dignità nella propria terra.

In Etiopia si dice: «God bless him» (Dio lo benedica) e tutti coloro che lo hanno aiutato.

da Eleonora Arlati
06/03/2020

 

Ricordando un caro amico

Signor Direttore,
ho letto con piacevole sorpresa, nel numero del mese di aprile 2020, sotto il titolo «Ricordando padre Silvano Cacciari» la lettera di un’insegnante, la dr. Brigida Pastorello, che elogia e ringrazia per l’opera di assistenza spirituale ricevuta e il servizio sanitario specie ai più bisognosi, in terra di missione in vari continenti, e singolarmente a Torino e provincia, del padre Silvano Cacciari, improvvisamente  mancato il 18 gennaio scorso all’affetto dei suoi cari, una solida e unita famiglia dell’interland bolognese.

Conobbi padre Cacciari a metà degli anni ‘60: un brillante missionario, docente e giurista, molto noto in città, alla cui intraprendenza imprenditoriale furono legate per alcuni decenni le sorti lusinghiere dell’ospedale Koelliker di Torino, fiore all’occhiello della sanità piemontese. Ebbi modo di apprezzarne le spiccate virtù umane oltre che di religioso e missionario esemplare, quando nel 2015 ho accettato di assisterlo, come avvocato, nella vicenda giudiziaria, resa pubblica dalla stampa nazionale, ormai acqua passata dopo il suo decesso.

Ma non è di questa che intendo parlare, […] ma della grande amicizia, sorta nei miei confronti da parte sua e cordialmente ricambiata, dalla quale mi sento sinceramente gratificato, per l’impareggiabile esempio di onestà intellettuale e professionale, per la profonda sensibilità umana, per l’umile accettazione del ritiro in Casa Madre come custode del santuario del beato Allamano.

Padre Cacciari non fu lapidato alla maniera giudaica, come scrive la dr. Pastorello, né può essere paragonato al Cristo crocifisso, non oserei arrivare a tanto! Tuttavia, ricordandolo nella preghiera di fraterno suffragio mi auguro sinceramente che il Padre Celeste, accogliendo
padre Cacciari nel suo regno di luce e di pace, gli abbia reso giustizia, cosa cui non sono arrivati in tempo o non hanno potuto perfezionare i tribunali di questo mondo.

Sac. prof. Valerio Andriano,
03/05/2020, Torino

A Giulietto

Lo scorso 26 aprile è morto Giulietto Chiesa, giornalista, scrittore e parlamentare europeo. Aveva 79 anni. Grande esperto del mondo sovietico, aveva lavorato per quotidiani e televisioni. La sua collaborazione con MC era iniziata nel dicembre 2002 con un articolo nel dossier dedicato all’Iraq di Saddam Hussein, ma era durata soltanto lo spazio di qualche numero. Troppe le polemiche con i lettori. La sua rubrica – dal titolo emblematico di «Luoghi comuni» – era sempre un pugno allo stomaco. Aveva anche contribuito con un capitolo al fortunato saggio «La guerra, le guerre. Viaggio in un mondo di conflitti e di menzogne» (Emi, 2004), lavoro curato da Benedetto Bellesi, compianto ex direttore di MC, e dal sottoscritto.

A Giulietto Chiesa vada il mio personale grazie. Che riposi in pace.

Paolo Moiola
01/05/2020

Un incontro indimenticabile

Incontrai dom Aldo Mongiano la prima volta a Rio de Janeiro. Era la primavera del 1992. Lui era in transito da Boa Vista per un rientro in Italia, io ero in viaggio per il Sud America con un amico, ed eravamo in quei giorni ospiti alla parrocchia Nossa Senhora Consolata, che i missionari della Consolata gestivano nei pressi delle favelas Mangueira, Morro do telegrafo, Tuiutí, Arará. Padre Claudio Fattor ne era il parroco.

Mongiano aveva un giorno libero e ci propose di fare una visita con lui ai padiglioni in costruzione di Rio92, la conferenza sul clima che sarebbe diventata famosa.

E così andammo. Mi ricordo quel vescovo così semplice e allo stesso tempo così profondo e diretto. Ci parlò di Roraima, della problematica indigena. Per noi, giovani alla scoperta del mondo, fu non solo interessante, ma entusiasmante.

A un certo punto ci disse: «Ricordatevi sempre che bisogna essere in pace con quattro cose: con se stessi, con gli altri, con la natura e, infine, ma non per ultimo, con Dio». Questa semplice regola, che può dar adito a profonde meditazioni e a verifiche personali, me la porto dietro da allora. Chiese poi, a noi giovinastri in cerca di avventura se, nel nostro futuro, pensavamo di dare priorità alla formazione di una famiglia. La domanda ci stupì e ci colse impreparati.

Mentre visitavamo lo spazio dove si sarebbe svolto Rio92, nel quale operai montavano i diversi padiglioni, il vescovo ci lanciò una sfida: «Perché non venite qualche tempo a lavorare con noi a Roraima, per la causa indigena?».

Mesi dopo, rientrato a Torino, scrissi a dom Mongiano una lettera (non c’erano mail, né tanto meno programmi di messaggistica e chiamate con internet): ero disponibile a passare un periodo di volontariato con lui. Alcune settimane dopo arrivò l’attesa busta con le insegne vescovili: «Mi dispiace la situazione è notevolmente peggiorata, non possiamo prenderci al responsabilità di inserire delle persone nuove». Purtroppo la tensione a Boa Vista era molto alta, i fazendeiros avevano minacciato di morte il vescovo. La difesa dei popoli indigenti e della loro terra da parte della chiesa aveva dato fastidio. Ne fui deluso. Ma la causa indigena mi restò dentro. Anni dopo sarei andato a Roraima e ci sarei pure tornato. Caro dom Aldo, grazie e buon viaggio.

Marco Bello
24/04/2020

PREGHIERA (a modo mio)

Signore Dio,
Liberaci dal coronavirus, da chi specula su di esso e sulle normative anti contagio.
Liberaci dal tormento dei vigili urbani avidi e arroganti.
Liberaci dall’oppressione dei carabinieri infedeli e dai poliziotti corrotti.

Sgombera i tribunali dai giudici adoratori di se stessi e collusi con la mafia.
Liberaci dalla tirannia del petrolio, di chi ne fomenta le guerre e di chi distrugge le foreste naturali per le piantagioni di palma da olio.

Liberaci dalla piaga dell’evasione fiscale ma anche dal rigorismo criminale, dalle manovre di chi per risanare, si arroga il diritto di perseguitare e depredare.
Liberaci, o Signore, dalla piaga del neoliberalismo rampante, dall’egemonia di coloro per i quali, «con il denaro» è complemento di compagnia e non di mezzo; da quelli che onorano la moneta come se questa fosse la loro madre, la loro sposa, la loro prole.
Liberaci da tutti quelli che pensano di poter trattare le persone per cui il denaro è solo uno strumento di sussistenza e non un fine, come merce di infima qualità.

Liberaci dall’ossessione antropocentrica di quanti sopravvalutano la scienza umana e la sua ricerca tecnologica e in nome di corona-management, corona-economy, corona-bond, pensano di poter umiliare e perseguire amministrativamente, se non addirittura penalmente, la preghiera di riparazione, la corona del rosario, l’adorazione eucaristica, la cena eucaristica, e il sacramento della riconciliazione.

Yury Skarfenko
Fano, 30/04/2020

Condivido il fatto che viviamo tempi difficili e che probabilmente noi li rendiamo ancora più difficili con i nostri comportamenti sbagliati, la nostra arroganza e la nostra idolatria del potere, del successo, del denaro e della sicurezza. Ma ho qualche riserva su questa preghiera. Sa tanto di «lista della spesa» o di promemoria di cose che Lui deve fare. Forse ci siamo dimenticati che Lui, in Gesù, ci ha già offerto un modello di vita e dei criteri di relazione umana che contestano tutti gli atteggiamenti elencati. Forse, invece di dire a Dio di fare le cose al posto nostro, dovremmo ascoltare di più quello che Lui ci ha già detto e piuttosto chiedergli la forza di mettere in pratica quello che preghiamo nel «Padre nostro».

Nel vivo desiderio che possiamo passare presto da una fase in cui la priorità è «non morire» a quella in cui «vivere» (non per pochi privilegiati, ma per tutta l’umanità e il creato) diventi il centro di tutto.

Riflessione su questo tempo

Si lamentano quasi tutti tranne i giovani cui è chiesto il sacrificio più grande, pur essendo, statisticamente, i meno coinvolti in questa epidemia.

Si lamentano gli anziani, i più a rischio, che pensano di essere immuni per averne affrontate tante, comprese guerre e fame. Si lamentano i cattolici che vorrebbero tornare alla normalità senza riflettere sull’opportunità che questa quaresima prolungata ci offre con il digiuno. Si lamentano gli pseudo sportivi manco dovessero allenarsi per le olimpiadi e li vedi correre senza fiato, pur di uscire di casa.

Invece i giovani hanno accettato di veder sospesa la loro vita e lo hanno fatto con responsabilità e altruismo; per molti dovrebbe essere l’anno della maturità, della prima vacanza con i compagni, dei primi amori, della patente, dei sabati sera, degli abbracci, delle risate per qualunque cosa.

E invece è l’anno della scuola online. È l’anno in cui le risate si fanno nelle chat di gruppo. È l’anno in cui la maturità si fa online, non si fa, si fa con uno scritto o due, … E per molti è anche l’anno della solidarietà, essendosi messi a disposizione, numerosi, come volontari, per portare viveri agli anziani.

Si sono adattati a questa nuova realtà meglio di tutti quanti noi che abbiamo trovato da lamentarci davvero su qualunque cosa. A nostra discolpa, il fatto che non abbiamo più molti treni da prendere e la sensazione che perso uno, persi tutti. Ma credo che dovremmo davvero imparare da loro più di quanto non avremmo pensato.

Rita Ruotolo
Torino, 28/04/2020

Grazie padre Pavese

La domenica del Buon Pastore (3 maggio 2020), è deceduto padre Francesco Pavese, Imc. Abbiamo appreso con dolore la notizia della sua dipartita, che lascia un vuoto denso di gratitudine e di nostalgia. Padre Pavese era un fratello di cui abbiamo potuto apprezzare la ricchissima eppur semplice personalità, il suo amore profondissimo alla Consolata e la sua passione per la conoscenza e l’approfondimento della figura del nostro fondatore, il beato Giuseppe Allamano […].

Grazie, padre Pavese! La Consolata, che hai amato con vero amore di figlio, ti accolga tra le sue braccia!

suor Simona Brambilla, MC
03/05/2020

 

Padre Francesco Pavese e diversi altri confratelli sono stati vittime del virus. Torneremo a parlare di loro nei prossimi numeri. Pregate con noi. Grazie.

 




Noi e Voi

Il mondo che verrà e noi

Care lettrici, cari lettori,
questo numero di MC è stato lavorato in modalità «smart working»: ciascun redattore da casa propria.

Sappiamo che solo una parte delle lavoratrici e dei lavoratori può lavorare stando tra le mura domestiche, e che molti hanno dovuto continuare a farlo andando fuori. Pensiamo in particolare agli operatori sanitari e a quanti producono beni o offrono servizi essenziali. Pensiamo poi a tutti quelli che non hanno più potuto lavorare o che hanno dovuto usare le ferie, o ricevono la cassa integrazione, o semplicemente sono dovuti rimanere a casa senza reddito.

Non sappiamo come sarà la situazione quando leggerete queste pagine. Sicuramente non sarà tornata la normalità perché la pandemia e le sue conseguenze ci accompagneranno per lungo tempo.

Noi, nel frattempo, cercheremo di capire quale mondo ne verrà fuori. Certamente un mondo più povero e ferito. Speriamo anche più solidale e attento alle cose essenziali.

Marco Bello, Luca Lorusso,
 Paolo Moiola (i redattori di MC)

Ricordando Raffaele Masto

La notizia che non avremmo mai voluto sentire infine è arrivata. Era sabato sera 28 marzo. Tutti chiusi in casa per il lockdown. Un messaggio sul telefono ci avvisava: Raffaele Masto (nelle tre foto  durante un reportage in Nigeria -ndr) se n’è andato. Raffa (nelle foto sotto), come lo chiamavano amici e colleghi, ci ha lasciati dall’ospedale di Bergamo, dove aveva subito un trapianto di cuore alcuni mesi fa. Finita la lunga terapia intensiva, doveva essere trasferito, ma è arrivata la furia del Covid-19 che se lo è portato via.

