Se Gesù avesse incontrato i musulmani

L’islam e il rapporto tra cristiani e musulmani in Italia e nel mondo sono temi rilevanti di Missioni Consolata. Nel 1989 uscì il numero monografico «Allah il più grande». Seguirono vari dossiers e articoli.
Nel 1999 pubblicammo testimonianze di cattolici italiani convertiti all’islam. Lo facemmo con spirito critico, per mettere sul «chi va là» i superficiali, pronti a mettersi sotto la «sharia» del corano. Scrivemmo allora: «Quanti presunti cristiani, che abbandonano la loro religione, hanno veramente sperimentato che Gesù Cristo, figlio di Dio, è la via, la verità, la vita? È lui “il” salvatore di tutta l’umanità. Lo affermiamo con fede e coraggio».
L’articolo di Michel Barin «La moschea nel convento» (Missioni Consolata, giugno 2000) presenta un’altra esperienza: in alcuni locali affittati, presso un istituto di suore della Valle d’Aosta, si tengono lezioni di arabo e si celebrano festività islamiche. Le lettere seguenti commentano il fatto. Qualcuno contesta duramente Michel Barin.

Non scherziamo,
per favore!

Rabbia, tristezza e delusione sono stati i nostri sentimenti dopo aver letto l’articolo «La moschea nel convento», pubblicato su Missioni Consolata di giugno 2000. Poco è servito a consolarci la provocazione finale di Michel Barin, che risponde riportando le verità che sembrano non essere prese in considerazione da un sedicente ecumenismo.
Ecumenismo, parola ambigua per molti. Si pensa che il cristiano d’oggi debba non solo accettare le varie religioni, ma anche approvarle, a scapito della propria fede. Ma l’ecumenismo non deve danneggiare il proprio credo.
Noi pensiamo che il rispetto per chi aderisce ad una religione non cristiana significhi aiutare chi è nel bisogno: se ha fame, dargli da mangiare; se ha sete, dargli da bere, ecc. E, se un musulmano si prostra a terra per pregare Allah, è rispetto non impedirglielo. Il suo è un diritto, che però non deve calpestare il nostro. Perché non possiamo dichiarare che Maria è madre di Dio? Perché dobbiamo dire che è solo madre dell’uomo-Gesù? Solo per non far arrabbiare i musulmani, che ritengono Gesù-Dio una bestemmia? Ma scherziamo! Si insegni pure l’arabo, la cultura e religione islamica… purché ciò faciliti il dialogo vero, che permetta di accettare l’altro per quello che è, ma non violi le verità trasmesseci da Gesù e dalla chiesa.
Come cattolici ci sforzeremo sempre di aiutare chi è nel bisogno, senza alcuna distinzione: Gesù ce l’ha dimostrato. Ma quanto avviene ora non è ecumenismo. Noi, ad esempio, non vogliamo collaborare con fondi affinché si ergano qua e là moschee (è già avvenuto), perché solo così saremmo cristiani. Altro che evangelizzazione! Questa è islamizzazione!
Se le crociate di ieri sono oggi condannate, non commettiamo il peccato inverso. Sì, riteniamo peccato permettere che la nostra fede venga deformata… per non dispiacere a qualcuno e non apparire anti-ecumenici. È una presa in giro dei missionari, che rischiano la vita proprio nei paesi islamici. Soprattutto è un’offesa a Colui che ha dichiarato di essere il compimento delle scritture, che Lui solo è la via, la verità, la vita. E nessun altro.
Non vogliamo mettere in bocca a Dio i nostri pensieri. Ma dubitiamo molto che Gesù, se avesse incontrato i musulmani, li avrebbe lasciati nei loro errori o addirittura esortati a continuare, solo perché rispettoso dell’uomo. Gesù è morto per essersi dichiarato figlio di Dio e per amore della verità. E noi dovremmo trovare un compromesso falsificando la verità fatta uomo! Stiamo forse perdendo la nostra identità cristiana?
Davide e Anna – Maranello (MO)

Fate bene, amici, a non mettere in bocca a Dio i vostri pensieri, specialmente in campo teologico. Egli infatti potrebbe rispondere: «I miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55, 8).

