Lettere


Anna, 98
anni…

la vostra
rivista, letta in famiglia da moltissimi anni, è sempre graditissima. La
mamma Anna, di 98 anni, fisicamente invalida, ma lucidissima, vi legge
tutti i mesi e prega…

Ci piace
il vostro dialogo e la vostra apertura: date spazio a tutti con rispetto e
comprensione, ma senza connivenza.

Alberta
Popoli, Parma

Signora
Alberta, chieda a mamma Anna di pregare un po’ anche per noi.


Chi è
imbecille?

sono
nauseato dalla rivista, la quale potrebbe anche essere buona se non fosse
che, da anni, è diventata odiatrice dell’occidente ricco. È ora che la
smettiate di seminare odio e vi decidiate a dire chiaro che i popoli
dell’Africa, indipendenti da molti anni, e del Sudamerica devono
rimboccarsi le maniche e tirarsi fuori dalla melma in cui li costringono i
loro governanti.

Queste
nazioni stavano meglio quando erano colonie «sfruttate». Logicamente,
oltre a rimboccarsi le maniche, devono avere l’aiuto delle nazioni
«ricche» dell’Europa e degli «odiati» Stati Uniti. Pur riconoscendo che
tanti colonizzatori hanno commesso abusi e uccisioni, mi sa indicare lei,
direttore, dove ciò non sia avvenuto, non avvenga e non avverrà?

Tralascio
l’argomento «crociate», «compiute in nome di Cristo» da criminali
«cattolici». Però mi fanno anche sorridere le continue «scuse» del papa.
C’è mai stata una scusa da parte degli «altri» per gli infiniti massacri
di cattolici? Perché non alzate la voce (avete forse paura?) contro Arabia
Saudita, Sudan, Cina, ecc., nazioni dove è vietata o ostacolata la pratica
religiosa cattolica, quando non perseguitata?

Invece
difendete l’invasione in Italia di milioni di musulmani ed altri, che
foraggiate, pur senza avvedervi (o fate finta!). Così essi prendono sempre
più piede, diffondendo le loro pseudo religioni, che di fede non hanno
nulla, essendo atti di fanatismo.

Quello che
non riesco a capire è che voi, preti, andate anche in missione per
diffondere la fede di Cristo, e intanto difendete gli «invasori», vi
mischiate con loro senza rendervi conto (sarà poi vero?) che, invece di
convertirli, fate sì che moltissimi cattolici abiurino la loro fede per
passare all’altra sponda. Bravi!

Io non
sono un senza-Dio, anzi! Provengo da una famiglia nella quale i genitori
hanno allevato me e sette fratelli nella fede di Cristo più schietta; sono
nipote di un grande prete salesiano; sono fratello di una missionaria in
Burundi, fino a quando i miserabili governanti di tuo (africani, non
europei o statunitensi!) l’hanno cacciata con altre suore e preti; sono
papà di una suora salesiana, da tanti anni in Africa. Pertanto non sono un
mangiapreti.

Sono uno
che ritiene, come diceva Totò, che «ogni limite ha una pazienza»! Non si
possono solo e sempre scrivere accuse pesanti e gratuite, oppure fare di
ogni erba un fascio contro i «potenti» e i «ricchi», imputando loro ogni
responsabilità nelle loro ex colonie. Molti «padroni» africani e
sudamericani, quando non sono disonesti e criminali, sono quanto meno
inetti e, quindi, non meritevoli dei posti che occupano.

Invece di
propagandare (la vostra è spesso propaganda) le religioni di altri popoli,
dovreste diffondere unicamente la nostra religione, la sola e vera
religione! Qualora lei, direttore, contestasse tale affermazione, farebbe
meglio a spretarsi!

Quando mai
gli altri hanno parlato (non dico bene, ma semplicemente parlato) della
fede cattolica? Siamo solo noi gli unici imbecilli, al pari di chi vede
l’erba del vicino più verde della sua? Mi pare che il vangelo non insegni
a «vendersi» o a «leccare» i nostri «concorrenti»!

Aiutare i
popoli è un dovere di noi cattolici (non semplicemente cristiani), ma alla
tassativa condizione di non farci turlupinare o sedurre dalle loro
credenze (non fedi). Vi siete forse fatti preti per imboscarvi e trovare
una comoda sistemazione? Gli unici fratelli (a parte quelli di sangue)
sono i cattolici: tutti gli altri possono essere dei «bisognosi»,
meritevoli di aiuto e basta!

Avrei
ancora tanto da dire (immigrazione di farabutti, sfruttatori, prostitute),
ma smetto ben sapendo che lei, da bravo prete, cestinerà schifato la
presente lettera; oppure, nel migliore dei casi, mi risponderà con
arroganza e disprezzo.

Però
ancora una domanda: perché, nonostante tutte le cattiverie gratuite che
dite a riguardo dei paesi ricchi, accettate (eccome!) le elemosine degli
stessi e non le respingete al mittente? Io credo di saperlo: perché gli
aiuti (fossero anche di satana) sono sempre bene accetti!

Lettera
firmata, Torino

I
missionari non ricevono offerte dai «ricchi», ma da «quelli che sono
poveri davanti a Dio». (Mt 5, 7)… E sorridere di fronte ai mea culpa del
papa non ci pare un bel sorriso.

 

CCP
33.40.51.35

quando
posso, cerco di fare qualche offerta per i vostri interventi nei paesi
bisognosi. Le offerte potrebbero essere maggiori, se ci fosse il numero di
un conto corrente Onlus, in modo da detrarre l’importo dalla dichiarazione
dei redditi, rendendo così la cifra a mia disposizione maggiore.

Alberto
Ramagno M., Roma

Il conto
corrente postale è 33.40.51.35 (per altre informazioni, si veda l’ultima
pagina della rivista). Ringraziamo il signor Alberto e quanti sostengono
l’opera dei missionari.

 


Il circo
della «formula uno»


 Spettabile redazione,

avete
fatto bene a evidenziare le responsabilità della tivù per l’insensata
attenzione ai divi della formula uno. Anch’io ho l’impressione che
giornali e telegiornali esagerino nel dare la prima pagina alla Ferrari.
Anche se le «rosse» non hanno la pole position e a vincere sono MacLaren o
Williams, lo spazio per l’automobilismo è troppo.

Molti
parlano di «circo della formula uno», alludendo alla spettacolarità delle
corse, alla disinvoltura con la quale le principali case automobilistiche
si spostano da un punto all’altro del pianeta, all’efficienza con cui si
risolvono i problemi tecnici.

La parola
«circo» esprime l’incredibile docilità con cui piloti e tifosi ubbidiscono
ai loro ammaestratori (Montezemolo, Ecclestone, Williams, Briatore…).
Sono convinto che, quando M. Schumacher proclama «amo la rossa come mia
moglie» e «alla prima curva non ho parenti», lo fa soprattutto per
tranquillizzare i suoi padroni e non far nascere il sospetto che gli
affetti familiari possano condizionare negativamente il suo rendimento.

Una
conferma del rovesciamento della scala naturale dei valori è arrivata dal
circuito di Lausitzring. Costato 300 miliardi di lire e definito un
«giorniello di sicurezza», su questo circuito, dopo pochi mesi di attività,
è morto Alboreto, mentre Zanardi ha perso le gambe…

Venerdì,
14 settembre 2001, per commemorare le vittime delle Twin Towers e del
Pentagono, sul circuito di Monza c’è stato un minuto di silenzio, e non
tre; domenica 16, non c’è stato nessun rallentamento alla prima curva,
nessun accordo tra le scuderie per ridurre il rischio di collisioni.
Perché? Perché altrimenti Ecclestone si sarebbe arrabbiato.

Francesco
Rondina, Fano (PS)

Il signor
Rondina si riferisce alla nostra risposta ad un lettore (Missioni
Consolata, settembre 2001).


 Accendi il
motore

Da anni
collaboro con i salesiani nella formazione dei giovani, credendo nelle
parole «religione, ragione e amore». Ma consideravo solo i giovani che mi
circondavano fisicamente. Mai mi ero chiesta quali e quanti visi di uomini
e donne, sfruttati, vi fossero dietro le etichette dei prodotti acquistati
o quanto costasse, in termini di vite umane, la benzina.

Parlavo di
solidarietà, impegno e coscienza sociale del «buon cristiano e onesto
cittadino», ma in modo astratto. Poi ho cominciato a capire di esser parte
di una rete di ingiustizia e illegalità, di essere piccola, ma anche
potente da rendere «schiavi» altri esseri umani. Schiavi dei miei bisogni.
E ho cominciato a vedere «incarnato» in alcuni il senso di responsabilità
per chi ci è accanto.

Se ami
l’uomo e credi in lui, ami e credi in tutti. Se decidi di essere
consapevole di te stesso, decidi pure di essere responsabile dei tuoi
fratelli, chiunque e dovunque siano.

Nel mio
«viaggio di terra» ho iniziato a conoscere la bellezza delle persone: è la
capacità di riscatto, il dono di un cuore che non si stanca e di una mente
che può arrivare alle «radici» della terra e alle «cime» del cielo.

Ogni uomo
ha un «motore vitale», non inquinante, anzi rigenerante. Ogni persona
merita rispetto e ascolto: anche quelle che hanno nascosto il loro «motore
vitale» sotto logiche di mercato e profitto; anche quelle che ci vogliono
«comparse» nella vita. Ma chi ne è vittima e schiavo merita di più: merita
che il nostro «motore vitale» generi un movimento di coscienze, di piedi
che marciano, di mani che donano e scrivono e di parole che scuotono. Lo
sento come dovere, per guadagnarmi la «fortuna di essere».

Voi
missionari avete «acceso il motore»… Accendete una lampada e ponetela
sul lampadario, perché chi entra veda la luce (cfr. Lc 8, 16).

Anna
Salzano, Torino

 


Arrivederci Etiopia

Ci sono
tanti bambini senza i genitori (ma alcuni vengono adottati dai nostri
amici italiani). Ci sono ammalati senza ospedale, perché senza soldi; così
la sofferenza li fa morire. Ci sono tanti sfortunati, ma anche fortunati.
Fortunata sono anch’io. Ringrazio Dio di essermi stato vicino e aver avuto
la famiglia a consolarmi.

Ora sto
trascorrendo un bellissimo periodo con una famiglia italiana e voglio
ricordare anche padre Domenico Zordan, che è stato l’inizio della mia
fortuna. Sarei felice se lo avessi vicino, per ringraziarlo con tutto il
cuore.

Etiopia,
non ti dico addio, perché, se Dio vuole, toerò a rivedere la mamma, i
fratelli, gli amici. Arrivederci dunque.


Testimonianza pervenutaci attraverso la famiglia di Ivo Babolin, presso la
quale Zennash, etiope di 18 anni, è ospite per cure mediche.

Padre
Domenico Zordan, missionario della Consolata, è deceduto nel 1997.

 


 LA POLITICA DEL
DISPREZZO NO!

 


Problemi a
valanga

Su
Missioni Consolata di settembre, pagina 11, riportate cosa ha fatto il
vescovo di Kyoto, senza alcun commento. Chi tace acconsente! La cosa è di
una gravità eccezionale: come può un vescovo predicare l’odio politico e
religioso?


L’imperatore del Giappone è pure capo religioso per i suoi seguaci. Dov’è
il dettato di Gesù «date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di
Dio»?

Come si
permette di criticare l’inno nazionale, che celebra l’imperatore come capo
dello stato (e non il popolo), quando anche il papa è capo di stato e, per
di più, assoluto e non democraticamente eletto dal popolo? Un vescovo può
sbagliare, ma un redattore non deve riportare un errore, come se fosse una
cosa bella.

A
pagina 64 dello stesso numero vi è uno dei soliti articoli contro le
multinazionali. Queste sono società di extraterrestri e vogliono
colonizzarci? Nelle multinazionali lavorano migliaia di persone (e molte
azioni sono del Vaticano): costoro sono anch’essi colpevoli, perché
eseguono gli ordini e interessi delle multinazionali?

Mi
sapete spiegare perché una multinazionale deve, a proprie spese,
stipendiare ricercatori, costruire laboratori con attrezzature costose e,
forse, scoprire ogni tanto qualche prodotto che fa bene all’umanità e poi,
sempre a proprie spese, deve darlo a poco prezzo ai poveri? Perché i
governi dei poveri (e non i governi dei «ricchi»), invece di spendere in
armamenti, non spendono nei medicinali delle multinazionali?

Se
l’Iraq avesse fatto controllare tutti i suoi siti industriali dagli
incaricati dell’Onu, non ci sarebbero state sanzioni e, quindi, potrebbe
spendere in medicinali e vitto per il proprio popolo. E il prete che va a
«Porta a Porta» (forse un missionario della Consolata?) non avrebbe da
lamentarsi per i bimbi iracheni che muoiono! La chiesa cattolica perché
non vende le sue proprietà immobiliari (i sacerdoti potrebbero vivere come
Gesù Cristo), per investire il ricavato in medicine per i poveri?

È bello
dire sempre «dovete dare» e mai… «diamo»!…

Sul
numero di ottobre, pagina 69, già il titolo fa ribrezzo. Gli «otto nani
miopi e prepotenti» sono stati eletti democraticamente dai loro popoli e,
quindi, non sono né nani né miopi. Questi titoli vanno bene per Paolo
Moiola e per il direttore che ne autorizza la stampa: l’uno e l’altro, non
eletti democraticamente, dimostrano di essere presuntuosi!

Sono
spiacente anche di verificare come, oggi, si dica che ogni religione è
valida: così pagani, buddisti, indù, maomettani, testimoni di Geova,
mormoni, luterani… saranno premiati come i cattolici, se si comportano
secondo il loro credo. Allora Gesù ha sbagliato a dire di convertire i
popoli e anche i missionari non hanno più scopo di esistere…

Io
faccio la carità perché, conoscendo Cristo, la tua anima si salvi; ma, se
la mia carità serve solo a darti da mangiare e tu rimani buddista o
maomettano, preferisco darla ai veri cristiani-cattolici.

Cesare
Verdi – Riva di Chieri (TO)

 


Del vescovo di Kyoto, Otsuka, si parla in «La chiesa nel mondo», una
rubrica che da sempre riporta fatti senza commenti. Ma la notizia non
accenna ad alcun «odio politico e religioso» da parte del vescovo.


Per rispondere alle altre questioni, l’intera rivista non basterebbe.

  


Marce
di pacifisti


e guerra

 Egregio
direttore, da anni leggo la sua rivista e, in varie occasioni, mi sono
irritato di fronte a posizioni parecchio oltranziste, sostenute dai
redattori nei confronti degli Stati Uniti d’America. Sicuramente non è
tutto oro quel che brilla oltreoceano; ma, quando la critica negativa è
continua, sistematica e totale, mi pare ovvio dedurre che c’è una grave
mancanza di obiettività.


Domenica, 10 novembre, alcuni di loro avranno sicuramente preferito
marciare con gli spaccatori di vetrine (certo, non tutti lo sono). Ma, se
lei ha visto la diretta di «Rai 1», avrà notato un’anziana donna che,
avendo avuto l’ardire di raccogliere da terra e baciare una malridotta
bandiera statunitense, è stata strattonata da alcuni giovani
eroi-marciatori e sicuramente pacifisti, per riprendersi il vessillo e
nuovamente calpestarlo. Sono fatti che non hanno bisogno di alcun commento.

Per
quanto riguarda le varie «etnie» di pacifisti, pongo a lei, che non vedo
mescolato ai «marciatori», la domanda: ritiene che la questione afghana si
sarebbe potuta risolvere (come pare stia accadendo) con marce e striscioni
contro la guerra tout court?