Raffa scriveva di Africa, continente che ha percorso in lungo e in largo per oltre 30 anni. Il suo era un giornalismo fatto «con la testa e con le suole delle scarpe», sempre in giro, in mezzo alla gente, a cercare il contatto umano e le storie vere. Sempre dalla parte di chi aveva qualcosa da dire, ma veniva zittito. Grande conoscitore del continente, forniva acute analisi degli eventi che lo caratterizzavano. Univa in sé profonda competenza e grande umiltà. Sempre pronto a dare un consiglio o a rispondere alla richiesta di un collega, sempre interessato a te, ai tuoi progetti. Sempre aperto a insegnare qualcosa ai più giovani. A trasmettere una passione. Mai un atteggiamento di superiorità.

Ci mancherà la sua voce un po’ impastata e pacata dei servizi su Radio Popolare, i suoi scritti sulla rivista «Africa» e sul blog «Buongiorno Africa», i suoi libri di approfondimento, unici in Italia per i temi affrontati. Mi ricordo quando lo intervistai per il suo libro su Boko Haram, «Califfato Nero». Ricordo le disquisizioni su Aboubakar Shekau, il capo del gruppo terroristico, chiamato «l’immortale», perché dato più volte per morto e più volte rispuntato in un video sul web. In quell’occasione Raffa mi disse: «[In questo lavoro] i viaggi sono stati essenziali, perché un fenomeno studiato dall’Europa continua ad avere dei buchi che si riempiono e si comprendono solo se si riesce ad andare sul posto. Io ho cercato di farlo preparando molto bene le missioni, creando e mantenendo relazioni con persone fidate in loco, e cercando di risparmiare».

L’ultima volta ho incontrato Raffa a una serata su Thomas Sankara, il presidente visionario del Burkina Faso, a Milano. Entrambi eravamo intervenuti, e stavamo seduti fianco a fianco. Uscimmo insieme, io e lui. Mi chiese: «Di cosa ti stai occupando? Quali progetti hai?». E concluse: «Dobbiamo organizzare di incontrarci».

Addio Raffa, giornalista di grande umanità. Ci mancherai.

Marco Bello

Passione e Risurrezione

Carissimi amici e benefattori,
per celebrare la Pasqua di risurrezione, prima bisogna passare attraverso la sofferenza della passione e della morte. Coraggio! La Fede e la Speranza e l’Amore sono le nostre uniche medicine in questo difficile momento in cui la piaga del coronavirus sta flagellando il mondo.

Noi uomini e donne, con la nostra scienza e tecnologia ci credevamo onnipotenti, superiori a tutto, capaci di assoggettare il mondo intero. Chissà che il Buon Dio ci aiuti a ottenere qualcosa di buono anche da questo male e ci faccia più solidali e misericordiosi gli uni verso gli altri.

Grazie a Dio, qui in Kenya, mentre scrivo, non è ancora arrivata questa piaga, e preghiamo tanto per esserne esenti, altrimenti con le nostre poche strutture ospedaliere diventerebbe un vero disastro. Invece ora noi abbiamo la piaga dell’invasione delle locuste, che non vedevamo dal 1952 e che divorano il bel verde che le piogge straordinarie di quest’anno ci avevano regalato.

I bambini che voi generosamente aiutate da diversi anni potranno, attraverso lo studio, vedere aperte davanti a loro nuove strade, oltre che alla tradizionale pastorizia nomade e all’agricoltura di sussistenza. Molti di questi bambini durante le vacanze (novembre-dicembre 2019) sono stati circoncisi (purtroppo anche qualche bambina) e ora si sentono degli ometti maturi. Per fortuna per loro sarà più facile trovare un lavoro utile e non ricadere in certe tradizioni ormai sorpassate.

Qualcuno entra anche nelle scuole superiori e nel seminario. Recentemente ho ordinato tre sacerdoti locali, figli di povere famiglie di pastori: ringraziamo il Buon Dio che fa questi miracoli.

Ringrazio anche il Signore perché in questo anno ricorre il cinquantesimo del mio sacerdozio. Sono appena sceso dal monte Kenya (nella foto di apertuta e in questa foto qui sotto – ndr) su cui ho celebrato una messa di ringraziamento insieme ad alcuni miei sacerdoti e cristiani. Di nuovo vi prometto la mia preghiera quotidiana. C’è più gioia nel dare che nel ricevere, ci diceva Gesù. E Tonino Bello: «Amare, voce del verbo morire (al proprio egoismo)».

+ Virgilio Pante
Maralal, Kenya, 08/03/2020

Carissimo «wild bishop»,
complimenti e benedizioni per i 50 anni di sacerdozio celebrati sulla montagna «sacra» del Kenya, che ti ha visto frequentatore assiduo sin dai tuoi primi anni di servizio missionario in quel paese. Davvero una bella esperienza di libertà, per uno abituato ai grandi spazi del Nord del Kenya e alla cattedrale più bella del mondo, quella che Dio stesso si è costruito.

La notizia a cui accenni di passaggio, quella delle circoncisioni, ha invece suscitato in me un po’ di apprensione, memore di quanto vissuto coi riti di passaggio del 1990-91, quando con suor Corona Nicolussi, proprio a Maralal, passammo di lorora in lorora (il villaggio dove si celebra l’iniziazione, di cui la circoncisione è momento centrale) a disinfettare e curare centinaia e centinaia di ragazzi e ragazze con nel cuore la paura di una diffusione epidemica dell’Aids.

Fortunatamente questa nuova epidemia di coronavirus si sta spargendo in Kenya (225 casi e 10 defunti al 15/04/2020) quando i rituali per l’iniziazione del nuovo gruppo di età dei Lkisieku (i frettolosi) sono ormai giunti alla loro conclusione, essendo iniziati nel luglio 2019. Auguro ogni bene a questi nuovi giovani perché assumano la loro responsabilità nella società. Spero anche che il grande lavoro fatto da tante donne Samburu in questi anni per attualizzare «riti alternativi di iniziazione» delle ragazze senza il ricorso alla mutilazione genitale femminile, abbia dato i suoi frutti positivi.

 

Copie di MC col pacco viveri

Spett.le Missioni Consolata,
le scrivo questa lettera dalla parrocchia di Fiorenzuola d’Arda, nella zona del piacentino, tristemente nota alle cronache attuali per il primato negativo del nostro comune sul numero di decessi e sui casi di positività riscontrati in Emilia Romagna.

A causa di ciò, molte persone sono rimaste sole.

La nostra parrocchia, assieme ad alcune associazioni di volontariato del luogo, si è fatta carico di raccogliere le esigenze di un numero sempre crescente di persone (ad ora sono 150 nuclei famigliari) che sono costrette ad un regime di isolamento presso le proprie abitazioni.

È stato così intrapreso un servizio di consegna a domicilio di generi alimentari e di medicinali.

Ora l’emergenza chiama tutti a una maggior responsabilità e, proprio perché siamo una comunità, abbiamo bisogno di gesti di solidarietà. Come ha ricordato il Santo Padre «nessuno si salva da solo» e solo certi comportamenti collettivi possono portare a dei risultati.

Pensando a come possiamo essere vicini a tali persone, ci è parsa buona l’idea di far giungere nelle case, copie della vostra rivista, affinché una lettura più profonda e più consapevole dell’attualità e del momento straordinario che stiamo vivendo, possa essere di conforto e di sostegno a tutte quelle persone che stanno attraversando questa condizione particolare e drammatica.

Vi chiederemmo quindi se foste disposti ad inviarci presso la parrocchia delle copie omaggio della vostra rivista, da inserire nelle borse della spesa delle persone che assistiamo a domicilio.

Pensiamo possa essere anche un’occasione di promozione del vostro prezioso lavoro.

Certi nella vostra condivisa risposta vi ringraziamo per la concreta attenzione.

Don Giuseppe Illica, parroco
Fiorenzuola d’Arda, 08/04/2020

È ovviamente un piacere per noi poter condividere con voi questo momento e poter far compagnia ai vostri parrocchiani.

Come missionari e missionarie della Consolata ci sentiamo profondamente uniti all’Italia, con la quale condividiamo tanta storia di fede e umanità. In particolare siamo più che mai vicini a chi vive nelle regioni più colpite dove abbiamo tanti famigliari, amici e benefattori. Siamo vicini anche ai nostri fratelli e sorelle  degli altri istituti missionari che hanno pagato un pesante contributo di vite, come i missionari saveriani e le missionarie comboniane.
Che in questo duro momento di traversata del deserto con i «serpenti» del coronavirus che attaccano chiunque, possiamo sempre essere capaci di alzare gli occhi insieme a Colui che è stato innalzato e che unico è guarigione vera del cuore dell’umanità.




Noi e Voi


Un’economia per i nostri nipoti

L’articolo di Gesualdi sulla 4ª rivoluzione industriale a cui stiamo assistendo mi ha richiamato ad alcuni parallelismi, come ad esempio il ritardo della politica ad affrontare seriamente la questione ambientale o quella dei flussi migratori, ma pure mi ha confermato indirettamente la poco lungimirante cultura sindacale troppo concentrata sulle rivendicazioni salariali, a scapito di una difesa del diritto di tutti a un lavoro dignitoso. Mi ha anche rimandato a un saggio, si badi, datato 1930, del famoso economista Keynes dal titolo «Economic possibilities for our grandchildren», di cui cito appena una domanda:

«Quale livello di vita economica possiamo ragionevolmente attenderci fra un centinaio d’anni? Quali sono le prospettive economiche per i nostri nipoti?», a cui l’economista rispose molto ottimisticamente.

La risposta di Keynes

«Sono certo che, con un po’ più di esperienza, noi ci serviremo del nuovo generoso dono della natura in modo completamente diverso da quello dei ricchi di oggi e tracceremo per noi un piano di vita completamente diverso che non ha nulla a che fare con il loro.

Per ancora molte generazioni l’istinto del vecchio Adamo rimarrà così forte in noi che avremo bisogno di un qualche lavoro per essere soddisfatti. Faremo, per servire noi stessi, più cose di quante ne facciano di solito i ricchi d’oggi, e saremo fin troppo felici di avere limitati doveri, compiti, routines. Ma oltre a ciò dovremo adoperarci a far parti accurate di questo “pane” affinché il poco lavoro che ancora rimane sia distribuito fra quanta più gente possibile. Turni di tre ore e settimana lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon periodo di tempo. Tre ore di lavoro al giorno, infatti, sono più che sufficienti per soddisfare il vecchio Adamo che è in ciascuno di noi.

Dovremo attenderci cambiamenti anche in altri campi. Quando l’accumulazione di ricchezza non rivestirà più un significato sociale importante, interverranno profondi mutamenti nel codice morale. Dovremo saperci liberare di molti dei principi pseudomorali che ci hanno superstiziosamente angosciati per due secoli, e per i quali abbiamo esaltato come massime virtù le qualità umane più spiacevoli. Dovremo avere il coraggio di assegnare alla motivazione “denaro” il suo vero valore. L’amore per il denaro come possesso – distinto dall’amore per il denaro come mezzo per godere i piaceri della vita – sarà riconosciuto per quello che è: una passione morbosa, un po’ ripugnante, una di quelle propensioni a metà criminali e a metà patologiche che di solito si consegnano con un brivido allo specialista di malattie mentali».

Una sfida per noi

Sappiamo tutti che l’umanità non ha mai avuto così tanta scienza e tecnologia a disposizione da poter liberare dalla schiavitù fisica e morale l’intero pianeta, se ben guidata dalla politica e quindi sostenuta dall’economia e da una finanza dal volto nuovo.

Siamo in una situazione, invece, in cui il benessere continua ad essere negato ai più, perché regna l’individualismo più esasperato. E di questo siamo testimoni ogni giorno assistendo purtroppo al teatrino della politica nostrana. Saper distinguere e trattare di conseguenza chi semina zizzania e cura solo il proprio tornaconto sarebbe già un bel passo.

Claudio Solavagione
Torino, 13/02/2020


Ricordando padre Silvano Cacciari

Buongiorno Direttore,
sono un’insegnante che in questi giorni riflette su un caro amico di una vita che improvvisamente ci ha lasciati: padre Silvano Cacciari. Chi era, è chiaro a molti, ma non a tutti: un missionario.

Oggigiorno è difficile definire chi è un missionario, molti ci provano, anch’io.

Padre Silvano era un uomo e un religioso di grande e vivace intelligenza, e di singolare senso pratico nelle cose. Durante tutta la sua lunga vita si è prodigato ad aiutare i poveri dovunque nel mondo missionario sia nelle sue brevi esperienze in terra di missione, che, soprattutto, a Torino, «terra» non facile.