Siamo figli, non schiavi

È curioso che un nemico dei vecchi «imprimatur» cattolici, quale io sono, si trovi ad essere sugli spalti dell’ortodossia insieme a Michel Barin. Condivido in pieno il suo articolo: si parla del «buonismo cattolico davanti all’integralismo del corano». La cultura occidentale si è liberata dall’integralismo. Siamo lontani anni luce dal taglio della mano, dalla fustigazione, dalla lapidazione e da altre sconcezze. Sulla lapidazione dell’adultera Gesù è stato molto chiaro. Altrettanto sul ripudio della moglie…
Il dialogo presuppone apertura mentale e approfondimento delle posizioni della controparte. Quale approfondimento del cristianesimo mostrano le persone che pensano che Gesù non sia morto in croce e che la Trinità sia formata da Padre, Figlio e Madonna?
Ricordo pure che nel vangelo ci viene detto che non siamo schiavi di Dio, ma figli: un concetto lontano dai musulmani, i quali, nonostante la loro religione sia più giovane della nostra, sono rimasti fermi a qualche millennio fa (al Dio di Abramo e Isacco).
Carlo May – Milano

Vi sono pure musulmani aggioati, con i quali il dialogo è fruttuoso.

Non lasciarsi abbagliare

Concordo con Michel Barin. È indubitabile che il movimento migratorio (e, in particolare, l’invasione islamica) sia un fenomeno irreversibile che non possiamo né frenare né demonizzare. Bisogna però saperlo gestire. Il pericolo maggiore non proviene solo dall’invasione di tanti musulmani, quanto piuttosto dall’ignoranza religiosa di troppi cristiani. Questi sono «solo» battezzati, ma non conoscono quasi nulla della loro religione; perciò non l’amano e sono pronti a passare anche all’islam!
A tale preoccupante situazione non si può rimediare solo con corsi di cultura islamica, come sembra illudersi il giornale diocesano di Aosta. Uno pseudo irenismo reca pessimi frutti. Non è questo il dialogo di cui parla il papa. Che teologi e specialisti approfondiscano la conoscenza dell’islam va bene. Più ci si conosce e più si potrà sperare di convivere in pace. Ma i nostri cristiani comuni hanno bisogno, prima di tutto, di istruirsi nella loro religione. Altro che istruirsi sull’islam!
Come possono i cristiani vedere i punti di divergenza fra Gesù e Maometto, se non conoscono la loro religione? Si lasceranno facilmente attrarre dai lati positivi dell’islam, che li abbaglieranno, e finiranno di pensare (per lo meno) che una religione vale l’altra. Alla presenza massiccia dell’islam, il migliore antidoto è intensificare lo studio della nostra religione.
Margherita Massaia
Vicoforte (CN)

Gli immigrati musulmani in Italia, all’inizio del 1999, erano 436.000, su un totale di 1.250.000 stranieri legali. I termini «invasione» e «presenza massiccia» non sono appropriati.
Le crociate «alla Barin»

Gentile direttore, le comunico il mio disappunto e quello della congregazione delle suore di San Giuseppe in riferimento a «La moschea nel convento». Dall’articolo emergono punti contraddittori sul reale contenuto dell’intervista che ho rilasciato. Nei locali occupati dalla cornoperativa «La Sorgente» non viene insegnato il corano, ma l’arabo, così come vengono insegnate altre lingue utili per l’inserimento in Italia di stranieri.
È decisamente errata l’affermazione (attribuitami) che le suore di San Giuseppe non sono missionarie. Per non parlare dell’accostamento grottesco di alcune affermazioni, con il chiaro intento di non stimolare una riflessione ecumenica, ma di dar luogo, probabilmente, ad uno sfogo personale.
Sono certa che lei saprà chiarire ai suoi lettori che, nella nostra comunità, non vi è alcun nesso tra «moschea» e «convento».
sr. Consolata Tonetti – Aosta

