«Aifo» precisa

Gentile direttore,
Missioni Consolata di settembre
2002 cita l’agenzia
Fides, che ricorda gli interventi
in Yunnan (Cina)
per i malati di lebbra.
Precisiamo che tali interventi
sono in parte sostenuti
dalla associazione
Aifo: questa, nell’anno
corrente, ha destinato al
progetto Yunnan, realizzato
con le suore Maria Pia
e Deolinda, 63 mila euro.
Tale somma è da aggiungersi
al budget di 142 mila
euro per interventi che
l’Aifo realizza in collaborazione
col governo della
provincia dello Yunnan.
Ci sembra doverosa la
precisazione, in quanto i
fondi sono tutti relativi a
donazioni private.

«Aifo» sta per «Associazione
Amici di Raoul
Follereau»: organizza anche
la Giornata dei malati
di lebbra (26 gennaio).

Michela Di Gennaro




Israele/Palestina e la «181» del 1947

Egregio direttore,
commento la risposta alla
mia lettera (Missioni Consolata,
settembre 2002).
1) Dossier di giugno sul
Medio Oriente: apprezzato
da incolpevoli filoarabi
e filopalestinesi, come è la
maggioranza dei media e
dei politici fin dai tempi di
Andreotti (forse per la nostra
dipendenza da petrolio
e gas).
2) Sì alla pietà cristiana
per le vittime delle azioni
militari israeliane (condannando
gli eccessi).
Nessuna pietà per i kamikaze
e terroristi, siano
essi palestinesi, baschi, ceceni,
dell’IRA o di Bali.
Non metterei sullo stesso
piano vittime e carnefici.
3) Di Mary Robinson
non mi interessa la storia
personale, ma quello che
ha detto sugli ebrei.
4) Ho letto un paio di
volte Nigrizia e mi basta:
dovrebbe fondare un partito
politico; la leggerei
più volentieri.
5)1882: inizia la colonizzazione
ebraica della Palestina.
29 novembre 1947:
l’Onu approva la risoluzione
181 (Palestina-Israele-
Gerusalemme zona
internazionale). 14 maggio
1948: Ben Gurion proclama
lo stato d’Israele, ed
è subito guerra, perché gli
stati arabi non accettano
lo stato di Israele (se non
sbaglio, ancora oggi sulle
carte geografiche arabe
non esiste Israele)… Da
qui sono nati tutti i guai
per i palestinesi, che dovrebbero
ringraziare i loro
«fratelli arabi».
Non ho mai letto questo
su Missioni Consolata,
oppure mi è sfuggito.

A tutti può sfuggire
qualcosa… Su Missioni
Consolata, dicembre
1998, si legge: «Chiaro,
nel 1947, era il progetto
dell’Onu di costituire in
Palestina uno stato arabo
e uno ebraico. Ma il progetto
fu respinto dai palestinesi:
un grave errore,
perché impedì la nascita
di uno stato palestinese».
La risoluzione 181 dell’Onu
del 1947 e il dramma
dei palestinesi (derivato
dal rifiuto degli stati
arabi) vengono ricordati
anche da Missioni Consolata,
giugno 2002.
A proposito di vittime e
carnefici, si veda la lettera
di Max, da Brescia, a pagina 9.

Rinaldo Banti




Lettere

Daniela e la nonna
Caro direttore,
nel torpore della stampa cattolica sui temi ecologici, resto positivamente stupita di Missioni Consolata. Ho letto infatti sul suo sito internet il diario del Vertice di Johannesburg Rio+10 su «lo sviluppo sostenibile».
Una considerazione: è stato un bluff. Il vostro inviato lo ha scoperto lentamente: all’inizio egli era sospettoso verso i rappresentanti del Controvertice, ritenuti «pacifisti»; poi ne ha riportato i lavori. I pacifisti sono stati gli unici a dire qualcosa di serio; e, se qualcuno sperava che arrivasse il black block a spaccare tutto (e coprire il disastro dei lavori ufficiali), è rimasto deluso.
Sono contenta che affrontiate il tema «ambiente» in modo esaustivo. La bibbia in questo è profetica e ha anticipato quanto sta succedendo oggi.
Sono una studentessa di biologia, credente, con gli occhi aperti sulla realtà. La cultura scientifica, unita alla fede, mi obbliga a riflettere su quanto sta accadendo. Siamo tutti figli di Dio: Egli ci dà la possibilità di dominare il creato, ma non di distruggerlo. Invece, stiamo rovinando il piano divino.
Leggo Missioni Consolata da mia nonna: le rubo la rivista, anche perché lei si rifiuta di leggerla e minaccia di disdire l’abbonamento. Ho notato un inasprirsi della vis polemica contro la vostra linea editoriale, che io condivido. Non mollate!
Il vero cristiano ha la misericordia in cuore, è aperto di spirito, ma necessita sempre di stimoli per cogliere la verità. Una promessa: se la nonna straccerà l’abbonamento, il mio ragazzo ed io prenderemo il suo posto!
Daniela (via e-mail)