La sua profonda intuizione dell’animo umano lo ha sovente portato a elargire a cuore aperto a ogni povero che si presentava ciò di cui aveva bisogno (qui vorrei sottolineare che la povertà non è solo quella fisica), attirandosi critiche e grandi malumori da parte di molti, che giudicandolo con grettezza umana da farisei lo hanno messo al muro e gli hanno scagliato pietre di ogni genere.

Oggi, a pochi giorni dalla sua scomparsa terrena vorrei dire alcune parole forti: Gesù è venuto tra i suoi e non l’hanno accettato e capito, ma lo hanno lapidato. Padre Silvano non è un santo per quanto posso affermare io, aveva i difetti e le debolezze che molti di noi hanno, però che cosa si può aspettare un missionario in terra di missione se non una fine simile a quella di Colui che l’ha mandato?

Si è difeso, talvolta anche dai suoi, e Gesù non l’ha fatto?

Quando padre Silvano ha fatto tutto ciò che la sua coscienza gli diceva, si è ritirato, come hanno voluto i suoi superiori e umilmente ha passato gli ultimi tempi in Casa madre presso il Fondatore a riflettere, a confessare, ad ascoltare i poveri che gli aprivano il loro cuore e a celebrare la messa delle 11 di ogni giorno.

Anch’io rifletto e penso di non poter insegnare nulla a nessuno, mi sento però di dover dire grazie a padre Silvano, in primis per avermi accolta e aiutata in momenti difficili miei e della mia famiglia, e per tutti coloro che hanno beneficiato della sua disponibilità e della sua singolare abilità nell’amministrare e nel lavorare come missionario tra i poveri, sia per le missioni straniere che qui a Torino.

Forse molti di noi non lo hanno capito e lo hanno giudicato nella maniera in cui va il mondo. Io sono certa che soffrendo molto ci ha capiti e perdonati.

Ora che è nelle braccia del Padre misericordioso e nella pace eterna, ci aiuterà a fare chiarezza nelle nostre offuscate coscienze. Grazie di cuore e riposa in pace padre Silvano!

Brigida Pastorello
30/01/2020

Padre Silvano Cacciari è deceduto improvvisamente il 18 gennaio scorso. Nato il 20/06/1939 a Castello D’Argile (Bologna), ha fatto i primi voti come missionario della Consolata nel 1962 ed è stato ordinato sacerdote nel 1965. Dopo aver insegnato ad Alpignano nella scuola dei fratelli missionari, nel 1971 ha conseguito il dottorato in giurisprudenza e nel 1972 è stato amministratore della prelazia di Roraima in Brasile, poi studente specializzando negli Stati Uniti. Dal 1974 è stato richiamato a Torino, prima come incaricato dell’uffico legale dell’Istituto e poi, dal 1992, come amministratore dell’Ospedale Koelliker. In questa posizione ha dato il meglio di sé, portando l’ospedale a livelli di eccellenza italiana ed europea e aprendolo alla collaborazione con gli altri ospedali gestiti dai missionari della Consolata in Africa. Per questo nel marzo 2016 ha ricevuto l’onorificenza «Al merito della Repubblica italiana» (vedi foto).

Dal 2015 ha svolto servizi pastorali nella chiesa del beato Allamano, sempre a Torino.

Gli ultimi anni sono stati effettivamente difficili sia per lui che per l’Istituto per vicende che hanno ricevuto indesiderata pubblicità anche sui giornali. È morto riconciliato con i suoi superiori. La sua morte è stata una sorpresa per tutti noi che lo abbiamo visto fino all’ultimo inforcare la sua bicicletta e farsi un giro per la città. Il bene che ha operato resterà sempre a testimonianza della passione missionaria di un uomo che, pur con le sue fragilità, si è donato fino in fondo cercando di «fare bene il bene».

Padre Silvano Cacciari con padre Angelo Fantacci a Mombasa, vicino ad un pozzo il costruzione

Apprezzamenti con chiose

Spettabile Redazione,
conoscevo solo superficialmente il vostro Istituto, [,,,] quindi nemmeno conoscevo la vostra rivista. Casualmente ne ritrovo una copia regolarmente nella chiesa che frequento a Milano di rito tradizionalista, sensibilità che informa la mia vita liturgica morale culturale, con quel che ne consegue (seguo Corrispondenze Romane, mi piacciono e approvo Tosatti, la Siccardi e compagnia bella; cfr. dossier n. 1-2/2020). Insomma, sono di quelli che hanno esultato al rapimento della Pachamama (a Roma durante il Sinodo per l’Amazzonia), che personalmente brucerei su un rogo.

Eppure la vostra rivista mi piace. La trovo stimolante e bella (semplicemente): nell’ultimo numero bello il trafiletto sul Vietnam a pag. 9; interessantissima la storia degli emigranti venezuelani in Brasile, pagg. 10 e ss.; sconvolgente quello sul razzismo dei neri sudafricani contro gli «altri» neri africani, pagg. 19 e ss.; occupandomi di minori, è bello senza fronzoli edulcoranti l’articolo sulla «Ricomposizione del puzzle» a pagg. 51 e ss.; nuovo e coraggioso quello sui Fulani, pag. 61; stupenda, direi, e commovente la «intervista» a Mafalda di Savoia, uno dei pochi fulgidi esempi della nostra Real Casa.

Insomma, complimenti. Se appare un po’ ardua la – pur dovuta – difesa d’ufficio di padre Dalmonego, sicuramente preparatissimo, come avete definito senza però entrare nel merito di quelle che, almeno sui media, sono apparse come sue dichiarazioni francamente un po’ ardite, devo però riconoscere che nel complesso la rivista è equilibrata, poliedrica, stimolante, profonda. […]

In definitiva, grazie e complimenti. Ce ne fossero di riviste come la vs. nel mondo cattolico: sembrano tutte dei bollettini parrocchiali. Credo che mi abbonerò. Saluti e buon lavoro

Raffaele Ronchi
30/01/2020

Messa in TV

È giusto da parte delle autorità civili aspettarsi che anche la Chiesa faccia la sua parte nella lotta alle epidemie, è giusto da parte delle autorità ecclesiali chiedere ai fedeli di adattarsi a certe situazioni particolarmente incresciose e pericolose. Le esagerazioni però servono solo a peggiorare la situazione: arrivare a dire, come ha fatto qualcuno, che la messa in Tv o con lo smartphone, ha lo stesso valore della messa dal vivo, non va bene.

La Santa Eucarestia è la Persona stessa di Cristo ed è fatta per essere incorporata materialmente non online, e convivialmente, non in privato. Le stesse espressioni «messa privata» o «messa per pochi», sono dei controsensi dottrinali maledettamente fuorvianti; per esprimere il concetto che occorre essere rigorosi e che le precauzioni non sono mai troppe (purché di precauzioni si tratti, non di sceneggiate, o peggio ancora di vergognose speculazioni…), si possono e si debbono usare altri termini.
Cordialmente

Carlo Erminio Pace
Fano, 29/02/2020

Quanto noi tutti, e il mondo intero, stiamo vivendo in questi giorni è davvero nuovo e inedito. Coinvolge tutti, mette in discussione il nostro modo di vivere ed esige da noi una risposta che mette alla prova il meglio della nostra umanità. Però non giustifica affatto certe affermazioni – vere o presunte – sulla partecipazione alla messa. Nessun sacerdote, ma anche nessun cristiano, può dire che la messa in Tv vale come la messa partecipata dal vivo con la comunità che celebra. È un’affermazione che nega la natura stessa dell’Eucarestia ed è assurda come dire che la confessione via telefono, skype o smartphone è valida.

Che in tempi come questi la messa in Tv possa aiutare a pregare, offrire la possibilità di fermarsi ad ascoltare la Parola di Dio e sostenere la fede, è perfettamente accettabile. Come è utile fare una video conferenza o una lezione usando i social. La mente e il cuore possono essere stimolati e fatti lavorare. Ma se uno ha fame non è lo stesso vedere qualcuno mangiare un panino e mangiarlo davvero.

Usare i media per sostenerci, anche spiritualmente, è bello. È anche una sfida alla nostra creatività, al nostro comunicare, al nostro star vicini gli uni agli altri. Ma non è il modo normale di vivere. E può diventare un rischio: quello di credere che la fede sia un fatto intimista e personale e che basti la smart prayer.

L’Eucarestia invece è comunità, famiglia, incontro. È ascolto e servizio, dono e accoglienza, festa e cammino, perdono donato e ricevuto. E tanto altro che qui, ovviamente, non è possibile sviluppare. Ma sui siti cattolici, come quelli di Avvenire, Famiglia cristiana, Rocca, La Settimana, il monastero di Bose, Agenzia Sir e tanti altri, potete trovare un mare di bellissime riflessioni e approfondimenti su questo.
Uniti nella preghiera.

 

Water grabbing

Qualche nota aggiuntiva al problema dell’acqua che giustamente viene trattato ampiamente nel dossier del numero di marzo:

  • Kurdistan, popolato da una delle più antiche popolazioni del mondo, gli alleati della Prima guerra mondiale avevano promesso l’indipendenza ma a Versailles si resero conto che i curdi avevano in mano il rubinetto dell’acqua di Siria e Iraq e di una parte rilevante di quella di Turchia e Persia, per cui di indipendenza non si parlò più, se mai di repressione.
  • Alture di Golan, sempre oggetto di scontri tra israeliani e siriani perché vi nasce il Giordano ormai totalmente controllato dagli israeliani che ne sfruttano le acque al punto di prosciugare il mar Morto, destinato a diventare una miniera di sale a cielo aperto.
  • Nilo, destinato a portare sempre meno acqua in Egitto, perché sfruttato per irrigare Etiopia e prossimamente Sudan, con investimenti cinesi che hanno acquistato a buon prezzo moltissime aree dove coltivare quanto serve a loro, una volta irrigate. Gli egiziani, ormai 100 milioni – di cui 5 sono militari e poliziotti -, sono destinati alla sete e all’emigrazione, e la loro produzione di cotone all’estinzione.
  • Tibet: fornisce gran parte dell’acqua del Pakistan e dell’India, ma è in mano ai Cinesi che presto la devieranno, certamente prima che la popolazione indiana diventi più numerosa di quella cinese. Attenzione: Cina, Pakistan e India sono tutte e tre potenze nucleari.

Con simpatia e gratitudine per il lavoro che fate

Claudio Bellavita
28/02/2020

 




Noi e Voi


Dubbi sì, ma poi?

Egregio direttore, premetto che sono abbonato alla vostra rivista da diversi anni e che la considero una delle più interessanti riviste missionarie. Leggendo l’editoriale di novembre dal titolo «dubbi», sono rimasto poco soddisfatto delle conclusioni. Interessanti le varie osservazioni a eccezione di quella sulle diete dove si domanda chi paga il prezzo. Io sono vegetariano e con me tanti amici. Cosa vuol dire con l’affermazione: «Chi paga il prezzo dell’espansione delle monocolture»?

Ma a parer mio, manca la conclusione con un invito a ogni singolo uomo e alle nostre comunità a una riduzione dei prodotti di origine animale, all’utilizzo di vetture a basso consumo energetico, a ridurre lo spreco in queste festività (sprechi nelle decorazioni …) cene varie, all’utilizzo di prodotti non avvelenati, una riflessione sui regali e così via. Tanti saluti e auguri

Daniele Engaddi Pontida (Bg), 21/12/2019

I dubbi sono dubbi, non affermazioni categoriche. Quanto alla domanda sulle monocolture, non vuole essere una provocazione, ma un invito a riflettere, abbandonando posizioni ideologiche. Su questa rivista abbiamo già espresso alcune riserve in merito nella rubrica Nostra madre terra del giugno 2019 dal titolo «L’altra faccia della soia». Ma si possono trovare altri interventi autorevoli nella stampa internazionale.

Grazie dell’invito alla sobrietà nelle festività (non solo nel periodo natalizio e di fine anno) e in tutto quello a esse correlato. Su questo ci trova completamente concordi. Lo spreco è una grande ingiustizia ed è una realtà che esigerebbe una maggior riflessione da parte di tutti, a cominciare dallo spreco del cibo a quello di energia, illuminazione notturna, imballaggi, vestiario, acqua … una lista infinita.

Finché siamo capaci di dubitare e di porci interrogativi c’è speranza. Se poi siamo anche capaci di «conversione», allora sì che c’è futuro.


«Cattolici» vs Francesco

Ho amici, cattolici, che purtroppo se la prendono con il santo padre Francesco, accusandolo di tutto il male che accade dentro la Chiesa, anche di colpe che storicamente non sono certamente sue, e a me queste loro posizioni dispiacciono molto. Tra le varie accuse, ultimamente si è inserita la vicenda del Sinodo amazzonico. In particolare, per loro «motivo di «scandalo» sarebbero le «cerimonie» di adorazione o comunque venerazione di statuette femminili, considerate dai nativi come vere divinità locali reali e di una maschile raffigurante un uomo in condizioni di erezione sessuale e di altri simboli, tra cui la barca, portati persino, a loro avviso, in processione in San Pietro, presente il papa. Io credo che quanto visto non abbia affatto motivazioni e finalità idolatriche, ma tant’è.