Guido
Laurenti – Isera (TN)

 


No, la questione afghana non si risolve con marce e striscioni. Ma si sta
risolvendo con le bombe?


 

 Povera

«Missioni Consolata»!

 Non di
soldi, ma di articoli. Quando la rivista per mesi (dico mesi) continua a
battere sul G 8 di Genova con articoli alla… Bertinotti, non solo è
povera, ma poverissima. Quando poi l’articolista Pa.Mo. (Missioni
Consolata di ottobre-novembre 2001) afferma di essere stato a New York a
ferragosto, io mi fermo.


Spariamo sul G 8, però andiamo a New York, abbiamo il telefonino, beviamo
coca-cola, mangiamo ai McDonald’s… Non vogliamo il G 8, però prendiamo
tutto ciò che il progresso ci dà e, se possibile, ancora di più.


Piangiamo per gli affamati in Iraq. Ma chi è che li ha portati alla fame,
se non Saddam stesso che investe capitali all’estero e spende a larghe
mani per avvelenare il mondo? Perché dovremmo essere noi a sfamare il suo
popolo? Lo stesso dicasi per Bin Laden e i vari sceicchi!

Caro
Pa.Mo., io non sono andato a New York, non ho il telefonino, non vado al
McDonald’s, non bevo coca-cola… ho solo una vecchia macchina da scrivere.
A Genova buona parte dei danni sono stati provocati dal sostegno dei
pacifisti, tipo Bettazzi (il vescovo Bettazzi, ndr) e compagni. Costoro
avrebbero fatto meglio a pregare. Se l’avessero fatto 10 mila dei 200 mila
presenti a Genova, le cose sarebbero andate diversamente. La preghiera,
dice la Madonna, ferma anche le guerre. Ma è più comoda una scampagnata a
Genova!

Tutte
le pagine del vostro articolo sono un inno alla violenza contro Bush,
Berlusconi e Israele… Voi sì che, con scritti del genere, portate la
guerra e non la pace.


Giovanni Viotto – Torino

 


Forse risulterà strano… Ma il nostro redattore non ha il telefonino, non
beve coca-cola, non mangia ai McDonald’s. A New York non è stato in
vacanza, ma per lavoro.

  



Il cervello all’ammasso

 Recentemente
Missioni Consolata è stata duramente attaccata da alcuni lettori, mentre
altri l’hanno apprezzata. Io apprezzo anche il pizzico di autornironia con
cui il direttore risponde ad offese assurde.

Noto
una grande differenza fra gli accusatori e i sostenitori della rivista: i
primi insultano, ricattano e ostentano scandalo (accusando persino
Missioni Consolata di avere abbattuto le Torri Gemelle); i secondi si
sforzano di capire, propongono e riflettono sui problemi che la rivista
pone.

Se
Missioni Consolata, per esempio, critica una multinazionale con nome e
cognome (perché disbosca in modo selvaggio o inquina), non basta dire: «Ragionate
da comunisti»; bisogna dimostrare che i fatti contestati non sono veri…
Se la rivista attacca la politica estera degli Stati Uniti (perché, ad
esempio, è implicata nella guerra civile del Congo), non basta dire: «Gli
Usa mandano sacchi di farina, mentre i capi africani pensano solo ad
arricchirsi». Il fatto che i presidenti africani siano corrotti scagiona
gli Usa dalla loro responsabilità, specie se corruttori e venditori di
armi? Un male non ne giustifica un altro.

In
Italia mi preoccupa «la politica del disprezzo», forte di una maggioranza
numerica. Mi preoccupa, perché schiavizza milioni di persone, che si
sottraggono al dialogo e riportano sempre la voce del padrone o fanno la
predica. Hanno portato il cervello all’ammasso: lo dimostra il fatto che
qualcuno disdice l’abbonamento alla rivista, rifiutando così il confronto
con una parola diversa dalla propria.

Trovo
poi assurdo che si critichi Missioni Consolata, perché non sarebbe
religiosa e cattolica. La rivista si avvale sempre dei documenti della
chiesa, oltre che del vangelo, e soprattutto invita all’attenzione verso
tutti i poveri in spirito… È invece cattolico don Baget Bozzo, che
critica il digiuno per la pace del 14 dicembre, osservato dal papa e da
tanti altri?

Se «religioso»
significa non scomodare nessuno, dovremmo prendere la bibbia e strappare
le pagine «non religiose». Alla fine ci troveremo, forse, solo con la
copertina.

Ancora
una riflessione. Le lettere a Missioni Consolata sono poche quando la
rivista parla dell’«altro mondo» (i 4 quinti dell’umanità), ma ne arrivano
tante quando parla dei fatti di casa nostra (guerra in Kosovo e
Afghanistan, G 8). Mi viene in mente Giovanni Battista, che diceva:
bisogna che l’interesse per me diminuisca e cresca l’attenzione per
l’altro… Giovanni era proprio una voce nel «deserto».

E
Missioni Consolata anche.

Guido
Brambilla – Milano

 


Tuttavia Giovanni Battista, il più grande di tutti (cfr. Mt 11, 11),
continuava la sua missione, e la gente andava da lui, compresi i farisei…
La nostra rivista, con semplicità, cerca di fare altrettanto… sperando
di non fare la fine del profeta.


A Missioni Consolata sono pervenute numerose lettere anche in altre
occasioni. Ad esempio: l’editoriale di luglio-agosto 1985 «Attenti al
cane» scatenò quasi… una cagnara. La nostra tesi era: vi sono uomini che
trattano i propri simili da cani e i cani da uomini. Comunque, sempre
fatti di «casa nostra».


Caro signor Guido, anche a lei raccomandiamo pacatezza e un pizzico di
autornironia.

 



L’«utile idiota»

 Caro
direttore, mi riferisco al numero di ottobre-novembre della sua rivista.
Ritengo patetico il tentativo di offrire una versione «cattolica» dei
fatti di Genova, senza analizzare quanto è avvenuto: la
strumentalizzazione a fini nazionali (da parte di un abile «politburo»)
delle associazioni cattoliche, che hanno svolto il ruolo dell’«utile
idiota».


L’articolo su «dopo l’11 settembre» mi ha disgustata per il tono e per il
contenuto: a me pare una semplicistica e retorica esibizione dei più
tristi luoghi comuni del terzomondismo; al di là delle buone intenzioni, è
pervaso da spirito manicheo ed integralista, assai vicino al
fondamentalismo islamico.

Non
credo che, con queste sparate verbali, si aiuti la gente a pensare e
capire.


Giuliana Piaia – Montebelluna (TV)

 


La signora ha pensato. Forse non ha capito. Succede anche a noi.

AAVV




Lettere: cari missionari


Il paradiso
è qui



attraverso Missioni Consolata
di settembre, il giornale Times of India rivela che, se si riducesse la
popolazione mondiale a 100 individui, ci sarebbero 57 asiatici, 21
europei, 14 americani, 8 africani. Il quotidiano fa conoscere altri dati
(probabilmente tratti da un sito internet), omettendo però che 89 persone
sarebbero eterosessuali e 11 omosessuali; 6 individui possiederebbero il
59% della ricchezza del mondo intero e tutti e sei sarebbero statunitensi.
Ancora, su 100 individui, 80 vivrebbero in case senza abitabilità, 70
sarebbero analfabeti, 50 soffrirebbero di malnutrizione e 1 solo sarebbe
laureato.


«Se avete soldi in banca, nel
vostro portafoglio e spiccioli in una ciotola, siete fra l’8% delle
persone più benestanti al mondo. Se i vostri genitori sono vivi ed ancora
sposati, siete persone veramente rare, anche negli Stati Uniti e nel
Canada».


Qualcuno ha detto: «Lavora come
se non avessi bisogno di soldi; ama come se nessuno ti abbia mai fatto
soffrire, balla come se nessuno ti stesse guardando; canta come se nessuno
ti stesse sentendo.Vivi come se il paradiso fosse sulla terra.


Giovanni Fumagalli


Casatenovo (LC)

E noi, a poche settimane dal
natale di Gesù Cristo, citiamo un canto:


No, non è rimasta fredda la
terra:
Tu sei rimasto con noi…
Sì, il cielo è qui su questa terra:
Tu sei rimasto con noi,
ma ci porti con Te…
No, la morte non può farci paura:
Tu sei rimasto con noi…
Sei Dio con noi,
sei Dio per noi,
Dio in mezzo a noi.

«Gratia
plena»

sono un giovane devoto
dellaVergine Maria, perché le devo moltissimo. Ho avuto da poco una totale
conversione, grazie ad un vostro missionario, padre Serafino, che mi ha
aperto la strada della salvezza facendomi incontrare la madre di Dio.

Padre Serafino mi ha raccontato
come ha cercato di rendere santa la sua vita donandola a Dio; lungo la
strada della carità e della povertà spirituale ha incontrato molti
bisognosi in Africa e in tutti quei posti in cui Dio lo ha inviato
nell’arco della sua missione. Prego affinché i suoi sacrifici non siano
vani. Il mondo avanzi sulla strada della pace che Dio ha dato a noi
uomini, forse anche grazie ai sacrifici di persone come padre Serafino.


Firma non leggibile,


località non espressa

Nessuna
sanità da «terzo mondo»


in questi giorni il Consiglio
dei ministri ha approvato il documento di programmazione economica e
finanziaria per gli anni 2002/2005.


Tra gli interventi in
programma, leggo che sono previsti 120 mila miliardi di privatizzazioni
(la Repubblica 17/7/01). Ho istintivamente collegato questa notizia alle
perplessità espresse da Gianni Vaccaro nella sua lettera «Se ospedali e
scuole diventano imprese», pervenuta dal Perù e pubblicata su Missioni
Consolata, luglio-agosto 2001.


Ho poche idee in materia
politica ed economica; però mi sono chiesta: si stanno preparando per il
nostro servizio sanitario nazionale tempi difficili, ovvero da terzo
mondo?


Diana Cassani


Milano

La lettrice, più che un
interrogativo, lancia un monito. Ben venga ogni progetto del governo che
elimini gli sprechi e renda il servizio sanitario più efficiente, ma non a
scapito degli ammalati che non possono usufruire di strutture alternative!
Inoltre la lotta agli sprechi deve investire ogni ambito, compreso quello
della produzione di armi. Ecco un altro punto su cui bisogna essere
«svegli». E ci preme dire con forza che sanità, scuola, posta, trasporto,
informazione… da «terzo mondo» non sono tollerabili né nel nord né nel
sud del mondo.


Uso delle
offerte



la lettera di padre Marco
Bagnarol, pubblicata sul numero di luglio-agosto, mi ha lasciata
sconcertata.


Che un missionario, in possesso
di così generose offerte, scriva quelle due-tre cose che gli sono passate
per il capo è veramente inammissibile!


Pensavo che i missionari
destinassero al meglio i soldi che le persone, magari rinunciando a
qualche legittimo desiderio, offrono in favore di un numero indescrivibile
di individui che necessitano, prima di tutto, di medicine per sopravvivere
ed anche cibo per vivere.


D’ora in poi, prima di fare
un’offerta, ci penserò ben bene.


Lettera anonima

I missionari impiegano le
offerte ricevute secondo il desiderio dei donatori: se il denaro è per la
costruzione di un dispensario medico o di una scuola, viene impiegato a
tale scopo. E l’ha fatto, scrupolosamente, anche padre Marco Bagnarol.

Però padre Marco solleva un
altro problema; si domanda: perché è più facile raccogliere fondi per un
allevamento di animali che per la costruzione di una cappella? In altre
parole, il missionario sottopone la sensibilità evangelizzatrice dei
credenti ad un esame di coscienza. Un esame da non sottovalutare.


Se vince la
violenza

Gentile
direttore,


abbiamo vissuto un’estate
«calda», da stampare nella memoria nella sua nefasta realtà. L’estate 2001
(che ci attendeva per trascorrere nel silenzio della montagna e nel riposo
balneare o in un semplice stacco dalla realtà quotidiana) ha portato in
trionfo la violenza. Una violenza sorda e anarchica, disorganizzata e
spietata, disperata e inconcludente. Una violenza che deve farci
interrogare su dove nasce, perché riemerge con tutta la sua forza
distruttrice e contagia le giovani generazioni.


Sono ancora i fatti di
luglio-agosto (specie le vicende del G8 di Genova) che ci turbano e fanno
sobbalzare le coscienze.


A Genova perché la violenza ha
schiacciato le ragioni della protesta, del dialogo, del confronto tra
uomini e donne che vivono gli uni accanto agli altri?… Sono state messe
in soffitta le ragioni nobili di molti, che hanno partecipato non solo
alla manifestazione di sabato 21 luglio, ma anche alla settimana di
dibattito sulla globalizzazione, e che da anni lavorano con coerenza per
lo sviluppo dei paesi più poveri. Non una minoranza, ma un gruppo
consistente di giovani ha usato lo scontro per opporsi ai «grandi della
terra». La violenza, come mezzo per dire «ci siamo!», ha dimostrato ancora
una volta di essere il principio dell’autodistruzione. È scoccata la
scintilla… e l’incendio ha incenerito i buoni e sinceri, che animano la
parte sana e si impegnano per una globalizzazione al servizio dell’uomo.


I violenti hanno creduto di
vincere. In realtà hanno perso. Hanno provocato una reazione scomposta;
hanno evidenziato nel sistema la mancanza di prevenzione e tutela dei
cittadini genovesi; hanno portato a conseguenze tragiche il gioco dello
«spacca tutto», culminato con la morte di un giovane e la disgrazia per
un’altra giovane esistenza. Nelle settimane a venire è nato uno scontro
avvilente nel mondo politico: non una voce si è alzata, ferma,
intransigente, autorevole, per dire basta allo stillicidio, per indicare
un’altra strada a chi vuole perseguire valori umani, per chi deve tutelare
la sicurezza dei cittadini. Alla riflessione pacata si sono privilegiati
gli scambi di accuse e le violenze verbali, che producono solo danni,
spesso irreversibili. Della «non violenza» pochi hanno parlato. Della
capacità di opporsi all’ingiustizia, grazie all’opera silenziosa e
all’amore di coloro che vivono in prima persona i drammi nel Sud del
mondo, nulla. Solo risse verbali.


Allora la violenza dilaga,
penetra nel cuore dei deboli che si credono forti, annebbia menti e
coscienze, entra nelle giovani vite come un virus, una droga e agisce.
Attraverso la violenza si giustifica ogni azione, si chiedono protezioni
politiche, sociali, economiche e financo giustificazioni religiose.


Oggi non si può rimanere inermi
o chiedere solo ordine e repressione. È importante riportare al centro la
cultura della pace, per sradicare la violenza dai cuori, per allontanare
dalla storia l’idea che solo il male trionfa.


I cristiani e tutti gli uomini
di buona volontà sono pronti alla prova?


Luca Rolandi


Torino


Non basta la
parola

Caro
direttore,


«fare un salto» mi hanno
risposto in una banca. Significa che l’impiegato sarebbe stato assente per
tutta la mattinata… Le parole non riescono spesso a rendere il concetto
che ci frulla in testa, perché le giriamo come vogliamo.


Prendiamo, ad esempio, il
termine global. Per esso si azzuffano non solo i politici. Un bene, un
male, una novità?