Daniela, convinci la nonna a leggere la rivista e… «voi due» abbonatevi (bastano 22 euro). Missioni Consolata è «la rivista missionaria della famiglia»; ma è tale, se viene letta da nonni e nipoti, genitori e figli, pur con idee diverse. E guai se non ci fossero! Nel caso contrario, i lettori sarebbero «già tutti allineati». Allora, addio pluralismo! E la rivista sarebbe inutile.
Il diario del Vertice di Johannesburg è stato curato da padre Rocco Marra, missionario in Sudafrica, ed è apparso su www.missioniconsolata.it, il sito della rivista.

La Mole antonelliana «violentata»
Cari missionari,
i miei 72 anni non mi permettono di essere superficiale. Vi esprimo un grazie e tanta stima.
Poiché voi, missionari, siete anche uomini, potete accettare un consiglio: quando trattate i diritti umani, riflettete bene prima di scrivere. Ci vuole rispetto pure per il corpo (che è «tempio»), specie se si accenna al sesso femminile.
Ndr: l’autrice allude al tema «scabroso» dell’infibulazione (cfr. Missioni Consolata, maggio 2002).
Nessuno di noi si presenterebbe in Piazza Duomo in bichini o con il cappotto sulla spiaggia. Ogni cosa va fatta bene, secondo il tempo e il luogo.
Affronto pure il tema «discariche». È un problema grande e attuale, specie nelle grandi città. Ne sappiamo qualcosa mio marito ed io, che lavoriamo nei servizi ambientali. Tutti i giorni siamo sommersi dalle «monnezze» di Milano.

Ma, chissà perché, Missioni Consolata di settembre ha «violentato» la Mole antonelliana… con una massa di rifiuti. La colpa è dell’uomo… Io, al posto della Mole (sommersa da rifiuti), avrei messo un individuo nudo, con la barba lunga che lo copre e un pancione pieno di ogni ben di Dio (il ricco epulone del 2002); e gli avrei affiancato un piccolo individuo, magro come uno spaventapasseri, con in mano un bicchiere di plastica, che chiede l’elemosina…

Occorre un’educazione a monte delle persone: in famiglia, nelle scuole, negli ambienti civili e religiosi; se necessario, con cartelloni «non imbrattare», «non sputare», «non bestemmiare»… (come ai tempi del Duce).

In Germania, oltre 20 anni fa, mi colpirono le strade pulite: i tedeschi riciclavano (già allora) i rifiuti. Inoltre mi stupirono i quadei degli scolari, dove si leggeva pure: «Non compriamo la fettina di vitello, ma continuiamo a mangiare carne di maiale! I vitelli alleviamoli per gli italiani, abituati a spendere i loro pochi soldi in modo diverso da noi».

Altri consigli: a scuola sostituire le «merendine» con un frutto; non usare sacchetti di plastica per la spesa, ma di stoffa; esigere bottiglie di vetro per l’acqua minerale…

Coraggio, amici, e uniamoci in queste lotte! I vantaggi si vedranno domani. Se questa lettera, non è degna di pubblicazione, leggetela almeno a tavola. Forse servirà per un commento o una risata.
Cherubina Lorusso Milano


L’idea della Mole antonelliana, «violentata» da rifiuti, è della Provincia di Torino per stimolare, con un’immagine ad effetto, la riduzione delle discariche e incoraggiare la raccolta differenziata.
Compare anche la domanda: «Secondo voi, cosa manca a questa pubblicità per essere perfetta?». Forse mancano proprio «un epulone» e «tanti lazzaro» spaventapasseri.

Infibulazione e diritti umani
Spettabile redazione,
chiarisco quanto ho detto sull’infibulazione (Missioni Consolata, maggio 2002).
La rabbia ci porta a rispondere che «l’infibulazione è affare nostro», specie quando l’occidente si avvale del potere o diritto di togliere usi e costumi di altri popoli. È risaputo inoltre che il mondo occidentale, ricco e opulento, non ha fatto quasi niente per aiutare i popoli a risolvere i problemi più gravi: povertà, sanità, scuola…

L’occidente tira fuori in ogni occasione l’infibulazione, chiedendo la sua abolizione. Non sarà l’ennesimo pretesto per lavarsi la coscienza di fronte a quanto non ha fatto e continua a non fare al cospetto delle gravi condizioni economiche dei popoli?

Si può non condividere l’infibulazione, ma nessuno deve ritenere che sia un vero problema per i popoli interessati. L’eventuale decisione di abolirla spetta alle donne: esse decideranno solo dopo aver avuto la possibilità di accedere all’istruzione scolastica e sanitaria. In secondo luogo: bisogna educare gli uomini a frenare i loro impulsi bestiali.