Potete dirmi qualcosa in merito? Oppure dove potrei trovare materiale utile per documentarmi? Vi ringrazio.

Bruno Cellini Follonica (Gr), 03/11/2019

Spero proprio che il dossier «Amazzonie», pubblicato in gennaio, abbia aiutato a chiarire alcuni di questi dubbi e l’infondatezza di tante accuse. Non aggiungo di più. Mi chiedo solo perché questi critici accettino invece come perfettamente coerenti con la nostra religione immagini come la «Madonna del latte» di Jean Fouquet, acclamata opera d’arte che di «Madonna» ha ben poco, oppure – per fare un altro esempio – la grande madre che distribuisce latte a tutti dalla parete della Sala Clementina in Vaticano, la tradizionale sala delle udienze pontificie. Per non dire di tante altre opere d’arte sparse nelle chiese di tutto il mondo o di processioni tradizionali nel Sud del nostro paese, in Spagna e in molti paesi dell’America Latina, che di cristiano hanno solo l’etichetta o la collocazione.

Gli attacchi contro il papa, specialmente – ma non solo – in occasione del Sinodo amazzonico, dimostrano solo una cosa: la lotta è contro una fede viva che interpella e provoca la società umana in tutte le sue dimensioni (politica, giustizia, pace, ambiente, povertà, centralità di Dio) per mantenere invece una religione contenta di se stessa nell’intimo di chiese inondate d’incenso, di arte e di ritualità, che si occupi solo delle anime e del cielo, lasciando ad altri la gestione del «corpo» e del mondo.


Ricordando il Mozambico

Carissimo padre, sono don Carlo Donisotti, ex missionario fidei donum della diocesi di Vercelli. La mia missione in Mozambico iniziò nel 2002 nella diocesi di Inhambane, presso la vostra missione di Santa Ana di Maimelane, fondata nel 1948 da padre Celestino Blasutto e altri confratelli. A causa della guerra in corso, due padri furono sequestrati e quindi i sacerdoti e le suore abbandonarono la missione. Il centro fu trasformato in caserma fino al 1997, quando la missione fu ripresa dai vostri missionari da Vilankulo. Là si stabilirono suor Rita, suor Florentina, suor Elisabetta e suor Clemenzia.

Ora vorrei parlarvi della loro bella testimonianza: suor Rita (Assunta Tessari) fu volontaria nel vostro ospedale, ora nazionalizzato, come infermiera e donna delle pulizie; suor Florentina (Busnello) seguiva le donne nel cucito; suor Elisabetta (Possamai) si occupava della catechesi e in tre anni è riuscita a creare un gruppo di catechisti che la aiutarono a ricostituire cinquanta comunità che si erano disperse durante la guerra; suor Clemenzia (Sicupira), con la sua moto, arrivava ovunque ad assistere ammalati, orfani e persone denutrite. Le sorelle erano seguite da padre Alceu Agarez di Vilankulo e, nonostante la malaria, con enorme fatica e tanto lavoro, riuscirono a dare forma alla missione. L’esempio di queste eroiche suore era sorprendente.

In quegli anni così belli ho apprezzato lo stile di famiglia proprio dei vostri missionari. A Maputo padre Manuel Tavares era una presenza attenta e sempre pronta ad aiutare i missionari in difficoltà. A Guiúa, padre Diamantino Antunes (oggi vescovo di Tete, ndr), con padre Gabriele Casadei, erano molto accoglienti e lasciavano i loro impegni per ascoltare e aiutare chi si rivolgeva a loro, come padre Alceu e padre Carlo Biella a Massinga. A Vilankulo, padre Andrea Brevi e padre Sandro Faedi erano diventati un punto di riferimento per i diocesani. Non si può dimenticare padre Arturo Marques, superiore regionale, che si fermava sempre dai padri e dalle suore consolatine.

Ho viaggiato attraverso le varie comunità, accompagnato da suor Elisabetta e sovente mi confidavo con lei esprimendomi un po’ negativamente sullo stile di alcuni missionari. La suora mi lasciava parlare e poi con garbo e tanta carità mi elencava le virtù e le qualità di ognuno di loro. In breve tempo, ho capito che i gruppi della congregazione avevano fatto proprie le qualità di rispetto, di comprensione e di famiglia di cui il beato Allamano era stato promotore. Anche a Mambone, padre Amadio Marchiol, apparentemente burbero nell’accoglienza, seguiva la stessa filosofia. Infine, fiore all’occhiello, era fratel Pietro Bertoni, anima stupenda, generosa, umile, gioiosa… le qualità di un vero missionario.

Tutti quei valori che padri e suore mi hanno trasmesso quando ero in Mozambico sono stati per me una ricchezza e un grande insegnamento che mi sostengono nella vita quotidiana.

Spero, prego e mi auguro che il beato Allamano e Maria Santissima illuminino il cuore di tanti giovani, affinché possano scoprire, nella vostra istituzione, la bellezza del vivere in famiglia, amandosi con uno stile unico e fraterno.

Grazie per il vostro esempio.

Don Carlo Donisotti 19/01/2020


Museo

Caro Direttore, bellissimo l’articolo sulla comunità di giovani famiglie di Mongreno (MC 12/2019, ndr). Ho trovato invece in un altro articolo un accenno un po’ troppo sbrigativo sul museo etnografico dei missionari della Consolata, che non è una robetta, ma un enorme patrimonio da valorizzare. È difficile trovare in Italia, e forse in Europa, tanta ricchezza che può essere di base a una cultura antropologica, e che ha solo bisogno di essere schedata, classificata e esposta in una sede più degna e più ampia, e non solo in un magazzino..

Certo, non è il compito dei missionari, anche se quelli in ritiro potrebbero essere utili. E tutto si deve a un colpo di genio dell’Allamano che prescrisse di riportare a Torino tracce delle culture e delle colture che i missionari incontravano, ma raccomandò di pagarle e di non farsele regalare. E una comunità che ha visto all’opera per anni un missionario che chiede di portare a Torino un bel ricordo e vuole assolutamente pagarlo il giusto, gli darà quello che ritiene il meglio. Certamente di più di quel che si dà a chi offre perline di vetro, o a chi cerca di razziare qualcosa.

Sono convinto che le fondazioni bancarie torinesi sarebbero felici di programmare la valorizzazione di tanto patrimonio, e anche di far collaborare la cattedra di antropologia dell’Università

Claudio Bellavita 25/12/2019

Effettivamente in una breve notizia si è solo accennato al museo etnografico dei missionari della Consolata custodito ormai da oltre un secolo nei locali della Casa Madre di Torino.

Iniziato ai tempi dell’Allamano, alimentato con competenza e passione da tanti missionari, sopravvissuto ai bombardamenti del 1943, rilanciato negli anni ‘80 e da allora curato con passione da padri come Bartolomeo Malaspina, Achille Da Ros e, ancora oggi, Giuseppe Quattrocchio, un affabulatore che incanta e Angelo Dutto, il museo attende un’esposizione più degna che richiede persone, tempo e mezzi. Aperto solo per visite private, si offre al pubblico – nella sua forma provvisoria – sul web come «Museo etnografico missionari Consolata».

Il successo dell’esposizione sull’Amazzonia nei Musei vaticani, realizzata con molti reperti provenienti dal nostro museo, sta incoraggiando a trovare una sistemazione dignitosa e definitiva, che speriamo possa diventare realtà quanto prima.


Svalutazione

Con riferimento all’articolo «L’euro della discordia» su MC 5/2019, senza prendere in considerazione le osservazioni sul dedito pubblico, ci troviamo assolutamente perplessi per quanto riguarda quanto scritto sull’euro, in particolare per i ragionamenti sulla svalutazione.

Quando si afferma che l’euro avrebbe danneggiato le esportazioni del nostro paese non si tiene conto di alcune questioni importanti.

  1. La svalutazione della moneta nazionale nei confronti delle altre vuol dire che, con una unità di moneta straniera, si comperano più unità di moneta nazionale. Per esempio, un tempo si comperavano più lire con un dollaro, quindi gli americani avevano maggior convenienza a comperare in Italia; di qui la maggior competitività delle nostre esportazioni. Per contro, poiché per comprare un dollaro erano necessarie più lire, tutte le materie prime con prezzi in dollari, a partire dal petrolio, costavano di più agli italiani. Se dunque oggi non avessimo l’euro, con il formidabile aumento dei prezzi del petrolio avvenuto negli scorsi anni – e che è prevedibile perduri – il costo di spese essenziali, quali per esempio il riscaldamento delle abitazioni e dell’energia elettrica, graverebbe ben di più sulle famiglie.
  2. La svalutazione della moneta porta all’inflazione interna e dilapida i risparmi delle persone cioè il valore del loro lavoro accumulato negli anni; di fatto l’inflazione riduce il potere di acquisto delle persone. Riuscire o non riuscire a difendersi dipende dalla più accidentale distribuzione del potere contrattuale tra i lavoratori.

I bei tempi delle svalutazioni spingevano i «semplici» a ritenere di star bene in quanto c’era lavoro, ma non erano in grado di sapere che tale situazione era in buona parte sostenuta artificialmente dalla cosiddetta competitività dei prezzi che era permessa proprio da quelle svalutazioni.

Tornando però all’euro, in questi anni il problema italiano non sono state le esportazioni, aumentate dal 18% del Pil del 2009 a oltre il 25% del 2017. L’errore è nel credere che le nostre imprese debbano competere con la svalutazione della moneta nazionale, mentre ne hanno bisogno soltanto le imprese incapaci di migliorarsi attraverso la qualità dei loro prodotti e l’innovazione.

La vera carenza dell’economia nazionale è l’incapacità di creare un numero sufficiente di imprese che diano lavoro qualificato, soprattutto ai giovani, e siano in grado di competere grazie all’innovazione dei loro prodotti, non attraverso il basso costo del lavoro che permette bassi prezzi.

La carenza di imprese deriva, certamente anche dalla inefficienza della pubblica amministrazione, ma soprattutto dalla insufficiente capacità imprenditoriale. Non possono essere suscitate se non si riesce a cogliere e promuovere l’aspetto nobile dell’attività imprenditoriale: dare lavoro e soddisfare, con l’innovazione e le tecniche, i bisogni reali delle persone.

Grazie per l’attenzione

Piercarlo Frigero e Gian Carlo Picco, Torino, 07/06/2019

Questa email era finita nel dimenticatoio per un disguido. Sollecitato dagli autori, l’ho girata a Francesco Gesualdi, che così ha risposto.

«Ringrazio per le precisazioni che sono incontestabili. La svalutazione inevitabilmente ha effetti di lievitazione sui prezzi interni, specie se il paese dipende dall’estero per le materie energetiche. Ciò non di meno, è altrettanto innegabile che nell’immediato può avere la capacità di rilanciare le esportazioni perché rende le proprie merci più convenienti da un punto di vista valutario. Appurati gli effetti, decidere se svalutare o meno è una scelta politica che dipende da ciò che si ritiene preminente nel momento dato e dalle valutazioni che si fanno sugli effetti di lungo e breve periodo. Trattandosi di obiettivi, ponderazioni e valutazioni, ognuno può giungere a conclusioni diverse, e ciò mi pare più che legittimo. Il problema che si pone nel caso dell’euro è se sia stato vantaggioso sposare una situazione che priva dell’autonomia di svalutare. Ovviamente anche in questo caso non esiste una risposta univoca: più risposte sono possibili in base alle valutazioni sociali, politiche ed economiche, sapendo, comunque, che la storia è l’ultimo giudice di ogni scelta».

Francesco Gesualdi


Banche armate

Buongiorno Direttore e Redazione. Sono abbonato alla rivista Missioni Consolata i cui contenuti a carattere socioeconomico ed etico condivido e sostengo. Segnalo che tra le banche da voi utilizzate, compare Unicredit Banca che Francesco Gesualdi, ancora una volta, annovera tra le «banche con l’elmetto», quindi legate al commercio di armi (vedi MC 12/2019 pag.6). Mi aspetto che abbandoniate quanto prima questo legame e, come in molti hanno fatto e facciamo, intraprendiate rapporti bancari con Banca Popolare Etica, che vuole stare sul mercato in modo etico, responsabile e trasparente. Auguri a tutti Voi,

Alessandro Grando Verona, 21/12/2019

Siamo ben coscienti della problematica e della contraddizione della nostra posizione, nella quale da una parte attacchiamo le banche armate e dall’altra invece le usiamo. È certamente una situazione complessa, spina nel fianco da un bel po’. Grazie comunque per lo stimolo offerto che passo ai miei diretti superiori con speranza.