Global è stato l’antico impero
di Roma, con il virgiliano imporre costumi di pace, usando clemenza a chi
cede e sgominando chi si oppone (Eneide, VI, 852-3). Anche per Marco Polo,
Cristoforo Colombo, Giuseppe Garibaldi o Guglielmo Marconi la realtà era
globale. Ma lo è stata pure nelle guerre modee e nelle epidemie antiche.
E lo è nell’economia. Dunque global non è un’invenzione di questi giorni.
Nel 1969 Marshall McLuhan scrisse sul «villaggio globale», cioè
elettronico. Oggi abbiamo quello telematico di internet. Ma i messaggi
sono destinati pure al bambino del Nepal, costretto a lavorare in una cava
di pietre, o a quello nostrano obeso per eccesso di merendine?


Global: l’esportazione che
arricchisce le nostre imprese, ma anche il lavoro minorile nei paesi «in
via di sviluppo» per prodotti destinati a noi.


Global: la nuova economia che,
ad esempio in Perù, fa rispuntare la TBC, perché gli ospedali (obbedendo
al Fondo monetario internazionale) sono ora imprese di mercato, e non
attuano prevenzione. Il Perù, dove si paga per donare il sangue ad un
malato; dove una donna muore con il figlio, perché senza soldi per il
taglio cesareo (cfr. Missioni Consolata, luglio-agosto 2001). In Gran
Bretagna hanno aggiunto a «capitalismo» l’aggettivo «compassionevole».
Sono parole povere quelle che necessitano di un abbellimento!


Antonio Montanari


Rimini

Avanti
così!

Egregio
direttore,


dopo quanto accaduto a Genova a
luglio e dopo i drammatici avvenimenti dello scorso 11 settembre negli
Usa, nel corso di frequenti discussioni con amici e conoscenti, ci siamo
ulteriormente convinti del valore che riviste come Missioni Consolata
possono assumere.


La vostra rivista garantisce la
qualità e l’originalità delle informazioni, che riescono a comunicare,
attraverso i servizi e le documentazioni che pubblicate, una testimonianza
diretta e continuativa delle culture mondiali e delle condizioni delle
economie nei singoli paesi considerati, evidenziando le contraddizioni che
emergono.


I motivi di riflessione che si
trovano aiutano anche a comprendere le ragioni che hanno spinto centinaia
di migliaia di persone a partecipare in maniera diretta, e molte di più a
condividere le ragioni di una manifestazione quale quella di Genova del 21
luglio. La prevalenza dei mezzi d’informazione ha poi fatto diventare
quanto accaduto una sola «questione di ordine pubblico», scrivendo una
valanga di inutili considerazioni, quando ben altro era il valore di ciò
che si voleva sostenere. Nel panorama dell’informazione nazionale, troppo
impegnato a fornire notizie sugli indici di borsa e sulle tendenze dei
mercati, solo in maniera sporadica trovano visibilità le realtà «altre»
dall’occidente, spesso strumentali a qualche campagna più o meno occulta.


Soprattutto in questi giorni,
in cui con leggerezza sono usate parole terribili, ci aspettiamo che
proseguiate, con il vostro lavoro, a trasmettere un messaggio di giustizia
sociale e di pace.


E questo per continuare a
«sognare un mondo diverso dall’attuale».


Aldo Da Boit


e Tamara Prest



Sorpresa,
stupore…


Spettabile
direzione,


ho letto con attenzione su
Missioni Consolata di settembre «Ai lettori» e «Battitore libero», scritti
da Paolo Moiola.


Mi ha molto stupito la
sicurezza (sicumera?) con cui il redattore individua la causa di tutti i
mali del mondo nella globalizzazione e nelle «violenze di certe
multinazionali», senza accennare alle enormi risorse sperperate in
armamenti convenzionali e no ed in guerre intee dai cosiddetti paesi
poveri (mentre, secondo notizie di stampa, l’ex-terrorista Gheddafi,
cambiando registro, ha ormai ultimato, impiegando utilmente i
petro-dollari, un imponente sistema di acquedotti per portare l’acqua dal
deserto alla costa).


Confesso, infine, sorpresa nel
trovare le tesi antiglobalizzazione e antiamericane, cavallo di battaglia
dell’estrema sinistra italiana, sostenute su Missioni Consolata da Paolo
Moiola, senza far parola su una possibile globalizzazione governata e non
selvaggia. Ancora sono sorpreso nell’apprendere la contiguità di certi
dimostranti a Genova (durante il «G 8») con tute bianche e no.


Chiedo a codesta direzione se o
in quale misura si riconosce nelle tesi del redattore Paolo Moiola.


La presente globalizzazione,
fondata sul neoliberismo economico, solleva forti perplessità nello stesso
«Rapporto delle Nazioni Unite sullo Sviluppo»: come è possibile, ad
esempio, che tre individui nel 1999 avessero ricchezze pari al reddito
complessivo di 42 paesi poveri? Come spiegare il crescente divario
economico fra paesi ricchi e poveri, rispettivamente di 11 a 1 nel 1913,
di 35 a 1 nel 1950, di 44 a 1 nel 1973, di 72 a 1 nel 1992?


Multinazionali.

Vale il discorso della non
demonizzazione. Ma è eloquente che la «Del Monte», ad esempio, sia stata
«processata» in Kenya e, alla fine, abbia accettato le richieste dei
lavoratori nelle piantagioni di ananas.


Guerre e armi.

Nel sud del mondo esistono conflitti assurdi, mancanza di rispetto dei
diritti umani e sprechi di risorse… che Missioni Consolata ha
denunciato. Ma, ancora una volta, sorge la domanda: chi produce e vende
armi? Chi ha addestrato i terroristi, responsabili delle stragi negli Usa
l’11 settembre?

In redazione il dottor
Moiola
ha le «sue» idee (come tutti), che rispettiamo, perché crediamo
nel pluralismo. Questo non significa che tutte le opinioni siano giuste,
ma che tutti possono esprimerle. Altri nostri collaboratori talora
sostengono tesi discutibili. L’invito a ciascuno è: sappi far credito
anche a chi non la pensa come te. Per tale ragione pubblichiamo anche le
lettere anonime (non siamo tenuti a farlo) e quelle che ci insultano.

Come missionari, non possiamo
dimenticare personaggi di chiesa, ieri condannati e oggi assolti: Ricci,
De Nobili, Rosmini… Grazie a Dio (è proprio il caso di affermarlo), la
chiesa cattolica (cioè universale) è quella di san Pietro e di san Paolo:
il missionario Paolo ha accusato Pietro, primo papa, di ipocrisia (cfr.
Gal 2, 11-14)… ed entrambi sono i pilastri della chiesa.

Ai nostri giorni il cardinale
Biffi «non è» il cardinale Martini. Però entrambi hanno diritto di parola,
e lo esercitano.

Complimenti
di «troppo»

Leggo
su Missioni Consolata, settembre 2001, p. 67: «… spero che il mondo che
lei difende un giorno o l’altro si frantumi sotto il peso delle proprie
contraddizioni. Con l’aiuto di quel “popolo di Seattle” (e di Porto Alegre)
che lei liquida con accademica sicumera»… Nell’attesa avete frantumato
le Twin Towers di New York e le persone che si trovavano al loro interno.
Complimenti!


A proposito, se quel mondo si
frantumerà, non ci saranno più antibiotici, aspirina, generosi oboli di
fedeli laboriosi che risparmiano.


A proposito bis, «George il
texano» si chiama George W. Bush ed è il presidente degli Stati Uniti;
merita rispetto come il suo paese che è democratico, generoso, ospitale.


A proposito tris, della «Tobin
tax» si pente persino l’ideatore Tobin, che si è reso conto di aver preso
una cantonata. A Genova non se n’è parlato, perché non funziona, non
serve, anzi fa danno.



Non si stigmatizza la
mercificazione della salute indicata dalla signora Bono, bensì quella
esemplificata da Gianni Vaccaro, che dovette pagare 20 dollari per donare
il sangue ad una ragazza con cancro terminale (cfr. Missioni Consolata,
luglio-agosto 2001).

Bis. Nell’articolo contestato,
alla riga 26 della seconda colonna, si riconosce il «presidente George W.
Bush».

Ter. Nel 1972 James Tobin
(premio Nobel per l’economia nel 1981) propose un’imposta dello 0,05%
sulle transazioni valutarie. Oggi non si riesuma la «Tobin tax» tout
court, ma qualcosa di analogo. È questo pure il parere della studiosa
Susan George,
nostra ospite il 18 settembre scorso (cfr. pagina 43).
Al riguardo, si legga: Alex C. Michalos, Un’imposta giusta: la Tobin Tax,
Gruppo Abele, Torino 1999.

Circa la «nostra» frantumazione
delle torri gemelle e l’assassinio dei residenti, i «complimenti» della
lettrice… li meritiamo davvero?

Usa,
il migliore di tutti?


essendo un lettore di Missioni
Consolata, di cui Paolo Moiola è tra i componenti la redazione, ho avuto
modo di leggere fondi o reportages di suo pugno e più volte sono stato
preso dall’impulso di scrivergli (come più volte sono stato tentato
d’invitare la direzione della rivista ad eliminare il mio nome dagli
abbonati).


Sul numero di settembre il
fondo riguardante i fatti di Genova non poteva essere che di Moiola. Il
livore che manifesta sempre verso gli Stati Uniti, per lui il Satana che
ha demonizzato il mondo occidentale (a proposito, quanto è diverso tale
livore da quello espresso dall’integralismo islamico?), appare anche in
queste righe riguardanti i fatti di Genova.


È ovvio che a Genova Moiola non
poteva non esserci e, ancora più ovviamente, per dimostrare in modo
pacifico, senza casco o mascherine e, men che meno, bastoni o spranghe. Ma
egli non ha mai dubitato che la sua «dimostrazione pacifica» avrebbe fatto
da paravento agli «spacca tutto» privi di qualsiasi motivazione se non
quella di fare disastri? O forse, sotto sotto, sperava che succedesse? Io
proprio non riesco a capire quali siano le origini del suo
antiamericanismo viscerale…


Possibile che, in tutti i suoi
redazionali, sia messo solo in evidenza l’aspetto negativo (che talvolta
esiste) dell’operato statunitense e mai ciò che di buono quel grande paese
compie a vantaggio dell’umanità? Negli anni ’40-50 Moiola non era ancora
nato; ma non gli è mai capitato di leggere qualcosa circa la storia di
quel tempo?


Io penso che il redattore sia
fondamentalmente onesto: purtroppo non si rende conto che il suo
atteggiamento (ancor più grave, perché il pensiero viene riportato da una
rivista cattolica) tende a creare un’immagine unicamente negativa di un
grande paese, non perfetto, ma sicuramente il migliore fra tutti quelli
esistenti sulla faccia della terra. Nelle sue vesti egli fa più danno dei
vari Fo, Santoro e Luttazzi, che neppure meriterebbero una citazione. Il
disprezzo, costantemente espresso e manifestato, alimenta sentimenti di
invidia, che sfociano poi in qualcosa di più grave per arrivare fatalmente
all’odio. Questa lettera viene scritta dopo i fatti di New York, che qui
non commento. Ma chiedo a me e a lui: quanta parte di responsabilità per
la tragedia può essere attribuita alle diffuse e infamanti accuse espresse
nel mondo occidentale verso gli Stati Uniti? Minima sicuramente, ma tale
da indirizzare le idee degli inconsapevoli e dei più violenti in una
direzione sbagliata, in grado di appoggiare (anche se inconsapevole) chi
intende realizzare un disegno perverso.


Che l’Italia sia «il ventre
molle» dell’Unione europea forse a Moiola farà anche piacere, confondendo
la nostra connaturata e opportunistica debolezza come una manifestazione
di non dipendenza dal «grande Satana» d’oltre oceano: non dipendenza che
esprime la solidarietà correlata sempre da «però».


Guarda caso Bush o il «texano»
(come forse Moiola preferisce), nel ringraziare i paesi che hanno
manifestato la loro solidarietà agli amici americani, ha dimenticato
l’Italia: un fatto che ha rattristato soprattutto la nostra comunità, che
si è sentita isolata e quasi emarginata in una fase storica così delicata.


Che gli Stati Uniti siano
«sicuramente il [paese] migliore fra tutti quelli esistenti sulla faccia
della terra»… signor Laurenti, provi ad affermarlo in America Latina o
nella repubblica del Congo, dove da tre anni è in corso una guerra che ha
seminato oltre 2 milioni di morti… con lo «zampone» anche degli Usa,
nonché della Francia! In ogni caso Paolo Moiola terrà conto delle
osservazioni. È stato lui a chiedere la pubblicazione della lettera,
nonostante alcuni passaggi offensivi.


Guide cieche
e sale senza sapore

Spettabile
rivista,


esprimo disappunto dopo aver
letto l’editoriale di Paolo Moiola. Non mi sarei mai aspettato di leggere
su una rivista missionaria un articolo di chiaro stampo anti-G8.


Anche il dossier di Igino
Tubaldo, sulla dichiarazione Dominus Jesus, era assai sgradevole per
alcune affermazioni di dubbio valore teologico ed ecclesiale.


Il vangelo pone un serio
interrogativo: «Può un cieco guidare un altro cieco?». Per noi cattolici
c’è una fortissima tentazione: seguire le mode di pensiero piuttosto che
la tradizione, la sacra scrittura e il magistero del papa e dei vescovi.


Assumendo categorie da altri
ambienti (per l’articolo anti-G8 da una certa sinistra e per il dossier
sulla Dominus Jesus dalla teologia protestante e del dubbio), si finisce
col diventare come il sale, che – afferma il vangelo – perde il suo
originale sapore e viene quindi buttato.


Così si diventa inutili alla
chiesa, cioè al progetto di Cristo, e al mondo! Scusate la franchezza. Mi
auguro che su queste cose ci si possa confrontare sulla rivista.


Da sempre crediamo nel
«confronto». Quindi abbiamo pubblicato anche la sua lettera.


«Dissenso»
non è «odio»



mia moglie è da decenni
abbonata a Missioni Consolata: crede nell’opera missionaria, che ha anche
visto la dedizione completa in Africa di un suo zio vescovo. Io leggo,
oltre alla vostra rivista, Corriere della Sera, di cui talvolta archivio
qualche articolo interessante ed incisivo; tra questi c’è proprio quello
del professor Panebianco del 23/6/01, che voi avete ferocemente attaccato
nel numero di settembre.


Io condivido il pensiero di
Panebianco e trovo scandaloso, sotto il profilo della faziosità e
ristrettezza di visione, quanto affermato nel vostro articolo, che ignora
almeno due cose semplicissime:




Non mi soffermo ad argomentare
perché i no global sono solo interessati, come dice Panebianco, a
sviluppare la loro identità e ideologia, e non argomenti razionali.


Resto, comunque, addolorato nel
vedere come gli articoli della vostra rivista, che vorrebbe essere
cattolica, contribuiscano a fomentare l’odio verso il mondo occidentale.


Antonio Filisetti (via e-mail)

Anche da parte nostra due
«cose»: – non ignoriamo affatto i problemi che il lettore ricorda (ma non
c’entrano con l’articolo di Panebianco); – il dissenso non è per forza
odio. Non lo è assolutamente in noi.


Il pane
bianco del professor Panebianco

Caro
direttore,


ho letto su Missioni Consolata
di settembre la critica di Paolo Moiola nei confronti del professor
Panebianco. Condivido pienamente i rilievi del vostro redattore.


Tra l’altro, il cognome del
professore mi ha ricordato che nel mio paese natale, la Serbia, il pane
bianco lo mangiano i ricchi e il pane nero o la polenta i poveri… Trovo
interessante il fatto che Panebianco difenda la società dei ricchi, la
società di coloro che mangiano pane bianco; anzi, tutte le mattine,
possono scegliere fra una ventina di pani diversi.