Ma che dire dell’Italia (che si ritiene evoluta, emancipata e rispettosa delle leggi e dei diritti umani), quando mette in discussione la violenza sessuale subita dalla donna… solo perché la vittima indossa i jeans?

Alia Sharif Aghil Torino


Dal 1948 vige la «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo», oggi sottoscritta da tanti paesi sia occidentali che orientali. Se l’infibulazione ne è una violazione (come, ad esempio, hanno dichiarato la Convenzione dell’Onu sui diritti dei bambini nel 1989 e l’Unicef nel 1996), la pratica va abolita: certamente con il ruolo protagonista delle donne.

«Due terre, una missione»
Cari missionari,
ho conosciuto Luigi Santa, vescovo di Rimini, in occasione dello «spostamento» della chiesa parrocchiale, distrutta dalla seconda guerra mondiale, dal colle di San Patrignano alla borgata di Ospedaletto. Egli, nei primi anni ’50, si portò sul luogo, osservò con attenzione e, dopo una breve riflessione, disse: «Qui sorgerà la nuova chiesa». La decisione, a distanza di anni, si dimostrò lungimirante… Per me mons. Santa fu una figura patea straordinaria.
Grazie, pertanto, del graditissimo libro che ne illustra la vita prima come missionario della Consolata e poi come vescovo.

Dalla scrittura tremolante capite che devo essere molto vecchio: infatti ho 92 anni. E si vedono!

Don Martino Vari Ospedaletto (RN)


Il libro di cui parla don Martino è del giornalista Angelo Montanati; è intitolato Due terre, una missione, Emi, Bologna 2002. Le «due terre» sono l’Etiopia, dove Luigi Santa fu missionario e vescovo dal 1923 al 1943, e la diocesi di Rimini.
Il volume è acquistabile presso la libreria «Missioni Consolata»
(tel 011/447.66.95;
e-mail: libmisco@tin.it).

Una chiesa da 8 milioni di euro
Caro direttore,
che pensare di una nuova chiesa a Modena da 8 milioni di euro? È un’opera santa o un’offesa all’evangelica opzione per i poveri?

«Se il cibo prodotto nel mondo fosse diviso equamente, tutti potrebbero consumare 2.760 chilocalorie al giorno» ha dichiarato Jacques Diouf, direttore della FAO. La diseguaglianza distributiva fa sì che, pur avendo abbastanza cibo per sfamare tutti, 800 milioni di persone sono alla fame. Di fronte a tale realtà, in Italia c’è chi pensa ugualmente di avere diritto a strutture plurimiliardarie.

La chiesa è chiamata ad una riflessione critica: non elemosina, ma condivisione… «Spezza il tuo pane con l’affamato» (Is 58, 7). «Se un fratello o una sorella sono nudi e hanno bisogno del pane quotidiano e uno di voi dice “andate in pace, riscaldatevi e nutritevi” senza dar loro il necessario, a che giova?» (Gc 2, 15 ss)…

«Gesù prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e portarono via 12 ceste piene dei pezzi avanzati» (Mt 14, 19-20). Con questo testo si ricorda il miracolo della moltiplicazione dei pani. In realtà è il miracolo della «condivisione». Gesù rifiuta di congedare la folla, ne sente compassione e… spezza i pani, invita i discepoli a distribuirli a tutti: è la condivisione che opera il miracolo, cui siamo chiamati a credere.

Una volta superato l’egoismo (pensare a noi per primi), avviene il miracolo: non solo tutti mangiano, ma portano via anche 12 ceste di pane avanzato. Vangelo è pure questo: il superfluo non deve essere frutto dell’egoismo, ma della generosità di Dio.

«Modena Amica dei Bambini Onlus» Modena


La domanda iniziale, più che rivolta a noi (che, ignari della situazione locale, non possiamo rispondere), coinvolge i fedeli della diocesi di Modena (e non solo), che hanno il «polso» della scena e del retroscena.

Dante consiglia…
Caro direttore,
riferendomi ai giudizi avventati e ai consigli non richiesti, rivolti a lei e ai redattori della rivista, mi vengono in mente i versi di Dante: «Or tu che se’ che vuo’ sedere a scranna/
per giuducar di lungi mille miglia/
con la veduta corta
d’una spanna?»
(«Paradiso», XIX, 79).
Lettera firmata Torino


Ottima citazione. Però il consiglio, dono dello Spirito Santo, è sempre gradito.

«Multirazziale» o «multietnico»?
Caro direttore,
complimenti per Missioni Consolata, sempre più bella. Nel numero di settembre è stato interessantissimo il «Diario di un extracomunitario».
Però sono pignolo e faccio due piccole contestazioni linguistiche (il linguaggio tuttavia è importante, specialmente nei titoli). La prima: essendo Snezana Petrovic una donna, ritengo che il titolo della sua rubrica andrebbe modificato in «Diario di “un’extracomunitaria”».