La lotta degli Yanomami

A Parigi, il 30 gennaio 2020, alla presenza di fratel Carlo Zacquini, Imc, e Davi Kopenawa, è stata inaugurata la mostra di Claudia Andujar «La lotta Yanomami». Promossa dalla Fondazione Cartier, rimarrà aperta fino al 10 maggio prossimo.
Info: www.fondationcartier.com.

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Noi e Voi

Faraja house «I care»

Il 3 agosto 2019 per i ragazzi della Faraja è stato un giorno bello è importante: finalmente dopo più di due anni hanno potuto traslocare dalla vecchia alla nuova Faraja che è stata terminata grazie all’intervento della Cei, del gruppo Gms di Savigliano e con il coordinamento del Movimento Sviluppo e Pace di Torino.

Prima di poter illustrare i vari cambiamenti sarebbe necessario ricordare la storia della Faraja.

Nel 1997, i missionari della Consolata, per venire incontro al grave problema dei bambini di strada, diedero inizio alla Faraja House a Mgongo, alla periferia della città di Iringa (Tanzania). Faraja significa consolazione. L’attività, quindi, si ispira alla Consolata e al nostro carisma. Faraja diventa pertanto accoglienza, affetto e futuro.

L’organizzazione e la direzione furono affidate a padre Franco Sordella, missionario della Consolata da più di 40 anni in Africa.

I ragazzi della Faraja

È difficile descrivere le situazioni e le esperienze di vita di questi ragazzi che si sono trovati a vivere per strada. Alcuni di loro hanno già sperimentato il carcere (ricordiamo che in alcune città i bambini vengono detenuti con gli adulti), altri hanno subito ogni genere di violenza psicologica e fisica, e le ferite sono profonde e tangibili. Riportare i ragazzi alla normalità non è facile perché intervengono molti fattori culturali, religiosi e tribali, ma dopo alcuni mesi il cambiamento è visibile soprattutto grazie all’impronta familiare e al grande interesse e affetto con cui sono educati e seguiti fin dall’inizio. Si scrisse che il nostro centro voleva essere una risposta alla necessità di aiutare i bambini che lasciano la scuola per vari motivi e si trovano in strada alla ricerca di piccoli lavori per la sopravvivenza ma poi si trovano in balia di piccole bande, della fame e della necessità di un posto per dormire. Furtarelli, rapine e arresti della polizia, malattie e soprusi vari sono all’ordine del giorno.

Il problema dei ragazzi di strada o in difficoltà si fa sempre più acuto ed è dovuto da troppe cause tra cui l’Aids, la poca consistenza dei nuclei familiari, le ragazze madri, il decadimento dell’educazione scolastica, l’urbanizzazione, la povertà in genere. Normalmente i bambini di strada provengono da ceppi familiari disgregati o assenti che, per vari motivi, possono essere fonti di sofferenze, di amarezze e abbandono.

In molti casi, il sistema di assistenza sociale governativo non ha alcuna consistenza. L’organizzazione di questo tipo di ragazzi è particolarmente problematica proprio perché sono abituati a vivere ai margini della società senza tante convenzioni e regole, se non quelle interne al proprio gruppo di aggregazione.

Attualmente i bambini e ragazzi accolti alla Faraja sono 72 di cui 21 frequentano la scuola secondaria, 6 l’università e 2 il seminario.

Successi e fallimenti

Sono divisi in case e squadriglie per rendere più facile la gestione e l’autosufficienza. Lo studio, il gioco, il lavoro e anche la preghiera scandiscono le ore di ogni giornata. L’amicizia tra di loro, le baruffe e i bisticci, l’amore degli educatori, sono tutti elementi utili per ridare serenità e voglia di riuscire nella vita. I successi sono tanti: ad esempio 5 laureati, un sacerdote missionario della Consolata e, attualmente, due giovani in seminario, ma anche tante sono le difficoltà e gli insuccessi come giovani ritornati alla strada per impossibilità di adattamento, per rifiuto di ogni regola, per il richiamo della strada.

Tanti però sono i bambini e i giovani che sono passati per la casa della consolazione e che già sono ritornati alla vita di società.Ecco la nuova Faraja

Si arriva attraverso una strada di circa 600 metri difficile da percorrere soprattutto durante le piogge e ancora da completare. Il complesso della nuova Faraja è recintato con muretto in pietra e cemento, una rete metallica zincata e l’ingresso è costituito da un portone in ferro battuto.

Il tutto è costituito da sei case indipendenti, anche dal punto di vista energetico. Ogni casa dispone di un impianto fotovoltaico per le illuminazioni e di due pannelli solari per il riscaldamento dell’acqua. Tutti i pavimenti sono in ceramica per una migliore gestione dell’igiene.

In ogni casa ci sono camere a 6 letti, 4 bagni e 4 docce, una lavanderia, una camera con bagno e piccolo studio per l’assistente e una sala studio per i ragazzi. La casa di quelli più grandi ha anche una sala studio e computer per 70 ragazzi, sala che può essere usata per incontri vari e anche per cerebrale la messa nei giorni feriali. In questa casa vi è anche una cappellina per la celebrazione quotidiana della messa.

Il refettorio con annessa la cucina può ospitare fino a 120 persone. C’è anche una casa per ospiti e volontari.

Da notare le pitture su ogni casa (ancora da completare) opera di un ragazzo che ha vissuto in Faraja fino a rendersi indipendente con la sua attività di pittura.

L’acqua viene prelevata da un vecchio pozzo distante 1.500 metri e pompata con un vecchio motore diesel in funzione 2 ore al giorno in un serbatoio da 2mila litri. Il sistema non è ecologico e il pozzo è in via di esaurimento.

Progetti futuri

Per il futuro immediato sono previste altre migliorie necessarie, per le quali contiamo sull’aiuto di amici e benefattori. Ecco un breve elenco.

Un nuovo pozzo (fortunatamente si è scoperto che a poche decine di metri dalla recinzione si può trovare acqua a una profondità di 90-100 m). Presto inizierà la trivellazione e la sistemazione con una pompa solare e serbatoi adeguati.

È poi necessario rifare la strada di accesso.

Per assicurare l’autosufficienza alimentare dei ragazzi è utile ampliare la stalla per mucche, maiali e pecore e acquistare mucche da latte di razza. A completare il tutto c’è bisogno di un buon congelatore a pannelli solari.

Ci sono le spese ordinarie di manutenzione e mantenimento (vitto, vestiti, divise e medicine…), nonché i salari degli operatori, le rette dei 21 ragazzi che frequentano la scuola secondaria e l’iscrizione di chi frequenta l’università.

Un saluto dalla Faraja.

Padre Franco Sordella
Faraja House,  Mgongo, Iringa, Tanzania

 

Chiediamo scusa a padre Franco se, per ragioni di spazio, abbiamo tagliato e ridotto all’osso la sua lettera. La notizia che Faraja è viva e funzionante dopo il terribile incendio, ci rallegra molto. Chi volesse aiutare può farlo attraverso Missioni Consolata Onlus. I bisogni sono tanti, e, come al solito, tante gocce messe insieme fanno un fiume, un fiume d’affetto che rende vivo il nuovo pozzo della casa della Consolazione.


Roma, 30-11-2019. Istituto Leonarda Vaccari. La cerimonia di premiazione del Volontario dell’anno FOCSIV. I vincitori del premio e German Graciano Posso e Giampaolo Longhi. / Agenzia Romano Siciliani/s – Stefano Dal Pozzolo

26° Premio del Volontariato Internazionale FOCSIV 2019

I Diritti Umani al centro dell’impegno dei vincitori: la risposta per un mondo più sostenibile.

A pochi giorni dal 5 dicembre, Giornata mondiale del volontariato, il XXVI Premio del volontariato internazionale, il 30 novembre, ha consegnato il riconoscimento di Volontario internazionale a Giampaolo Longhi, responsabile in Etiopia di Cvm – Comunità volontari per il mondo, e quello di Volontario dal Sud a German Graciano Posso, rappresentante della Comunità di pace di san Josè de Apartadò in Colombia, candidato da Operazione Colomba della Giovanni XXIII. Il Premio ha ricevuto, come gli scorsi anni, la Medaglia del presidente della Repubblica.

Due difensori dei diritti umani al fianco, in un caso, delle lavoratrici domestiche, una delle categorie sociali più vulnerabili e, nell’altro, della propria comunità per difenderne i diritti.

Giampaolo Longhi, di Foggia, da due anni in Etiopia, è impegnato nel sostegno dei diritti delle donne, con particolare attenzione a quelle dedite al lavoro domestico svolto nel paese, molte delle quali minorenni, e delle lavoratrici domestiche rientrate in Etiopia, forzatamente o volontariamente, da paesi quali il Libano, la Libia, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi, ecc.

L’altro, German Graciano Posso, colombiano, rappresentante della Comunità di pace di san Josè de Apartadò, impegnato non solo nel processo di resistenza nonviolenta verso il conflitto civile colombiano, ma anche nei confronti di un sistema economico internazionale che vuole spogliare i contadini, anche della sua comunità, delle loro terre in favore dell’ingresso delle multinazionali che  non disdegnano l’eliminazione chi si oppone.

«La difesa dei diritti umani è uno dei cardini della storia del volontariato del nostro paese. In molti siamo partiti qualche decennio fa per farli rispettare nelle tante periferie del mondo. Una radice forte quella della solidarietà e del volontariato senza i quali non vi sarebbe un futuro. L’albero solidale che in questi anni abbiamo cresciuto e che oggi va più che mai difeso, alimentato e reso ancora più forte. Ce lo chiedono i giovani che partono ogni anno per il Servizio civile universale, gli espatriati delle nostre 86 Ong federate alla Focsiv e quella parte d’Italia che non si arrende all’odio, all’individualismo sfrenato e alla violenza dei gesti e delle parole – ha dichiarato Gianfranco Cattai, presidente Focsiv -. Il Premio di fatto mette in evidenza come il volontariato sia un’esperienza di valore, che non va intesa solo come momento di formazione individuale per una cittadinanza attiva e consapevole, ma come attore principale nel processo di acquisizione di una maggiore consapevolezza come cittadini chiamati a fare ognuno la sua parte per il bene comune per il proprio territorio, la propria comunità, ma anche per un bene più importante: il futuro dell’Umanità e del nostro pianeta».

Ufficio stampa Focsiv

Roma, 30-11-2019. Istituto Leonarda Vaccari. La cerimonia di premiazione del Volontario dell’anno FOCSIV. / Agenzia Romano Siciliani/s – Stefano Dal Pozzolo




Cari Missionari

Giovane mamma

Suona il campanello e vado a vedere chi c’è.

Trovo una giovane mamma che dal viso sembra molto preoccupata. Tra le braccia, avvolto in un pezzo di stoffa, porta il suo bambino. Non ci vuole molto a capire che il piccolo è denutrito. Mi chiede di aiutarla.

Guardo l’orologio, sono circa le 09.45. Alle 10 precise devo essere in classe. Ho solo un’ora alla settimana di lezione da dare in seminario, e al martedì. Proprio di martedì e a quest’ora doveva venire?

Di corsa l’accompagno in cucina e dico al cuoco di occuparsene e che ritornerò più tardi.

Le mie lezioni sono sulla spiritualità e il carisma dei missionari della Consolata secondo l’insegnamento e il pensiero del nostro fondatore il beato Giuseppe Allamano, affinché i giovani prendano il suo spirito ed entusiasmo missionario e siano degni del nome che porteranno: Consolata, diventando dei veri consolatori delle anime e dei corpi.

Durante la lezione la mia mente corre al volto di quella mamma. I suoi occhi erano lucidi, quasi di lacrime, ma non piangeva. Non mi ha detto molte parole, non riusciva. Mi aveva fatto vedere il volto del bambino con delicatezza e gentilezza quasi per dirmi: «Ho fatto tutto il possibile, ho dato tutto quello che potevo e che possedevo. Ho dato il mio amore. Ora non so cosa fare».

Ma io, come posso aiutarla? Che cosa posso fare?

Terminata la lezione vado in cucina dove hanno preparato una pappetta per il piccolo e dato qualcosa alla madre.

Dopo pranzo porto la mamma al Holy Cross Hospital tenuto dalle suore qui a Morogoro. Mi dicono subito che il piccolo deve essere ricoverato e naturalmente assistito dalla mamma. Tiro un respiro di sollievo. Non sapevo proprio cosa fare.