Il vostro giornalista è
arrabbiato, perché ha visto da vicino quelli che non hanno neanche il pane
nero, e io lo capisco. È sdegnato con quanti non vogliono né vedere né
assumersi le responsabilità di fronte alle sofferenze altrui, che egli ha
visto con i propri occhi e non riesce a cancellare dalla mente allorché
rientra nella «civiltà».


Signor direttore, sa come la
penso io? Se la globalizzazione garantisce a tutti benessere e democrazia,
io ci sto, eccome! Ma se aumenta il mio benessere e quello dei miei figli
a svantaggio delle creature di un’altra mamma, non ci sto più. Rinuncerei
al piatto pieno e ai 20 tipi di pane bianco, insieme ai miei figli;
rinuncerei ai tre pasti al giorno con molte persone che conosco… se
potessimo cancellare la morte per fame. E credo che lo farebbe anche il
professor Panebianco e, con lui, moltissimi «global», «antiglobal» e tutte
le persone che hanno un cuore nel petto.


Ma la fame nel mondo continua a
mietere numerose vittime, specialmente bambini. Se, pur con le nostre
rinunce, non eliminiamo il flagello, non significa che anche noi non ne
siamo responsabili. Non dobbiamo tranquillizzare le nostre coscienze; ma
trovare il modo che ci sia pane per tutti.


La nuova Europa e la sorella
America sono paesi meravigliosi, pieni di bellezze e ricchezze di vario
genere; ma, se avessero l’umiltà di riconoscere anche quelle degli altri,
se riconoscessero a tutti il diritto di vivere, respirare, lavorare,
studiare… se smettessero di misurare cose e persone con due misure
diverse… se dessero al mondo la parte più bella e sana della loro
civiltà… Purtroppo pochi lo fanno.


Allora ci sono quelli che non
vogliono accettare «tutto il pacchetto» della nostra civiltà, ma solo la
parte migliore. Sono i sognatori, gli utopisti. Sono anche coloro che si
ribellano, protestano, pregano. Sono quelli che Gesù chiama «sale del
mondo». Non sono terroristi e non seminano male e dolore. Possono essere
dei giornalisti, come Paolo Moiola e i suoi colleghi; sono i missionari
della Consolata e tutti quelli che combattono il dolore, la povertà e
l’ingiustizia. Che mondo sarebbe senza di loro?


Missioni Consolata rappresenta
per me un’«isola felice» nel mare delle informazioni quotidiane. Può
sembrare un paradosso: la rivista si occupa dei problemi più gravi del
mondo; eppure riesce a trasmettermi la bellezza e il valore della vita;
tiene sveglia la mia coscienza e mi fa sperare in un mondo migliore, per
il quale vale la pena di combattere e crescere i figli.


La signora Petrovic, sposata
con un medico italiano, è un’«operatrice interculturale» nelle scuole
della provincia di Trento. Ha pure una storia religiosa affascinante, che
i nostri lettori forse ricordano. Nata in Serbia sotto il regime ateo di
Tito, Snezana fu battezzata di nascosto dalla nonna… perché piangeva,
piangeva sempre. La bimba, una volta battezzata, non pianse più.  In un
post scriptum si rivolge pure ad Anna Turatello, invitandola a non avere
paura degli extracomunitari (cfr. Missioni Consolata, settembre 2001).


Scrive: Cara Anna, quell’extracomunitario
si è fermato, a differenza di altri (che non erano tali). Tu, però, non
buttarti sulla strada. E se i freni dell’auto non funzionassero?


Io ho una figlia di 16 anni,
come te. Questa estate siamo state a Belgrado. Lei ha passato delle
vacanze indimenticabili con gli «extracomunitari». Io però cancellerei
tale parola dal linguaggio della bella lingua italiana.


Sono stranieri di diversi
paesi. Ognuno ha un nome e cognome; può essere bello o brutto, onesto o
disonesto, educato o maleducato, pigro o diligente, stupido o
intelligente… Non aver paura, Anna. Anch’essi sono «il tuo prossimo».

Le
armi del «diavolo»

Cari
missionari,


temo di venire cestinato
scrivendo sull’orribile attentato negli Usa.


Il discorso di Bush, con la
parola «vinceremo», mi sa più di ragionamento di «vendetta» che di
giustizia; ancora una volta, dimostra che la civiltà civile siamo «noi» e
noi siamo nel giusto. Gli altri sono diavoli.


Lutto, minuti di silenzio,
trasmissioni sospese. Sono d’accordissimo: ci mancherebbe! Ma quando gli
Usa hanno attaccato Baghdad e Belgrado, quanti sono stati i minuti di
silenzio?


Il «diavolo» Bin Laden è stato
finanziato dalla Cia americana, finché ha fatto comodo, come i vari Saddam
(i nemici). Troppo comodo! Lo sbaglio, nella nostra epoca di popoli
civili, è stato ed è quello di vendere, vendere… senza pensare
minimamente che i «diavoli» le armi le comprano in casa nostra: non se le
sono create loro!


Il «mea culpa» è d’obbligo.


Gli Usa fanno una politica
estera dannatamente a loro favore, senza pensare ai popoli di «serie C».
Finché i palestinesi e i curdi non avranno una patria, ad esempio, e noi
continueremo a pensare solo al dio-denaro, al dio delle banche, non
stupiamoci se il diavolo prova invidia e odio nei nostri riguardi di
popolo occidentale santo. E con un nostro aereo ci condanna.



Diamo atto al presidente Bush
che, dopo le stragi dell’11 settembre, ha escluso la vendetta e persegue
la giustizia e la libertà. Ma come?


Una voce
fuori del coro


sono un ex allievo dei
missionari della Consolata. Dopo qualche anno di servizio in Mozambico,
sono ora responsabile del settore «cooperazione allo sviluppo» nella
provincia di Trento. In tale veste (ma anche e soprattutto a livello di
impegno personale), mi occupo di problemi legati allo sviluppo: diritti
fondamentali, pace, democrazia.


Ringrazio molto Missioni
Consolata, che rappresenta per me un valido strumento d’informazione,
analisi e riflessione, soprattutto in riferimento ai problemi degli
squilibri mondiali, della globalizzazione delle povertà, dei diritti dei
popoli colonizzati dai paesi occidentali, non più in senso classico, ma in
modo più subdolo e (se possibile) più pericoloso dalle logiche del
mercato.


Ogni mese leggo Missioni
Consolata, una delle poche voci fuori del coro, capace di leggere con
equilibrio e coraggio le contraddizioni dei nostri tempi, sempre con un
occhio attento ai diritti calpestati di milioni di persone, in nome di una
non ben definita libertà, che sempre più si rivela libertà di fare i
propri interessi a scapito di tutto e tutti.


Dopo le tragedie negli Stati
Uniti, mentre la violenza costringe a schierarsi senza «distinguo» né
capacità di riflessione, mantenere viva la fiamma della ragione e della
ricerca onesta rappresenta una scelta profetica, che solo chi è spinto
dalla passione e dalla generosità può fare.


Sono riconoscente ai missionari
della Consolata per la formazione ricevuta e mi complimento con la
rivista. Mi fa piacere vedere che i valori (che mi hanno sostenuto da
ragazzo) sono sempre la scelta degli ultimi, la giustizia, il rispetto,
l’equità, il pluralismo e rappresentino ancora oggi la linea direttrice
della rivista. Buon lavoro.

 



Chiesa e potere militare


 Gesù
non era cappellano di Erode

 


Cari missionari, il
dossier su «gli indios di Roraima/Brasile» è molto bello e ancora più
bella è la campagna di mobilitazione che avete lanciato per impedire la
costruzione della caserma nel villaggio di Uiramutã e arginare la
militarizzazione del territorio indigeno (Missioni Consolata,
luglio-agosto 2001).


Spero che da parte
di tutte le istituzioni cattoliche vi sia la medesima sollecitudine per
questa nobile causa o, quanto meno, non vi sia ostilità verso i vostri
progetti.


Dico questo perché
la presenza militare è molto radicata presso le alte sfere della chiesa
cattolica ed è una presenza pesantissima.


Ci siamo dimenticati
che Giovanni XXIII, prima di diventare papa, fu cappellano militare e che
l’attuale pontefice, tra gli altri titoli, detiene anche quello di
«vescovo militare»?


Il fatto potrebbe
funzionare se questi titoli e questa presenza fossero interpretati come un
servizio alla verità di Cristo, un servizio alla giustizia, alla pace,
alla salvaguardia del creato, e non una sovrastruttura finalizzata alla
legittimazione di strutture di peccato. Queste, sul piano morale e
religioso, non potranno MAI avere legittimità e autorevolezza (cosa ben
diversa da autoritarismo).


Io non so se e in
quale misura anche in Brasile sia presente una «chiesa in stellette», «in
anfibi» o un progetto di «caritas militare» e se i cappellani militari
italiani siano andati a Rio de Janeiro o Manaus a svolgere «pastorale
vocazionale militare» e addestrare in tale senso i loro confratelli per
far nascere una chiesa militare locale.


So che in paesi
latino-americani (in particolare Argentina e El Salvador) i cappellani
militari hanno avuto un ruolo assai importante nell’escalation delle
violenze contro la popolazione civile; e, se lo so, è perché ad ammetterlo
sono stati gli stessi autori delle atrocità e in qualche caso, sia pure a
distanza di anni, gli stessi cappellani.


Sono convinta che il
papa, a livello teorico, possa avere qualche ragione per tenere ancora in
piedi l’Ordinariato militare. A livello pratico, però, dovrebbe vigilare
di più su ciò che effettivamente i cappellani e vescovi militari insegnano
e fanno e, soprattutto, su ciò che omettono di insegnare e fare in prima
persona.


Gesù è andato nelle
case di tanti peccatori e ha usato misericordia con tanta gente che aveva
fatto del male. Ma non è stato né il cappellano di Erode né quello di
Pilato.


Rita Ferri – Fano
(PS)

 

Lettera che si
avvale di numerose fonti bibliografiche… Il papa non scende a patti con
la guerra. E lo sta dimostrando anche nel presente ed angoscioso frangente
mondiale, dopo l’«11 settembre 2001».

 

 

 



Abbiamo già tanti problemi, e voi…

 


Caro direttore,


per ragioni di
salute sto trascorrendo un po’ di tempo con i parenti, a contatto con la
gente, e raccolgo anche qualche parere su Missioni Consolata. In genere la
rivista piace per il taglio spigliato e non clericale, che – dicono – si
trova in pochissime riviste cattoliche. Quindi ringraziano te e la
redazione.


Permettimi anche di
riportare (senza offesa) due osservazioni critiche, abbastanza comuni.


1. Essendo Missioni
Consolata «la rivista missionaria della famiglia», si desidererebbe un
arti

AAVV




Lettere: cari missionari

"Del Monte"… accetta

Gentile direttore,

in seguito alla mia lettera "La Del Monte in Kenya",
pubblicata sul numero di marzo, allego ora la fotocopia di Consumatori, maggio 2001: si
dichiara che proprio a marzo c’è stato l’accordo tra "Coop" e
"Del Monte" circa le condizioni di lavoro nella piantagione a Thika, in Kenya.

Mi auguro che corrisponda a verità.

Olivo Cassina
  Udine

Grazie dell’aggioamento. C’è stato un lungo
contenzioso tra Del Monte (multinazionale che a Thika produce ananas) e il sindacato che
tutela i diritti dei lavoratori. Il merito del successo è da ascriversi anche al Centro
Nuovo Modello di Sviluppo, cornordinato da Francesco Gesualdi, che ha promosso una campagna
di boicottaggio dei prodotti Del Monte.

 

Aids e profilattici

Illustrissimi,

leggo quasi incredulo, a pagina 30 di Missioni Consolata, giugno 2001,
che il profilattico sarebbe "unica ed efficace barriera" all’infezione
dell’Aids. Scoperto, poi, che l’autore dell’articolo è un medico, capisco
che si tratta del solito caso di "disinformazione medico-scientifica".

Per farla breve, diversi studi universitari, già a metà degli anni
’80, hanno evidenziato che il profilattico permette un abbattimento del rischio di
contagio di circa l’80% (su un periodo di due anni). Il che rende il profilattico uno
"strumento" tutt’altro che efficace, visto che rimane un bel 20% di
possibilità d’infezione.

La cosa è ben documentata, per esempio, su Medicina e Morale, 1995/5;
ma è quasi "contro-informazione", ai giorni nostri. Significa, in pratica, che
(escludendo gli "incidenti" di trasfusione, peraltro non eliminabili a colpi di
preservativo) la vera unica ed efficace barriera contro la "peste" di questi
decenni starebbe proprio nella classica "ricetta della nonna" (castità prima
del matrimonio e fedeltà nel matrimonio).

La preoccupazione più diffusa, però (anche in ambienti cattolici), è
quella di salvaguardare a tutti i costi la "rivoluzione sessuale" degli anni
’60; e quando ad essa si aggiunge il condizionamento delle case farmaceutiche (per le
quali un ritorno alla suddetta "ricetta" rappresenterebbe un danno economico
incalcolabile nel settore della contraccezione) il gioco è fatto. Così anche i medici
"cattolici" finiscono per ripetere come pappagalli la "bugia" del
secolo.

Carlo Incarbone
  Collegno (TO)

La "contro-informazione" che il lettore porta alla
ribalta merita seria considerazione. Quanto al dottor Guido Sattin (chiamato in causa per
disinformazione medico-scientifica), la sua preoccupazione non è "la rivoluzione
sessuale degli anni ’60", ma la passione per la vita. Sattin scrive pensando
soprattutto al degradato Perú, dove ha lavorato per cinque anni, ritornandovi ogni anno.

 

Ottimo il "dossier" sull’Aids

Spettabile redazione,

sono un medico, da parecchi anni abbonata a Missioni Consolata, che
leggo sempre con molto interesse. Con il dossier sull’Aids del numero di giugno 2001
avete superato voi stessi: il servizio è particolarmente ben fatto e di esemplare
correttezza scientifica. Complimenti!

M. V. Pellanda
  (via e-mail)

 

"Non riceverete più un soldo, se…"

Spettabile direzione,

da tempo pensavo di inviare un’offerta in denaro per
l’ospedale di Neisu, nella Repubblica democratica del Congo. Ma il pensiero che voi
pubblicate sulla rivista le offerte che vi giungono (con tanto di nome e cognome) mi ha
trattenuta dal farlo.

Si direbbe che non conosciate la frase del vangelo "non sappia la
mano sinistra ciò che fa la destra", e nemmeno le più elementari regole della
privacy. Infatti, senza chiedermi l’autorizzazione, avete sbandierato ai quattro
venti la lettera che vi ho inviato. Me lo ha riferito una persona che riceve la rivista.

Sono rimasta molto male, perché io sono molto discreta e pretendo
dagli altri altrettanta discrezione. Ebbene giuro che, se il fatto si ripete, non
riceverete più un soldo. Mi dispiace solo per i poveri dell’ospedale africano.

Ringrazio il padre e il medico dell’ospedale (che ha sostituito il
defunto padre Oscar Goapper) per la lettera che mi hanno inviato. Avrei piacere, se
possibile, ricevere una foto dell’ospedale e dei suoi piccoli pazienti.

Lettera firmata

 

Conosciamo la celebre massima del vangelo. E tanto di cappello a chi la
pratica! Ma non sono molti. D’altro canto, è pure noto il detto (non evangelico!):
"Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio". Moltissimi ci credono. E chi può dar
loro torto, specialmente se si tratta di denaro?