La seconda contestazione è più profonda: scrivere «Italia multirazziale» fa pensare che nel nostro paese esistano tante razze; invece oggi nessuno scienziato serio lo sostiene, anche perché si rischia di cadere nel «razzismo».

Dunque: il termine «multirazziale» andrebbe sostituito con «multietnica». Non vi pare?

Daniele Barbieri Imola (BO)

Sì, ci pare. Infatti gli uomini e le donne del pianeta appartengono, sì, a «popoli diversi», ma costituiscono «un’unica razza»: quella umana.

Nonostante la caduta del muro
Egregio direttore,
la lettera del signor Francesco Rondina (Missioni Consolata, luglio/agosto 2002) lascia perplessi.

L’argomentare dello scrivente ignora la storia degli ultimi 15 anni. È caduto il muro di Berlino e il socialismo reale. Il comunismo è stato così disastroso per l’Europa dell’Est (e per i popoli sovietici) che la pressione popolare di quei paesi ha rovesciato i governi locali. In 45 anni, mentre il resto dell’Europa progrediva economicamente e democraticamente, il comunismo teneva i popoli dell’Est in miseria e sotto governi autoritari e feroci.

Il signor Rondina non ha letto bene Marx, strenuamente avverso alla religione, ritenuta «oppio dei popoli». Inoltre il lettore sembra ignorare che, quando un’utopia filosofica si rivela fonte di miseria, despotismo, massacri, il giudizio è drastico: il marxismo è tutto intrinsecamente errato.

Ma ciò che lascia più perplessi è l’argomentare confuso del signor Rondina, che sembra riecheggiare il terzomondismo, utopie sociali comunistiche e altro ancora. Non si possono affrontare argomenti seri (come gli attuali problemi economico-sociali) con vaghezza e frasi fatte. Perché giudizi così negativi sul riformismo? Nell’Europa dell’Ovest, durante gli ultimi 50 anni, si è rivelato fonte di progresso socio-economico?

O il signor Rondina nega che oggi, in Europa, si sta meglio (sotto tutti i punti di vista) di come si stava subito dopo la seconda guerra mondiale?

Silvia Novarese Torino


Il dottor Francesco Rondina non nutre alcuna simpatia verso un comunismo oppressore, materialista e ateo…

Buon natale
Leggo con interesse la corrispondenza con i lettori della rivista (prima non lo facevo) e ammiro il direttore che pubblica le lettere denigratorie. Missioni Consolata è straordinaria per contenuti e foto. Buon natale.

p. Luigi Duravia Colombia

Croci d’oro di vescovi e… Marylin Monroe
Ho riflettuto su «Crocifissi con diamanti» di Missioni Consolata di luglio/agosto 2002. La giusta conclusione è che tali crocifissi non sono secondo lo spirito del vangelo. E si porta l’esempio del cardinale Van Thuan, che aveva una croce pettorale di legno e ferro, che egli stesso si costruì durante la dura prigionia in Vietnam durante il comunismo.

Come cristiano (pur con difetti e contraddizioni), pongo una domanda: è coerente la chiesa quando offre a tutti i prelati, vescovi e cardinali, sontuosamente vestiti, croci d’oro e anelli con diamanti?… Parlai di tale sfarzo con un dottore della chiesa, che mi rispose: «Se lei fosse invitato dal suo principale, non si presenterebbe ben vestito?». Certo che sì!

Io però non pretendo che il clero vada stracciato; tuttavia una maggiore sobrietà non farebbe male. «I preti ci insegnano povertà e carità, e guarda loro come sono agghindati!»: è una critica che si sente.

Un’altra cosa: in chiesa non sopporto di trovare ceri da 50 centesimi e ceroni da… 5-10 euro! Dio farà forse la grazia più grande in proporzione alla misura delle candele? Queste lasciamole vendere alle baracche fuori! Ma in chiesa ognuno faccia l’elemosina che si sente e si può permettere. Mi pare, invece, che si mercanteggi un po’ troppo. Ora si sta persino arrivando al pagamento per entrare in certe chiese…

Gaetano Covezzi – Ferrara

«Vuoi onorare il corpo di Cristo? Non trascurarlo quando è nudo. Non rendergli onore nel tempio con stoffe di seta per poi trascurarlo fuori, dove patisce freddo e nudità. A che serve che la tavola eucaristica sia carica di calici d’oro, quando lui muore di fame? Comincia a saziare lui affamato e poi, con quello che resta, potrai oare il suo altare…»: parole di san Giovanni Crisostomo (347-407).
Né si scordi Paolo VI che offre il triregno d’oro ai poveri. Lo stesso papa, al termine del Concilio ecumenico Vaticano II, dona a tutti i partecipanti «un anello semplicissimo». Ma non tutti hanno capito la lezione.