Dopo due giorni, vado a trovarli. La mamma (nella foto) mi abbozza un sorriso di ringraziamento per il bambino che aveva iniziato le cure.

Mentre esco per lasciare l’ospedale, vengo chiamato in amministrazione. Vogliono sapere chi pagherà il conto, anche per la mamma venuta in ospedale senza una moneta e nemmeno un cambio per se stessa. Chiedo l’ammontare fino a quel momento e saldo il conto. Per le cure successive pagherò più avanti. Dopo una settimana, ritorno all’ospedale e la suora mi dice che il bambino è stato dimesso. La mamma non abita molto lontano e deve venire regolarmente per il controllo, le cure e la crescita del bambino. Per le spese non devo pensarci. Ci pensano loro.

Durante il ritorno mi vengono in testa tante domande e tanti perché. Perché è venuta in seminario? Chi l’ha mandata? Come ha fatto a venire? E poi: come si chiama? E il bambino? Da dove viene, dove vive? Di che religione è?

Torno indietro per avere informazioni. Quando ho pagato non ho voluto la ricevuta, ma che la dessero alla mamma. Così non so nemmeno i loro nomi.

Andando verso l’ospedale altri pensieri mi passano per la mente. Mi chiedo il perché voglio sapere chi è, cosa fa, da dove viene, ecc… Forse che Gesù chiedeva informazioni e dati anagrafici alle persone che aiutava e guariva?

Faccio ancora inversione di marcia e mi dirigo decisamente verso il seminario.

Però ho chiesto al Signore una cosa. Lui dopo le guarigioni diceva: «Va e non peccare». Oppure: «La tua fede ti ha salvato». Ebbene, desidero, o Signore, che quella mamma sappia che è stata aiutata da gente che lo fa per il Tuo amore. Ora fa che quella mamma diventi una persona che ti ama.

Fratel Sandro Bonfanti
Morogoro, Tanzania


«Top 200» edizione 2019

Per il decimo anno consecutivo Wal-Mart mantiene il primo posto, per fatturato, nella graduatoria mondiale delle multinazionali. Lo rende noto Top 200, edizione 2019, il dossier curato dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo, sulle prime 200 multinazionali del mondo. Wal-Mart è la più grande catena di supermercati: 11.200 in tutto il mondo sparsi nei cinque continenti. Con 2 milioni e 200mila dipendenti, di cui 1 milione e mezzo negli Stati Uniti, Wal-Mart è anche ai primi posti in termini di multe per violazione dei diritti dei lavoratori. Dal 2000 a oggi, solo negli Stati Uniti, ha collezionato multe per un miliardo e mezzo di dollari.

Al 13° posto della graduatoria delle multinazionali, troviamo un’altra impresa del commercio, che benché più piccola è senz’altro più nota in Europa. Si tratta di Amazon, il cui patron, Jeff Bezos, per il secondo anno consecutivo si è collocato al primo posto della graduatoria stilata da Forbes sulle persone più ricche della terra. E neanche lui passa per essere un buon datore di lavoro. Nichole Gracely, una giovane statunitense che ha lavorato vari mesi come stagionale in un centro logistico di Amazon, ha detto che è meglio essere disoccupata e senza casa piuttosto che lavorare alle dipendenze di Amazon.

Non sappiamo come se la cavino i lavoratori delle altre catene commerciali, ma di sicuro sappiamo che i supermercati costituiscono il gruppo di imprese più numeroso fra le top 200: ben 35 per un fatturato complessivo di 4mila miliardi di dollari e 11 milioni di dipendenti. Solo il settore energetico (le terribili multinazionali del petrolio) riesce ad andare più su con un fatturato complessivo di 4.192 miliardi. Ma al terzo posto troviamo le imprese finanziarie a confermare come banche, assicurazioni e fondi di investimenti rappresentino la spina dorsale del capitalismo moderno. Ed è proprio a questi soggetti che Top 200 riserva alcuni approfondimenti. In particolare «Banche sporche di catrame», richiamandosi alla ricerca condotta da Banking on climate change, mette in evidenza che dal 2015, l’anno in cui venne firmato l’accordo di Parigi, le principali 33 banche mondiali hanno impegnato il 7% di risorse in più a vantaggio delle imprese che estraggono combustibili fossili. Poi non c’è da stupirsi se le emissioni di anidride carbonica hanno continuato a crescere: del 1,6% nel 2017 e del 2,7% nel 2018. Al primo posto per finanziamenti concessi c’è JPMorgan Chase, la banca internazionale guidata da Jamie Dimon, anche presidente della Business Roundtable che nell’agosto 2019 ha fatto credere al mondo che d’ora in avanti il capitalismo terrà conto degli interessi sociali e ambientali, non dei profitti degli azionisti.

E sempre parlando di finanza, un altro servizio si concentra sulle banche con l’elmetto, quelle, cioè, che sostengono le imprese di armi. Fra le banche europee al secondo posto troviamo Unicredit con 4 miliardi di finanziamenti, superata solo da Lloyds Bank. Fra i clienti di Unicredit c’è Northrop Grumman, che è coinvolta nella produzione di armi nucleari. Fra i clienti di Lloyds c’è General Dynamics, anch’essa coinvolta nella produzione di armi nucleari e fornitrice di armi a Egitto e Arabia Saudita. Armi controverse inviate a paesi controversi, laddove per armi controverse si intendono sia quelle illegali che quelle che provocano effetti indiscriminati e sproporzionati. Sotto questa categoria sono ricondotte le armi nucleari, le mine antiuomo, le armi incendiarie. Per paesi controversi si intendono quelli autoritari con un basso tasso di libertà e rispetto per i diritti umani. Un’ulteriore dimostrazione che, al di là delle politiche d’immagine, pur di fare soldi le imprese non si fanno scrupolo a finanziare operazioni di morte e di aggressione contro le persone e la natura. Solo la vigilanza e l’agire critico potranno salvarci. Buona lettura su www.cnms.it

Francesco Gesualdi
21/10/2019


Grazie

Cari missionari,
sono vostra abbonata da non so più quanto tempo. Avevo visitato a Milano la mostra «coca e maloca». Lì presi una copia omaggio della rivista. E, a casa, dopo averla letta, subito decisi di abbonarmi.

Mi piace sempre molto essere portata in giro per il mondo dai vostri articoli e dossier. Mi fanno conoscere popoli nelle loro realtà. Grazie davvero. E se, come dice qualche lettore, «vi schierate», io ne sono contenta, perché siete sempre dalla parte degli oppressi e dei poveri (o meglio impoveriti dal nostro capitalismo senza cuore).

Mi piacciono anche molto gli articoli di Rosanna Novara Topino e sono entusiasta di quelli di Franco Gesualdi: finalmente riesco a leggere articoli che parlano di economia (fino a ora non ci ero mai riuscita, smettevo dopo poche righe). Questi riesco non solo a leggerli ma a capire qualcosa di economia, di Europa, Bce, spread, eccetera eccetera. Fantastico! Grazie a tutti e cordialissimi saluti.

Gabriella Pagani
26/10/2019


Domande

Buon giorno, sono un vostro abbonato da tanti anni e sono contento della vostra rivista per l’attenzione all’uomo. Oggi ho due richieste da fare.

  • Nei giorni scorsi, parlando con un amico che vive in Cameroun, ho sentito parlare del genocidio che sta avvenendo in quel paese tra gli anglofoni e i francofoni anche a causa dell’ingerenza del governo francese. Cosa si può conoscere su questo argomento?
  • A proposito dell’agitazione del mondo sul problema dei cambiamenti climatici (vedi Greta e movimenti vari) e del Sinodo sull’Amazzonia ho l’impressione che non si abbia il coraggio (in particolare negli ambienti cattolici) di proporre un cambiamento del nostro stile di vita con proposte serie e pratiche (vedi proposte degli anni Novanta del movimento Bilanci di Giustizia).

In attesa di leggere una risposta saluto e auguro buon lavoro.

Daniele Engaddi
14/10/2019

Siamo coscienti della realtà dell’Ovest anglofono del Camerun. Ne abbiamo segnalato diverse volte la situazione sulle nostre pagine di Facebook. La rivista Africa, associata con noi alla Fesmi, scrive: «I separatisti sono [accusati di] ribellione [perché] hanno fatto una campagna per la creazione di uno stato indipendente chiamato Ambazonia, composto dalle regioni anglofone del Nord Ovest e del Sud Ovest del Camerun, lamentando la loro emarginazione per decenni da parte del governo centrale e dalla maggioranza di lingua francese.

La crisi anglofona è iniziata nel 2016, quando avvocati e insegnanti hanno scioperato contro il tentativo di imporre il francese nelle scuole e nei tribunali delle regioni del Nord Ovest e del Sud Ovest. Dallo scoppio della crisi, sono oltre 500mila gli sfollati» (Africa, 29/08/2019).

Noi non ignoriamo il problema, e speriamo di dedicarci un servizio presto. Intanto suggeriamo di seguire riviste sorelle come Nigrizia e Africa, molto specializzate sull’Africa.

Su cambiamenti climatici credo di poter dire che l’enciclica «Laudato si’» di papa Francesco sia uno dei documenti più coraggiosi sull’argomento. E il Sinodo sull’Amazzonia ne è una conferma. Sul tema torneremo in gennaio 2020  con un ampio dossier sul Sinodo, per non farlo dimenticare quando già non se ne parlerà più.

 


Auguri al vescovo più vecchio d’Italia

Il 1° novembre 2019 mons. Aldo Mongiano, missionario della Consolata, vescovo di Roraina in Brasile dal 1975 al 1996, e già missionario in Mozambico, ha celebrato i suoi 100 anni nella chiesa del beato Giuseppe Allamano a Torino, presente una bella delegazione da Roraima, guidata dal vescovo Mário Antônio da Silva che rappresentava anche la Conferenza Episcopale Brasiliana.


Una casa per ricominciare

Un progetto di solidarietà degli Amici Missioni Consolata a favore di chi ha perso la casa durante il ciclone Idai nella diocesi di Tete in Mozambico.

Nel marzo scorso il ciclone Idai ha colpito il Mozambico e la regione di Tete, già danneggiata dalla piena del fiume Revubwe che ha portato via tutto nella zona di Nkondezi: ponti, campi, case e persino cimiteri. Attualmente più di 500 famiglie, circa 4.000 persone, vivono in tende nel campo di Chimbondi in condizioni molto precarie. Ricevono aiuti alimentari e poco altro.

Subito dopo la sua consacrazione episcopale (maggio 2019) il nuovo vescovo di Tete, Diamantino Antunes, missionario della Consolata, ha visitato le famiglie nel campo di accoglienza assicurando loro l’aiuto della Chiesa.

Con le autorità locali è stato fatto un un piano per trasferire le famiglie che vivono nelle case distrutte o danneggiate e costruire per loro delle case nuove in muratura in luoghi più sicuri.

Si può aiutare e sostenere il progetto:

  1. con donazioni a «AMC-progetto case Tete» usando il ccp che ricevete con la rivista o con versamento bancario a MISSIONI CONSOLATA Onlus (dati dettagliati a pagina 83)
  1. visitando la Mostra di Solidarietà dell’Immacolata 2019 allestita nella parrocchia Maria Regina delle Missioni, Via Cialdini 20(a Torino, tram: 9 – 16; bus: 55 – 56 – 65; metro fermata Bernini) da mercoledì 4 a domenica 8 dicembre 2019 orario 9,30-13,00 / 15,00-19,00

Nuove case a Tete




Cari Missionari

100 anni meravigliosi!

Ordinazioni sacerdotali e pellegrinaggio internazionale a Tosamaganga, 1ª missione IMC in Tanzania

Carissimi,

quest’anno abbiamo celebrato il centenario della missione del nostro istituto in Tanzania. Abbiamo molte ragioni per ingraziare.

Ordinazioni

Anzitutto ringraziamo il Signore per il dono dell’ordinazione sacerdotale di quattro confratelli tanzaniani proprio
durante questo anno giubilare.

Prima l’ordinazione dei diaconi Tito Kimario e Emanuel Temu della diocesi di Moshi, e poi quella di altri due, i diaconi Isack Mdindile e Richard Lusaluwa della diocesi di Iringa (foto sotto). Sono i frutti nati dall’albero della fede seminato nelle varie parrocchie dai missionari in questi 100 anni di evangelizzazione in Tanzania, in particolare nella diocesi di Iringa.

Ringraziamo il Signore non solo per questi nostri confratelli, ma per tutti i figli e le figlie consacrati a Dio di questa diocesi e delle altre diocesi in Tanzania.