Sono il direttore del Corriere della Valle d’Aosta e scrivo in merito all’articolo di Michel Barin. È una clamorosa montatura. Le accuse, lanciate alla nostra collaboratrice Carla Jacquemod e al settimanale da me diretto, sono totalmente infondate, sfiorano il ridicolo.
Signor direttore, sarei ancora al mio posto se il nostro giornale facesse propaganda per l’islam? Aprire un dialogo con le religioni monoteistiche non mi autorizza a propagandare la religione musulmana attraverso lezioni di corano o a proporre un islam bonario…
Non era più prudente telefonare al vescovo della nostra diocesi per capire come fosse possibile una simile follia?… A volte si pensa che più la cosa è incredibile più è vera.
Il modus operandi del vostro collaboratore è molto discutibile e, per questo, vi invio il nostro articolo incriminato. Barin potrebbe rendere più giustizia alla sua causa se vi raccontasse i suoi contatti con l’islam e tutte le problematiche che ne sono nate, piuttosto che esprimere certe idee sul mondo islamico mettendo in mezzo un giornale che ha 50 anni di storia e ci tiene alla propria reputazione. Le crociate alla Barin contro «infedeli» e «ipotetici collaborazionisti» appaiono poco utili ad affrontare il serio problema dell’islam.
Chiedo la pubblicazione della mia lettera e penso che siano d’obbligo le scuse verso le persone diffamate dal vostro giornale.
Fabrizio Favre – Aosta

Lettera che ne raccoglie altre due, ossia la protesta di Carla e Riccardo Jacquemod, citati da Michel Barin.
Missioni Consolata non indaga sulla vita privata dei suoi articolisti. Ma non sposa le idee di tutti. Però tutti possono dire la loro (anche sbagliando), e tutti possono replicare.
Se uno scritto ci pare unilaterale, lo facciamo notare: o affiancandogli un altro con una tesi diversa o affermandolo. Così è stato anche per Barin. Il suo articolo, da noi definito «molto critico» verso l’apertura all’islam, copre 3 pagine in un dossier di 20. «Una» voce accanto ad «altre». La verità non è mai tutta da una parte.

aa.vv.




La critica profetica

Egregio direttore,
mi riferisco alla lettera dei signori Alberto e Davide, apparsa su Missioni Consolata, maggio 2000. No, non ha sbagliato a pubblicare la lettera del signor Guido Guidotti.
Però bastava solo un cenno alla lettera di Alberto e Davide, senza pubblicarla per esteso, comprese le loro allucinazioni. Allucinazione è, per esempio, il rimando all’episodio evangelico di Giuda, citato a sproposito. I due poi si danno la zappa sui piedi quando affermano che sono centinaia i missionari di Modena, distribuiti in tutti i continenti.
Io do ragione a Guidotti. Sono troppo dimenticati i missionari, che spesso danno la vita per i popoli cui sono inviati, e chissà quanto maggior bene farebbero se potessero disporre di aiuti più consistenti da parte delle chiese di origine.
Che cosa sono le poche decine di milioni stanziati per le centinaia di missionari (lo dicono Alberto e Davide) e le necessità dei loro cristiani, necessità a volte di puro sostentamento materiale? E che ne faranno i cristiani della diocesi di Modena di tutti quei miliardi? Per me questo è egoismo.
Non mi sembra paradossale affermare che le nostre belle chiese affondano nel sangue dei poveri e che «saremo giudicati sulla misura con cui ce li siamo presi a cuore» come dicono Alberto e Davide.
A volte criticare ciò che la gerarchia decide non è da condannare; può essere un compito profetico da realizzare con evangelico coraggio.
Francesco Ciriello
Casso Murge (BA)

Ricapitoliamo i termini del dibattito:
– il signor Guido affermava: l’«otto per mille» ha fruttato alla chiesa di Modena 9 miliardi di lire, di cui solo 20 milioni sono andati ai missionari in Brasile (Missioni Consolata, gennaio 2000);
– replicavano i signori Alberto e Davide: parrocchie, gruppi e singole persone della diocesi di Modena inviano alle missioni somme ingenti di denaro, oltre che personale (Missioni Consolata, maggio 2000).
Fra i «litiganti» si inseriva la nostra rivista notificando: la chiesa italiana, attraverso l’«otto per mille» ha destinato ai missionari 30 miliardi di lire nel 1991, per giungere a 135 miliardi nel 1998, così impiegati: per progetti socio-culturali 133 miliardi, da distribuire 2 miliardi.