Oggi vescovi e cardinali hanno sostituito le croci d’oro e diamanti con altre più modeste. Ma dove sono finite quelle vecchie? Non tutte sono andate ai no global e non consumisti, ma sono ben custodite in robusti forzieri, insieme ai tesori della chiesa.
Certamente non pubblicherete questa nota.
Lettera anonima

Essendo anonima, potremmo non pubblicarla!… S. Ambrogio, morto nel 397, disse: «Se la chiesa ha oro, non è per custodirlo, ma per darlo a chi ne ha bisogno». E Giovanni Paolo II: «Potrebbe essere necessario alienare i beni (preziosi) per dare pane, bevanda, vestito e casa a chi ne è privo».

Ho letto «Crocifissi con diamanti» nei giorni in cui tivù e tantissimi giornali (anche «socialmente» impegnati) facevano a gara a chi dava più spazio al 40° della morte di Marylin Monroe, riconosciuta da tanti come «l’unico vero mito americano del XX secolo».
In un film Marylin canta: «I diamanti sono i veri amici delle ragazze»; e in tantissime foto diamanti e perle sono i protagonisti. Sono questi (non occorre essere esperti di comunicazione per capirlo) il vero obiettivo del comunicatore.
In altre parole: dopo essere stata da viva (spesso suo malgrado) al centro di intrighi, la Monroe continua ad essere usata anche da morta, alla faccia delle più elementari norme di buon gusto. Moltissime persone si sono lasciate persuadere che Marylin non era semplicemente una bella donna, ma «la» bellezza; non un’attrice di cinema, ma «il» cinema; non una persona elegante, ma «l»’eleganza.

Occorre ricordare a tutti che la costruzione di miti del genere ha costi elevatissimi, sia per chi li incarna sia per chi vive nelle terre che hanno fornito la materia prima per la realizzazione di collier, braccialetti, anelli o (come ha mostrato anche Missioni Consolata) di certi crocifissi.

l – Non è vero che «i diamanti sono i migliori amici». Il diamante (ma anche oro, platino, ferro, ecc.) appartiene al regno delle cose inanimate: a differenza di uomini, animali e piante, non ha alcuna capacità di relazione: men che meno di stabilire un’amicizia con chicchessia. Può far piacere vedere un diamante o riceverlo in dono, ma l’affetto eccessivo ad esso nuoce alla crescita dell’uomo e del cristiano di entrambi i sessi. Anche quando il diamante viene appiccicato a un crocifisso.

2 – La mania dei diamanti è tanto più intollerabile quanto più tragici sono i conflitti che, ad esempio, in alcuni paesi africani si scatenano tra le bande che si contendono il controllo delle regioni diamantifere. Chi ama, compra o accetta preziosi dovrebbe, innanzitutto, valutare l’impatto che il prelievo della loro materia prima ha avuto sul rapporto tra esseri umani e su quello uomo-natura in una montagna dell’Afghanistan, in una foresta del Congo o in uno sperduto angolo del bacino amazzonico.

3 – Per una «venere» europea o americana che diventa star del cinema ci sono centinaia di «veneri spezzate» (donne molto belle, che perdono occhi, gambe e braccia) a causa di mine e guerre, alimentate dal commercio internazionale dei diamanti: lo ricordava anni fa Carla Peruzzo di Medici senza frontiere. In Angola un immenso patrimonio di bellezza femminile se ne va, perché in Italia, Francia, Stati Uniti… donne già belle e imbottite di giornielli vogliono diventare ancora più attraenti e uomini già sposati si mettono in testa che, regalando perle e pellicce, possono «conquistare» altre donne belle.

4 – Bene ha fatto A. Piersanti a contrapporre i crocifissi di Jennifer Aniston e Naomi Campbell, tempestati di oro e platino, a quello umilissimo di mons. Van Thuan, uomo-simbolo della cristianità vietnamita, dilaniata dalla guerra e poi oppressa da un regime materialista, opportunista e ateo. Il Vietnam è uno dei paesi più indebitati del mondo; per pagare il debito, sta svendendo il suo patrimonio naturale, anche perché, nel Sudest asiatico, non si tiene in debito conto la «questione estetica».

Se continuerà a imperare l’idea che i giornielli di una diva sono belli e ricchi, mentre le foreste del Vietnam (con animali e piante fantastici che rischiano di estinguersi) sono brutte e possono essere rimpiazzate da piantagioni di caffè (per mantenere il Vietnam su elevati livelli di competitività, «stracciando» la concorrenza di altri paesi, altrettanto indebitati), significa che non abbiamo capito che cos’è la bellezza.