Nella messa di ordinazione, durante l’omelia, il vescovo di Iringa, mons. Tarcisius Ngalelekomtwa, ha insistito sul fatto che i nuovi ordinati debbano vivere la loro vocazione con coerenza e impegno, affinché questorealizzi la salvezza loro e di tutte le pecore che verranno loro affidate. Bisogna vivere la vita sacerdotale seguendo l’esempio di Gesù Cristo, il sacerdote per eccellenza. Il vescovo ha anche sottolineato che d’ora in poi tutti dobbiamo chiamare i nuovi sacerdoti «padri», perché dovranno prendersi cura della famiglia formata dai figli di Dio.

Pellegrinaggio da Mshindo a Tosamaganga con sette tappe intermedie, giovani dall’Europo insieme alal gente locale in occasione del centenario IMC in Tanzania

Il pellegrinaggio

Il giorno seguente, il 23 agosto, tutti i gruppi dei giovani provenienti dai vari centri Imc dell’Europa si sono radunati al centro Faraja (Consolazione) situato a Mgongo, dove vengono accolti bambini orfani o provenienti da famiglie in difficoltà. Là c’è stata una conferenza sulla vita e storia dei missionari della Consolata in Tanzania e sul centenario. Padre Cyprian Mvanda e il superiore regionale, padre Erasto Mgalama, hanno raccontato nel dettaglio i primi passi compiuti dai primi missionari agli albori della missione in Tanzania. I giovani europei hanno avuto l’opportunità di conoscere i bambini, giocare, ballare e cantare con loro, trascorrendo una serata meravigliosa, terminata con la cena alla quale ha partecipato anche la comunità della Faraja.

È stato fondamentale incontrarci per sentire le grandi meraviglie che Dio ha operato tramite i missionari nella regione di Iringa per essere pronti all’evento del giorno seguente: il pellegrinaggio a Tosamaganga, la primissima casa dei missionari della Consolata in Tanzania.

In strada

La mattina del 24 agosto (foto sopra), i fedeli e giovani locali insieme ai giovani dall’Europa si sono radunati presso la chiesa di Mshindo per partire in pellegrinaggio verso Tosamaganga.

Ai pellegrini si sono uniti tanti giovani e adulti delle parrocchie della Consolata in Tanzania per formare un lungo e variopinto corteo di persone che si è snodato lungo strade polverose.

È stato un pellegrinaggio colmo di gioia, preghiera, canti, musica, balli e riflessioni, con diverse tappe prima di arrivare a Tosamaganga.

Significativa è stata la penultima tappa all’orfanatrofio gestito dalle suore Teresine, una congregazione fondata da un missionario della Consolata, mons. Cagliero. Ci siamo inoltre recati al cimitero di Tosamaganga, dove riposano in pace tanti missionari che hanno speso tutta la vita per l’evangelizzazione e l’amore delle popolazioni.

A Tosamaganga

Arrivati alla parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Tosamaganga, siamo stati accolti calorosamente dal vicario del vescovo che ha salutato i pellegrini in tre lingue: inglese, swahili e italiano e ringraziato Dio per il lavoro fatto dai missionari dopo aver preso il posto dei Benedettini 100 anni fa.

Dopo varie celebrazioni, alla sera ci siamo trovati per un momento di presentazione dei vari gruppi che hanno anche condiviso le esperienze avute nelle parrocchie prima del pellegrinaggio e anche alcuni aspetti della propria cultura di provenienza con canti, balli e musica. Il 25 agosto nella messa presieduta da padre Erasto Mgalama abbiamo nuovamente ringraziato il Signore per il cammino fatto insieme e per le meraviglie che Dio ha compiuto tramite i missionari. Ha poi sottolineato che una missione riuscita è quella che coinvolge tutti, è quella fatta «con e per gli altri». Celebriamo i 100 anni perché i nostri primi missionari hanno saputo fare e vivere missione insieme. Il successo non è dovuto a un solo missionario, ma a tutti coloro che hanno lavorato durante questi 100 anni in Tanzania.

Ora preghiamo che questo Spirito di fare missione insieme cresca in noi, perché l’essere missionari e il fare missione siano il compito di tutti. «Umisionari ni wajibu wetu, wajibu wetu ni umisionari» (la missione è il nostro dovere/compito/impegno), così dice il motto del giubileo in Tanzania.

Il pellegrinaggio continua

Padre Erasto ringraziando i giovani dall’Europa per la loro partecipazione alle feste del giubileo, ha ricordato che il culmine delle celebrazioni è il 14 ottobre (festa nazionale in Tanzania).

Ha chiesto poi di portare i ringraziamenti alle famiglie e di raccontare l’esperienza vissuta sulle orme di tanti missionari che hanno evangelizzato il Tanzania, invitando a continuare il pellegrinaggio in Europa, diventando missionari nelle proprie comunità parrocchiali, contro l’anonimato delle nostre città e dei nostri paesi, visitando le solitudini delle case, uscendo per cercare e consolare gli smarriti e gli esclusi, accogliendo chi emigra ed è discriminato.

In questo senso, il pellegrinaggio continua, perché la missione non è finita né in Tanzania né in Europa.

padre Thomas Mushi, da Iringa, Tanzania


Ricordando con nostalgia

Caro direttore,
sono l’autore della foto di copertina di dicembre 2017. Come membro del gruppo Gomni (di cui avete scritto a luglio 2018) sono stato in Tanzania sette volte tra il 1992 e il 2008. Esperienze indimenticabili per me. Vorrei condividere questa breve storia allo scopo di far conoscere in questi tempi che le diversità tanto discusse e vituperate possono essere motivo di confronto e magari di ricupero di certi valori che noi abbiamo perso o dimenticato, come l’accoglienza, la condivisione e la fraternità.

Visita ai villaggi con suor Ponziana

Un mattino, dopo la messa, suor Ponziana mi invita ad andare a trovare i vecchi e gli ammalati. Raccolte poche cose dalla mia stanza, messi gli scarponi e preso un bastone, partiamo. È una bella giornata calda. Ci mettiamo in viaggio passando da una specie di emporio per prendere due bottiglie d’acqua per bere, una per uno.

Il percorso è un po’accidentato, con diverse colline da superare. Siamo sugli altipiani della regione di Njombe a un’altezza media di 1.800 m. I villaggi della parrocchia sono numerosi e piuttosto lontani uno dall’altro.

Partiamo spediti. Appena fuori del villaggio della parrocchia, sento una voce in lontananza che grida: «Karibu, Armando (benvenuto Armando)». Il saluto è forte, ma non vedo nessuno. In queste zone e a questa altitudine, senza i rumori tipici del mondo occidentale, il suono si propaga facilmente. Proseguendo il cammino incontriamo un gruppo di donne che vanno al lavoro nei campi trasportando gli attrezzi sulla testa. Il saluto è d’obbligo: «Kamwene, habari, mnaenda wapi?» (buon giorno – in kihehe, hai notizie? dove vai? – in kiswahili). La stretta di mano tripla dà calore all’incontro e all’immancabile scambio di informazioni, senza fretta.

Al primo gruppo di capanne ci fermiamo per salutare, anche se qui non ci sono ammalati ne vecchi. Ci offrono una gallina e io cerco di rifiutarla perché so che questa gente mangia una sola volta al giorno. Suor Ponziana mi prende per un braccio e sottovoce mi sussurra che non si può rifiutare, sarebbe un’offesa per loro.

Riprendiamo il cammino e dopo un’ora arriviamo in un villaggio con molte capanne. Sul sentiero che attraversa il villaggio un giovane sui venti anni si muove trascinando il corpo con le mani. Ha le gambe rattrappite probabilmente dalla nascita. «Weuli (buon pomeriggio – ancora in kihehe). Habari?». «Nzuri (bene)». È la risposta caratteristica della gente. Anche se la situazione non è buona, la risposta è sempre positiva.

«Vado a trovare la nonna», dice il ragazzo. Lo accompagniamo lentamente alla capanna che si trova poco lontano.

«Hodi? (permesso?)». «Karibu (benvenuto)», risponde una voce da dentro. Entriamo attraverso un’apertura in un muro di fango secco. Attraverso il denso fumo di un fuocherello vediamo una donna molto anziana seduta su un gabellino di legno a pochi centimetri da terra. Ci da la mano  dalla pelle molto sciupata e rinsecchita e ci invita a sederci. La vecchia è seduta accanto ad un fuoco formato da tre pietre disposte a triangolo. Non c’è il camino e il fuoco poco vivo crea una coltre di fumo che ristagna nel piccolo ambiente rendendo difficile il respiro.

Dopo i convenevoli, la signora ci racconta la sua storia di persona rimasta sola, con nessun parente e la difficoltà di muoversi a causa delle gambe molto ammalate. Ormai la sua vita è accanto al fuoco che, a queste altitudini, è sempre acceso giorno e notte. La sua esistenza è condizionata dall’aiuto dei vicini che non manca mai e dalla presenza del nipote handicappato che le tiene compagnia durante la giornata. Ma la cosa sorprendente è che trasmette il suo racconto con un sorriso sulle labbra, senza recriminazioni, né lamentele, come se fosse una cosa normalissima, naturale.

Io le offro delle caramelle e la suora le dà una maglietta per ripararsi dal freddo. Concludiamo la visita pregando insieme.

Riprendiamo il cammino in silenzio ripensando alla condizione di quella nonna che affronta la sua situazione difficile con serenità senza drammatizzare, con dignità e l’orgoglio di esistere.

La lebbrosa

Dopo un paio di colline e mezzora di cammino arriviamo a un piccolo insediamento, con cinque o sei capanne e poca attività, nessun movimento. La suora va diritta verso una capanna. Si ferma prima di entrare e girandosi verso di me dice: «Tu stai qui, non entrare, aspettami». Dopo un quarto d’ora, suor Ponziana esce e mi dice: «Twende (andiamo)».

La osservo mentre si pulisce le mani con l’erba alta bagnata di rugiada. Incuriosito, le chiedo perché non mi ha lasciato entrare in quella capanna. Con la testa abbassata mi risponde sommessamente: «In quella capanna c’è una persona molto ammalata, ha la lebbra».

Rimprovero suor Ponziana per quella pericolosa mancanza di igiene e le consiglio di munirsi di un disinfettante comune mentre le offro una  bottiglietta di Amuchina che abitualmente mi porto nello zainetto.

«Turudi (torniamo)», mi dice. Ci mettiamo sulla strada del ritorno, silenziosamente. Poco dopo incontriamo un gruppo di giovani donne che rientrano al villaggio. L’incontro vivacizza l’atmosfera con i saluti e le notizie che ci scambiamo. Io ne approfitto per familiarizzare con loro. Arriviamo alla missione abbastanza stanchi ed accaldati. Mi accorgo che la bottiglia dell’acqua della suora è ancora piena. «La bevo con le mie consorelle», mi dice suor Ponziana. Questa cosa mi fa ricordare l’importanza dell’acqua per questa gente. Nella parrocchia non esiste ancora un impianto di acqua potabile e utilizziamo l’acqua piovana e quella bollita per le nostre esigenze. Se è così in missione, nel villaggio è molto peggio.

«Tutaonana kesko (ci vediamo domani)», mi saluta la suora. A domani.

Armando Favaro
23/09/2019 Balangero (To)

 




Cari Missionari


Battezzati e inviati

La Chiesa di Cristo in missione nel mondo

Preghiera ispirata dal messaggio del santo padre Francesco per la 93ª giornata missionaria mondiale che si celebra domenica 20 ottobre 2019.

O Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo,
dalla comunione con te nasce una vita nuova che viviamo come fraternità battesimale, ricchezza da donare, da comunicare, da annunciare gratuitamente, senza escludere nessuno.

O Dio Padre tenerissimo,
tu vuoi che tutti gli uomini siano salvi arrivando alla conoscenza della verità e all’esperienza della tua misericordia grazie alla Chiesa. Tu non ti sottrai mai al dono della vita, destinando ogni tuo figlio, da sempre, alla tua vita divina ed eterna, che ci viene comunicata nel battesimo. Questo sacramento della nostra salvezza ci dona la fede nel tuo figlio Gesù Cristo vincitore del peccato e della morte, ci rigenera a tua immagine e somiglianza, ci inserisce nel corpo di Cristo che è la Chiesa, ci fa tuoi figli e figlie adottivi nel tuo figlio unigenito.

O Signore nostro Gesù Cristo,
con la tua passione, morte e risurrezione ci salvi dal peccato e dalla morte, rompendo gli angusti limiti di mondi, religioni e culture. Tu ci chiami a crescere nel rispetto per la dignità dell’uomo e della donna, e a conversione sempre più piena a te, verità che dona la vita a tutti. Come il Padre ha mandato te, anche tu, con il dono dello Spirito Santo, hai mandato la tua Chiesa per la riconciliazione e la salvezza del mondo.