Sapesse (la signora che ci ha scritto) quanto lavoro eviteremmo, se non
pubblicassimo le offerte e i nomi dei donatori! Se lo facciamo, è per ragioni di
trasparenza, oltre che di riconoscenza.

Riconoscenza che è doppia per la signora di… "non sappia la
mano sinistra ciò che fa la destra".

 

 Ma il bene prevale sul male

Caro direttore,

la ringrazio della pubblicazione in giugno dell’articolo "Con
72 condannati alla forca", riguardante i missionari della Consolata che operarono nel
carcere giudiziario "Le Nuove" di Torino, per assistere umanamente e
religiosamente i condannati a morte durante la Resistenza nella seconda guerra mondiale.

Inoltre la testimonianza rilasciata dal cardinale François Xavier
Nguyén Van Thuan, sottolineando la grande sofferenza di un detenuto per ragioni politiche
e religiose, conferma il prevalere del bene sul male e mette in luce come i missionari
della Consolata, ieri e oggi, convertano gente atea e favoriscano la pace tra i popoli.

Di questi semi di umanità e di salvezza in Cristo, che daranno
sicuramente i loro frutti, siamo grati al Signore, alla Madonna Consolata e al beato
Giuseppe Allamano. Nel centenario della fondazione dei missionari della Consolata
preghiamo affinché essi possano portare sempre e ovunque il messaggio di pace e
fratellanza.

Felice Tagliente
  Torino

Il dottor Felice Tagliente, autore dell’articolo citato, opera
come psicologo presso il carcere "Le Vallette/Le Nuove" di Torino.

 

 Quando ne capitano di cotte e di crude

Carissimi amici,

in questi mesi in Kenya se ne vedono di tutti i colori, di cotte e di
crude. Tempo fa è stata bruciata una scuola con i ragazzi in dormitorio: 68 studenti
morti, 21 feriti e 9 "dispersi" (sospettati di essere gli autori
dell’incendio, perché bocciati). Davvero un fatto incredibile!

Quanto a me, sono stato coinvolto in una sparatoria nella zona
industriale di Nairobi. Mi è venuta la saliva amara, ma grazie a Dio ne sono uscito
indenne.

Intanto continuo il mio solito lavoro di riparazioni e manutenzione
della scuola, anche se sono un po’ stanco e scoraggiato. Forse le prossime vacanze in
Italia mi rimetteranno in sesto. Nel frattempo dico alla Madonna Consolata: "Io sono
un povero missionario. I problemi esistenti sono troppo grandi per me. Allora pensaci tu.
Se io faccio fiasco, pazienza. Ma tu non puoi fallire…".

fr. Gaetano Borgo
  Kenya

Recentemente il Signore ci ha concesso di fare
un’esperienza missionaria straordinaria. Il 21 giugno scorso, alle ore 18.40, fratel
Pietro Bertoni ed io siamo stati aggrediti in casa da tre individui con scuri e armi da
fuoco automatiche: ci hanno percossi e minacciati di morte. Erano drogati ed eccitati
dall’alcornol.

Sanguinanti ma coscienti, siamo stati costretti ad aprire la
cassaforte. I malviventi l’hanno svuotata: conteneva, soprattutto, i risparmi della
povera gente che aveva perso tutto con il ciclone e l’inondazione e pensava che in
missione i soldi fossero al sicuro. La cassaforte custodiva pure 4.700 dollari di alcuni
minatori, che ci avevano chiesto di aiutarli a costruire la casa in muratura. In pochi
minuti tutti i loro sogni sono svaniti.

Io sono stato rinchiuso in una stanza, mentre a fratel Pietro hanno
chiesto le chiavi della Toyota. Quando ho sentito partire la macchina, ho trovato il modo
di uscire dalla stanza e ho cercato subito Pietro. Era notte, con un silenzio
impressionante: si udiva solo la mia voce che chiamava il missionario. Mi domandavo:
"Sarà ferito o, addirittura, morto?". Giravo disperatamente per la missione
quando; vedendo il garage vuoto, ho pensato che i banditi lo avessero portato via con
loro. Allora sono corso al distretto di polizia, a 7 chilometri di distanza. Ma il
personale o era ubriaco o dormiva. Ritornato alla missione, ho trovato fratel Pietro sano
e salvo, anche lui in pena per me. Insieme abbiamo ringraziato il Signore.

Durante la passata guerra civile, siamo stati varie volte spogliati di
tutto, ma mai percossi… Ora le ferite si sono cicatrizzate e il brutto ricordo va
scomparendo a poco a poco. Tuttavia il fatto è motivo di preoccupazione anche per la
gente locale, che è stata meravigliosamente solidale con noi, anche perché
l’accaduto ha fatto il giro del Mozambico. Noi abbiamo pure scritto "una lettera
aperta" agli aggressori sconosciuti, perdonandoli e consigliandoli a cambiare vita.

Sicuri di essere nelle mani di Dio, continuiamo a lavorare per essere
segno di speranza in questa società minata da tanta corruzione. Abbiamo quattro gruppi di
giovani che imparano il mestiere di muratori. Altri, falegnami, fanno porte e finestre:
hanno appena terminato 300 banchi scolastici doppi; e le richieste sono così tante da non
poter attendere a tutti.

Cari amici, ci facciamo portavoce di tutta la popolazione che ringrazia
il Signore, il quale infonde in voi tanta generosità. Non preoccupatevi per noi. Siamo in
buone mani. Un fraterno abbraccio.

p. Amadio Marchiol
  Mozambico

Nonostante ne succedano "di cotte e di crude", in Kenya
come in Mozambico, i missionari restano. E non per fare gli eroi.

 

 "La tua benignità"

Cari missionari,

mi dichiaro fortunata di essere entrata a far parte delle persone che
si affidano alla protezione della Madonna Consolata. Avevo a Torino una sorella suora del
Cottolengo, suor Valentina, da otto anni defunta a causa di una terribile sclerosi
multipla.

Grazie a lei, abbiamo avuto il quadro della Consolata, alla quale mia
madre si rivolgeva anche di notte, inginocchiata ai piedi dell’immagine, nei momenti
di bisogno. Ne aveva ben donde: rimasta vedova con otto figli, non ha mai perso la
speranza e ha insegnato pure a noi la devozione alla Madonna.

Nelle mie povere preghiere raccomando tutti alla Consolata. In questi
giorni prego anche per un bravo ragazzo, iscritto alla facoltà di medicina, ma vittima di
tanta sfortuna. Una sera, al cancello d’ingresso del condominio dove abita, si è
ferito abbastanza gravemente la lingua; portato al pronto soccorso, gliel’hanno
suturata con alcuni punti. Otto giorni dopo, si è rotto il setto nasale; operato
d’urgenza, l’intervento non è andato troppo bene. Spero che la Madonna lo
faccia guarire senza un altro intervento.

Io prego affinché la Vergine non ci conceda ricchezze o onori, ma solo
consolazione.

Giovanna Bilotta
  Chiusi (SI)

La grande fiducia nella Madre di Dio della signora Giovanna ci
ricorda i versi immortali di Dante Alighieri:

"La tua benignità
  non pur soccorre /a chi dimanda,ma molte fiate /liberamente al dimandar
precorre"

(Paradiso, XXXIII, 16).

 

Ma quando funzioneranno le poste?

Cari missionari,

sono una donna anziana, da anni sono abbonata alla bellissima rivista
Missioni Consolata. Ma, con mio disappunto, devo comunicarvi una cosa spiacevole: da
diversi mesi non la ricevo più, pur avendo pagato l’abbonamento. Con ogni
probabilità è colpa delle poste che, purtroppo, sono in degrado. E dire che siamo nel
decantato nordest! Tutti si lamentano, ma senza risultati. Sacchi di posta vengono buttati
qua e là, e nessuno fa niente. Se continua così, sarò costretta a rinunciare
all’abbonamento.

Gina Bergamo
  Montebelluna (TV)

Sul mancato recapito di Missioni Consolata le lamentele piovono
ormai a grappoli, con situazioni croniche: per esempio da anni, ad Olbia, numerosi
abbonati ricevono la rivista solo due-tre volte nell’arco di 365 giorni.

In varie regioni si pratica "la mobilità dei postini": ciò
comporta che chi recapita la corrispondenza in un posto lo fa per due-tre mesi; poi cambia
sede. "Di fronte a qualche difficoltà (dovuta alla non conoscenza del luogo), i
postini pivelli possono buttare la rivista nei cassonetti dell’immondizia". La
gente non ne può più. E noi con essa.

 

Uomini e Donne, Fatti e Misfatti

Così la pensano sul "G 8" di Genova

 

Ho letto sul Corriere della sera l’attacco di Renato Ruggiero a
suor Patrizia Pasini. Il nostro ministro degli esteri ironizza sulla missionaria che, in
preparazione dell’incontro del "G 8" di Genova, propone anche momenti di
preghiera e digiuno.

Ma chi crede di essere Ruggiero? Fino a poco tempo fa era al vertice
dell’Organizzazione mondiale del commercio, che non lesina diktat ai paesi poveri;
entrato nel governo Berlusconi (tutto sorrisi o "denti"), il ministro si
dichiara disposto al dialogo pure con "il popolo di Seattle", che contesta la
globalizzazione. Sulla globalizzazione interviene anche il papa, durante l’Angelus
dell’8 luglio, mettendone in evidenza i gravi pericoli. E il ministro si affretta a
dire su Avvenire che il pontefice scuote le coscienze. Ma il papa non crede anche nel
digiuno e nella preghiera?

Sia un po’ più coerente, signor ministro. Con tutti.

Maria Filippini – Milano

Questa lettera (come la seguente) è stata scritta prima dei tragici
eventi di Genova (20-21 luglio).

 

Caro direttore, il 7 luglio l’ho vista a Genova, in vista del
"G 8". Ho gradito il suo intervento (specialmente quando ha denunciato
l’intimidazione dei "grandi" verso i "piccoli"). Mi sono anche
piaciute le riflessioni della ragazza dell’Ecuador e del giovane della Guinea Bissau.

Ma, proprio mentre parlavano i due testimoni del terzo mondo (gli
unici!), fotografi, cameramen e giornalisti si sono buttati su Vittorio Agnoletto, appena
giunto in sala. Non mi è piaciuto il suo comportamento: seduto in prima fila, ha
accettato persino di essere intervistato addirittura mentre l’africano e la
latinoamericana parlavano. Il fatto ha disturbato me ed altri, non solo per ragioni
materiali… Deploro lo stile dei mass media: cercano solo il personaggio; degli
"altri" non gliene frega un tubo, a meno che non facciano scornop.

Cari missionari, per favore non abbassatevi mai a questi giochi
sporchi.

Grazia Piccolo – Padova

I due testimoni del terzo mondo sono Monica Espinosa e Filomeno Lopez.
Ne parliamo a pagina 63 e 65.

 

 A Missioni Consolata non manca il coraggio di far saltare i
lettori sulla sedia. Per questo, caro direttore, ti mando una mia lettura dei fatti di
Genova… in chiave evangelica. La riflessione potrebbe intitolarsi: "La nuova
settimana santa di Genova 2001".

– Domenica delle palme, 15 luglio: dopo una lunga preparazione il
popolo della pace entra trionfale a Genova; sorgono punti di accoglienza, spazi di
discussione e centro stampa.

– Lunedì santo, 16: inizia il Public Forum, ricco di contenuti. Il
dibattito continua anche nei giorni seguenti.

– Giovedì santo, 19: la manifestazione dei migrantes lancia un
messaggio universale: "Ogni uomo è mio fratello!".

– Venerdì santo, 20: la morte in agguato vuole la sua vittima. Il velo
della zona rossa si squarcia e la violenza mostra i suoi volti.

– Sabato santo, 21: un grande corteo discende agli inferi passando tra
gironi di diavoli, fiamme e fumi.

– Pasqua di risurrezione, 22… I giornalisti, che al mattino corrono
al Media Centre, vedono computer sfasciati e macchie di sangue sui pavimenti e
termosifoni. Un angelo dice loro: "Cosa cercate? La verità non abita più qui; ora
cammina a piedi nudi per le vie del mondo. La troverete là".

Andrea Saroldi – Torino

Andrea Saroldi è pure autore del libro "Gruppi di acquisto
Solidali"
(Guida al consumo locale).

 

Abbiamo vissuto i violenti accadimenti di Genova con un sentimento
irrequieto: irrequieto sia per la guerriglia scatenata da bande di teppaglia, presenti su
entrambi i fronti dei circa 250 mila manifestanti pacifici (divisi in due tronconi per il
lancio di lacrimogeni) sia per lo scandaloso messaggio uscito dai "G 8".

Il messaggio è una rivendicazione della disuguaglianza portatrice di
ricchezza per pochissimi e del diritto di comandare il mondo con regole generatrici di
disperazione. Questo scandalo merita una risposta precisa.

Pertanto abbiamo scritto un testo, in cui vengono analizzati i
miserrimi contenuti dell’incontro dei leaders. Riteniamo che sia bene smontare, pezzo
per pezzo, i dogmi che gran parte della gente ripete a pappagallo, incapace di pensare.

Ci siamo avvicinati alla rivista Missioni Consolata frequentando la
"Scuola per l’alternativa", che abbiamo seguito con entusiasmo e per la
quale, da settembre, daremo anche il nostro contributo.

Maurizio Pagliassotti
  e Silvia Battaglia – Torino

La "risposta precisa" di Maurizio e Silvia è in
Genova (2)

AAVV




Lettere: cari missionari

Era…

extra-comunitario!

Cari missionari,

ho 16 anni. Scrivo a voi perché non so a chi altro manifestare il mio sconforto e la
mia rabbia. Missioni Consolata è un mensile che si occupa di popoli stranieri, delle loro
situazioni complicate e spesso drammatiche.

Vi parlo del mio disagio nei confronti degli extra-comunitari in Italia, sperando che
pubblichiate il mio e-mail.

Stasera mi è capitata una vicenda, forse banale, ma che mi ha veramente sconvolta. Ero
uscita con gli amici e, al ritorno, i genitori sono venuti a prendermi. Camminavamo per
raggiungere la macchina: dovevamo attraversare una strada abbastanza trafficata e nessuno
ci lasciava passare. Mio padre ha fatto cenno a un’auto di fermarsi, ma questa ha
tirato dritto; allora si è "buttato" in strada. La macchina ha frenato
bruscamente: l’autista (un extra-comunitario) è sceso, ha cominciato ad insultarci e
stava per fare a botte. Io tremavo di paura. Ma avrei voluto dire: "Lo sa anche la
mia sorellina che ci si deve fermare e lasciar passare i pedoni!".

Come possiamo fidarci degli extra-comunitari? La scena ricordata è solo una delle
tante dimostrazioni della loro stupidità. Con ciò non voglio dire che noi italiani siamo
perfetti, anzi! Ma loro sono un pericolo in più.

Anna Turatello

Selvazzano (PD)

Tutti possiamo essere un pericolo in più, ma anche una ricchezza! Intanto non
lasciamoci plagiare da "luoghi comuni discriminatori"… Anna, data la tua
giovane età, forse ti può aiutare la seguente riflessione di Adriana, che titoliamo…

 

Ritrovare

i sentimenti

Quando ci viene chiesto di raccontare un’esperienza, ci si limita spesso a fatti
di cronaca. Per me "esperienza" è ciò che rimane come patrimonio nel cuore,
ciò che modifica il mio modo di pensare e vivere.