Un capo indigeno messicano, nel giubileo del 2000, ha detto che il suo paese è in credito con il colonialismo di 185 tonnellate d’oro e 16.000 d’argento, elevate alla potenza di 300 (cfr. Missioni Consolata, maggio 2001): e ha ragione. Ma è altrettanto vero che il debito estetico (che epuloni, spreconi e celebratori di giubilei hanno contratto con la moltitudine di giubilati e diseredati) è incalcolabile nel senso matematico del termine. Vi sono pubblicazioni e libri che lo provano: per esempio il rapporto Nunca mas, Emi, Bologna 1986.

Maria Weistroffer – Bordeaux (Francia)

Ci scusiamo con la signora Maria per aver sunteggiato la sua lettera, come pure quelle di altri lettori. Cari amici, poiché lo spazio è tiranno, aiutateci con interventi più concisi. Grazie.

AAVV




«LE RADICI DELL’ODIO» E… NOI

Caro direttore, sono un professore di storia presso
l’Università di Torino, ora felicemente in pensione,
e sono lieto di presentarle il mio libro «Le radici
dell’odio». Si tratta, purtroppo, di una amarissima indagine
sul comportamento delle Società multinazionali
(e dei governi che le sostengono) a danno dei paesi
poveri del Terzo e Quarto Mondo. So che è un tema che
sta molto a cuore anche ai missionari e alla sua rivista.
Non a caso il mio libro è largamente debitore, tra le
tante fonti usate, a testimonianze, lettere e corrispondenze,
pubblicate dalla rivista Missioni Consolata.
Sono certo, signor direttore, che lei comprenderà
con quanta soddisfazione vedrei il mio libro segnalato
sulle pagine della sua rivista, sempre che venga giudicato
degno. Grazie.
Un cordiale saluto e un augurio di buon lavoro.

Il libro in questione è: Le radici dell’odio (Nord e Sud
ad un bivio della storia), Edizioni Dedalo, Bari 2002,
euro 14,50. L’autore, RENATO MONTELEONE, ripercorre la storia
dei popoli dominanti e subaltei dal colonialismo ottocentesco
fino ai nostri giorni, cercando la soluzione della
tragedia «odio» nelle pieghe della storia… Ed è con viva
soddisfazione che abbiamo registrato almeno otto citazioni
di Missioni Consolata.
Il libro del professore si impone per la tensione etica,
alimentata da speranza, con cui affronta i problemi. Sono
eloquenti le righe finali, dove
cita Petr Lavrov, militante
del partito populista russo
ed esule dal regime zarista.
«Ogni comodità di cui
godo – confessa Lavrov -, ogni
pensiero che ho il piacere
di formulare e acquisire,
è acquistato col sangue,
con le sofferenze e la fatica
di milioni di persone».
Il volume è acquistabile
anche presso LA LIBRERIA
«MISSIONI CONSOLATA», Via
Cialdini 2/A -10138 Torino
(tel: 011/447.66.95;
e-mail: libmisco@.it).

RENATO MONTELEONE




Il mondo del «non profit»

Cari missionari,
esiste un mondo, dove si
lavora in sordina, senza
pretendere «posti al sole»,
un mondo criticato da chi
non lo conosce ed elogiato
da chi vi opera. Un «mondo
sommerso», che tuttavia
sostiene l’economia
vera con ideali veri, come
quello del «non profit».
È il mondo delle cornoperative
e dei consorzi sociali,
che si inseriscono nel lavoro
dei «grandi» con
«pietre scartate» dal «sistema
». È il mondo di chi
affronta i problemi senza
puntare esclusivamente al
tornaconto personale e investe
tempo come pochi
altri. È il mondo anche dei
«disgraziati»: carcerati,
handicappati, drogati, sieropositivi.
Comunità, cornoperative e
consorzi sociali stanno lavorando
con buoni esiti e
con persone qualificate,
che sentono il lavoro come
vocazione, e non solo
come fonte di guadagno.
Come sono strutturate
queste realtà? Le comunità-
alloggio offrono un
supporto psico-educativo
e un lavoro nella stessa comunità
(tui di pulizia, di
cucina e interventi specifici
di sostentamento). Le
cornoperative e i consorzi,
oltre al supporto educativo,
offrono un lavoro secondo
la specializzazione
professionale di chi vi opera
(si va dal settore agricolo
a quello informatico).
Economicamente come
sono gestite? Da convenzioni
regionali o comunali,
ma soprattutto si reggono
su lavori che gli utenti
del gruppo svolgono: lavori
scartati dal «nostro
mondo lavorativo», perché
umili, poco rimunerativi;
lavori che non si offrono
a nessuno, perché
troppo costosi per aziende
professionalmente preparate.
Tuttavia se un datore di
lavoro, quando la mano
d’opera è costosa, la cerca
in una cornoperativa sociale…
può anche trovarsi
soddisfatto.
Terminando l’anno in
attivo, s’investe una parte
dell’utile per migliorare la
comunità o cornoperativa
(strumenti tecnici più modei
per rendere il lavoro
meno faticoso, oppure educatori
laureati in scienze
dell’educazione, che seguono
gli utenti).
I direttori di questo
mondo, se prendono il loro
lavoro come una vocazione,
possono scoprire
nuovi orizzonti e nuove
mete da raggiungere. Allora
sì che si fa qualcosa di
socialmente utile…
Oggi tutti lamentano uno
stress, la malattia della
presente civiltà meccanica.
Già negli anni Cinquanta
esisteva una bevanda pubblicizzata
come il rimedio
«contro il logorio della vita
modea».
Nel lessico quotidiano
lo stress ha assunto una
connotazione generica;
più che ad una malattia,
allude ad una disposizione,
che con varie sfumature
passa dal «viola» del
soggetto (un po’ nervoso)
al «nero» del «malato»
(chiuso nel cerchio della
sofferenza).
Viviamo tempi che mettono
a dura prova l’animo
di tutti. I motivi per alzarsi
dal letto la mattina diventano
sempre più difficili
da intrecciare; il senso
del dovere (che in passato
agiva da farmaco), sembra
essersi perso, lasciando il
posto ad un’«autorealizzazione
» di cui tutti parlano,
ma che nessuno sa esattamente
mostrare.
Non intendo fare l’apologia
del mondo sotterraneo:
anche in questo, infatti,
esistono «nodi» irrisolti.
Tuttavia chi vive in
questo mondo appare meno
esposto allo stress.
Non è poco.