Francesco Ciriello




Il panegerico sul sindaco Giuliani

Caro direttore,
ricevere Missioni Consolata quando si è lontani è ancora più bello. Grazie di questa rivista ben fatta sia per contenuti sia per impostazione.
Tuttavia ci ha sorpreso negativamente l’articolo su Rudolph Giuliani, sindaco di New York (Missioni Consolata, marzo 2000). Come comunità missionaria che opera negli Stati Uniti, riteniamo che il sindaco non meriti proprio il panegirico che la rivista gli ha attribuito.
Sono sicura che, se tu fossi stato qui, non avresti pubblicato un articolo così lodatore. Basta chiedersi a quale prezzo Giuliani abbia ottenuto il successo della «riduzione del crimine». Ci sarebbe molto da dire su questo argomento, e non a favore del sindaco (cfr. Time, 3 aprile 2000).
Mi auguro che Missioni Consolata conservi sempre la carica missionaria profetica. Un affettuoso saluto a tutta la redazione.
Elisa Sacchettini
Belmont (Usa)

Parlare di «panegirico» (esaltazione senza riserva) nei confronti di Giuliani non è esatto. Infatti, accanto ad un articolo celebrativo, la rivista ha affiancato due «inserti» che ridimensionano i successi del sindaco…
Suor Elisa è una missionaria della Consolata battagliera, impegnata negli Stati Uniti sul fronte dei neri (blacks). Impegno che sottoscriviamo.

Elisa Sacchettini




E’ indispensabile credere nelle religione cattolica?

Signor direttore,
vorrei essere confortato dal parere di un credente: è indispensabile credere nella religione cattolica per essere degno di entrare nel regno dei cieli? Oppure è sufficiente comportarsi in modo da non fare del male ad alcuno, anche senza professare nessuna religione tradizionale?
Ho letto molti vostri servizi da tutto il mondo, nei quali vengono evidenziati genocidi, tragedie, sfruttamento di poveri, donne, minori, ecc.
In generale le vittime appartengono al terzo e quarto mondo, dove vige solo la regola della sopraffazione e dove non si comprende più se i popoli possono ancora essere considerati umani, oppure cose da abusare e gettare, senza che i responsabili provino alcuna emozione.
I responsabili sono soprattutto coloro che, per avere maggiori guadagni, si avvalgono di tanta miseria per maggiormente arricchirsi, pur essendo coscienti che quelle persone perseguitate e sfruttate appartengono alla stessa umanità di cui essi fanno parte e hanno gli stessi bisogni.
Pio Moacchi
Savona

Primo. Oggi l’umanità supera i 6 miliardi di persone, di cui solo 1 miliardo circa si professa cattolico. Ed è assurdo pensare che i restanti 5 miliardi di uomini e donne non possano entrare nel «regno dei cieli», essendo tutti figli dello stesso Padre. Tuttavia, per salvarsi, non basta evitare il male; bisogna compiere il bene. Al riguardo il giudizio finale, descritto dal vangelo di Matteo (25, 31-46), è esplicito.
Secondo. Sete di guadagno, sfruttamento, sopraffazione… non hanno attenuanti. E, se ciò avviene nel cosciente disprezzo dei poveri, è come «impugnare la verità conosciuta», cioè un peccato contro lo Spirito Santo.