L’"esperienza-risurrezione" ha cambiato la vita degli apostoli. Come
loro, sulle vie del mondo, operano i "missionari": persone che devono essere
povere e libere per stare con la gente e condividee il cammino.

"Fuori sulla strada Gesù è esposto, malconcio, malato…", ed è
l’amore che risolverà ogni dubbio: il dubbio soprattutto che "tutto è
inutile". Proprio perché mi manca l’esperienza del Risorto, "tutto è
inutile". Ma con Lui, la mia vita cambia, come quella dei fratelli poveri,
emarginati, sfortunati.

Devo dare quel poco che ho a chi ha meno di me. Il non avere ciò che è essenziale per
la vita è una sofferenza non per chi lo possiede, quanto invece per chi vuole amare… e
nulla può donare!

Quando penso che ho l’indispensabile, non posso nascondere il mio disagio; esso
diventa più grande allorché mi rendo conto che, purtroppo, poche volte ci penso a
questo. Ma il povero, l’umile, il semplice lo si trova sempre… ed è lui a far
rifiorire in me sentimenti annebbiati: accettazione, rispetto, condivisione, tenerezza.
Quando sento di possederli, ringrazio il Padre Nostro… E lo può chiamare così chi non
mi fa odiare i nemici, ma mi sprona ad amare tutti gli esseri creati e mi fa desiderare la
giustizia e carità.

Vorrei che fossero sempre questi i sentimenti a determinare le mie azioni.

sr. Adriana Prevedello

Mazara del Vallo (TP)

Adriana, missionaria francescana di santa Elisabetta in Kenya e poi in Sicilia tra
mafia, prostituzione e immigrati clandestini, è ripartita per il paese africano.

 

Lacrime

e quisquiglie

Spettabile redazione,

avevo visto a suo tempo la foto della donna sulla copertina di Missioni Consolata,
gennaio 2001, e già allora volevo scrivervi che la didascalia non era giusta.
Naturalmente avevo indovinato che la foto era stata fatta al funerale di padre Andeni.

Non conosco personalmente la donna della foto, ma penso che sia farle torto definirla
"musulmana", semplicemente perché ha il velo in testa. Ritengo che sia una
delle nostre cristiane, con molta probabilità una kikuyu, non una samburu o una turkana.
In Kenya la maggioranza delle donne nelle nostre missioni usa il velo e, a Maralal, i veli
più belli nei negozi sono di foggia musulmana, anche perché diversi negozianti sono
musulmani.

Tenendo conto che la donna sta piangendo, è naturale che cerchi di nascondere la
faccia. Però non facciamo dire alla foto quello che non dice, cioè partecipazione
musulmana al dolore cattolico…

Non sono d’accordo con la lettera che vi hanno scritto, specie con
l’offensiva parte finale.

p. Gigi Anataloni

Nairobi (Kenya)

Caro direttore,

ha suscitato in me molta indignazione la lettera "Lacrime di una musulmana",
apparsa su Missioni Consolata di maggio, non per il titolo, ma per il contenuto. Da quanto
ho potuto leggere, trovo la lettera grossolana e poco rispettosa sia del vostro lavoro sia
del personale che opera in redazione.

Il discordare da un articolo o una foto è legittimo, ma non dà diritto ad illazioni o
supposizioni sul direttore della rivista, anche perché le sue scelte sono dettate da
sensibilità professionale… che non tutti i lettori posseggono.

Gli autori della lettera hanno tentato di "classificare e bocciare" una
persona solo perché è "musulmana". Questo è razzismo o, meglio,
fondamentalismo religioso, che pian piano sta penetrando anche nei nostri ambienti
cattolici.

Invito gli autori della lettera a rispettare le persone, anche se non sono
d’accordo con il loro pensiero, perché, solo rispettando l’altro, si è degni
di rispetto.

p. Gianfranco Graziola

Roraima (Brasile)

Ecco i precedenti della piccola polemica.

In Missioni Consolata di gennaio 2001 pubblica in copertina una donna che piange, con
la didascalia "lacrime samburu (Kenya)". Nient’altro.

n La rivista di maggio ospita una lettera dal Kenya, secondo la quale la donna in
questione non è samburu, ma musulmana. Sorge spontanea la domanda: i samburu non possono
essere musulmani?

n Oggi, ancora dal Kenya, si replica: la donna non è musulmana, ma probabilmente
kikuyu.

E i kikuyu non possono essere musulmani?

Chiudiamo la querelle con dati certi: la foto fu scattata il 18 settembre 1998 a
Maralal (Kenya) durante i funerali di padre Luigi Andeni, quattro giorni dopo la sua
uccisione; l’immagine mostra una donna con il velo che piange, senza nascondersi.

Quelle lacrime ci hanno impressionato. Non il resto.

 

La forza del perdono

Cari missionari,

ho 17 anni. Sentendo il telegiornale o ascoltando le notizie di cronaca, vengo a
conoscenza di eventi che sconvolgono il mio mondo ristretto. L’interrogativo più
frequente che mi pongo è se le azioni-reazioni dell’uomo siano serene o furiose, non
pensate o dettate dalla ragione…

Si potrebbe tracciare un percorso storico circa fatti ed eventi, generati da quel senso
di vendetta che acceca, senza lasciare uno spiraglio di luce e razionalità. È il buio
dovuto alla mancanza di raziocinio a renderci simili agli animali.

A partire da Abele e Caino fino ai nostri giorni, passando attraverso gli scontri di
religione, le guerre mondiali e locali, la pace è sempre stata un tormento. A livello
personale, i casi peggiori sono quelli in cui il sopruso diventa stile di vita, il modo di
prevaricare la giustizia per difendersi dal mondo esterno e celare le proprie debolezze. E
si diventa vendicativi.

A volte, quando la parola "punizione" diviene sinonimo di istituzione
pubblica e politica, neanche le maggiori organizzazioni umanitarie sono in grado di
fermare lo scempio. L’esempio più lampante è, oggi, rappresentato dalla pena di
morte. Questa sanzione, così primitiva, è praticata in molti stati, e non solo dai più
sottosviluppati. Non esiste ragione, difesa, possibilità di riscatto per un errore
compiuto, ma solo la vendetta.

Faccio un ragionamento: se lo stato stesso pratica la pena di morte, pratica pure la
vendetta; perché che cos’è la pena di morte se non una vendetta? In tal caso, molti
omicidi sarebbero giustificabili.

Nel corso dei secoli anche la religione è divenuta causa di conflitti scoppiati tra
fazioni opposte, che, gridando il nome del proprio Dio, si uccidevano a vicenda. Ma,
certo, nessun Dio ha mai voluto né vorrà che i suoi fedeli ne uccidano altri per
dimostrare la superiorità di un credo.

I kamikaze che si fanno esplodere con carichi di tritolo, dopo aver indossato il
sudario bianco, dovrebbero farci riflettere sulle parole che un profeta ha lasciato in
eredità… ma anche non bombardare la nazione di coloro che credono di meritare il
paradiso, morendo per la propria fede.

Potrebbe rivelarsi un ottimo spunto di riflessione l’"essere o non
essere" di Amleto. Con altre parole: ha più valore una vita in cui non mi lascio
prevaricare dai soprusi altrui, o sono più forte nel momento in cui riesco a reprimere le
passioni i sentimenti violenti che mi turbano l’animo?

Federica Medda

Roma

Cara Federica, le tue considerazioni ci fanno venire in mente le parole di Giovanni, il
battezzatore e precursore della Salvezza: "Dopo di me verrà uno più grande, al
quale io non sono degno neppure di portargli i sandali (cfr. Mt 3, 11). È essenziale
credere in un "dopo" diverso dal presente, che però incomincia ora.

Inoltre, Federica, ti auguriamo di non scordare queste tue parole: "Il perdono non
è una debolezza di molti, ma una forza di pochi". Specialmente quando non avrai più
17 anni.

 

"Noi"

e le altre religioni

Egregio direttore,

sono un cristiano-cattolico e seguo fin dalla nascita la religione che nostro Signore
Gesù Cristo ha rivelato a tutto il mondo.

Ci sono però altre religioni, quali l’islam, l’induismo, lo scintornismo…
con il loro Dio e un programma di vita etico-religioso. Chiedo: quale religione vera ed
autentica dobbiamo seguire per ottenere la vita eterna? Dobbiamo accettare solo la
religione cristiano-cattolica, la legge di Mosè, la fede di Abramo, Isacco e Giacobbe che
credono in un solo Dio?

Giuseppe Monno

Bari

Anche a Gesù fu chiesto: "Che devo fare per avere la vita eterna?". E il
Maestro rispose confermando la legge di Mosè e attualizzandola con la parabola del
"buon samaritano" (cfr. Lc 10, 25-37).

Circa la salvezza nelle religioni non cristiane, il Concilio ecumenico Vaticano II è
esplicito: "Quelli che senza colpa ignorano il vangelo di Cristo e la sua Chiesa e,
tuttavia, cercano sinceramente Dio e con l’aiuto della grazia si sforzano di compiere
le opere e la volontà di Lui, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono
conseguire la salvezza eterna" (Lumen gentium, 16).

Su tale argomento si rilegga il dossier "L’alta teologia e il buon
senso" (Missioni Consolata, gennaio 2001).

 

Super-impegnati, ma…

Cari missionari,

da anni riceviamo Missioni Consolata, indirizzata ai figli Giorgio ed Elena: erano
ragazzini quando l’abbiamo ricevuta per la prima volta. Ora sono adulti e
super-impegnati. Io, che ho sempre letto la rivista con grande interesse, oggi per
problemi agli occhi mi devo limitare solo ai titoli. Ne sono dispiaciuta. Oltretutto, non
sono riuscita a trovare qualcuno che voglia leggerla.

Pertanto vi chiedo di sospendere l’invio del giornale. Ma non dimenticheremo i
missionari della Consolata, anche perché abbiamo un ricordo vivissimo di padre Domenico
Zordan.

Vi ringrazio perché, leggendo la vostra rivista, in questi anni mi sono
"arricchita" molto.

Giuseppina Kral

Zugliano (VI)

Carissima signora Giuseppina, faccia ancora un tentativo! Se i figli Giorgio ed Elena
sono veramente impegnati, non possono non seguire l’esempio della mamma e… leggere
anche Missioni Consolata.

 

"Yanomami"

e "macuxí"

Carissimi padres italianos Giorgio Dal Ben, Giacomo Mena e amigos indios yanomami e
macuxí, dalle rive del Sinni di Potenza a quelle del Rio Blanco di Boa Vista (Brasile) si
ode un solo grido: "Tenete duro!".

Franco Mele

Francavilla (PZ)

In altri termini: a luta continúa. Con speranza. Ne abbiamo parlato pure nel dossier
di luglio "Anche gli angeli perdono le ali".

 

I figli missionari?

Che gioia sarebbe!

Carissimi missionari,

siamo una famiglia con due bambini di nove e due anni e uno di quattro mesi. Il Signore
ci ha donato queste creature che, pur nella fatica del quotidiano, rappresentano la nostra
gioia.

Da tempo condividiamo le nostre povere cose con chi è più sfortunato di noi, con
coloro che hanno avuto solo la "colpa" di nascere con un colore diverso dal
nostro o in paesi piagati da guerre, fame e miseria.

Abbiamo anche sostenuto un’iniziativa di "adozione a distanza" con
un’organizzazione umanitaria, portata avanti fino a quando le nostre condizioni
economiche ce l’hanno consentito. L’interruzione, necessaria quanto dolorosa, di
questo tipo di aiuto non ha però spento in noi il desiderio di riprendere al più presto
il sostegno nei confronti di bambini in difficoltà.

Ed ecco il motivo della nostra lettera: ci rivolgiamo a voi, missionari, per avere
indicazioni e ragguagli al fine di iniziare nuovamente un sostegno a distanza,
possibilmente in un paese dell’Africa. Riteniamo che non esista modo migliore di
impiegare le proprie risorse economiche, in tempi in cui molti (troppi) ricercano sistemi
più o meno leciti per arricchirsi in una forma sempre maggiore.

A costoro vorrei umilmente ricordare che solo Gesù Cristo ha promesso interessi
esorbitanti: addirittura il centuplo! Sfido qualunque banca a promettere di più.

Una cosa ci farebbe particolarmente piacere, se rientra nelle normative che regolano le
adozioni a distanza: intrattenere con il bambino o la bambina adottati un rapporto
epistolare. Tale rapporto con i bimbi di un altro paese contribuirà a creare in famiglia,
soprattutto nei nostri figli, un’atmosfera di aspettazione e gioia, nonché la
consapevolezza che in un posto lontano c’è "un altro fratellino", che ha
bisogno delle medesime cose di cui hanno bisogno loro, con le loro stesse aspirazioni e
desideri.

E chissà! Forse un giorno i nostri figli potrebbero "farsi prossimo" in modo
ancora più concreto, non solo con aiuti economici, ma donando interamente se stessi ai
poveri e agli afflitti partendo come missionari.

Che gioia sarebbe!

Ultima richiesta: visto che non siamo ancora abbonati a Missioni Consolata
(l’abbiamo conosciuta in parrocchia), vi preghiamo di inviarci tutto il materiale per
riceverla regolarmente.

Mario Manescotto

Revello (CN)

Di tanto in tanto, attraverso la rubrica "provocazioni missionarie" della
rivista, lanciamo qualche invito esplicito alla missione. Ma il signor Mario ci ha
nettamente superati.

AAVV




Lettere: cari missionari


Soldi…
coltello

Caro
direttore,


complimenti per il dossier «Soldi e missione» (Missioni Consolata, aprile
2001). Alla luce di quanto è stato scritto, faccio alcune considerazioni.

n Dopo il
fallimento dei programmi di cooperazione governativa e i processi di «mani
pulite» contro la corruzione, molte nazioni dell’occidente (specialmente
del Nordeuropa) inseguono i missionari nel destinare i fondi per lo
sviluppo nel sud del mondo: perché i missionari vivono con la gente, ne
parlano la lingua e conoscono la mentalità, non riscuotono salari e,
anche, salvano la faccia dei paesi donatori facendo sì che i soldi
arrivino veramente ai poveri. Circa i 1.900 miliardi di lire destinati
dall’Italia al terzo mondo, Giorgio Torelli, nel suo libro Baba Camillo,
affermava che i denari sarebbero stati spesi meglio attraverso i
missionari. Invece che fine hanno fatto?

n Anch’io,
come scrive padre Eesto Viscardi, autore del dossier, non ho mai capito
perché sia sempre complicato reperire soldi per erigere una cappella… e
non per un allevamento di animali. Ancora più sconcertante è che, quando
negli anni ’90 ero missionario in Uganda, varie associazioni cattoliche
europee (nonché il mio istituto) hanno negato i denari per completare una
cappella in costruzione dal 1972. È stata un’organizzazione luterana della
Svezia che mi ha aiutato a terminare l’opera!

n Non c’è
dubbio che gli italiani, di fronte ai problemi missionari, sono un popolo
generoso, se non il più generoso. Lo dico da canadese (che ha anche il
passaporto italiano). La generosità è da lodare sia per quantità che per
qualità. Gli aiuti italiani sono veramente «cattolici», cioè universali,
senza frontiere e condizioni.

n La
provvidenza ci mette a disposizione cospicue somme di denaro, frutto di
rinunce di tante persone semplici, spesso di condizione modesta. Mi
chiedo, come missionario, se sono degno di ricevere i frutti di tanta
bontà. I soldi sono come un coltello… che si può usare per spalmare il
burro sul pane o ammazzare qualcuno.

n Noi
missionari della Consolata dobbiamo essere amministratori trasparenti;
dobbiamo essere pronti ad aprire i libri di contabilità ad ogni persona e
a qualsiasi ora; soprattutto dobbiamo ricordarci che quanto ci è stato
donato non è nostro, ma dei poveri, e che dobbiamo avere uno stile di vita
semplice e sobrio.

p. Marco
Bagnarol

Cacém
(Portogallo)

Il beato
Giuseppe Allamano ricordava ai suoi missionari: «Non dimenticate mai che
le offerte sono frutto dei sacrifici dei benefattori e richiedono non solo
che preghiamo per loro, ma soprattutto che ai loro sacrifici
corrispondiamo con qualche sacrificio… Quando leggo l’elenco delle
offerte sulla rivista, vi assicuro che faccio una vera meditazione…
Quelle cifre sono lacrime, sono sangue!».