Siamo grati all’amico
Giovanni, già volontario
in Zaire (oggi Congo) con
i missionari della Consolata,
per la sua riflessione
sul mondo «non profit».
Un mondo meno «stressato
», dove non si esclude
il profitto. Un mondo
«socialmente utile».

Giovanni Fumagalli




Solidarietà. «Siate espliciti!»

Egregio direttore,
la rivista Missioni Consolata
da lei diretta è ottima:
contiene articoli ben fatti,
in gran numero sui problemi
del terzo mondo, e vari
interessanti dossiers. Tutto
o.k.
Però le faccio presente
una difficoltà: se voglio inviare
un’offerta per qualche
vostra opera missionaria,
come faccio non trovando
esplicitato il
«progetto» o «a favore
di…» o «necessitano euro…
per…»? Che cosa scrivo
sulla causale del conto
corrente postale?
La mia difficoltà è condivisa
anche da altri. Signor
direttore, aggiunga
alla sua rivista quanto sopra:
sarà più completa e
più pratica per il lettore.

Signora Italia, lei ha ogni
ragione di lamentarsi.
Ma, fino a ieri, vigeva una
norma governativa che
vietava alla nostra rivista
di rivolgere «appelli specifici» di solidarietà. Però
oggi, essendo Missioni
Consolata divenuta Onlus
(Organizzazione non
lucrativa di utilità sociale),
è possibile farlo. E lo
faremo.
Intanto ringraziamo,
ancora una volta, gli amici
che sostengono le attività
della Onlus (compresa
quella di produrre la
rivista) con contributi
«specifici» e «generici».
Per la causale del versamento,
è «tollerato» anche
l’uso del retro del
conto corrente postale.

Italia Fuina




Se la morte è una «fiction»

Egregio direttore,
ho letto con molto interesse
il dossier di GUIDO SATTIN
«Storie di orchi e cavaocchi» (Missioni Consolata,
luglio-agosto 2002)
sulla tremenda realtà del
traffico di organi umani.
Non sono, però, d’accordo
che il turpe commercio
si vinca aumentando le
«donazioni», bensì orientando
la ricerca su un campo
incruento, verso altri orizzonti
(organi artificiali
e, ancor più, ricorso a cellule
staminali, prelevate da
adulti o cordoni ombelicali).
Sì, perché la «morte ce-
rebrale», condicio sine
qua non per l’espianto di
organi, è tutt’altro che pacifica.
Infatti parte rilevante
della scienza afferma (si
veda, tra l’altro, la dichiarazione
internazionale
contro la «morte cerebrale
», nemica della vita e
della verità, sottoscritta da
centinaia di medici, scienziati,
filosofi, educatori e
religiosi di tutto il mondo)
che la «morte cerebrale
» è una finzione giuridica,
una morte inventata ad
uso e consumo di espianti/
trapianti, una morte legale,
convenzionale, non
reale.
Afferma il noto genetista
G. Sermonti: «Il mio
dissenso diventa ribellione
di fronte all’informazione
che l’espianto sarà
eseguito da cadavere.
Quei corpi nei quali batte
il cuore, respirano i polmoni,
circola il sangue,
anche se con encefalogramma
piatto, non sono
morti. La cessazione di
tutte le funzioni cerebrali,
come recita la legge, non è
accettabile clinicamente
(non si sa neppure quali
siano tutte le funzioni cerebrali).
Come è stato
concluso al Congresso internazionale
di bioetica
nel 1996, la “morte cerebrale”
è una fiction, una
finzione.
Abbiamo inventato una
morte ad uso chirurgico.
Si dirà che quei moribondi
con encefalogramma
piatto non riprenderanno
più moto e coscienza.
Benché ci siano state delle
occasioni, ciò è probabilmente
vero, ma l’essere
destinati alla morte, non
significa essere morti…».
Da ultimo faccio osservare
che la donazione inter
vivos (fra vivi) pur essendo
indiscutibilmente
un grande atto di generosità,
genera, purtroppo,
due invalidi (donatore e
ricevente), destinati a vivere
nella sofferenza.
Mentre chiedo la pubblicazione
di queste note
pro veritate, ringrazio e
porgo i migliori saluti.