Pio Moacchi




“Corno d’Africa”: le colpe dei governi

Cari amici,
nella guerra Etiopia-Eritrea muoiono migliaia di persone, mentre tante altre sono in grave pericolo, se non vengono soccorse con urgenza. La gente (che aveva seminato parecchie volte) ha perso i raccolti a causa della siccità. Ma il governo non ha immagazzinato risorse idriche costruendo dighe. Non essendo cresciuta l’erba per gli animali, le bestie diventano ora carcasse e la gente segue la loro stessa sorte.
Ha una bella faccia tosta il primo ministro a dire che non è colpa dei governanti se manca il cibo. Certo, non è colpa loro se non piove. Però, se non si sono dati una mossa per creare in tempo delle scorte, se non hanno razionalizzato l’agricoltura… di chi è la colpa?
Dopo aver ricevuto gratis derrate alimentari da tanti paesi, è responsabilità loro (eccome!) averle vendute per pagare le spese di guerra. Così i servizi di prima necessità sono stati abbandonati con la scusa che, per prima cosa, bisogna difendere la sovranità territoriale. È una colpa il non aver trovato un’intesa per risolvere il conflitto in modo umano, e non così selvaggiamente come hanno fatto. È un delitto usare i giovani per distruggere, ammazzare.
Ora persino gli aiuti di emergenza (che noi missionari dovremmo distribuire alla gente) andranno in parte in mano ai governanti, perché vogliono avee il monopolio. Speriamo nella protesta delle Organizzazioni inteazionali… Però ho poche speranze, perché prima bisognerebbe cambiare certe teste.
Ho visto troppe persone sicure di sé e orgogliose, come il «don Rodrigo della forca». È un’espressione spagnola per dire: c’è chi, con la fune al collo, si vanta di essere un nobile e dichiara di morire da innocente. Eppure è un assassino… Nel «Coo d’Africa» i poveri possono nuotare nella melma, ma i capi diranno sempre che si tratta di «fanghi», buoni per i reumatismi!
Lettera firmata
Addis Abeba (Etiopia)

Denuncia amara quanto giusta. Su questo numero facciamo il punto della «guerra tutta pazza» tra Etiopia ed Eritrea (vedi pagina 47).

Lettera firmata




Non tutto fa brodo!

Egregio direttore,
leggendo su Missioni Consolata di maggio scorso il trafiletto «Qualcosa d’incomprensibile», mi consenta un pizzico di sgomento.
Se per ogni religione c’è «la sua porta d’ingresso al paradiso» su piede pari, che significa allora magistero? Che significa evangelizzare? Ogni via è buona: tutto fa brodo. Mi potrò rivolgere al New Age in buona coscienza?
Mario Rizzonelli
Dro (TN)

La porta del paradiso si apre nella misura in cui il singolo crede e obbedisce al magistero e mistero della bontà-misericordia di Dio. Non tutto «fa brodo». È quanto si desume anche dal citato «romanzo ecumenico» Le chiavi del regno di Joseph Cronin.

Mario Rizzonelli




Indulgenza, per favore!

Caro direttore,
mi sono domandato tante volte (e sempre con tristezza) perché il cattolicesimo, nel momento dell’attuale giubileo, abbia rinunciato ad utilizzare il tema delle «indulgenze» per ammorbidire il dissidio, ridurre le distanze che lo separano dal protestantesimo e, invece, sia prevalsa la tesi dell’atteggiamento intransigente e vecchia-maniera: debito di colpa, debito di pena, tesoro della chiesa…
Sono concetti che il messaggio di Gesù spazza via «come il vento orientale che squarcia le navi di Tarsis». Ma tant’è! Così è andata persa l’occasione per abbattere un pezzo di muro… Però qualcosa è successo: proprio dal papa ci è venuto un esempio e un monito formidabile.
Io vorrei mandare un pensiero di affetto e un piccolo contributo al tormento di quell’uomo che, tutto solo, contro ogni dubbio e armato soltanto delle sue convinzioni, ha saputo chiedere perdono e dire «mai più». E sia questo, almeno, il mio modo di togliermi il cappello davanti a lui.
Sergio Briatta
Torino

Le parole, oltre che macigni, possono essere pure carezza, sollievo, consolazione. Ad esempio: «indulgenza» (dal latino indulgeo) significa comprensione, clemenza, propensione al perdono, disponibilità a scusare colpe altrui. Tale indulgenza è in «vendita»?