Per
ragioni di riconoscenza e trasparenza, da 103 anni la nostra rivista
pubblica l’ammontare delle offerte ricevute.


Claudia… e
le tigri!


Spettabile redazione,

un «bravo»
a Claudia Caramanti per i reportages da Armenia, Georgia, Turkmenistan e
Uzbekistan. Oltre ai testi, ho apprezzato pure le foto.

Penso, in
particolare, alla madrasa «sher dor» di Samarcanda, con le bellissime
tigri stilizzate: un tesoro dell’arte islamica. Abituati a vedere i grandi
felini dalla televisione (ossia nelle vesti di dominatori delle savane
africane e delle giungle indiane), forse non tutti sappiamo o ricordiamo
che, allo stato naturale, le tigri sono esistite anche in Asia occidentale
e centrale; se oggi sono scomparse da questa enorme area, ciò non è dipeso
dal normale processo evolutivo.

Fino a non
molti decenni fa, una frazione importante delle oltre 100 mila tigri
dell’Asia viveva proprio nelle tugaji, che si estendevano tra Dusanbe e
Tashkent, tra Bukhara e Samarcanda, tra Ashkabad e Teheran, ed erano
presenti anche in Azerbaigian, Georgia e Armenia (Varrone Reatino, nella
sua grammatica, scrive che «tigre» è una parola di origine armena…).

Se oggi le
uniche tigri visibili sono quelle di Sher Dor, il colpevole è solo
l’egoismo dell’uomo che, oltre a sterminare i grandi caivori per
trasformarli in pregiate pellicce e prestigiosi trofei, ha degradato gli
ecosistemi, togliendo spazi vitali a tanti erbivori, agli uccelli e
persino ai pesci.

Questi
territori, per decenni, sono stati controllati da partiti comunisti in un
regime che si è fregiato di «Unione delle repubbliche socialiste
sovietiche». Ma il modo con cui i burocrati locali hanno massacrato i
bacini del Caspio, Aral, Amu Darya e Syr Darya, ha nulla da invidiare a
quello del capitalismo ecocida presente e passato. E, se neppure gli
autori del libro nero sul comunismo hanno speso una parola per denunciare
questo crimine, ciò non significa che l’impatto sia stato meno devastante:
vite umane sacrificate, profughi, mancanza di prospettive per le future
generazioni.

Nelle
città e campagne intorno a quello che un tempo era il pescosissimo Mare
Aral, la mortalità prenatale e infantile è quattro volte superiore a
quella (peraltro drammatica) registrata nell’ex Urss europeo.

Spero che
pubblichiate altri servizi su questa regione, senza dimenticare l’Asia
centrale non sovietica. Anche qui il business del petrolio, la
sperimentazione nucleare, un’agricoltura volta solo a incrementare i
profitti delle mafie del cotone, tabacco, e oppio… hanno provocato dei
danni irreparabili. Penso ai bacini dell’Ili e Tarim, all’antica Zungaria,
al sistema di laghetti del Lop-nor, descritto dal grande esploratore
svedese S. A. Hedin.

Fino a
50-60 anni fa, anche questa era terra di tigri e uomini che sapevano
valorizzarla vivendo in equilibrio con tutte le specie animali. Oggi Tigri
Lop-nor è solo il nome di un movimento indipendentista e terroristico, che
lotta per sottrarre il Turkestan cinese (con forte presenza islamica) alle
prepotenze di regime di Pechino e al suo piano di omologazione culturale.
Un piano che non prevede spazi vivibili per le minoranze etniche e
religiose.

Ave
Baldassarretti

Fano (PS)

Grazie di
questa lettera, con in calce anche un’abbondante bibliografia da
consultare… Intanto l’amico-lettore si «goda», su questo numero, un
altro reportage della nostra collaboratrice Claudia Caramanti: questa
volta dal Pakistan (vedi pp. 52-59).


Non
perderti…

nella
corsa consumistica e materialistica, per inventare un modo diverso di
trascorrere il tempo libero, lo svago o qualcosa che ti realizzi: la
passione per il divertimento, il computer, le auto… Basta essere piccoli
volontari dell’amore in ogni occasione che capita.

Non avere
paura o riluttanza nel privarti di una parte del tempo (anche nei luoghi
di lavoro, se è possibile) per donare qualcosa. A volte basta un piccolo
gesto per accendere un sorriso.

Prova a
privarti di qualche bene personale, per andare incontro alle necessità
altrui (non solo economiche, di salute o lavoro), ricordando le parole di
Gesù: «Chi vuole essere il più grande sia il servo di tutti… Ciò che fai
al più piccolo dei fratelli lo fai al Signore stesso».

Massimo
Piermattei

(via
«e-mail»)



L’«incompiuta» dell’anno santo…

Caro
direttore,

da mesi le
celebrazioni dell’anno santo sono finite nella tomba dell’oblio. Io però
sento ancora, nelle mie orecchie, le promesse d’uguaglianza e giustizia
tra i popoli, promesse fatte da Dio come frutto dell’anno della
riconciliazione.

Fossi
stato io papa, la notte di natale 1999, al momento di aprire la porta
santa (ma può una porta essere «santa»?), mentre le videocamere e tutti i
mezzi di comunicazione erano puntati sul pontefice, mi sarei girato verso
di loro e avrei proclamato ai quattro venti: «Il papa non aprirà nessuna
porta santa, finché i paesi ricchi non avranno assunto un serio impegno di
condonare il debito ai paesi in via di sviluppo, e finché non saranno
varate leggi alle Nazioni Unite per risolvere il problema della fame nel
mondo. Buona notte!…».

Oggi, nel
sonnolento dopo-pranzo, dò un’occhiata a diversi giornali e riviste.
Constato che, dopo ben 18 mesi dal proclama al mondo di un anno speciale,
propizio alla concordia, ad accorciare le distanze tra i popoli e a
diminuire le differenze tra ricchi e poveri, non ci sono grandi risultati.

Anzi, i
milioni di poveri, che muoiono ogni anno per fame o malattie causate da
essa, continuano ad aumentare. Aumentano guerre e conflitti, armati o
meno. Non è diminuita l’intolleranza verso lo straniero, e i disadattati
sono in costante incremento.

Non dubito
che, nell’anno santo, ci siano state delle conversioni personali e persino
comunitarie (le seconde, però, molto scarse). Queste santificano la chiesa
e la rendono migliore dal di dentro.

Io, però,
mi sarei aspettato pure qualche gesto esterno da parte della nostra chiesa
ufficiale. Magari una parola di speranza per il ritorno degli oltre 25
mila preti, tagliati fuori per decreto dal ministero perché hanno scelto
il matrimonio. Oppure dei passi significativi verso l’accettazione della
donna in qualche ministero ecclesiale, verso il suo inserimento effettivo
in cariche importanti, come avviene nella politica.

Non
sarebbe stata bella qualche mozione per una maggiore democrazia
all’interno della chiesa?

Non vi
sarebbe piaciuto che alla teologia della liberazione, relegata nell’ombra
della dimenticanza, fosse stato dato un colpetto d’incoraggiamento sulla
schiena? Sarebbe poi tanto male renderla ancora viva in una chiesa che, la
domenica mattina, sbadiglia durante le monotone prediche di numerosi
sacerdoti?

Come
sarebbe stato bello, per me e forse per tanti altri, vedere alcuni nostri
inamidati e «grandi della chiesa», a capo di dicasteri romani, sorridere
un po’ ai teologi condannati per motivi anche giusti, ma senz’altro
suscettibili di tolleranza. Non era, forse, l’anno della riconciliazione?
Quanto avremmo apprezzato un abbraccio tra il teologo ritenuto avanzato e
il rigido censore! Il tutto magari trasmesso per tivù all’intero mondo:
una riconciliazione globale!

Mi sarei
pure aspettato qualche passo in più verso l’unificazione delle chiese.

L’anno
santo è servito a molte entità (tutte del nord) per ingrossare i loro
conti in banca. A me sembra di ricordare che, agli inizi degli anni ’70,
un dotto papa aveva scritto che «l’aumento della ricchezza nei paesi
sviluppati dipende direttamente dall’impoverimento di quelli in via di
sviluppo». Ebbene, l’anno santo ha pure aumentato la povertà del Terzo
mondo?

Se oggi
l’umanità non ha ancora risolto, tra gli altri, il gravissimo problema
dell’equa distribuzione della ricchezza(e non si vedono soluzioni né a
corta né a lunga scadenza), ditemi voi a che cosa è servito questo
benedetto anno santo?

Il re è
veramente nudo!


Lettera firmata


Addis Abeba (Etiopia)

Il 6
gennaio 2001 si è concluso il giubileo del 2000. In tale occasione
Giovanni Paolo II, con la lettera apostolica Novo millennio ineunte, ha
tracciato un bilancio dell’evento. Tra i fatti significativi si ricordano:
la richiesta di perdono, il raduno dei giovani e l’incontro con i
carcerati, il pellegrinaggio in «terra santa», l’«apertura ecumenica» di
una porta santa (compiuta dal papa, dal primate anglicano e da un
metropolita del patriarcato di Costantinopoli), l’impegno per il condono
del debito estero dei paesi poveri, la riaffermazione della scelta
preferenziale dei bisognosi.

La lettera
«punta in alto» ricordando anche le sfide del futuro: il dissesto
ecologico, i problemi della pace, il vilipendio dei diritti umani, le
biotecnologie (con i loro problemi etici) e, non ultimo, il dialogo
interreligioso… per evitare «lo spettro funesto delle guerre di
religione».

Questo (e
altro) rivelano che l’anno santo è rimasto «incompiuto».


L’auto…
missionaria

Egregio
direttore,

sono un
lettore un po’ anziano della sua rivista: mi interessano molti articoli.
Inoltre ho visto personalmente che cosa fanno in Etiopia i missionari
della Consolata: cose meravigliose! Però, spesso, non sono d’accordo con
le tesi estreme sostenute da Missioni Consolata.

È proprio
vero (vedi l’editoriale di aprile 2001) che «anche quando sono fermi…
tutti gli autoveicoli sono un monumento allo spreco»? Questo vale anche
per gli automezzi, senza i quali il missionario vedrebbe paurosamente
restringersi il suo campo d’azione? E se no, perché scriverlo?


ing. Edmondo Schmidt


Roma

Il signor
Schmidt continua a leggere Missioni Consolata, nonostante le divergenze di
opinione con la rivista. Questa è una testimonianza di pluralismo e
tolleranza, che apprezziamo molto.

Un
editoriale è anche provocatorio. In tale senso va colto lo scritto a cui
si riferisce il lettore, consapevoli che gli automezzi, oltre che
consumare, sono pure inquinanti.

Circa il
«nostro» uso dell’auto, vale il detto


«est modus in rebus».
Ma
il problema resta, anche per i missionari.


Il «nostro
genoma»


Felicitazioni per lo «straordinario» sul centenario dell’Istituto. Avete
usato il metodo degli archeologi: cioè avete scavato fra i vari «campioni»
della nostra famiglia, presentando un modo speciale di «fare missione». Le
figure che avete selezionato confermano la feconda radice del nostro
albero genealogico.

La
«memoria» della nostra storia non solo emoziona, ma stimola a conservarla,
obbliga a onorarla e incarnarla. Con umiltà e modestia, io, voi e molti
altri siamo tale storia, componiamo questa «epopea di Dio», senza rumore,
facendo bene il bene, fedeli al nostro genoma di missionari della
Consolata.

Il vostro
numero straordinario non è tutto l’Istituto e i suoi 100 anni. Però avete
saputo far vibrare il senso di appartenenza, tanto prezioso per noi
«anziani». Mi domando: saprà la generazione nuova bagnarsi nella «nostra
eredità»? Anche il metallo più vile, bagnato nell’oro, si trasforma!

Mi auguro
che i giovani missionari, appartenenti a varie culture, riconoscano con
giusto orgoglio «la roccia da cui siamo stati tagliati…». Voi, che cosa
avete provato dopo la fatica del numero speciale?

p.
Ermenegildo Crespi

Machagai
(Argentina)


«Fuori della chiese c’è salvezza»



PRENDERE O LASCIARE?

Il dossier
«L’alta teologia e il buon senso» (Missioni Consolata, gennaio 2001)
analizzava l’espressione «fuori della chiesa non c’è salvezza». Il dossier
era firmato da Igino Tubaldo, teologo e missionario. In aprile la rivista
ritornava sull’argomento con la puntualizzazione di Antonio Santucci,
vescovo di Trivento (CB), e la risposta di padre Tubaldo. Ora intervengono
anche tre lettori di Missioni Consolata.


Chiesa
«istituzione» e «corpo di Cristo»

A ppena ho
letto il «botta e risposta» tra il vescovo Santucci e il teologo Tubaldo,
mi sono venute in mente le parole di Dietrich Bonhoeffer: «La chiesa non è
un’associazione religiosa di adoratori di Cristo, bensì il Cristo che ha
preso forma tra gli uomini… Nel caso della chiesa, non si tratta di
religione, ma della forma di Cristo e del suo prendere forma in un gruppo
di uomini. Il fatto che solo una parte dell’umanità riconosca la forma del
proprio redentore è un mistero di cui non esiste spiegazione».

A questo
punto una nota del libro (da cui ho tratto la citazione) dice: «La
concezione che, anche indipendentemente dal fatto di essere “conosciuto”
dall’uomo, l’evento di Cristo riguardi tutti gli uomini, induce a pensare
all’idea del cristianesimo inconsapevole».

Prosegue
Bonhoeffer: «Dio diviene uomo significa che la forma di Cristo, per quanto
sia e rimanga una e identica, vuole tuttavia prendere forma in uomini
reali e cioè in maniere molto diverse».

Alla luce
di queste parole, non è che si faccia ancora confusione tra chiesa
«istituzione» e chiesa «corpo di Cristo»? Non è che l’eterna questione (se
vi sia o no salvezza fuori della chiesa) sia un non-senso o, almeno,
ampiamente superata?

Stefano Poli
– Zevio (VR)



Chiesa-gerarchia e Maria

Ho letto
le osservazioni del vescovo di Trivento e la risposta del teologo Tubaldo.
Seguendo le indicazioni di mons. Santucci, ho preso il Catechismo
universale e ho trovato la frase di san Cipriano: «Nessuno può avere Dio
per padre se non ha la chiesa per madre». Però, se stacchiamo la frase dal
contesto della tradizione cristiana basata sulle sacre scritture, la
mateità di Maria dove finisce?

Se Maria è
madre della chiesa, come ha riconosciuto il Concilio Vaticano II, questa
mateità è decisiva per la salvezza. Come fa a salvarsi una chiesa che
antepone «la mateità» della sua gerarchia a quella di Maria?