Il signor Carlo Barbieri
è cornordinatore di «Famiglia
e Civiltà» (“Associazione
per la difesa della
famiglia e della civiltà cristiana”).
I problemi di bioetica
sono oggetto di attenta analisi
anche da parte della
chiesa cattolica in vari
paesi. Lo conferma
«Prendersi cura della vita
» (lettera pastorale della
Conferenza episcopale
della Scandinavia dell’11
febbraio 2002, apparsa
su Il regno-documenti,
9/2002). Si affronta pure
la «donazione di organi».

Carlo Barbieri




«Sursum corda» da Gerusalemme

Caro direttore,
Missioni Consolata è semplicemente
splendida: si
fa leggere, è interessante,
con la presenza di spaccati
di viva attualità.
Ho letto con piacere la
notizia (ben commentata)
sull’«autolicenziamento»
di MARY ROBINSON dalla
carica di alto commissario
delle Nazioni Unite per i
diritti umani. L’ho conosciuta
a Ginevra diversi
anni fa. E’ una donna tutta
d’un pezzo, che sa andare
oltre la politica dei
politicanti e la diplomazia
dei figli di papà…
Qui, in Israele, la situazione
non cambia; tutto
appare scontato, con prospettive
di pace fumose e
lontane. Ma… sursum corda
(in alto i cuori)!

Certamente i lettori ricordano
l’editoriale di
padre Marco «Guerra alla
pace in terra santa»
(Missioni Consolata,
maggio 2002).
Il sursum corda del
francescano è un ennesimo
invito alla speranza.
Nonostante tutto.

Marco Malagola




Cattolici e ortodossi in Russia

Cari missionari,
c’è forte tensione in Russia
fra i pochi cattolici e i
tanti ortodossi. Come ha
ricordato anche Missioni
Consolata, il 15 aprile a
don Stefano Caprio, parroco
delle comunità cattoliche
di Vladimir e Ivanoso,
è stato tolto il visto
russo senza alcuna spiegazione.
Un caso personale?
«Molto probabilmente no
– ha risposto la rivista La
nuova Europa, maggio
2002 -, se qualche giorno
dopo, il 19 aprile, addirittura
il vescovo di Irkutsk,
monsignor Masur, si è visto
sbarrare la strada per
la Russia (stava rientrando
dalla Polonia)»…
Insomma il fuoco anticattolico
(mai sopito) è
nuovamente esploso.
Detto questo, ho trovato
davvero «strana» la richiesta
di rettifica rivolta
alla vostra rivista, colpevole
di mancare di rispetto
alla situazione ecclesiale
e sociale del grande
paese di Putin e Alessio II
(cfr. Missioni Consolata,
gennaio 2002).
Quale conclusione trarre?
Che in Russia la stagione
dell’ecumenismo è
finita?
Grazia Micheli
Bologna

Ci ostiniamo a credere
che «la stagione dell’ecumenismo
» non sia finita
in Russia, pur tra gravi
difficoltà.
Quanto al nostro reportage
dalla Russia, esso
conteneva un errore geografico
e un’imprecisione
circa una diocesi italiana.
Per il resto, l’articolo era
suffragato da fatti e testimonianze
personali inoppugnabili.

Grazia Micheli




Poco cattolica?

Spettabile redazione,
non mandatemi più la rivista.
È troppo musulmana,
mentre è troppo poco cattolica.
Lettera firmata
Gambettola (FO)

Musulmani non siamo.
Forse siamo troppo poco
cattolici. «Cattolico» significa
«universale». E
chi lo è non divide gli uomini
e le donne in ebrei,
buddhisti o musulmani…
«contrapponendoli» fra
loro. Non sono tutti figli
di un unico Dio?

Lettera firmata