Sergio Briatta




Insultato l’onorevole Colombo

Spettabile redazione,
l’articolo di Angela Lano (Missioni Consolata, giugno 2000) è molto curioso ed è diviso in due parti. Nella prima l’autrice conferma ciò che ho scritto su la Repubblica; nella seconda conclude con espressioni offensive (emozione, disinformazione, ignoranza, superficialità), che sono tanto più gravi perché smentite dalla prima parte dell’articolo.
Sono stupito di un testo così illogico, di un comportamento così incoerente e dal curioso desiderio di trasformare un dissenso in insulto, strano per una rivista missionaria.
Furio Colombo
Roma

«Citare» non è necessariamente «confermare»…
Sia Furio Colombo sia Angela Lano parlano della scuola matea di Via Cecchi (Torino), con una differenza: mentre il primo è in parlamento, la seconda è un’insegnante e opera come giornalista nell’ambito dell’immigrazione islamica.
Per l’onorevole le lezioni di arabo «solo per bambini arabi» ledono la costituzione italiana. Ma l’insegnante precisa che le lezioni sono un’alternativa all’ora di religione cattolica per chi cattolico non è; e ascrive al parlamentare disinformazione.
L’informazione corretta è un dovere, specie per una rivista missionaria,

Furio Colombo




Le pattumiere nucleari

Egregio direttore, faccio seguito alla mia lettera del 31 marzo per inviarle la risposta pervenutami dalla Commissione europea che, a quanto leggo, sembra sensibile ed interessata alla situazione creatasi nella città di Severodvinsk (Russia) e già all’opera (o lo è stata).
Forse più interventi e segnalazioni, specie se cornordinati, potrebbero spingere l’Unione europea ad interessarsi maggiormente al problema dell’inquinamento, sia a livello politico che tecnico-umanitario.
Piero Lanino – Palermo

L’architetto Lanino è stato colpito dall’articolo titolato «Fabbrica di sordomuti», conseguenza della «pattumiera nucleare» di Severodvinsk (cfr. Missioni Consolata, gennaio 2000). Allarmato, ne ha inviato copia alla Commissione europea, lanciando un appello affinché sensibilizzi l’opinione pubblica su una ignorata «Cheobyl al rallentatore». Questa è la risposta ricevuta.

E gregio architetto Lanino, il professor Prodi, presidente della Commissione europea, la signora Wallström, commissaria per l’ambiente e la sicurezza nucleare, e il commissario Nielson mi hanno trasmesso la sua lettera dello scorso 5 marzo, di cui la ringraziamo.
L’appello da lei lanciato per sensibilizzare istituzioni e autorità italiane ed europee sulla tragedia della popolazione di Severodvinsk ci commuove, ma purtroppo non ci sorprende. I servizi della Commissione cercano, infatti, da anni di impiegare nel modo più efficace possibile le scarse risorse finanziarie di cui dispongono per intervenire nel settore. Ad esempio, recentemente abbiamo finanziato un progetto volto a migliorare la gestione dei rifiuti radioattivi a Severodvinsk. Il progetto ha anche il compito di indagare sulle conseguenze radiologiche dello scarico di sostanze liquide radioattive nella rete fognaria della regione, avvenuto nel 1990.
Questo progetto non è una iniziativa isolata, ma fa parte delle azioni della Commissione europea nella Russia nordoccidentale, in cui esistono numerose zone potenzialmente altrettanto pericolose come Severodvinsk.
D’altra parte, è necessario contribuire a ridurre le conseguenze radiologiche di cui soffre la popolazione locale, anche per evitare che esse si estendano alla penisola scandinava e colpiscano i cittadini comunitari.
Sono d’accordo con lei: bisogna attirare l’attenzione della comunità internazionale su questa situazione ed altre simili. Al riguardo, i miei servizi effettueranno delle ricerche in collaborazione con i ministeri russi competenti e non mancheranno di rendere pubblici i risultati di tali ricerche.
Le porgo i miei più distinti saluti.
J. Fr. Verstrynge, Deputy Director-General,
Bruxelles, 25/04/2000

aa.vv.




La trappola delle monoculture

Signor direttore, dopo la lettura dell’editoriale «Il bacio della vergogna» (Missioni Consolata, maggio 2000), desidero fare un paio di considerazioni.