Se Cristo
avesse voluto affidare alla gerarchia ecclesiastica il compito di essere
madre dell’umanità, avrebbe forse fatto sì che ai piedi della croce
andasse Pietro, non sua madre. E non si sarebbe rivolto a Giovanni, unico
rappresentante di un nucleo gerarchico smarrito di fronte al potere di
altre gerarchie, dicendogli (indicando Maria): «Ecco tua madre!».

Sui
pericoli cui va incontro l’uomo quando baratta la vera pateità e
mateità con i loro surrogati, le sacre scritture dicono cose importanti:
ad esempio, quando a Gesù dicono che sua madre e i suoi fratelli lo stanno
cercando, Egli risponde: «Mia madre e i miei fratelli – risponde Gesù –
sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».
Inoltre quando, nella folla intorno a Gesù, una donna inneggia a «colei
che gli è madre», l’Interessato risponde: «Beati piuttosto chi ascolta la
parola di Dio e la custodisce».

Ogni
cristiano è chiamato a essere «madre di Cristo».

Francesco
Rondina – Fano (PS)


Affermano le
stesse cose

M i
permetto di interloquire nella «diatriba» tra Santucci e Tubaldo. Ritengo
che nella replica del missionario ci sia una presunzione di teologicità:
Tubaldo sostiene le stesse cose del vescovo, almeno per chi ha
interpretato nel giusto senso i documenti del Concilio.

Non vedo
la ragione di contrapporsi polemicamente, ribadendo gli stessi concetti.
Può creare sconcerto in chi ha a che fare con cristiani che non conoscono
più l’abbicidì della religione, e deve essere considerato un «missionario
interno»; per cui giustamente si preoccupa che le parole siano intese
bene, senza equivoci.

Però
riconosco la difficoltà dei missionari, costretti a confrontarsi con
popolazioni non cattoliche; capisco anche il fervore con cui si battono
per sostenere le proprie convinzioni e quelle di cristiani autentici, che
vogliono scuotere le coscienze. Forse viene loro meno la capacità di
comprendere il contesto in cui calano le parole, con effetti talvolta
negativi per la realtà che stiamo vivendo.

A tutti
sta a cuore l’affermarsi del regno di Dio nelle forme che il Signore
stabilisce, e tutti, come cristiani, dobbiamo dare testimonianza della
nostra fede. Manifesto il disagio per quanto ho letto, consapevole che
tutti dobbiamo pregare anche per i terremotati che muoiono senza aver
sentito parlare di Cristo, e così per tutti gli uomini, come credo faccia
ogni cristiano che sia tale. Un vero privilegio, peraltro, di cui non ci
si rende conto… io per primo.

Giannantonio
Grigolato, Crocetta del Montello (TV)

box2


Lettere di famiglia

Cari
missionari, faccio seguito all’offerta inviata a favore delle vostre
missioni per chiedere di ringraziare la Madonna, con le vostre preghiere e
quelle delle persone bisognose da voi beneficate, per le numerose grazie
da me ricevute in situazioni disperate.

Ho sentito
la forza della Consolata che, per ben due volte, ha liberato me e la mia
famiglia dal maligno. Questi «miracoli» sono avvenuti l’anno scorso, nel
mese di ottobre, mese dedicato proprio alle missioni.

Scusate
queste parole di una povera mamma.

mamma Angela
– Bari

Caro
direttore, questa volta, invece di un articolo, ti invio una semplice
foto. È un po’ sfocata, ma la ritengo abbastanza significativa. La si
potrebbe intitolare: «Amicizia kenyana-etiopica» (padre Nicholas Makau,
del Kenya, fra Marta e Meseret dell’Etiopia). Se non ti va, cestina tutto.

Sarà
possibile un futuro di pace e amicizia tra i diversi popoli e gruppi
etnici dell’Africa? Il Signore è il principe della pace. Ma ciò non
dispensa l’uomo dall’impegno.

fr. Vincenzo
Clerici – Addis Abeba (Etiopia)

Cari
missionari, mi sia concesso di ricordare il fratello Tonino, morto nel
1997 in Calabria, dopo aver vissuto tanti anni a Torino. Tutti dicevano
che era anche un missionario… Servendosi di lui, il Signore ha
convertito diverse persone.

Tonino era
pure innamorato della Madonna Consolata. Una volta (che ero a Torino) mi
chiese per telefono di rinnovargli l’abbonamento alla vostra rivista. Ora
la ricevo io e in agosto, se Dio vuole, verrò a Torino e rinnoverò ancora
l’abbonamento a Missioni Consolata.

Sto
scrivendo dal letto: soffro per una brutta cervicale e porto il collare.
Spero che passi. Altrimenti, «fiat voluntas tua…».

sr. Martina
Belvedere – Napoli

Tre
lettere di «famiglia» scritte quasi con pudore. O, meglio, con amore…
Nel libro dei Proverbi si legge: «Un piatto di verdura con amore è meglio
di un bue grasso con odio» (15, 5).

AAVV




Tutti mercanti

Egregio direttore,
intervengo nel dibattito aperto dai signori L. Fressoia e L. Trobbiani sul numero di marzo. In molti casi ormai non c’è più distinzione tra destra e sinistra.
Ho sempre votato a sinistra; ma ho visto sussiegosi politici sorridere e ridere all’affermazione che «la sinistra dovrebbe difendere i poveri». Ingenuità imperdonabile vero? Ora siamo tutti liberi mercanti. Che amarezza!
Francesco Benegiamo
Galatina (LE)

Nell’amarezza del lettore scorgiamo anche un positivo senso di rivolta.

Francesco Benegiamo




Ipocrisia armata

Signor direttore,
la lettera del signor Fressoia è molto discutibile, specialmente quando afferma che la ricchezza economica favorisce la maturazione sociale e culturale. I soldi non hanno certo fatto maturare molto la nostra epoca. Parecchi – è vero – posseggono un buon conto in banca. Ma è «maturazione sociale e culturale»?
Quanto al terzo mondo, non facciamo gli ipocriti! In Africa impazzano dittatori rozzi e armati fino ai denti. Ma chi vende loro armi e non pasta? Sono anche personaggi di fabbriche italiane, eleganti, pacati, persino con parole da «vangelo». E qui mi incavolo, perché se vogliamo eliminare le guerre, dobbiamo prima smettere di costruire armi. Invece, nel mercato libero della globalizzazione…
La verità è che i dittatori dell’Africa o dei Balcani stanno al gioco di altri dittatori: dittatori veri, che il signor Fressoia tende ad esaltare. Gli Stati Uniti e l’Europa ne sono pieni.
L’Africa vanta un sottosuolo ricchissimo, eppure annaspa fra mille problemi. Allora non sempre la ricchezza fa ricchezza. Un problema di fondo è pure il clima. Non per niente, in genere, i paesi più industrializzati godono di buone condizioni climatiche. Se l’Europa avesse il clima del Sudan, non ci sarebbero Agnelli e Berlusconi che tengano. E, dinanzi a siccità e uragani, la nostra fatica quotidiana conterebbe zero.
Alessandro B.
Modena

Nel 2000 l’Italia ha esportato armamenti per 1.658 miliardi di lire. Fra le armi non scordi quelle leggere. Uccidono una persona ogni due minuti: 300 mila vittime all’anno. Nel 1999 è stato di 600 miliardi il nostro profitto delle armi leggere. La legge 185 del 1990 impone restrizioni, ma… l’Italia è terza al mondo.

Alessandro B.




Un tesserato… della speranza

Signor direttore,
sono stupefatto nel leggere, oltre ad ascoltare, di tante persone che descrivono Berlusconi come un alfiere della libertà e del progresso. Costoro alimentano una confusione terribile tra «liberalismo» e «neoliberalismo».
Innanzitutto una precisazione doverosa, per evitare ulteriori confusioni e distinguere in maniera chiara in quali «acque stiamo nuotando».
Il liberalismo nasce come un fenomeno di emancipazione (della borghesia), con un senso di libertà e progresso di fronte alla monarchia assoluta e al feudalesimo. Invece il neoliberalismo non si afferma contro un governo reazionario, ma ha un forte sentimento di conservazione, rifiuta la politica come qualcosa di sporco e, soprattutto, domina il grande capitale.
Anche il tratto psicologico è diverso: rispetto alla società del liberalismo, in quella del neoliberalismo c’è ansietà, paura di quelli che vivono in «basso» e si difende la propria nicchia di benessere. A tale proposito, lo studioso tedesco E. Fromm diceva che esistono solo due grandi partiti nella storia: quello della speranza e quello della paura. Nel primo le persone lottano per un futuro migliore dell’umanità, rifiutano lo status quo e il sistema vigente perché non lo considerano umano. Le persone del partito della paura, invece, cercano rifugio nel passato, nelle nicchie dove possono proteggersi di fronte ad un futuro che non conoscono.
A mio avviso, stiamo vivendo in un periodo di oscurantismo culturale, sociale ed economico chiamato neoliberalismo, che ha ereditato troppo poco dal liberalismo. Questo sistema è capeggiato a livello internazionale dalla Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione mondiale per il commercio. In Italia il suo degno rappresentante politico si chiama Silvio Berlusconi, leader del «partito della paura».
Intendiamoci: non considero Berlusconi un’appendice nazionale delle organizzazioni mondiali menzionate, bensì il prodotto della loro cultura e, in particolare, di coloro che danno dignità e rappresentanza al partito della paura descritto da Fromm. Perché?
Perché si auspica che la competizione di mercato possa regolare tutti i rapporti economico-sociali, escludendo ogni forma di mediazione che metta in contrasto con il «Dio denaro» e il «Dio successo».
In Perù ho assistito all’instaurazione del regime neoliberalista di Alberto Fujimori, che della paura fece il partito della farsa e dell’inganno. Ho anche visto, a causa delle privatizzazioni selvagge, le scuole trasformarsi in privilegio per pochi e gli ospedali diventare un business per i più facoltosi, anziché rappresentare un diritto e un patrimonio sociale collettivo. Infine ho costatato che la precarietà di ogni giorno può, nei soggetti deboli, cambiare i rapporti fra le persone, la cui regola di vita diventa il peggiore individualismo, sinonimo di paura.
Personalmente mi considero un tesserato del «partito della speranza» e spero di essere in numerosa compagnia con tanti lettori di Missioni Consolata, affinché i «partiti della paura» siano sconfitti nelle prossime elezioni.
Gabriele Vaccaro
Comiso (RG)

Ai vincitori delle ultime elezioni ci permettiamo, con il signor Gabriele Vaccaro, di rivolgere un invito.
«Per vincere “il partito della paura”, si deve rompere con l’individualismo neoliberalista, e cioè: aprirsi alla solidarietà, passare da un mondo che ha il suo epicentro nell’“io” ad uno che parta dall’“altro”. Un “io” che si riscopra di fronte all’altro, dando priorità a una relazione che permetta di rivendicare la propria libertà, ma che non esiga la subordinazione degli altri».

Gabriele Vaccaro




Padre Giovanni Milo

Caro direttore,
sono un fratello di padre Giovanni Milo, tragicamente scomparso di recente e di cui, penso, siate a conoscenza. A nome di mia madre, affranta ancora da profondo dolore e dei familiari tutti, ringrazio sentitamente per quanto avete fatto per lui.
So che padre Giovanni era molto legato ai missionari della Consolata e l’ha dimostrato sempre e in ogni modo. Nell’esaminare la sua documentazione, ho riscontrato che ha stipulato cinque polizze-vita presso una banca del luogo, il cui beneficiario è l’Istituto Missioni Consolata. E questo nell’ultimo mese, prima di morire, quasi come un segno premonitore.
Accludo anche copia di uno scritto in forma poetica, indirizzato a padre Giovanni, che meglio sintetizza e descrive la sua figura, nella speranza che voglia pubblicarlo sulla sua rivista.
Michele Milo
Patù (LE)

Eri il vincastro
di nostro Signore
a tutti additavi
la strada priore,
eri severo
da confessore
ma, a chi pentito,
donavi il tuo cuore.
Sei stato per noi gran testimone cristiano
di sagge parole
e molto umano,
avevi per tutti
un sincero sorriso
e proseguivi con
la saggezza sul viso.
Le tue omelie
scavavan la mente
d’ogni fedele
che era presente,
eran penetranti
le tue parole,
che scuotevan
la coscienza
e arrivavan al cuore.
Una volta affermasti, spiegando il Vangelo,
a chi pensa:
«C’è tempo per le cose del cielo,
Dio vuol la primizia
e non i miseri resti».
Io rimasi colpito
di quanto dicesti.
Or hai lasciato
tragicamente
questa vita terrena
improvvisamente.
Nella tua vita,
primizia tu hai dato
e colmo d’amore
a Dio sei arrivato.

Francesco Petracca

Michele Milo




Nessuno sconto alle mine antiuomo

Caro direttore,
mi riconosco in pieno nell’appello di Massimo Veneziano (Missioni Consolata, marzo 2001): «Facciamo guerra alla guerra!». Le mine antiuomo e le bombe cluster sono diverse solo nel nome, non negli effetti sulle popolazioni, sull’agricoltura, sull’ambiente, compreso quello marino (come hanno dimostrato gli ultimi inquietanti episodi nell’Adriatico).
Non dimentichiamo che, come è già avvenuto nel recente passato, le aziende produttrici di mine sono più vive che mai: è il caso della Società Esplosivi Industriali (SEI) di Ghedi che, aggirando la legge 22/10/1997, nota anche come Legge Antimine o Legge Occhetto, sta per realizzare un nuovo impianto a Domusnovas (Cagliari): intende costruire «una linea di ordigni militari da destinare al mercato mondiale».
Uniamo dunque la nostra voce a quella del vescovo di Iglesias, Tarcisio Pillolla, che rifiuta la retorica vigliacca dell’industria diversificata, portatrice (si dice) di lavoro per i giovani e di sviluppo per il territorio locale. Ribelliamoci a chi, come la Regione Sardegna, sembra disponibile a incoraggiare l’impresa con denaro pubblico.
Non dimentichiamo l’appello alla pace e alla riconversione vera (non truccata) dell’industria bellica, che un altro vescovo, Bruno Foresti, lanciò ai funerali di Giuseppe Bignotti, Dario Cattina e Franco Sentimenti, uccisi il 22/8/96 dall’esplosione del capannone per la lavorazione delle bombe MK 82 di proprietà della SEI.
È stata proprio la SEI a provvedere al caricamento degli stampi della Valsella Meccanotecnica di Castenedolo, con migliaia di schegge (vetro, plastica e metalli vari), tanto minute quanto devastanti, disseminate a milioni in decine di paesi e in grado di colpire indiscriminatamente uomini e animali, militari e civili, donne che lavorano nei campi e bambini che giocano in cortile. E, in un numero non trascurabile, anche volontari che portano soccorso alle vittime e sminatori impegnati nell’ingrato compito della bonifica.
Rispettiamo le atroci sofferenze di Tonina Cordedda, bambina di 9 anni di Nughedu San Nicolò, che nel 1973 incappò in un ordigno antipersona (probabilmente un residuato della seconda guerra mondiale) perdendo occhi e braccia.
La costruzione di una nuova fabbrica di esplosivi militari in Sardegna, a un’ora di macchina dal luogo dell’episodio che cambiò brutalmente la vita di Tonina, sarebbe un cinismo imperdonabile.
Francesco Rondina
Fano (PS)

Varie volte Missioni Consolata ha denunciato il business e le tragedie provocate dalle mine antiuomo, senza concedere sconti.

Francesco Rondina