O Spirito Santo, vero protagonista dell’evangelizzazione,
tu ci conduci a Gesù verità, ci rendi Chiesa in uscita fino ai confini della terra e ci rendi capaci di essere dono gli uni per gli altri. Tu fai di noi la Chiesa che annuncia, celebra e testimonia il vangelo della salvezza nel rispetto della libertà personale di ognuno, in dialogo con le culture e le religioni dei popoli a cui Gesù ci invia. Fa’ che non manchino mai uomini e donne che, in virtù del loro battesimo, rispondano generosamente alla chiamata a uscire dalla propria casa, dalla famiglia, dalla patria, dalla propria Chiesa locale per essere missionari delle genti.

O beata vergine Maria, nostra madre,
ti affidiamo la missione della Chiesa. Unita al tuo figlio, fin dall’incarnazione ti sei messa in movimento, ti sei lasciata totalmente coinvolgere nella sua missione, che ai piedi della croce divenne anche la tua: cooperare come madre della Chiesa a generare nello Spirito e nella fede nuovi figli e figlie di Dio.

Amen. Alleluia!

Don Francesco dell’Orco
Università Cattolica – Gemelli, 22/06/2019

Grazie e addio

Carissimi missionari della Consolata,
il mio nome è Bruno Bersani e molti anni fa ero uno di voi e ho passato dieci anni in Kenya, Meru, come fratello.
Là ho conosciuto una missionaria laica canadese, e fatto sta che dopo tanto pensare ho lasciato l’istituto e sono venuto in Canada.
Sono sempre stato molto attaccato all’istituto, alla Consolata e al beato fondatore Giuseppe Allamano.
Ho sempre ammirato i missionari della Consolata, padri, fratelli e suore. Credo di aver fatto di più per l’istituto da fuori che quando ne ero membro e ne sono orgoglioso.
Ero in contatto con uno di voi e fu lui ad abbonarmi a MC.
Ora ho novant’anni e siccome non ho nessuno in famiglia che conosce l’italiano, ho pensato di sistemare le cose prima che sia troppo tardi.
Decido di fermare la spedizione ora, piuttosto che continuare a riceverlo e nessuno lo leggerà e penserà a farvelo sapere quando non ci sarò più.
Tutti i giorni prego per voi missionari e missionarie della Consolata.
Mi sento orgoglioso di aver appartenuto all’istituto che ho amato e continuo ad amare. Ad un istituto che per me è il migliore.
Vi saluto tutti, con promessa di continuare a pregare per tutti i missionari e missionarie della Consolata e per il beato fondatore che presto sarà venerato come santo. Con affetto

Bruno Bersani
New Westminster,  Canada, 10/07/2019

Ricercando nei nostri archivi abbiamo trovato la foto del giovanissimo Bruno Bersani (sopra) insieme agli altri fratelli missionari a Meru negli anni ‘60: (da sinistra) Comaron Giovanni, Bersani Bruno, Bottaro Dino, Argese Giuseppe e Costardi Francesco.

 

Falsità sul debito estero

Egregio Direttore,
con riferimento all’articolo di Francesco Gesualdi di MC 5/2019 pag. 27, non sono riuscito a capire quali «falsità si sono raccontate rispetto al nostro enorme debito pubblico». Non è forse vero che abbiamo una cronica e sempre più sorprendente evasione fiscale, che i costi della nostra politica sono i più alti del mondo, che abbiamo le pensioni d’oro, abbiamo più auto blu degli Stati Uniti? Io apprezzo questa rivista, ma mi sembra che la responsabilità del nostro debito sia tutta nostra, frutto bacato di tanti governi mediocri che abbiamo eletto noi. Altro che azzerare il nostro debito «buttandolo sulle spalle della Bce».
Cordiali saluti,

Angelo Guzzon
Cernusco Lombardone, 22/06/2019

Abbiamo naturalmente girato la questione a Francesco Gesualdi. Ecco la sua risposta.

Gli anni Ottanta furono catastrofici per lo stato
italiano perché si continuò a espandere la spesa sociale a debito, con soldi ottenuti esclusivamente dalle banche a tassi di interesse esorbitanti. I numeri confermano: il debito complessivo che nel 1980 ammontava a 114 miliardi di euro, 58% del Pil (Prodotto interno lordo), a fine 1991 lo troviamo a 755 miliardi, 95% del Pil. È abitudine misurare il debito anche in rapporto al Pil per avere un’idea più chiara della sua grandezza. Eppure il nuovo debito contratto per garantire maggiori servizi ai cittadini era stato solo di 140 miliardi. Gli altri 596 miliardi furono debito contratto per pagare gli interessi.

Il 1991 rappresenta uno spartiacque nella storia del debito pubblico italiano, perché fu l’ultimo anno in cui venne fatto nuovo debito per servizi a vantaggio dei cittadini. Nel 1992 si insedia il governo Amato e annuncia al popolo italiano che per aderire al progetto di moneta unica programmato dall’Unione Europea bisognava entrare nell’ordine di idee di ridurre il debito. Detto fatto, innalzò le tasse e ridusse le spese ottenendo un avanzo, fra quanto incassato e quanto speso al netto degli interessi, di 15 miliardi di euro. Eppure il debito crebbe anche quell’anno, per la semplice ragione che il risparmio realizzato non fu sufficiente a coprire la spesa per interessi che obbligò ad accendere altro debito. Anno dopo anno, quello stesso meccanismo si è protratto fino ai giorni nostri (ad eccezione del 2009) portandoci all’assurdo che nonostante 825 miliardi di risparmio realizzati nel periodo 1992-2018, il debito pubblico ha continuato a crescere per l’incapacità di tenere la corsa con gli interessi che nello stesso arco temporale sono ammontati a 2.160 miliardi, di cui 1.320 coperti con nuovo debito.

Tutto questo dimostra quanto sia falso affermare che lo stato italiano è indebitato perché abbiamo voluto vivere al di sopra delle nostre possibilità. L’Italia si trova nell’attuale livello di indebitamento perché è stata consegnata mani e piedi alle banche.

Francesco Gesualdi
06/08/2019

A questo punto la domanda più logica è: sono banche o strozzini e usurai? Si è preso un prestito di 254 miliardi in tutto e ora il debito è di 2.160 miliardi perché si sono fatti altri debiti per pagare quel debito? Di questo passo questo debito non sarà mai estinto. Quanto ci vogliono guadagnare gli usurai che hanno prestato i soldi?

Passaggio al Messico

[Cari amici che mi avete accompagnato in questi anni di vita africana],
la data [della mia partenza dalla Costa d’Avorio verso la mia nuova missione in Messico] si avvicina e voglio cogliere l’occasione per ringraziare Dio per il tempo vissuto in Costa d’Avorio. Sono arrivato qui il 16 gennaio 2001. Ho avuto l’opportunità di vedere bambini e bambine crescere; vedere i giovani sposarsi e accompagnarne alcuni al riposo eterno. È stata una vera grazia.

Mi scuso se ti ho fatto del male o a volte ti ho deluso. Sono consapevole di aver vissuto situazioni in cui non sono stato in grado di essere all’altezza di ciò che ci si aspetterebbe da un uomo di Dio.
Il Signore sa anche che ho vissuto questo tempo con passione.
Ho vissuto con passione l’incontro con Dio e la celebrazione dell’Eucaristia.
Ho vissuto con passione l’accompagnamento dei missionari, la costruzione della fraternità, della comunità e di uno stile di stare con persone di diverse religioni del quartiere.
Infine, ho vissuto con passione la visita alle famiglie e ai villaggi, l’inserimento tra la gente senufo, la presenza tra giovani e bambini, la promozione delle donne e la consolazione nell’istruzione, nella salute e nell’igiene.
Ho sperimentato con voi la gioia del Risorto.

Gli anni bui della guerra (civile – dal 2002 al 2011, ndr) hanno approfondito la mia fede. È diventata più matura, più forte, più teologale. E dal 2012, la speranza e la gioia sono stati i tratti fondamentali della mia presenza in questa terra.

Il 2 settembre andrò ad Abidjan e la notte tra martedì e mercoledì ho l’aereo per tornare in Spagna. Voglio andare a rivedere i miei genitori ormai invecchiati, con quasi 80 anni a testa. Vi chiedo di pregare per loro. Hanno appena accettato la mia missione in Messico, ma sanno anche che questa è la vocazione missionaria e la vivono con un misto di tristezza e orgoglio. Pregate per loro, per favore. Farò diversi mesi in Spagna con loro e in gennaio e febbraio farò un corso di rinnovamento in Italia per prepararmi a inserirmi in Messico, dove arriverò solo a marzo. Grazie per tutto quello che abbiamo passato insieme.

Tutto è stato un dono di Dio e per lui continuo ad offrire la mia vita per il bene della missione tra tutti i popoli. Alla prossima, wàa pye cangàa fáala.

Ramon Lazaro Esnaola,
da San Pedro, Costa  D’Avorio, 27/08/2019

Oltre il sovranismo

Cari missionari,
la decisa presa di posizione del papa sul tema del sovranismo – vedi «La Stampa» del 9 agosto – mi sembra una cosa molto importante.

L’amore per la patria, per la lingua, la musica, l’arte, la religione, il territorio nazionale, non può portare al respingimento di chi viene soccorso in mare e alla criminalizzazione di chi presta soccorso. A dircelo non sono solo le sacre scritture, ce lo dice anche lo scioglimento dei ghiacciai, ce lo dice il cambiamento climatico, ce lo dice la logica naturale, prima ancora che trascendentale.

Quello di patrimonio dell’umanità, prima ancora che un concetto biofisico, biologico o storico-archeologico, è un concetto filosofico e dovrebbe riguardare anche quei luoghi che ancora non sono riconosciuti come depositari di un particolare pregio artistico, architettonico o paesaggistico.

Il no netto alle ideologie sovraniste e la difesa della proprietà privata come diritto naturale non sono in contraddizione: se è contro natura negare il diritto alla casa – con gli stipendi da fame, con la speculazione immobiliare, con la sperequazione impositiva, con un sistema fiscale criminale – lo è anche rifiutare il soccorso alle donne gravide e ai bambini di pochi mesi in nome della difesa del nostro suolo, del nostro mare, della nostra casa, delle nostre risorse.

Lo è anche rifilare o minacciare multe pazzesche alle navi delle Ong che hanno accolto dei naufraghi a bordo.

L’Italia non è solo degli italiani ma del mondo intero, l’Adriatico non è solo di Venezia, il Mediterraneo non è solo degli italiani, dei francesi, della Spagna, della Libia o del Marocco.

La Russia non è solo dei russi, il Brasile – checché ne dica Bolsonaro – non è solo dei brasiliani, le foreste, i fiumi e i ghiacciai del Sud America non sono solo dei sudamericani esattamente come le foreste (per esempio quelle di sequoie o quelle degli alberi arcobaleno delle Hawaii),
i fiumi, i laghi (piccoli e grandi) e i ghiacciai del Nord America, non appartengono solo ai nordamericani, ma al mondo intero.

Il lago Aral non è solo dei kazachi e degli uzbeki, e se la parte kazaka recupera e quella uzbeka continua a ridursi, il problema è politico, ma politico vuol dire che, oltre ad Alma Ata e Taskent, anche le altre grandi città dell’Asia e del mondo hanno voce in capitolo, perché la rigenerazione di questo bacino sarà una vittoria per tutta l’umanità, mentre la sua scomparsa sarà una sconfitta per tutti.

Quello che si scioglie o si ricompatta sul Kilimanjaro, sugli Aberdare o in Groenlandia, riguarda anche Londra, Parigi, Roma, Washington, Berlino, Copenaghen, non solo Nairobi, i Masai e gli Inuit.

La Cina, intendendo anche Hong Kong, Macao, Taiwan, e quella inserita nel Progetto riserve della biosfera dell’Unesco, non è solo dei Cinesi, non è solo del Partito comunista cinese, ma patrimonio della comunità mondiale.

Non dico di non diffidare dell’ecologismo facile, del terzomondismo da salotto e dell’ipercatastrofismo, ma non dimentichiamo che l’atto virtuoso del singolo individuo, del singolo comune, e del singolo stato sovrano (per esempio la piantumazione di un albero, una buona raccolta differenziata, la lotta al caporalato) ha ricadute positive sul mondo intero, mentre i comportamenti viziosi (la dipendenza da alcol, tabacco e droga, il disprezzo del cibo, lo spreco di acqua…) ha ricadute che possono essere devastanti.

Francesco Domenichelli
email 12/08/2019