1. Se è vero che la decisione dell’Unione europea del 15 marzo favorisce le multinazionali e danneggia i paesi produttori di cacao, è altrettanto vero che, prima di tale provvedimento, i produttori erano tutt’altro che agevolati dal mercato e dal comportamento dei consumatori. L’eccessiva dipendenza dal cacao è fonte di debolezza economica per tutti i paesi della fascia tropicale, perché il suo prezzo viene fissato in base ai capricci degli speculatori occidentali, non in base a considerazioni di equità sociale.
Il vero dramma è la scarsissima attenzione per i canali del commercio alternativo. La variazione dei parametri sul tasso di burro di cacao è solo la conseguenza di un sistema di strapotere, che si è potuto consolidare grazie ai tanti «puristi» del cioccolato che oggi protestano, unendo la loro voce a quella degli ecologisti e dei missionari.

2. È riduttivo parlare di rischi per la salute facendo riferimento all’uso di cacao o surrogati ottenuti da piante geneticamente modificate. La prima modifica di cui si dovrebbe parlare è quella dei territori trasformati in enormi piantagioni di cacao.
In Costa d’Avorio, Ghana, Camerun, Nigeria la monocoltura del cacao è stata una delle principali cause della distruzione della foresta pluviale tropicale, la culla della biodiversità. Perfino le aree protette, spesso sotto l’egida dell’Unione europea e dell’Unesco (è il caso del parco nazionale Tai in Costa d’Avorio e del parco Dja in Camerun, dove vivono anche alcune comunità di pigmei baka), sono minacciate da un’agricoltura cacao-caffè-dipendente, che non tiene in alcun conto né delle esigenze dell’ambiente né delle necessità alimentari delle popolazioni locali.
Quanto a padre Giacinto Franzoi, lo apprezzo perché ha il coraggio di affrontare certi temi in chiesa. È vero che il cacao è meglio della coca: ho l’impressione però che limitarsi a questo non sia proprio ciò che ci vuole per aiutare le persone a prendere coscienza dell’importanza delle foreste naturali.
Dal punto di vista ecologico, le monocolture di cacao sono state un vero disastro: se desideriamo davvero riconvertire l’agricoltura insana, diamo alla foresta pluviale almeno un po’ dello spazio che ha perduto, invece di continuare a incoraggiare un consumo che porterà soltanto altri danni all’ambiente e all’uomo.
Tutelando le foreste tuteliamo gli ultimi polmoni verdi del pianeta, tuteliamo la vita e ciò che è essenziale alla vita; invece, tutelando il consumo di cacao vecchia maniera, diciamo sì al superfluo, sì all’ingordigia e prepariamo il terreno ad altre eurotruffe: cacao ad alto rendimento, cacao ad elevato contenuto di teobromina, cacao ad effetto afrodisiaco, ecc.
Francesco Rondina – Fano (PS)

Un editoriale è una provocazione, oltre che una riflessione. I rilievi del signor Francesco Rondina (che sostanzialmente condividiamo) lo confermano. Alle sue considerazioni ne aggiungiamo altrettante.

1. Nel sud del mondo i prodotti delle monocolture sono destinati soprattutto all’esportazione e, quindi, all’acquisto di valuta pregiata. È lo stesso Fondo monetario internazionale che preme sui paesi in via di sviluppo affinché ne adottino il sistema, che dovrebbe consentire loro d’incamerare dollari anche per pagare il debito estero.
Però i risultati sono tutt’altro che certi, perché il prezzo dei prodotti esportati è molto instabile sul mercato mondiale. È noto, per esempio, il dramma del Senegal che, dopo essersi dedicato alla monocoltura dell’arachide, con il crollo del suo prezzo, si è ritrovato montagne di noccioline invendute. Per non parlare della desertificazione del suolo che l’arachide produce.

2. Il cacao dei contadini di padre Giacinto Franzoi è «una» delle coltivazioni alternative della coca, i cui effetti devastanti sono certamente superiori a quelli del cacao, specialmente sotto il profilo umano.
Esistono anche piantagioni di caucciù, nonché l’allevamento di animali terrestri ed acquatici, tipici dell’Amazzonia colombiana. Senza scordare le piante ed erbe medicinali, fra cui spicca l’uncaria tomentosa («unghia di gatto»).

Francesco Rondina